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- Il vecchio Samuele
La casa del
vecchio ebreo non era già una meschina costruzione, come appariva all'esterno.
Aveva un
elegante cortile con chioschi di purissimo stile moresco, come tutte le case
del Marocco, con una bellissima fontana nel mezzo, dal getto altissimo e
abbondante; il porticato a mosaico, e palme all'intorno che proiettavano una
deliziosa ombra, doppiamente pregiata sotto quel clima ardentissimo.
Numerose
porte, cogli stipiti di marmo, che mettevano in altrettante stanze, s'aprivano
sotto i chioschi riparati da tende.
Dappertutto
vi erano tappeti e divani di marocchino, lusso insolito in una città come
Tombuctu, perduta all'estremità del Sahara, in un paese affatto selvaggio.
Il vecchio
ebreo, che pareva ringiovanito istantaneamente di venti anni, aiutò la giovane
a scendere da cavallo, mentre due schiavi negri recavano dei vassoi colmi di
frutta, di pezzi di zucchero e di aranci, importati, chissà con quali spese,
dagli stati barbareschi del settentrione.
“È ben la
figlia del defunto Nartico, il mio vecchio amico, che mi onoro di ospitare?”
chiese l'ebreo, dopo averla fatta sedere su un soffice divano.
“Sì, io sono
Esther Nartico, figlia del negoziante di Tombuctu, morto otto mesi or sono fra
le braccia di Tasili.”
“E le mie,”
disse il vecchio.
“Voi avete
assistito alla morte di mio padre!” esclamò la giovane, con voce commossa.
“Gli ho
chiuso gli occhi. Ma voi come vi trovate qui? Io so che Tasili era partito pel
Marocco onde dare ai figli il triste annuncio.” Esther gli narrò brevemente
l'avventurosa traversata del deserto assieme al marchese di Sartena e tutte le
varie vicende toccate alla piccola spedizione, fino al tradimento di El-Melah e
all'arresto di Ben e dei suoi compagni.
Il vecchio
ebreo ascoltò in silenzio, con viva attenzione, poi quando la giovane ebbe
terminato, disse:
“Dunque si
ignorava che il colonnello Flatters era stato assassinato nel deserto e che i
Tuareg, per attirare una seconda spedizione, avevano fatto spargere la voce che
era stato condotto prigioniero a Tombuctu?”
“Il marchese
di Sartena, al pari di molti altri, aveva creduto a quelle voci.”
“Non aveva
sospettato di quel El-Melah?”
“No,” rispose
Esther. “Solo stamane ho saputo che egli era una delle guide del colonnello e che
il suo vero nome era El-Aboid.”
“Meritava
venti volte la morte.”
“Credete voi
che vi sia qualche speranza di strappare il signor di Sartena ed i suoi
compagni al sultano?” chiese El-Haggar. “Voi non dovete ignorare che gli
stranieri non mussulmani, sorpresi in Tombuctu, vengono messi a morte.”
“Ed a quale
morte!” disse il vecchio. “Non sono trascorsi due mesi da che ho veduto
bruciare un ebreo che era venuto qui con una carovana di tripolini.”
“E mio
fratello dovrebbe subire egual sorte!” gridò Esther, rabbrividendo e
nascondendosi gli occhi. “Salvateli, Samuele Haley, salvateli per l'amicizia
che avevate per mio padre! Io sono ricca, ho una cassa piena d'oro e la metto
tutta a vostra disposizione.”
“Coll'oro qui
tutto si può fare: corrompere funzionari, kissuri e carcerieri,” rispose
l'ebreo. “Anch'io ho accumulato una vistosa fortuna e se sarà necessario la
spenderò pur di salvare il figlio del mio caro amico ed i suoi due compagni.”
“Oh!...
Grazie, Samuele!” esclamò Esther, prendendogli le mani e stringendogliele
fortemente. “È Dio che ci ha fatto incontrare.”
“Voi rimanete
qui,” disse il vecchio. “La mia casa è a vostra disposizione, i miei servi, che
sono fedelissimi, sono ai vostri ordini. Fra un'ora sarò di ritorno e chissà
che non vi rechi delle buone notizie.”
“Dove
andate?”
“Da un arabo
mio amico, personaggio molto influente.”
“Non ci
tradirà?”
“No, non
temete. Egli mi è affezionato, avendogli io salvato la vita sul Niger, e
avendogli reso molti preziosi servigi. Egli pagherà il suo debito di riconoscenza.”
Chiamò i due
schiavi, diede loro alcuni ordini, poi uscì appoggiandosi al bastone.
“Signora,”
disse il moro, quando furono soli. “Ciò si chiama aver fortuna; senza
l'incontro di questo vostro correligionario, non so che cosa avremmo potuto
fare.”
“È vero,
El-Haggar. Che riesca a salvarli?”
“Io ho
fiducia in quel vecchio.”
“Se Ben ed il
marchese dovessero morire, io non sopravviverei.” Mentre si scambiavano i loro
timori e le loro speranze, i due negri avevano portato il caffè, dei pasticcini
e delle frutta secche. Esther ed il moro erano però così preoccupati che
assaggiarono appena qualche tazza di moka.
Non potevano
rimanere fermi, tanta era la loro impazienza e la loro angoscia. L'ora era già
trascorsa, ed il vecchio Samuele non era ancora tornato. E come era stata lunga
quell'ora; specialmente per la povera Esther.
Verso mezzodì
la porta finalmente si aperse e comparve il vecchio ebreo accompagnato da un
arabo di statura piccola, magrissimo, dalla pelle quasi nera, vestito
rigorosamente di bianco, con una piccola fascia verde intorno all'immenso
turbante, distintivo che hanno diritto di portare coloro che hanno compiuto il
pellegrinaggio alla Mecca, alla tomba del Profeta.
Era forse più
vecchio di Samuele, a giudicare dalle profonde rughe che gli solcavano la
fronte, tuttavia pareva che non avesse perduto nulla della sua agilità e
procedeva ancora ritto, con passo leggero, pieno di maestà e di grazia.
“Ecco l'amico
di cui vi ho parlato,” disse Samuele, presentandolo a Esther. “Egli sa ormai
tutto ed è anche pronto a tutto.” L'arabo salutò gentilmente con un salam
graziosissimo, poi dopo aver guardato, non senza una viva ammirazione, la
giovane ebrea, disse “Non vi nascondo, signora, che la cosa è grave, perché io
ho saputo che i prigionieri, prima di arrendersi, hanno freddato quattro o
cinque guardie del sultano. La loro morte è stata ormai decretata: l'ebreo sarà
bruciato, i due cristiani decapitati. Nondimeno noi cercheremo di strapparli al
sultano.”
“Ah!
Signore!” singhiozzò Esther. “Salvateli! Salvateli!”
“Io sono il
capo del quartiere arabo ed ho amici devoti, pronti a obbedirmi e anche a
ribellarsi, se lo desiderassi, contro l'autorità del sultano, tuttavia non sono
così numerosi da poter affrontare da soli i kissuri, uomini di guerra e
fedeli al loro signore. Vi sono però qui dei predoni, che non si farebbero
scrupolo alcuno a mettersi in lotta col sultano, purché non si risparmi l'oro.”
“Ma quale
progetto avete voi?” chiese El-Haggar. “Di strappare i prigionieri colla
forza.”
“Assaltando
la kasbah?”
“No, non si
riuscirebbe a nulla, essendo troppo solida e troppo ben guardata. Noi porteremo
via i vostri padroni prima che salgano il patibolo, approfittando dello
scompiglio che susciteranno i miei uomini.”
“Riusciremo?”
“Con tre o quattrocento
persone risolute vinceremo facilmente la scorta dei kissuri. Duecento
posso fornirle io.”
“E le altre?”
chiese Esther.
“Le recluteremo fra i Tuareg. Quei predoni sono sempre pronti a tutto,
quando hanno dell'oro da guadagnare.”
“Io offro
ventimila talleri,” disse Esther.
“Per
guadagnare una simile somma i Tuareg darebbero fuoco anche alla kasbah del
sultano.”
“Chi
s'incaricherà di reclutarli?” chiese Samuele.
“Lascia fare
a me, amico,” disse l'arabo. “Conosco parecchi capi Tuareg e se volessi potrei
avere anche mille predoni prima che siano trascorse dodici ore.”
“Signora,
siete giunta qui con una carovana?” proseguì l'arabo volgendosi verso Esther.
“No, siamo
venuti qui con una minuscola scorta e una diecina di cammelli.”
“Avete dei mehari
rapidissimi? Ne occorrono tre pei prigionieri, perché appena noi li avremo
liberati dovranno lasciare immediatamente Tombuctu e correre al Niger. Io
manderò uno dei miei uomini a Kabra per acquistarvi una buona scialuppa.”
“M'incaricherò
io di trovare i mehari,” disse Samuele.
“E noi faremo
inoltrare i cammelli fino a Kabra, dai nostri beduini,” disse El-Haggar. “Così
al momento dell'imbarco troveremo i nostri bagagli pronti.”
“Ci rivedremo
questa sera,” disse l'arabo, alzandosi. “Vi porterò buone nuove.”
“Quando avrà
luogo il supplizio?” chiese Esther, con voce tremante.
“Domani
mattina, sulla piazza del mercato, ma noi vi saremo tutti e v'assicuro che
andrà male pei kissuri del sultano.”
Esther attese
che l'arabo se ne fosse andato, poi volgendosi verso Samuele, lo informò del
tesoro sepolto nel pozzo e che era necessario estrarre prima della fuga.
“Questa sera
andremo a prenderlo,” disse il vecchio. “Lo divideremo in varie casse e lo
caricheremo sui cammelli. Avete fiducia in questo moro?”
“Completa.”
“Egli s'incaricherà
di condurlo a Kabra coi cammelli. Non tremate, Esther, tutto andrà bene e
domani stringerete fra le braccia vostro fratello.”
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