9 -
L'ODIO DI YARA
Quando l'alba sorse ed ebbe la
certezza che nessuna nave spagnuola incrociava al largo delle coste del
Nicaragua, Morgan lasciò il ponte di comando per scendere nella cabina del
capitano.
Non dubitava che il Corsaro non
sarebbe rimasto a lungo in quello stato, sapendo per prova l'eccezionale
fortezza d'animo di quell'uomo, nondimeno aveva provato dapprima dei seri
timori per le ferite che aveva ricevute. Quando entrò nella graziosa cabina, il
Corsaro riposava tranquillo, sotto la guardia della giovane indiana e di
Carmaux. La respirazione del ferito era calma e regolare, però di quando in
quando un trasalimento nervoso scuoteva quel corpo e dalle labbra socchiuse,
sfuggiva ad intervalli, un nome:
«Honorata!...»
«Sogna,» disse Carmaux,
volgendosi verso Morgan che s'era appressato al letto senza far rumore.
«Sì, crede di veder passare
ancora la scialuppa,» disse il luogotenente. «Certamente questa notte delirava.»
«Non avete creduto all'apparizione,
signor luogotenente?» chiese Carmaux.
«E tu?» domandò Morgan, con una
punta d'ironia.
«A me parve pure d'aver veduta
una scialuppa vagare fra i flutti fiammeggianti.»
«Follie, illusioni prodotte da un
terrore superstizioso.»
«Eppure signore, io giurerei
d'aver veduta perfino una forma umana entro quella scialuppa,» disse Carmaux,
con incrollabile convinzione.
«Tu ed i tuoi camerati avete
scambiato qualche cetaceo per una scialuppa.»
«Ed il capitano?»
«Tu sai che dopo quella notte
terribile crede di veder sovente la fanciulla fiamminga errare sulle acque del
gran golfo. Suvvia, lasciamo i morti ed occupiamoci dei vivi.»
«Anche voi credete che sia morta,
signore?»
«Chi ne ha più udito parlare in
questi quattro anni?»
«Eppure pare che la fanciulla non
sia morta, perché io ho udito narrare delle cose strane.»
Si curvò poi sul letto e aprì la
camicia trinata, di finissima battista, che il Corsaro indossava. Sotto vide
due fasciature ancora macchiate di sangue vivissimo.
«Si sono riaperte le ferite?»
chiese.
«Sì, luogotenente,» rispose
Carmaux.
«Bisogna che siano completamente
rimarginate prima del nostro arrivo a Vera-Cruz.»
«Fra dieci giorni il capitano
sarà in piedi, così ha detto il medico.»
«Sarei lietissimo se Wan Horn,
Laurent e Grammont lo rivedessero guarito prima dell'incontro.»
«Dove andremo ad attendere la
squadra della Tortue, se è lecito saperlo?» chiese Carmaux.
«Nella Baia dell'Assunzione,»
rispose Morgan.
In quel momento il Corsaro aprì
gli occhi, chiedendo con voce un po' fioca:
«Chi parla della Baia
dell'Assunzione?»
«Sono io, cavaliere,» rispose
Morgan.
«Ah! Voi?»
Si alzò lentamente, respingendo
Carmaux che voleva aiutarlo e girò all'intorno uno sguardo quasi stupito.
Un raggio di sole, ripercosso
dall'acqua, entrava pel largo finestrone aperto a poppa, rifrangendosi nei
grandi specchi di Venezia che adornavano le pareti e sulla lampada d'argento
dorato.
Il Corsaro lo seguì collo sguardo
per alcuni istanti, mormorando:
«Era tempo che le tenebre se ne
fuggissero.»
Aspirò a pieni polmoni l'aria
marina, satura di salsedine che entrava per le finestre aperte, poi volgendosi
verso Morgan gli chiese:
«Dove siamo?»
«Fra poche ore saremo di fronte a
San Juan, signore.»
«Montiamo verso le coste del
Nicaragua?»
«Come state ora?»
«Bah! Fra qualche settimana
guiderò la mia nave.»
«Sicché troveremo il duca a
Vera-Cruz?»
«Sì,» rispose il Corsaro Nero,
mentre un lampo terribile gli balenava negli occhi.
«Ne avete la certezza?»
«Me lo ha confessato don Pablo de
Ribeira.»
«Questa volta non ci sfuggirà.»
«Oh! No, vivaddio!» esclamò il
Corsaro con accento feroce. «Noi prenderemo le nostre precauzioni onde non
ripeta il brutto tiro giocatoci a Gibraltar. D'altronde non abbiamo l'intenzione
di assaltare Vera-Cruz, bensì di entrarvi per sorpresa. Ci
siamo già intesi su ciò con Wan Horn, Laurent e Grammont.»
«Faremo dei guadagni enormi,
cavaliere. Vera-Cruz deve contenere ricchezze straordinarie,
essendo il porto più importante del Messico.»
«Di là che partono i più numerosi
galeoni carichi d'oro e di argento,» disse il Corsaro. «A me però basterà la
vendetta e lascerò a voi ed al mio equipaggio la parte che mi spetterà nel
saccheggio.»
«Voi possedete in Italia
abbastanza terre e castella per farne a meno,» disse Morgan sorridendo. «Voi ed
i vostri fratelli non siete mai stati ladri di mare come l'Olonese, Michele il
Basco, lo Sterminatore, e tutti gli altri capi della filibusteria.»
«Noi siamo venuti in America per
uccidere il duca e non per sete di ricchezze.»
«Lo so, cavaliere. Avete da darmi
nessun ordine?»
«Tenetevi al largo dalle coste di
Nicaragua e, appena avvistato il capo Gracias de Dios, tagliate diritto verso
la Baia dell'Assunzione, evitando possibilmente il Golfo d'Honduras. Preferisco
che nessuna nave spagnuola ci veda.»
«Sta bene, signore,» rispose
Morgan, lasciando la cabina e risalendo in coperta.
Partito il luogotenente, il
Corsaro Nero era rimasto per alcuni istanti silenzioso, come se fosse immerso
in profondi pensieri. Ad un tratto però si scosse ed i suoi sguardi si
fissarono sulla giovane indiana, la quale durante quel colloquio, era rimasta
accoccolata su un tappeto, a breve distanza dal letto, senza mai staccare gli
occhi dal Corsaro e senza aver pronunciata una sola parola. Da quando però
aveva udito parlare del duca, il suo viso così bello e ordinariamente così
dolce aveva assunto un aspetto così selvaggio, così feroce da far paura. I suoi
grandi occhi limpidi erano diventati tetri e vi si vedeva balenare dentro una
cupa fiamma, mentre la sua fronte si era burrascosamente increspata.
Il Corsaro Nero, avvedutosi
finalmente di quel brusco cambiamento, aveva guardato Yara con un misto di
sorpresa e d'inquietudine.
«Cos'hai, fanciulla?» le chiese
quando fu uscito anche Carmaux. «Il tuo bel viso in questo momento ha una
terribile espressione.
«A cosa pensi?»
«A mio padre ed ai miei
fratelli.»
Il Corsaro Nero si battè la
fronte colla palma della destra.
«Ah!... Sì... mi ricordo,» disse.
«Tu un giorno mi hai detto: Mi vendicherai, mio signore?».
«E voi mi avete risposto: Ti
vendicherò».
«Te lo promisi infatti.»
«Io speravo di potervi incontrare
in qualche angolo del Golfo del Messico, cavaliere, e non sono vissuta che per
questa speranza.
Il Corsaro Nero la guardò con
stupore.
«Tu mi attendevi?» le chiese.
«Sì, mio signore»
«Mi avevi veduto in qualche luogo
prima che io sbarcassi a Puerto Limon?»
«No, avevo solamente udito
parlare di voi molte volte a Maracaibo, a Vera-Cruz ed a
Puerto Limon e non ignoravo lo scopo delle vostre scorrerie attraverso il Golfo
del Messico.»
«Tu!...»
«Sì, mio signore. Io sapevo che
non era la sete dell'oro che vi aveva fatto venire in America dai lontani paesi
ove sorge il sole, bensì la vendetta.»
«Da chi lo avevi saputo?»
«Dal mio padrone.»
«Da don Pablo de Ribeira?»
«No, dal suo signore.»
«Dal duca di Wan Guld!» esclamò
il Corsaro, al colmo dello stupore.
«Sì, cavaliere,» rispose la giovane
indiana, mentre le sue dita si stringevano attorno alla sua sottanina come se
avesse voluto lacerarla.
«Tu dunque sai?»
«Che il duca ha assassinato nelle
Fiandre vostro fratello maggiore e che poi ha appiccato i due vostri fratelli
minori, il Corsaro Rosso ed il Verde. So pure che voi, senza saperlo, vi
eravate innamorato della figlia dell'uccisore dei vostri fratelli.»
«Taci, Yara, - mormorò il
Corsaro, mentre si portava ambe le mani al petto come se avesse voluto calmare
i palpiti precipitati del cuore.
«E so ancora,» proseguì Yara,
«che dopo l'espugnazione di Gibraltar, da voi eseguita per vendicare i vostri
fratelli, quando tornaste a bordo della vostra nave ed apprendeste, da un
prigioniero spagnuolo, che la donna da voi amata non era una principessa
fiamminga, bensì la figlia dell'uccisore dei vostri fratelli, invece di
cacciarle nel cuore la vostra spada, come ne avevate il diritto, l'abbandonaste
sul mare tempestoso, in una scialuppa, raccomandandola alla misericordia di
Dio.»
«Tu sai dunque tutto?»
«Tutto, cavaliere.»
«È viva Honorata? Dimmelo Yara, è
ancora viva?» gridò il Corsaro.
«Ah! Voi l'amate ancora!...»
esclamò la giovane indiana, con un singhiozzo.
«Sì,» disse il Corsaro. «Il primo
amore non muore mai e Honorata Wan Guld è stata la prima donna che io ho amata
sulla terra.»
Yara si era lasciata cadere su di
una sedia tenendo il volto nascosto fra le mani. Attraverso le dita si vedevano
scorrere delle lagrime, ed il seno le si sollevava sotto i singhiozzi.
«Anch'io t'amavo prima ancora di
vederti, mio signore» la si udì a mormorare con voce rotta.
Pareva che il Corsaro non avesse
nemmeno udita quella confessione inaspettata. I suoi sguardi si erano fissati
sul mare che si scorgeva attraverso l'ampia finestra aperta sulla poppa. Si
sarebbe detto che egli cercava ancora di discernere, sull'azzurra linea
dell'orizzonte, la scialuppa che credeva aver veduta durante la notte.
Ad un tratto udì i singhiozzi
della giovane indiana.
«Tu piangi,» disse. «Pensi ancora
a tuo padre ed ai tuoi fratelli, è vero? Forse tu sospiri le grandi selve del
tuo paese.»
Yara si terse con gesto nervoso
le lagrime che le solcavano le gote, poi disse come parlando fra sé:
«Che importa?... La vendetta ci
unisce.»
«Anche tu sogni delle vendette,»
disse il Corsaro. «Quanti odii si sono accumulati sulle teste di questi
conquistatori dell'America!...»
«La mia è pari alla vostra,
cavaliere.»
«Così spietata?»
«Sì, mio signore.»
«Chi ti hanno ucciso?»
«Mio padre ed i miei fratelli.»
«E sono stati gli spagnuoli?»
«No, l'uomo che ha pure distrutto
i vostri fratelli.»
Il Corsaro Nero aveva alzato
vivamente la testa, guardando la giovane indiana con incredulità.
«L'istesso uomo!» esclamò poi.
«Sì, mio signore.»
«Il duca?»
«Lui, cavaliere.»
«Morte dell'inferno!... Che quell'uomo
sia stato fatale a tutti?...»
«È un essere mostruoso, mio
signore.
«Ma io l'ucciderò!» gridò il
Corsaro. «Oggi egli è possente, ha uomini e navi a sua disposizione, gode la
protezione della Corte di Spagna, eppure un giorno quell'uomo cadrà sotto la
punta della mia spada.»
«Me lo giuri?»
«Eravamo tre fratelli, ricchi e
potenti nel nostro paese, eppure abbiamo dato un addio alle nostre terre, alle
nostre castella, ai nostri vassalli, alla nostra patria per venire in questi
mari ed in questi paesi a noi sconosciuti a raggiungere quell'uomo fatale. Ed
ora parla. Cosa ha fatto a te quell'uomo?
Yara accostò la sedia al letto
del Corsaro e, appoggiando i gomiti sulle coltri, disse con voce grave:
«I nostri padri non avevano
ancora conosciuti gli uomini bianchi giunti dai lontani paesi d'oltremare, a
bordo delle loro case galleggianti. Il vento del nord aveva solamente portato,
fino alle selve del Darien, l'eco lontana di stragi tremende, commesse dagli
uomini bianchi nel paese degli Aztechi, ma nessuno dei miei antenati aveva
mirato in viso quegli esseri straordinari.»
«Sì, le stragi commesse da
Cortez,» mormorò il Corsaro, come parlando fra sé.
«Un impero possente, governato da
un uomo che si chiamava Montezuma, era stato distrutto da un pugno di quegli uomini
crudeli, e degl'indiani, venuti dai paesi del settentrione, avevano recato ai
miei antenati la stupefacente novella. Nessuno aveva prestato fede alle parole
di quei lontani compatriotti, poiché nessuna di quelle grandi case galleggianti
era mai comparsa sulle sponde del Darien. L'incredulità dei nostri padri doveva
essere fatale ad un intero popolo.
La mia tribù era numerosa come le
foglie degli alberi d'una intera foresta e viveva felice in mezzo ai grandi
boschi che costeggiano l'ampio Golfo del Darien.
La pesca, la caccia e le frutta
delle selve bastavano a tutti e la guerra era quasi sconosciuta, perché l'uomo
bianco non era ancora comparso. Mio padre era il cacico della tribù ed
era amato e stimato ed i miei quattro fratelli non lo erano meno. Un triste
giorno quella felicità che durava da secoli fu bruscamente spezzata e per
sempre. Era comparso l'uomo bianco.»
«E quell'uomo si chiamava?»
«Era il duca Wan Guld,» disse
Yara. «Una di quelle grandi case galleggianti, spinta da una tremenda bufera, s'era
spezzata sulle nostre spiagge. Tutti coloro che la montavano erano stati
ingoiati dalle onde del mare tempestoso, uno solo eccettuato. Quel superstite
era stato accolto da mio padre come se fosse un fratello, quantunque la sua
pelle fosse bianca e l'eco delle stragi commesse dagli spagnuoli nei paesi
degli Aztechi non si fosse ancora spenta. Ah! sarebbe stato meglio che l'avesse
ricacciato fra le onde o che gli avesse spezzato il cranio con un tremendo
colpo di scure. Egli aveva raccolto un rettile immondo che doveva più tardi
mordergli il cuore.»
Yara si era nuovamente
interrotta. Delle lagrime brucianti le scendevano sulle gote, mentre dei sordi
singhiozzi le laceravano il petto.
«Prosegui, fanciulla, Le donne
della tua razza sono forti.»
«È vero, mio signore, ma certe
immani sciagure spezzano il cuore.
Il duca era stato ricevuto, come
vi dissi, pari ad un fratello. Mio padre, che giammai aveva veduto uomini dalla
pelle bianca, aveva creduto quel naufrago un essere superiore, come una specie
di divinità del mare, tanto più che i nostri stregoni avevano predetto che un
giorno, dai lontani paesi ove il sole si leva, sarebbero venuti degli uomini
cari al Grande Spirito.
Ah! La triste profezia doveva
purtroppo avverarsi, ma quegli uomini, anziché protetti dal Grande Spirito,
erano figli del regno delle tenebre e creati dal cattivo genio, dallo Spirito
del male.
L'uomo bianco, gettato dal mare
sulle nostre spiagge, ebbe onori e favori e divenne l'amico di mio padre, degli
stregoni e dei più celebrati guerrieri del mio paese e guadagnò così bene la
loro fiducia da strappare a quegli ingenui il segreto dell'oro.»
«Il tuo paese era ricco d'oro?»
chiese il Corsaro.
«Sì aveva delle miniere
ricchissime che da secoli venivano lavorate dai nostri schiavi per pagare il
tributo annuale al Re del Darien. Tesori immensi erano stati accumulati in
certe caverne nascoste fra le montagne e che i soli cacichi conoscevano.
Un giorno mio padre, che non
diffidava dell'uomo bianco, lo condusse in quelle caverne e gli mostrò quelle ricchezze
favolose e quell'infame, dimenticando i favori ricevuti, da quel giorno non sognò
che di tradire il nostro popolo per impadronirsi di quelle montagne d'oro.
Si finse ammalato ed esternò il
desiderio di ritornare per qualche tempo al suo paese.
Egli aveva detto a mio padre che
sarebbe morto se non avesse riveduto, sia pure per breve tempo, gli uomini
della sua razza. Fu creduto ed un mattino partì in una delle nostre canoe,
accompagnato da quattro indiani, promettendo di tornare presto.
Egli mantenne la parola. Due mesi
dopo una grande casa galleggiante approdava alle nostre spiagge e ne discendeva
l'uomo bianco assieme a parecchi marinai carichi di barili.
«Prendi», disse a mio padre,
additandogli i barili.»Questo è il regalo che faccio al tuo popolo.»
Fece sfondare quei recipienti e
chiamò a raccolta la tribù, offrendo a tutti da bere. Non era vino quello che
aveva recato bensì l'acqua di fuoco.([1])
I nostri sudditi mai avevano assaggiato
un simile liquore prima dell'arrivo degli spagnuoli. Come puoi immaginarti, mio
signore, si gettarono avidamente su quei recpienti che davano loro l'ebbrezza.
L'acqua di fuoco non scemava. Dalla casa galleggiante ne
giungeva sempre, con una prodigalità folle ed il popolo, ignaro dell'orribile
tradimento, beveva ancora, beveva sempre. Soli mio padre ed i miei fratelli,
insospettiti, non avevano voluto assaggiarne non ostante le insistenze
dell'uomo bianco.
Quando giunse la sera tutta la
mia tribù era ebbra. Guerrieri, donne e fanciulli danzavano all'impazzata o
cadevano al suolo come fulminati e l'uomo bianco ed i suoi marinai ridevano,
ridevano, mentre mio padre piangeva.
A un tratto verso il mare udimmo
delle detonazioni tremende. Erano i cannoni della nave che tuonavano contro il
villaggio, spargendo dovunque il terrore e la morte.
Mi pare di vedere ancora gli
uomini bianchi avanzarsi di corsa attraverso le capanne, macellando quel popolo
incapace di difendersi.
Ah!... l'orrenda notte!... Vivessi
mille anni non la scorderò mai, mai, mio signore!...»
«Miserabili!» esclamò il Corsaro,
pallido d'ira. «Continua, Yara.»
«Mio padre si era trincerato fra
le capanne di sua proprietà assieme ai miei tre fratelli e ad alcuni guerrieri
che non s'erano lasciati adescare dall'acqua di fuoco degli uomini
bianchi. Quei pochi prodi avevano cercato di opporre resistenza al nemico,
difendendosi col furore che infonde la disperazione.
Alle intimazioni di resa del
duca, essi rispondevano con nuvoli di frecce ed a colpi di lancia e di mazza.
Gli spagnuoli per vincerli avevano incendiate le capanne circostanti.
Vedo ancora le lingue di fuoco
volteggiare in alto, lasciando cadere sulle abitazioni di mio padre nembi di
scintille.
Ad un tratto anche le nostre case
fiammeggiavano. Le travi cadono e le pareti ardono fra turbini di fumo, ma mio
padre ed i miei fratelli lottano ancora con estremo furore, mentre gli
spagnuoli scaricano le loro armi in mezzo a quelle fornaci ardenti.
Mi ricordo d'aver udito mio padre
a gridare:
«Avanti, miei guerrieri!...
Uccidiamo quel traditore!...».
Poi non vidi, né udii più nulla.
Il fumo mi aveva fatta cadere al suolo quasi asfissiata.
Quando tornai in me, del
villaggio non rimaneva in piedi una sola capanna e di tutti i suoi abitanti non
vivevo che io sola. Mio padre ed i miei fratelli erano periti fra le fiamme
sotto gli occhi del duca infame.
Più tardi però seppi che il
traditore non aveva ricavato che magro frutto da quell'orrendo macello, poiché
alcuni guerrieri di una tribù vicina, accortisi delle sue intenzioni, avevano
avuto il tempo di deviare un fiume inondando le caverne contenenti i tesori.
«E chi ti aveva salvata?» chiese
il Corsaro.
«Un soldato spagnuolo. Mosso a
compassione della mia giovane età, si era slanciato fra le fiamme, strappandomi
ad una morte certa. Fui condotta, come schiava, a
Vera-Cruz, poi a Maracaibo, poi fui donata a don Pablo de
Ribeira. Il duca si era accorto del tremendo odio che io covava contro di lui e
per tema che un giorno potessi vendicarmi, quel vile si era affrettato ad
allontanarmi. Ma l'odio non era ancora spento nel mio cuore,» proseguì la
giovane indiana, con accento selvaggio. «Io non vivo che per vendicare mio
padre, i miei fratelli e la mia tribù! M'intendi, mio signore?»
«T'intendo, Yara.»
«E tu mi aiuterai a vendicarmi, è
vero, mio signore?»
«Ti vendicherò, Yara. La mia Folgore
veleggia già verso Vera-Cruz.
«Grazie, mio signore. Tu non
avrai mai avuto una donna più affezionata di me.
Il Corsaro mandò un sospiro e non
rispose. Forse in quel momento il suo pensiero correva dietro alla giovane
fiamminga che aveva abbandonata sul Mare dei Caraibi e che ancora, dopo quattro
lunghi anni, rimpiangeva.
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