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- La caccia ai rapitori
Un momento
dopo, il marchese ed i suoi due compagni si slanciarono attraverso la tenebrosa
foresta, risoluti ad affrontare qualunque pericolo.
I rapitori
non dovevano avere molto vantaggio. Non erano trascorsi nemmeno due minuti dalle
prime scariche e la boscaglia non permetteva di avanzare molto velocemente,
tanto più ad uomini carichi d'una persona.
Il marchese
s'avanzò a casaccio per cinque o seicento metri, aprendosi faticosamente il
passaggio fra tutte quelle fronde e quelle radici, che intralciavano ad ogni
istante la marcia; poi si arrestò improvvisamente, dicendo:
“I rapitori
ci sono più vicini di quanto crediamo. Ho udito un leggero fischio risuonare a
poca distanza.”
“Anch'io,”
disse Rocco.
“Che siano i
rapitori, od altri?” chiese Ben, angosciosamente.
“Spero che
siano i negri che hanno rapito Esther,” rispose il marchese. “Avanziamo con
prudenza e cerchiamo di sorprenderli.”
Si trovavano
allora nella parte più folta della foresta.
Tronchi
colossali, appena visibili a causa della profondissima oscurità, si rizzavano
intorno a loro, mescolati ad un numero infinito di piante rampicanti, che
cadevano in forma di enormi festoni.
I tre amici,
dopo aver ascoltato qualche istante ancora, colla speranza di udire qualche
nuovo segnale che meglio indicasse loro la direzione presa dai negri, si
rimisero in cammino, smuovendo con precauzione le foglie e le liane, e
gettandosi di quando in quando al suolo, per passare attraverso le molteplici
radici che si allungavano in tutte le direzioni.
Un sussurrio
lievissimo, che pareva prodotto dallo scrosciare di qualche foglia secca, li
arrestò nuovamente.
Quel rumore
si era fatto udire vicinissimo.
“Vi è
qualcuno che cammina dinanzi a noi,” disse il marchese agli orecchi di Ben.
“E non è
lontano più di otto o dieci passi,” rispose l'ebreo.
“Se potessimo
sorprenderlo ed atterrarlo prima che abbia il tempo di gettare un grido!”
“Lasciate
fare a me, marchese,” disse Rocco, che aveva udito il loro dialogo. “Con un
pugno lo accoppo.”
“Non
ammazzarlo. Ci occorre vivo per sapere dove hanno condotto Esther. M'immagino
che ci sia qualche villaggio in questi dintorni.
“Va' mio
bravo Rocco,” disse il marchese.
Il sardo si
sbarazzò del fucile, fece cenno ai compagni di non muoversi e scomparve fra i
cespugli, senza produrre alcun rumore.
Lo
scricchiolio delle foglie si udiva sempre ad intervalli.
Il negro, che
era forse uno dei rapitori, lasciato indietro per proteggere la ritirata,
sicuro di non aver nulla da temere, si avanzava senza prendere troppe precauzioni.
Rocco che
scivolava lestamente fra i tronchi degli alberi e fra le radici, tastando prima
il suolo per non calpestare delle foglie secche, guadagnava rapidamente via. Il
rumore diventava sempre più distinto. Ad un tratto però cessò bruscamente.
“Che quel
briccone si sia accorto di essere seguito?” si chiese Rocco. “In tutti i casi
non mi sfuggirai.”
Rasentò una
macchia di piccoli banani, le cui foglie già immense proiettavano un'ombra
cupa, e giunto all'estremità, guardò a destra ed a sinistra.
Essendovi in
quel luogo uno squarcio nella volta di verzura, l'oscurità era meno fitta, e si
poteva scorgere senza fatica un uomo, fosse pure nero come il carbone,
scivolare fra le piante.
Con sua viva
sorpresa, Rocco invece non riuscì a vedere nulla.
“Non sarà già
scomparso sotto terra,” mormorò. “Che sia invece nascosto fra queste macchie?”
Si era alzato
in piedi, quando sentì piombarsi addosso una massa pesantissima, e stringere il
collo da due mani poderose.
Un altro uomo
sarebbe certamente caduto; ma non l'erculeo isolano, il quale se aveva spalle
solide, possedeva pure delle gambe che non si piegavano facilmente.
Allungò le
braccia indietro e sentì il corpo nudo d'un uomo. “Ah! Credi di strangolarmi!”
esclamò con voce strozzata.
Si lasciò
cadere pesantemente al suolo, in modo che l'avversario rimanesse sotto.
Poi con una
mossa fulminea si volse, ed a sua volta afferrò il negro pel callo,
stringendolo così violentemente da fargli uscire tanto di lingua fuori dalla
bocca; poi con un pugno ben applicato sul cranio lanoso, e con forza moderata
per non farlo scoppiare, lo stordì.
“Il piccino è
mio!” disse.
Il piccino!
Si trattava d'un negro colossale invece, più alto del sardo, uno di quegli
splendidi campioni dei rivieraschi del Niger, che sono i più belli ed i più
robusti negri del continente africano.
Rocco, colla
fascia di lana che portava ai fianchi, lo imbavagliò, gli legò le mani dietro
il dorso, poi se lo cacciò sulle spalle e tornò verso il luogo dove aveva
lasciato il marchese e Ben.
“Ecco fatto,”
disse, gettando a terra il prigioniero, come se fosse un sacco di stracci.
“Come ben vedete, l'impresa non è stata troppo difficile.”
Il
prigioniero, tornato in sé, faceva sforzi disperati per liberarsi dai legami e
dal bavaglio che lo soffocava.
Vedendo però
un fucile puntato sul suo petto e sentendo il freddo della canna, credette
miglior cosa starsene cheto.
“Parli
l'arabo?” gli chiese il marchese.
Il negro fece
col capo un cenno affermativo.
“Allora ti
avverto che al primo grido che mandi, ti fucilo come un cane. Mi hai ben
compreso? Rocco, levagli il bavaglio.”
Il sardo si
affrettò ad obbedire.
Il
prigioniero respirò lungamente, indi guardò i tre uomini, roteando i suoi
occhiacci, nei quali si leggeva un profondo terrore.
“Eri solo in
questa boscaglia?” chiese il marchese. Il negro scosse la testa senza
rispondere.
“Parla,”
disse il signor di Sartena, appoggiando il dito sul grilletto del fucile. “Se
fra un minuto non avremo saputo tutto quello che desideriamo, tu non tornerai
più vivo al tuo villaggio. La tua vita è appesa ad un filo, e noi non siamo
uomini da prendersi in giro. Eri solo?”
“Sì,” rispose il negro.. “Dove sono i tuoi compagni?”
“Quali?”
“Quelli che hanno rapito la donna.”
“Sono già
lontani.”
“Molto?”
“Si, perché correvano
all'impazzata, temendo di venir assaliti da voi.”
“Perché hanno
rapito la donna?”
“Per paura
dei kissuri e per guadagnare il premio promesso dal sultano di
Tombuctu.”
“Dove sono i
kissuri ora?”
“Non lo so.
Erano giunti stamane al nostro villaggio per avvertirci del vostro passaggio, e
minacciando di trucidarci tutti se non concorrevamo alla vostra cattura.”
“Dove si
trova il tuo villaggio?” chiese il marchese al negro.
“A due miglia di qui.”
“È là che
hanno portato la donna?”
“Sì.”
“Per
consegnarla poi ai kissuri?”
“Certo.”
“Vuoi salvare
la vita?”
“Ditemi che
cosa devo fare.”
“Servirci di
guida fino al tuo villaggio. Ricordati però che se tu cerchi di tradirci io ti
fucilerò. In marcia e dinanzi a noi! Tu, Rocco, lo terrai per la fascia e non
gli slegherai le mani.”
“Questo
galantuomo non mi scapperà, siate sicuro,” rispose Rocco. Il negro,
comprendendo che ogni tentativo di resistenza sarebbe stato vano, e forse
troppo contento di essere sfuggito ad una morte che riteneva certa, si era
prontamente alzato, dicendo:
“Seguitemi.”
“Potremo
fidarci di quest'uomo?” chiese Ben al marchese.
“Se ha detto
il vero, i negri del villaggio sono stati costretti ad agire contro di noi per
salvare le loro famiglie.”
“Ci
riconsegneranno Esther?”
“Se si
rifiuteranno, gliela riprenderemo per forza. I negri hanno sempre temuto gli
uomini di razza bianca.”
Il negro,
sempre tenuto per la fascia da Rocco, procedeva con passo abbastanza rapido
attraverso la foresta; tuttavia di quando in quando mostrava qualche titubanza
e lo si vedeva curvarsi innanzi, come se cercasse di raccogliere qualche
lontano rumore. Il marchese, che non lo perdeva di vista un solo istante, aveva
notato quelle irresolutezze.
“Che
cos'hai?” gli chiese, avvicinandoglisi. “Tu non sei tranquillo. Cerchi forse
d'indovinare dove sono i tuoi compagni per attirarci in qualche imboscata?”
“No,
signore.”
“Che cosa
temi, dunque?”
“I
kissuri.”
“Tanta paura
hai di loro?”
“Chi
disobbedisce al sultano di Tombuctu, viene fatto schiavo e la sua casa
distrutta.”
“Dove si
erano diretti stamane i kissuri?”
“Verso
levante. Andavano ad avvertire i capi degli altri villaggi del vostro imminente
arrivo, e di preparare barche e canotti per impedirvi di scendere il fiume.”
Erano allora
giunti presso il margine della foresta. Dinanzi a loro si stendeva una pianura
pantanosa, interrotta da enormi mazzi di canne. “Avete il piede solido?” chiese
il negro.
“Perché ci
domandi ciò?”
“Saremo
costretti ad attraversare questi terreni paludosi e non vi è che un sentiero
strettissimo.”
“Sono
pericolosi i pantani?”
“Chi vi cade
dentro non tornerà più alla superficie.”
“Allora
cammina innanzi.”
Vi era un
piccolo sentiero che tagliava la palude, formato a quanto pareva dalla costa
d'una roccia, ed era così stretto che a malapena si potevano posare i piedi.
“Badate di
non cadere,” disse il marchese. “Vi sono sabbie mobili a destra ed a sinistra.”
Il
prigioniero osservò prima i due lati del sentiero, poi vi si avventurò. Aveva
fatti dieci o quindici passi, quando si volse verso Rocco che gli veniva
dietro, dicendogli
“È
impossibile che io possa avanzare se non mi sciogliete.”
“Devo scioglierlo,
signore?” chiese il sardo al marchese.
“Non può
scapparci. Anche se lo tentasse, le nostre palle lo raggiungerebbero.”
Rocco tagliò
il nodo.
Il negro si
strofinò le braccia per far riacquistare la loro elasticità, poi si avanzò con
passo più sicuro sul sentiero e così rapidamente che Rocco ed i suoi compagni
penavano a tenergli dietro.
Percorsero un
mezzo chilometro, giungendo in un luogo ove, invece del pantano, si trovavano
ai due lati del sentiero due ampi stagni ingombri di macchie di canne molto
fitte e di erbe acquatiche.
“Guardate
dove posate i piedi!” gridò il negro.
Mentre il
marchese ed i suoi compagni, credendo che vi fosse un passaggio pericolosissimo,
guardavano il suolo, il negro, con un salto improvviso, balzò in acqua,
scomparendo ai loro occhi.
Rocco aveva
mandato un grido ed una bestemmia. “Ce l'ha fatta quel brigante!”
Il marchese
aveva armato precipitosamente la carabina, in attesa che il traditore
rimontasse a galla per fargli scoppiare la testa.
Anche Ben
aveva preso il fucile e, per essere più sicuro del suo colpo, si era
inginocchiato sullo stretto passaggio.
Passarono
però quindici, poi trenta secondi senza che il negro tornasse a galla. Era
sprofondato nel fango del fondo e approfittando dell'oscurità e della sorpresa
degli uomini bianchi si era nascosto fra i canneti?
“È caduto o
si è gettato in acqua?” chiese Ben che essendo l'ultimo non aveva potuto vedere
il salto del negro.
“È fuggito,”
disse Rocco. “Io non l'ho veduto scivolare. Quel birbante ci ha condotti qui
per farcela! E noi che gli abbiamo sciolte le mani. Scommetterei che si trova a
pochi passi da noi e che sta ascoltando i nostri discorsi. Ah! se potessi
almeno vedere un pezzetto della sua testa!”
“Orsù,” disse
il marchese, dopo aver atteso qualche minuto ancora. “È inutile rimanere qui a
perdere del tempo che per noi è troppo prezioso.”
“Dobbiamo
tornare?” chiese Ben.
Il marchese stava
per rispondere, quando udì in lontananza un gridio, accompagnato da alcuni
colpi di fucile; poi vide alla estremità della pianura pantanosa brillare due
fuochi.
“Mi pare che
vi sia un villaggio laggiù,” disse. “Che i negri abbiano condotto là Esther?
Che cosa ne dite, Ben?”
“Che
preferirei andare innanzi, piuttosto che tornare,” rispose l'ebreo.
Le grida
erano cessate; i fuochi invece continuavano ad ardere, lanciando in aria
nuvoloni di fumo dai riflessi rossastri, e nembi di scintille che il venticello
notturno spingeva fin sopra la pianura pantanosa.
Che un
villaggio dovesse trovarsi in quella direzione, non vi era alcun dubbio. Anzi,
forse quelle grida salutavano il ritorno dei rapitori.
“Avanti,”
disse il marchese con tono risoluto. “Il cuore mi dice che Esther è là.”
Gettarono un
ultimo sguardo verso i canneti per vedere se il negro si mostrava, poi
ripresero le mosse, tastando prima il suolo pel timore di sentirselo
improvvisamente mancare sotto i piedi.
Ogni dieci
passi però Rocco, vendicativo come tutti i suoi compatrioti, si voltava
indietro, maledicendo al traditore.
Il sentiero
non accennava a cessare. Di quando in quando però, quella costa di roccia
diventava così stretta che i tre uomini erano obbligati a reggersi l'un l'altro
per non cadere.
Era vero che
non vi erano più pantani pericolosi. A destra ed a sinistra i due stagni si
prolungavano e pareva che fossero abitati da animali acquatici. Infatti di
quando in quando si udivano dei tonfi e anche la coda d'un coccodrillo era
stata scorta da Rocco che era sempre dinanzi a tutti.
Una mezz'ora
dopo videro il sentiero allargarsi improvvisamente, poi si trovarono su di un
terreno solido, cosparso di gruppi di banani, e di cespugli foltissimi.
I fuochi si
trovavano lontani soltanto qualche miglio, e sullo sfondo illuminato si
vedevano delinearsi certe cupole assai aguzze, che dovevano essere tetti di
capanne.
“Il
villaggio,” disse Rocco. “Dobbiamo andare innanzi o attendere l'alba?”
“Domani
potrebbe essere troppo tardi,” rispose il marchese. “I kissuri non
devono essere lontani, e potrebbero giungere prima che spunti il sole.”
“Sarà
popolato quel villaggio?” chiese Ben. “Non siamo che in tre, marchese.”
“Ci
avvicineremo con precauzione e non lo assaliremo se non quando ci saremo
assicurati della probabilità della vittoria.”
“Silenzio,
signore,” disse in quel momento Rocco.
“Che cosa c'è
ancora?”
Rocco aveva
fatto un salto innanzi, verso lo stagno. “Dove corri, Rocco?” chiese il
marchese.
“Eccolo!
Fugge! A me, signore!”
Un'ombra era
sorta fra le canne che coprivano la riva dello Stagno e fuggiva disperatamente
in direzione del villaggio.
“Il nostro
negro!” esclamò Ben.
“Addosso,
Rocco,” gridò il marchese mettendosi pure a correre. L'ombra fuggiva con
fantastica rapidità, saltando a destra ed a manca per impedire che lo
prendessero di mira.
Rocco,
risoluto ad impedirgli di giungere al villaggio, onde non spargesse l'allarme,
aveva alzato il fucile.
“Non sparare,
Rocco!” gridò il marchese.
Troppo tardi.
Una detonazione aveva rotto il silenzio che regnava sulla riva dello stagno ed
il negro, dopo aver spiccato tre o quattro salti, era caduto come un albero
sradicato dall'uragano.
“Ecco pagato
il conto,” aveva detto il vendicativo sardo. “Ora non tradirai più nessuno!”
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