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- L'inseguimento
La scialuppa,
spinta da quattro remi, essendosi messi ad arrancare anche Rocco ed El-Haggar,
scendeva rapidamente il canale, poggiando verso l'opposta riva onde tenersi
fuori di portata dai moschettoni dei nemici.
Era una
solida barca, costruita con tavole grossissime, che le palle dei pessimi fucili
dei rivieraschi non potevano attraversare, lunga sette metri e con la prora
assai rialzata e adorna d'un enorme cranio di ippopotamo.
Il marchese
aveva fatto sdraiare Esther fra i forzieri onde metterla al riparo dalle palle,
poi si era collocato a prora dinanzi ad una cassa di cartucce aperta, mentre
Ben si era messo a poppa. I negri non avevano ancora osato fare fuoco. Erano in
due o trecento, ma pochissimi possedevano armi da fuoco e poi il canale era
così largo, da dubitare assai che le loro palle potessero giungere fino alla
scialuppa. Si sfogavano intanto urlando e minacciando senza però spaventare i
fuggiaschi.
L'arrivo dei kissuri
decise i negri a tentare qualche cosa. Gli uomini del. sultano
erano una ventina e tutti armati di fucili meno antiquati di quelli dei negri.
Vedendo la
scialuppa passare a meno di quattrocento passi si schierarono sulla gettata e
senza nemmeno fare l'intimazione della resa aprirono un violentissimo fuoco.
“Lasciate i
remi e nascondetevi dietro il bordo!” gridò il marchese, udendo sibilare in
aria alcuni proiettili. “La corrente ci trascinerà egualmente.”
“Se
prendessimo terra sulla riva opposta?” chiese Ben.
“Non
fidatevi,” disse El-Haggar. “Vi sono anche là degli abitanti e udendo questi
spari non tarderebbero ad accorrere.”
“Allora
proviamo a calmare quei dannati,” rispose il marchese. “Badate alle vostre
teste! Grandina!”
Le palle
cominciarono a fioccare, se non quelle dei negri, pessimi tiratori, almeno
quelle dei kissuri.
L'acqua
rimbalzava attorno alla scialuppa e si udiva anche il piombo cacciarsi, con
sordo rumore, nelle grosse tavole del bordo.
Il marchese,
Ben e Rocco, approfittando d'un momento di sosta, puntarono i fucili e fecero
una scarica in mezzo ai kissuri, gettandone a terra due. Un altro, che
si teneva ritto sulla riva, cadde nel fiume colpito da una palla mandatagli da
El-Haggar.
Spaventati
dalla precisione di quei tiri, i negri si affrettarono a nascondersi dietro le
capanne che si prolungavano lungo la riva. I kissuri però più coraggiosi
e più risoluti a prendere i fuggiaschi o almeno a metterli fuori combattimento,
si sparpagliavano dietro gli alberi, continuando il fuoco.
Le loro palle
non giungevano quasi più fino alla scialuppa, perché la corrente trascinava i
fuggiaschi con notevole velocità.
“Fra qualche
minuto potrete riprendere i remi,” disse il marchese a Rocco ed a El-Haggar.
“Non
illudetevi, signore,” disse il moro. “I kissuri non ci lasceranno
tranquilli e andranno ad attenderci allo sbocco del canale. I negri hanno già
dato l'allarme per attirare su di noi l'attenzione di tutti i rivieraschi. Non
udite i tamburi battere?”
“Li odo perfettamente.”
“Anche a Koromeh odo rullare i noggara.”
“È un grosso
villaggio?”
“No, signore,
ma si trova sulla riva destra, e verremo presi fra due fuochi.”
“Per
centomila diavoli!” esclamò il marchese diventando assai preoccupato. “Che
questi dannati negri riescano a prenderci? Cosa ci consigliano di fare i due
barcaiuoli?”
“Di
nasconderci fra i canneti e di aspettare la notte.”
“Prima di
giungere a Koromeh?”
“Sì,
marchese.”
Il fuoco dei kissuri
da qualche minuto era cessato e la barca aveva raddoppiato la sua corsa
sotto i colpi di remo di Rocco, del moro e dei due negri.
La città
ormai era stata oltrepassata e sulla riva non si scorgeva più alcuna
abitazione. Si vedevano invece alberi bellissimi, d'aspetto imponente, cedri,
ebani, acagiù, platanieri, cotonieri e sicomori giganteschi.
Negri e kissuri
erano scomparsi, tuttavia nessuno si sentiva rassicurato. Quei bricconi
dovevano essersi cacciati nelle boscaglie per sorprendere più tardi i
fuggiaschi e fucilarli in qualche punto più stretto del canale o del fiume.
La scialuppa
si teneva verso la riva opposta e raddoppiava la velocità. Però il marchese,
Ben ed Esther si tenevano in guardia e sorvegliavano attentamente il margine
della foresta, temendo ad ogni istante una sorpresa.
Intanto in
lontananza, ad intervalli, si udivano sempre rullare fragorosamente i
noggara ed echeggiare le conche da guerra.
Dopo aver
percorso circa tre miglia, la scialuppa si trovò quasi improvvisamente dinanzi
ad un fiume immenso, dalle acque torbide, che correvano verso l'est.
“Il Niger?”
chiese il marchese.
“Sì,
signore,” rispose El-Haggar. “Il canale di Kabra è terminato.”
“Ed i kissuri?”
“Non so dove
siano andati. Temevo che ci aspettassero qui.”
“Che abbiano
rinunciato a inseguirci?”
“Lo vedremo
più tardi, signore.”
“Tu dunque
non credi?”
“Ho i miei
dubbi.”
“Dove
andiamo?”
“Verso la
riva sinistra; sulla destra abbiamo Koromeh.”
“Non siamo
ancora troppo vicini a Kabra?”
“Vi ho detto
che ci nasconderemo.”
“Avanti
dunque,” concluse il marchese.
Il Niger,
quantunque prima a Kabra dividesse la sua corrente formando due bracci ben
distinti, era ricchissimo d'acqua e la sua larghezza sorpassava, in quel luogo,
i tre chilometri.
Scorreva
lento come il Nilo, fra due rive assai basse e molto boscose, trascinando un
gran numero d'isolette galleggianti e di tronchi enormi, i quali si urtavano
rumorosamente, ora sommergendosi ed ora tornando bruscamente a galla.
Le sue acque
torbidissime, forse a causa di qualche recente acquazzone, formavano qua e là
dei larghi gorghi, tuttavia non pericolosi per la scialuppa.
Nessuna barca
in quel momento lo attraversava e nessun villaggio si scorgeva sulle sue rive.
Abbondavano
invece gli uccelli acquatici, specialmente in mezzo ai canneti che crescevano
numerosissimi lungo le sponde e sugli isolotti. Si vedevano tormi immensi di
pellicani, di fenicotteri, di gru, di ibis bianche e nere e di tantali, mentre
sulle isole galleggianti passeggiavano gravemente degli esemplari di balaeniceps
rex, stravaganti uccellacci, alti più d'un metro, rassomiglianti un po' ai marabù
dell'India, con gambe lunghe e la testa grossa, fornita d'un becco
mostruoso, assolutamente sproporzionato al corpo.
I due
battellieri negri osservavano attentamente la riva sinistra del fiume,
ascoltarono per qualche minuto, poi, non udendo più rullare i tamburi, spinsero
la scialuppa da quella parte, tagliando vigorosamente la corrente.
Un quarto
d'ora dopo, attraversato un banco coperto di canne, spingevano l'imbarcazione
entro una piccola cala circondata da enormi alberi, i quali proiettavano
un'ombra così fitta da intercettare completamente i raggi del sole.
“Dalla luce
accecante siamo piombati quasi fra le tenebre,” disse Rocco, deponendo il remo
e tergendosi il sudore che gl'inondava il viso. “Ci fosse almeno un po' di
frescura sotto queste piante! Pare invece di essere entrati in una serra
calda.”
“Udite nulla
voi?” chiese il marchese.
“No,”
risposero tutti.
“Tuttavia non
mi fido e proporrei di fare un giro sotto le piante. Vi pare, Ben?”
“Certo, così
andremo a guadagnarci la colazione, poiché le rive del Niger abbondano di selvaggina.”
“Ed io?”
chiese Esther.
“Non
esponetevi,” rispose il marchese. “Forse fra queste piante vi sono dei negri
imboscati e le palle non sempre vanno perdute.”
“Sì, rimani,
sorella,” disse Ben. “Quando ci saremo accertati che non v'è alcun pericolo,
potrai sbarcare.”
Il marchese,
l'ebreo ed il sardo, presi i fucili, balzarono fra le piante, facendo fuggire
uno stormo di pappagalli che schiamazzava sulla cima di alcuni cespugli. La
foresta cominciava lì, una vera foresta africana in tutto il suo più esuberante
splendore. Tutte le ricchezze della flora tropicale pareva si fossero riunite
intorno a quel piccolo seno.
Ecco i
giganteschi sicomori, gli splendidi banani dalle foglie immense. gli enormi
manzanillieri, i cui fiori rossi spiccano superbamente fra il verde cupo delle
foglie; i palmizi nani, i datteri spinosi e le acace fistolose, cinte da
convolvoli arrampicanti il cui folto fogliame s'intreccia in pergolati
naturali; ecco le baunie, le palme deleb, le dûm, ed ecco gli
enormi baobab, i re dei vegetali, che da soli bastano a formare
una piccola foresta ed i cui tronchi sono così enormi che venti e anche trenta
uomini non sarebbero sufficienti per abbracciarli.
Da tutte le
parti fuggono nubi di volatili dalle penne variopinte, pappagalli verdi, gialli
e rossi; sciami di tordi dalle penne azzurre, di sberegrig (merops)
colle piume d'un verde azzurro sotto il ventre, più fosche sopra e più
chiare presso la coda, di leggiadre ortygometre, di anastoni e di
pivieri bellissimi.
Sulle cime
dei più alti alberi invece, numerose scimmie si divertono a fare una ginnastica
indiavolata, balzando come palle di gomma e urlando a piena gola. Sono dei
cercopitechi verdi, non più alti di mezzo metro, col pelame verdognolo ed i
musi adorni di barbe bianche che danno a quei quadrumani un aspetto
comicissimo.
“Non sarà
difficile procurarci una deliziosa colazione,” disse Rocco, il quale aveva
adocchiato una splendida ottarda che passeggiava gravemente in mezzo alle
enormi radici dei vegetali.
“Ma non ora,”
rispose il marchese. “Voglio prima assicurarmi se questa boscaglia è deserta. I
negri non sono sciocchi e avranno notato la nostra direzione.”
“Eppure non
odo più i tamburi rullare per le campagne.”
“È appunto
questo silenzio che non mi rassicura, mio caro Rocco.”
“Che i kissuri
abbiano seguita la riva del fiume?”
“Avevano dei
buoni cavalli e non ci avranno perduti di vista.”
“Che
ostinati!”
“Le nostre
teste saranno state messe a buon prezzo,” disse Ben.
“E noi ci
prenderemo quelle dei kissuri e le manderemo al sultano,” rispose Rocco.
“In pacco
raccomandato?” chiese il marchese, ridendo.
“Già, mi
dimenticavo che i negri non conoscono il servizio postale. Che barbari!” disse
il sardo, con disprezzo.
Pur
chiacchierando, s'inoltravano cautamente sotto quegli alberi i quali diventavano
sempre più folti, rendendo la marcia molto difficile. Migliaia di piante
parassite avvolgevano i tronchi, salivano fino ai più alti rami, poi ricadevano
in festoni incrociandosi in mille guise, mentre le radici, non trovando terreno
sufficiente, sorgevano dovunque, serpeggiando pel suolo come mostruosi rettili.
Già si erano
allontanati due o trecento metri, quando improvvisamente udirono alcune
scariche, che provenivano dalla parte del bacino, seguite da urla terribili.
Il marchese
si era fatto pallidissimo: “Chi fa fuoco?”
“Alla
scialuppa!” gridò Rocco, slanciandosi innanzi. “Odo la voce di El-Haggar!”
Infatti si
udiva il moro urlare:
“Aiuto!
Rapiscono la signora Esther!”
Il marchese
ed i suoi compagni si erano lanciati fra le piante, correndo disperatamente.
I colpi di
fucile erano cessati; ma si udiva in lontananza il moro gridare sempre:
“Aiuto! La
portano via!”
In dieci
secondi il marchese giunse presso la scialuppa. Non vi erano che i due
battellieri rannicchiati sotto i banchi e tremanti ancora di spavento.
Un grido di
disperazione proruppe dalle labbra del signor di Sartena:
“Esther!
Esther! l'hanno rapita! El-Haggar!” La voce del moro rispose subito
“Qui,
signore! Fuggono!”
Poi seguì un
colpo di fucile sparato probabilmente da lui.
I tre amici,
guidati da quel lampo, si erano ricacciati nella foresta, gridando
“Veniamo,
El-Haggar! Tieni fermo!”
Trovarono il
moro a trecento passi dalla riva, presso il tronco d'un baobab, in preda
a una forte disperazione.
“I
miserabili! L'hanno portata via e sono scomparsi! Ah! Povera signorina Esther!”
Il marchese,
che era fuori di sé, lo afferrò per un braccio scuotendolo ruvidamente.
“Dimmi...
parla... chi sono stati a portarla via?”
“Dei negri,
signore,” singhiozzò il moro.
“Molti?”
“Erano in
venti per lo meno.”
“Sei certo
che non erano kissuri?” chiese Ben, che piangeva come un fanciullo.
“No, signore,
erano negri, ci sono piombati addosso improvvisamente, hanno preso la signorina
Esther, che era scesa a terra per venirvi incontro, e l'hanno portata via.”
“Inseguiamoli,”
disse Rocco. “Non devono essere lontani.”
“Sì, diamo
addosso a quei bricconi prima che escano dalla boscaglia,” gridò Ben.
“Un momento,”
disse il marchese, che aveva riacquistato il suo sangue freddo. “Che El-Haggar
torni alla scialuppa e che vegli sui due battellieri. Vi è il vostro tesoro,
Ben e non dovete lasciarlo nelle mani di quei due negri.”
“Torno
all'istante.” rispose il moro.
“E noi,”
disse il marchese, “in marcia! E guai ai rapitori!”
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