3 - IL
TRADIMENTO DELL'INTENDENTE
Don Pablo de Ribeira, dinanzi a
quella minaccia, era diventato pallidissimo. Istintivamente la sua destra era
corsa all'impugnatura della spada, essendo stato in altri tempi un
valorosissimo uomo di guerra, ma vedendo Carmaux avanzarsi pure, credette
inutile opporre qualsiasi resistenza.
D'altro canto era certo di
lasciare la vita, anche se avesse avuto di fronte il Corsaro solo, non ignorando
con quale formidabile spadaccino avrebbe avuto da fare.
«Cavaliere,» disse, «sono nelle
vostre mani.»
«Mi condurrete al passaggio
segreto?»
«Cedo alla violenza.»
«Precedeteci.»
Il vecchio prese un doppiere che
stava su di un cassettone, lo accese, poi fece cenno al Corsaro di seguirlo.
Carmaux aveva già chiamati i suoi
due compagni.
«Dove si va?» chiese Wan Stiller.
«Pare che si fugga,» rispose
Carmaux.
Intanto don Pablo era uscito
dalla stanza e si era inoltrato in un lungo corridoio sulle cui pareti si
vedevano dei grandi quadri rappresentanti degli episodi della sanguinosa
campagna di Fiandra e dei ritratti che dovevano forse raffigurare degli
antenati del duca Wan Guld.
Il Corsaro lo aveva seguito
tenendo la spada sguainata e la sinistra appoggiata al calcio d'una delle sue
due pistole. Diffidava già del vecchio.
Giunti all'estremità della
galleria, don Pablo si arrestò dinanzi ad un quadro più grande degli altri, poi
appoggiò un dito sulla cornice, e per qualche istante, lo fece scorrere lungo
una scanalatura.
Ad un tratto il quadro si staccò,
abbassandosi fino al suolo, lasciando vedere un'apertura tenebrosa, capace di
lasciar passare due persone insieme. Un buffo di vento umido uscì, facendo
vacillare le candele del doppiere.
«Ecco il passaggio,» disse il
vecchio.
«Dove conduce?» chiese il Corsaro
con tono diffidente.
«Gira intorno alla casa e finisce
in un giardino.»
«Lontano?»
«Cinque o seicento passi.»
«Passate.»
Il vecchio esitò.
«Perché devo seguirvi ancora?»
chiese. «Non vi basta che vi abbia condotti fino qui?»
«Chi ci assicura che voi ci avete
messi sulla buona via?»
Il vecchio corrugò la fronte,
guardando sospettosamente il Corsaro, poi si cacciò nel tenebroso passaggio. I
quattro filibustieri lo seguirono in silenzio, senza abbandonare le loro armi.
Una scala che scendeva tortuosamente, si trovava al di là del passaggio. Era
strettissima e pareva che fosse stata costruita nello spessore d'una muraglia.
Il vecchio scese lentamente,
tenendo una mano sulle candele, onde il vento che saliva non le spegnesse, poi
s'arrestò dinanzi ad una galleria sotterranea.
«Siamo a livello della strada,»
disse. «Non avete da fare altro che camminare sempre dritti.»
«Sarà vero quello che voi dite,
ma noi non vi lasceremo. Siete pregato di andare innanzi,» disse il Corsaro.
«Il vecchio trama qualche cosa,»
mormorò Carmaux. «È già la terza volta che cerca di piantarci.»
Il signor de Ribeira, quantunque
di malavoglia, si era inoltrato in un sotterraneo basso e stretto.
L'umidità era copiosissima. Dalle
vôlte cadevano dei goccioloni e le pareti erano tutte bagnate. Si sarebbe detto
che sopra scorreva qualche torrente o qualche fiumicello; buffi d'aria
giungevano dall'oscurità, minacciando ad ogni istante di spegnere le candele.
Don Pablo si avanzò per circa
cinquanta passi, poi s'arrestò bruscamente, mandando un grido. Quasi
nell'istesso momento le candele si spensero e l'oscurità piombò nella galleria.
«Il Corsaro si era slanciato per
impedire a don Pablo di allontanarsi. Con suo grande stupore non trovò nessuno
dinanzi a sé.
«Dove siete?» gridò. «Rispondete
o faccio fuoco!»
Un colpo sordo che pareva fosse
stato prodotto da una porta massiccia che si chiudeva, rimbombò a pochi passi.
«Tradimento!» gridò Carmaux.
Il Corsaro aveva puntata una
pistola. Un lampo ruppe le tenebre, seguito da uno sparo.
«Il vecchio è scomparso!» gridò
il signor di Ventimiglia. «Questo tradimento dovevo aspettarmelo.»
Alla luce della polvere accesa,
aveva veduto a pochi passi una porta la quale sbarrava la galleria.
L'intendente del duca, approfittando dell'oscurità, doveva averla chiusa dopo
averla varcata.
«Accendete un lume, una miccia,
un pezzo d'esca, qualche cosa insomma.» disse il Corsaro.
«Ho trovato una candela,
padrone,» disse il negro. «Deve essere caduta dal doppiere.»
Wan Stiller estrasse l'acciarino
ed un pezzo d'esca ed accese la candela.
«Vediamo» disse il Corsaro.
S'accostò alla porta e la esaminò
attentamente. S'avvide subito che da quella parte non v'era alcuna speranza
d'uscita. Era massiccia, coperta da grosse lastre di bronzo, una vera porta
corazzata. Per sfondarla ci sarebbe voluto un pezzo d'artiglieria.
«Il vecchio ci ha rinchiusi nel
sotterraneo, - disse Carmaux. - Nemmeno la scure di compare sacco di carbone
potrebbe sfondarla.
«La ritirata non c'è forse ancora
stata tagliata, - disse il Corsaro. - Affrettiamoci a ritornare nella casa del
traditore.
Rifecero la via percorsa,
salirono la scala a chiocciola e giunsero all'uscita del passaggio segreto.
Colà però li attendeva una brutta sorpresa.
Il quadro era stato ricollocato a
posto ed avendolo il Corsaro percosso colla lama della spada, aveva dato un
suono metallico.
«Una parete di ferro anche qui!»
mormorò egli. «La faccenda comincia a diventare inquietante.»
Stava per volgersi verso Moko
onde dargli il comando di assalire il quadro a colpi di scure, quando udì delle
voci.
Alcune persone parlavano dietro
il quadro.
«I soldati?» chiese Carmaux. «Per
le corna di Belzebù!»
«Taci,» disse il Corsaro.
Due voci si udivano: una pareva
d'una giovane donna, l'altra quella d'un uomo.
«Chi sono costoro?» si chiese il
Corsaro.
Accostò un orecchio alla parete
metallica e si pose in ascolto.
«Ti dico che il padrone ha
rinchiuso qui dentro il gentiluomo,» diceva una voce di donna.
«È un gentiluomo terribile,
Yara,» rispose la voce dell'uomo. «Esso si chiama il Corsaro Nero.»
«Non lo lasceremo perire.»
«Se noi aprissimo, il padrone
sarebbe capace d'ucciderci.»
«Non sai che i soldati sono
giunti?»
«So che occupano le viuzze
vicine.»
«Lasceremo noi assassinare quel
bel gentiluomo?...»
«Vi ho detto che è un
filibustiere della Tortue.»
«Io non voglio che muoia,
Colima.»
«Quale capriccio!...»
«Yara così vuole.»
«Pensate al padrone.»
«Io non l'ho mai temuto.
Obbedisci, Colima.»
«Chi sono costoro?» si chiese il
Corsaro che non aveva perduta una sillaba di quella conversazione. «Pare che vi
sia qualcuno che s'interessa di me e...»
Non proseguì. La molla esterna
era scattata con un stridìo prolungato e la piastra metallica che corazzava il
quadro era discesa, lasciando libero il passaggio.
Il Corsaro si era spinto innanzi
colla spada tesa, pronto a ferire, ma subito si trattenne facendo un gesto di
stupore.
Dinanzi a lui stava una
bellissima fanciulla indiana, ed un giovane negro il quale reggeva un pesante
candeliere d'argento.
Quella giovanetta poteva avere
sedici anni e come si disse era bellissima, quantunque la sua pelle avesse una
tinta leggermente ramigna.
La sua corporatura era
elegantissima, con una vitina così stretta che due mani sarebbero bastate a
stringerla. Aveva due occhi splendidi e neri come carbonchi, ombreggiati da due
ciglia foltissime e lunghe; il nasino diritto, quasi greco, le labbra piccine,
vermiglie, che mostravano dei denti più brillanti delle perle; dei capelli
lunghissimi, neri come le ali dei corvi, gli scendevano, in pittoresco disordine,
sulle spalle, formando come un mantello di velluto.
Anche il costume che indossava
era graziosissimo. La sua gonnellina di stoffa rossa era ricamata con pagliuzze
d'argento e adorna di piccole perle; la sua camicia, assai attillata ed
abbellita da pizzi, era pure cosparsa di pagliuzze d'oro e alla cintura aveva
una grande sciarpa a smaglianti colori, terminante in una quantità di
fiocchetti di seta. I suoi piedi, piccoli forse come quelli delle cinesi, sparivano
entro delle graziose babbucce di pelle gialla pure ricamate in oro, e agli
orecchi portava due grandi anelli di metallo ed al collo numerosi monili di
grande valore.
Il suo compagno invece, un negro
di diciotto o vent'anni, aveva le labbra molto tumide, gli occhi grandissimi che
parevano di porcellana e una capigliatura assai cresputa.
Con una mano reggeva il
candeliere, coll'altra invece impugnava una specie di coltellaccio ricurvo,
arma usata dai piantatori.
Vedendo il Corsaro in
quell'attitudine minacciosa, la giovane indiana aveva fatto due passi indietro,
mandando un grido di sorpresa ed insieme di gioia.
«Il bel gentiluomo!» aveva
esclamato.
«Chi siete voi?» chiese il
Corsaro balzando a terra.
«Yara,» rispose la giovane
indiana con un tono di voce argentino.
«Non ne so più di prima;
d'altronde non mi preme avere maggiori spiegazioni. Ditemi invece se la casa è
assediata.»
«Sì, signore.»
«E don Pablo de Ribeira, dov'è?»
«Non l'abbiamo più veduto.»
Il Corsaro si volse verso i suoi
uomini, dicendo:
«Non abbiamo un istante da perdere.
Forse siamo ancora in tempo.
Senza nemmeno occuparsi del negro
e dell'indiana aveva infilato il corridoio per giungere alla scala, quando si
sentì prendere dolcemente per la falda dell'abito.
Si volse e vide l'indiana. Il bel
volto della giovane tradiva un'angoscia così profonda, che ne fu stupito.
«Che cosa desideri?» le chiese.
«Non voglio che vi uccidano,
signore,» rispose Yara con voce tremante.
«Cosa importa a te?» chiese il
Corsaro, con accento meno duro.»
«Gli uomini che sono in agguato nelle
vie vicine, non vi risparmierebbero.»
«E nemmeno noi risparmieremo
loro.»
«Sono molti, mio signore.»
«Pure bisogna che esca da qui. La
mia nave m'aspetta alla bocca del porto.»
«Invece di andare incontro a quei
soldati, fuggite.»
«Sarei ben lieto di poter
andarmene senza impegnare battaglia, ma vedo che non vi è che questa scala. Il
sotterraneo è stato chiuso da don Pablo.»
«Vi è un solaio; potete
nascondervi.»
«Io, il Corsaro Nero!... Oh!...
Mai, mia fanciulla. Tuttavia grazie del tuo consiglio; ti sarò sempre
riconoscente. Ti chiami?»
«Yara, vi ho detto.»
«Non scorderò questo nome.»
Le fece un gesto d'addio e scese
le scale preceduto da Moko e seguito da Carmaux e da Wan Stiller.
Giunti nel corridoio, si
arrestarono un momento per armare i moschetti e le pistole, poi Moko aprì
risolutamente la porta.
«Che Dio vi protegga, mio
signore!» gridò Yara che si era fermata sul pianerottolo.
«Grazie, buona fanciulla,»
rispose il Corsaro, slanciandosi nella via.
«Adagio, capitano,» disse
Carmaux, arrestandolo. «Vedo delle ombre presso l'angolo di quella casa.»
Il Corsaro si era fermato.
L'oscurità era tale da non potersi distinguere una persona alla distanza di
trenta passi e per di più pioveva a dirotto. I lampi erano cessati, non così il
ventaccio, il quale continuava a ululare entro le strette viuzze e sugli
abbaini. Tuttavia il Corsaro aveva scorte le ombre indicate da Carmaux. Era
impossibile sapere quante fossero, poche però non dovevano essere.
«Ci aspettavo,» mormorò il
Corsaro. «Il gobbo non ha perduto il suo tempo. Uomini del mare!... Noi daremo
battaglia!»
Si era gettato il grande mantello
sul braccio sinistro e colla destra impugnava la spada, un'arma terribile in
mano sua. Non volendo tuttavia affrontare subito il nemico, ignorando ancora
con quante persone doveva misurarsi, invece di muovere verso quelle ombre che
stavano in agguato, si tenne contro il muro.
Aveva percorso dieci passi,
quando si vide piombare addosso due uomini armati di spada e pistola. Si erano
tenuti nascosti sotto un portone e vedendo apparire il formidabile Corsaro, si
erano scagliati decisamente contro di lui, colla speranza forse di
sorprenderlo.
Il cavaliere non era però uomo da
lasciarsi cogliere all'improvviso. Con un balzo da tigre evitò le due stoccate,
poi a sua volta caricò facendo fischiare la sua lama.
«A voi, prendete! - gridò.
Con un colpo ben aggiustato mandò
uno dei due assalitori a terra, poi saltando via il ferito, si precipitò
addosso al secondo. Questi, vedendosi solo, volse le spalle e fuggì a
rompicollo.
Mentre il Corsaro si sbarazzava
di quei due, Carmaux, Wan Stiller e Moko si erano scagliati contro un gruppo di
persone, che era sbucato da una viuzza vicina.
«Lasciateli andare! - gridò il
Corsaro.
Era troppo tardi per trattenere
lo slancio dei filibustieri. Resi furiosi dall'imminenza del pericolo, erano
piombati addosso ai nemici con tale impeto, da sgominarli con pochi colpi di
spada.
Invece di fermarsi, si erano
slanciati dietro ai fuggiaschi urlando a squarciagola:
«Ammazza!... Ammazza!
In quel momento un drappello
sbucava da un'altra viuzza. Era composto di cinque uomini, tre armati di spada
e due di moschetto.
Vedendo il Corsaro Nero solo,
mandarono un urlo di gioia e gli si avventarono contro, gridando: «Arrenditi o
sei morto!»
Il signor di Ventimiglia si
guardò intorno e non potè trattenere una sorda imprecazione.
Si appoggiò al muro per non
venire circondato e impugnò una delle due pistole che portava alla cintura,
gridando con quanta voce aveva:
«A me, filibustieri!»
La sua voce fu soffocata da uno
sparo. Uno dei cinque uomini aveva fatto fuoco, mentre gli altri sguainavano le
spade. La palla si schiacciò contro il muro, a pochi pollici dalla testa del
cavaliere.
Questi puntò la pistola e fece
fuoco a sua volta. Uno dei due moschettieri, colpito in pieno petto, cadde
fulminato, senza mandare un grido.
Ripose l'arma scarica ed impugnò
la seconda, ma la polvere non s'accese.
«Maledizione!» esclamò.
«Arrendetevi!» gridarono i
quattro spagnuoli.
«Eccovi la risposta!» urlò il
Corsaro.
Si staccò dal muro e con un salto
fulmineo piombò addosso a loro, menando stoccate a destra ed a manca.
Il secondo moschettiere cadde.
Gli altri però si gettarono dinanzi al Corsaro chiudendogli nuovamente il
passo.
«A me filibustieri!» gridò ancora
il cavaliere.
Gli risposero invece alcuni
spari. Pareva che all'estremità della viuzza i suoi uomini avessero impegnato
un disperato combattimento, poiché si udivano urla, bestemmie, gemiti e uno
scrosciare di ferri. Potendo venire circondato, si mise a retrocedere a passi
lesti, per appoggiarsi nuovamente al muro. I tre spadaccini lo incalzavano
vivamente vibrandogli stoccate su stoccate, premurosi di finirla prima del
ritorno dei filibustieri.
Dopo quindici passi, il cavaliere
sentì dietro di sé un ostacolo. Allungando la sinistra si accorse di trovarsi
dinanzi ad una porta.
In quel momento udì in alto un
grido di donna.
«Colima!... Lo uccidono!...»
«La fanciulla indiana!» esclamò
il Corsaro, continuando a difendersi. «Benissimo! Posso sperare in qualche
aiuto!»
Abilissimo spadaccino, parava le
botte con prontezza fulminea, e ne vibrava altrettante. Tuttavia aveva molto da
fare a far fronte a quelle tre spade che cercavano di giungergli al cuore, anzi
due puntate lo avevano già raggiunto stracciandogli il giustacuore e
toccandogli le carni.
Ad un tratto ricevette una
stoccata sotto il fianco destro, in direzione del cuore. La parò in parte col
braccio sinistro, ma non potè impedire alla lama di penetrargli nelle carni.
«Ah!... Cane!... - urlò scartando
bruscamente a sinistra.
Prima che il suo feritore avesse
potuto liberare la punta della spada imbrogliatasi fra le pieghe del mantello,
vibrò un colpo disperato. La lama colpì l'avversario in mezzo alla gola,
troncandogli la carotide.
«E tre!» gridò il Corsaro,
parando una nuova stoccata.
«Prendi allora questa!» disse uno
dei due spadaccini.
Il Corsaro aveva fatto un salto
indietro mandando un grido di dolore.
«Toccato,» disse.
«Addosso, Juan!» gridò il
feritore, volgendosi verso il compagno. «Una nuova stoccata e lo finiremo!»
«Non ancora!» urlò il Corsaro,
scagliandosi impetuosamente sui due assalitori. «Prendete queste.»
Con due terribili stoccate
rovesciò, un dietro l'altro, i due spadaccini, ma quasi subito si sentì mancare
le forze mentre dinanzi agli occhi gli si stendeva come un velo sanguigno.
«Carmaux!... Wan Stiller!...
Aiuto!...» mormorò con voce semispenta.
Si portò una mano al petto e la
ritrasse bagnata di sangue.
Retrocesse fino alla porta contro
la quale si appoggiò. La testa gli girava e sentiva negli orecchi un sordo
ronzìo.
«Carmaux!...» mormorò un'ultima
volta.
Gli parve di udire dei passi
precipitati, poi le voci dei suoi fedeli corsari, quindi una porta aprirsi.
Vide confusamente un'ombra dinanzi a sé e gli parve che due braccia lo
stringessero, poi non seppe più nulla.
. . . . . . . . . . . . . . . . .
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Quando tornò in sé, non si
trovava più nella strada ove aveva sostenuto quel sanguinosissimo combattimento.
Era invece adagiato su di un comodo letto, adorno di cortine di seta azzurra,
frangiate in oro, con dei guanciali candidissimi abbelliti da trine di valore.
Un visino grazioso stava curvo su
di lui, spiando ansiosamente i suoi più piccoli movimenti. Lo riconobbe subito.
«Yara!» disse.
La giovane indiana si era alzata
precipitosamente. I grandi, e dolci occhi di quella creatura erano ancora umidi
come se avessero pianto.
«Cosa fai qui, fanciulla?» le
chiese il Corsaro. «Chi mi ha portato in questa stanza? Ed i miei uomini dove
sono?»
«Non muovetevi, signore,» disse
la giovane.
«Dimmi dove sono i miei uomini,»
ripetè il Corsaro. «Odo un fragor d'armi giù nella via.»
«I vostri uomini sono qui, ma...»
«Continua,» disse il Corsaro
vedendola esitante.»
«Guardano la scala, signore.»
«Perché?»
«Avete dimenticato gli
spagnuoli?»
«Ah!... Stordito!... Sono qui gli
spagnuoli?»
«Hanno circondato la casa,
signore,» rispose la giovane con voce angosciata.
«Mille tuoni!... Ed io sono a
letto!»
Il Corsaro fece atto di gettarsi
giù; un dolore acuto lo trattenne.
«Sono ferito,» esclamò. «Ah!...
Ora mi ricordo tutto!»
Solo in quel momento si accorse
di avere il petto fasciato da un lino candidissimo e d'aver le mani lorde di
sangue.
Non ostante il suo coraggio,
impallidì.
«Sarei forse impossibilitato a
difendermi?» si chiese con ansietà. «Io ferito e gli spagnuoli che ci assediano
e che forse minacciano anche la mia Folgore! Yara, fanciulla mia, cos'è
accaduto dopo che io smarrii i sensi?»
«Vi ho fatto portare qui dai due
paggi del mio padrone e da Colima,» rispose la giovane indiana. «Io avevo
supplicato il negro di accorrere in vostro aiuto, ma egli non aveva osato
uscire finché vi erano degli spagnuoli sulla via.»
«Chi mi ha fasciato?»
«Io ed uno dei vostri uomini.»
«Sono tornati tutti?
«Sì, signore. Uno di loro aveva
numerose scalfitture ed anche il negro perdeva sangue da un braccio.»
«E perché non sono qui?»
«I due bianchi vegliano sulla
scala, il negro si è posto a guardia del passaggio segreto.»
«Vi son molti nemici nei
dintorni?»
«Lo ignoro, mio signore. Colima
ed i due valletti sono fuggiti prima che i soldati giungessero ed io non ho
lasciato un solo istante il vostro letto.»
«Grazie della tua affezione e delle
tue cure, mia brava fanciulla,» disse il Corsaro, posando una mano sul capo
della giovane indiana. «Il Corsaro Nero non ti scorderà.»
«Allora mi vendicherà!» esclamò
l'indiana mentre un cupo lampo balenava nei suoi grandi occhi neri.
«Cosa vuoi dire?»
In quell'istante si udì al di
fuori rimbombare un colpo di moschetto, poi la voce di Carmaux a tuonare:
«Badate!... Vi è una bomba dietro
alla porta!...»
Il Corsaro Nero vedendo la sua
spada appoggiata ad una sedia vicina, l'afferrò e fece nuovamente atto di
gettarsi giù. La giovane indiana lo trattenne, cingendolo con ambe le braccia.
«No, mio signore,» gridò ella,
«vi ucciderete!...»
«Lasciami andare!»
«No, capitano, voi non lascerete
il letto,» disse Carmaux entrando. «Gli spagnuoli non ci tengono ancora.»
«Ah! Sei tu, mio bravo?» disse il
Corsaro. «Siete tutti valorosi, lo so, eppure troppo pochi per difendervi da un
assalto generale. Non voglio mancare al momento opportuno.»
«E le vostre ferite?»
«Mi sembra di potermi ancora
reggere, Carmaux. Le hai esaminate?»
«Sì, capitano. V'hanno dato una
stoccata superba un po' sotto al cuore. Se la lama non avesse incontrata una
costola vi avrebbe attraversato il corpo.»
«Non è grave però.»
«Questo è vero, signore, -
rispose Carmaux. - Io credo che in una dozzina di giorni potrete ricominciare a
dare stoccate.»
«Dodici giorni! Sei pazzo,
Carmaux?»
«Vi sono due buche da turare. Un
po' più sotto vi hanno fatto un secondo occhiello, molto meno profondo del
primo forse, però più doloroso. Quelle due stoccate le avete pagate con usura
perché ho veduto giù, presso il portone, tre morti e due feriti.
«E voi ne avete date? - chiese il
Corsaro.
«Abbiamo gettato a terra una
mezza dozzina d'uomini, non ricevendo in cambio che poche graffiature. Noi
eravamo convinti che voi ci aveste seguiti, per ciò avevamo continuata la
carica per sbarazzarvi la via. Quando ci accorgemmo che voi invece eravate
rimasto indietro, cercammo di tornare sui nostri passi. Gli spagnuoli, che
avevano fatto il loro piano per isolarvi, ci diedero addosso per impedirci di
accorrere in vostro aiuto.»
«Come avete saputo che io mi
trovavo qui?»
«Fu questa brava fanciulla ad
avvertirci.»
«Ed ora?»
«Siamo assediati, capitano.»
«Sono molti i nemici?»
«L'oscurità non mi ha permesso ancora
di valutare il loro numero,» disse Carmaux. «Sono convinto che siano in molti.»
«Sicché la nostra situazione è
grave.»
«Non lo nego, tanto più che
dobbiamo difenderci anche entro la casa. Gli spagnuoli possono entrare
servendosi del passaggio segreto.»
«Il pericolo maggiore sta
precisamente in quel passaggio,» disse la giovane indiana. «Don Pablo ha la
chiave della porta di ferro.»
«Mille balene!» esclamò Carmaux.
«Se i nemici ci assalgono d'ambo le parti non so se potremo resistere a lungo.»
«Ci basterebbe peròpoter
resistere otto o dieci ore. Il signor Morgan, non vedendoci tornare a bordo,
s'immaginerà che qualche cosa di grave è avvenuto e manderà a terra un forte
drappello per venirci a cercare.
«Potrete resistere fino all'alba?
Gli spagnuoli possono scalare le finestre e forzare contemporaneamente il
passaggio segreto.»
«Signore,» disse la giovane
indiana che non aveva perduta una sola sillaba di quella conversazione. «Vi è
un luogo dove potreste resistere a lungo.»
«Qualche cantina?» chiese Carmaux.
«No, nella torricella.»
«Mille balene! Vi è una
torricella in questa casa? Allora noi siamo salvi! Se è molto alta noi potremo
fare dei segnali all'equipaggio della Folgore.»
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