15 - LA
ZATTERA
Oltre ad aver perduta la
baleniera, i filibustieri avevano pure perduti i viveri che stavano rinchiusi
nelle due casse e anche buona parte delle loro munizioni.
Per loro fortuna avevano
conservati i fucili con alcune centinaia di cariche e anche qualche coperta che
Yara aveva avuta la precauzione di portare con sé, per difendersi dall'umidità
della notte.
Tuttavia la loro situazione non
era molto brillante, trovandosi su di un isolotto e perduti in mezzo a vaste
paludi che non avevano mai percorse ed infestate da feroci caimani.
«Eccoci in un bell'imbarazzo,»
disse Carmaux. «Senza scialuppa e senza viveri.»
«Oh, i viveri non mancheranno.»
«Vorresti dire che anche i
caimani potrebbero servire da colazione?» chiese Carmaux, facendo un gesto di
disgusto.
«La coda non è cattiva, compare
bianco. Io l'ho mangiata parecchie volte.»
«Oh!... Mangiatore di
rettili!...»
«E alla scialuppa come
rimediare?» chiese Wan Stiller. «Suppongo che nessuno di noi avrà l'intenzione
di rimanere qui in eterno.»
«Il legname qui non manca,» disse
il Corsaro. «Forse che i miei marinai non sanno costruire una zattera?»
«Sono una gran bestia, signore,»
disse l'amburghese. «Non avevo pensato a questi alberi.»
«Eppure sono visibili,» disse
Carmaux, ridendo.
«Moko, hai la tua scure?»
«Sì, capitano,» rispose il negro.
«Giacché si comincia a vederci
qualche po' andrai ad abbattere degli alberi.»
Mentre l'africano ed il Corsaro
percorrevano le rive per scegliere le piante necessarie alla costruzione della
zattera, Carmaux e l'amburghese si cacciarono in mezzo agli alberi per cercare
la colazione.
Quell'isolotto era più grande di
quello che avevano fino allora creduto e molto boscoso. Su quel grasso terreno,
formato da foglie putrefatte, erano sorte in abbondanza varie specie di palme e
foltissimi cespugli entro i quali poteva benissimo trovarsi anche qualche
grosso capo di selvaggina.
Carmaux e Wan Stiller, dopo aver
ascoltato per qualche po', non udendo che le grida delle scimmie, si cacciarono
risolutamente in mezzo ai cespugli, avanzandosi con precauzione.
Essendo già sorto il sole,
numerosi volatili garrivano sulle più alte cime degli alberi e fra le piante
acquatiche s'alzavano stormi di aironi e di anitre selvatiche le quali facevano
un baccano assordante.
In mezzo alle grandi foglie dei
palmizi reali, delle palme e dei caobas, numerose scimmie si divertivano
a fare capitomboli, urlando a piena gola. Erano dei miceti o scimmie urlatrici,
quelle stesse che durante la notte avevano spaventato tanto il bravo Carmaux.
Questi quadrumani, che sono
dotati d'una agilità prodigiosa, una volta erano numerosi anche nel Messico, ma
ora non si ritrovano più che nell'America del Sud e specialmente nelle Guiane e
nelle foreste vergini dell'Amazzonia.
Sono di colore oscuro, con
riflessi rossastri; le femmine invece hanno il pelame giallastro. Non sono più
alti di settanta centimetri, eppure che potenza di polmoni! Le loro urla sono
così acute che si odono a parecchi chilometri di distanza.
«Prima delle scimmie, cerchiamo
se vi è qualche arrosto migliore,» disse Carmaux a Wan Stiller. «Questo
isolotto non deve essere sprovvisto di selvaggina.»
«E poi vi sono delle bande di
aironi,» rispose l'amburghese. «Ci rifaremo con quei volatili.»
«Eh!... Per mille pescicani!»
«Cos'hai, Carmaux?
«Ho veduto una bestia scappare
fra le erbe.»
«Era grossa?»
«Come un coniglio.»
«Se fosse davvero un coniglio!...
Che squisito arrosto, Carmaux.»
I due filibustieri, che già
fiutavano un appetitoso arrosto, si erano slanciati in mezzo alle erbe dove
vedevano a muoversi qualche cosa. Un animaletto che non potevano ancora ben
distinguere fuggiva dinanzi a loro, senza però affrettarsi. Giunti presso ad un
vecchio albero, lo videro cacciarsi rapidamente entro un buco del tronco, non
lasciando fuori che una coda lunga a scagliette.
«Ah!... Birbante! Ora ci sei!» gridò
Carmaux, afferrando rapidamente quell'appendice.
Si provò a tirare e, con sua
grande sorpresa, non riuscì a far indietreggiare l'animaletto.
«Mille balene!» esclamò.
«Possibile che sia più forte di me!... Eppure non è più grosso d'un coniglio.»
«Vediamo di che cosa si tratta,»
disse Wan Stiller accostando un occhio al buco. Essendo quel foro abbastanza
largo, vide che quell'animaletto aveva il dorso coperto da una specie di
corazza formata da piastre ossee che sembravano molto resistenti, disposte in serie
parallele e di forma molto ineguale.
«Non so con quale animale abbiamo
da fare,» disse. «Ti posso dire però che non è molto grosso e che a giudicarlo
dalla statura dovrebbe cedere alle tue braccia.»
«Che abbia perduto la forza?» si
chiese Carmaux. «Eppure non mi sembra.»
«Lascia che provi io,» disse Wan
Stiller.
L'amburghese afferrò la coda con
ambe le mani, puntò un piede contro l'albero e cominciò a tirare con tutta la
forza che aveva. Fatica sprecata; l'animaletto resisteva tenacemente come se si
fosse unito al tronco dell'albero.
«Tuoni d'Amburgo!» esclamò. «È
cosa incredibile.»
Carmaux aveva risposto con una
risata sonora.
«Tu ridi!» esclamò Wan Stiller,
stupito.
«Tira!... Tira!...» rispose
Carmaux che era in preda ad una crescente ilarità.
«Ma se ti dico che questo dannato
animale è tenuto all'albero con delle chiavarde!»
«No, Wan Stiller, dalle sue
unghie.»
«Allora tu conosci questa specie
di... di... chissà che cosa sarà.»
«Un armadillo.»
«Non ne so nulla.»
«Te lo farò vedere subito,» disse
Carmaux.
«Hai tu un mezzo per farlo
uscire?»
«Sì, Wan Stiller.»
«Tirando insieme?»
«Strapperemmo la coda senza
decidere l'animale a uscire. Possiede delle unghie d'una robustezza tale da
sfidare l'acciaio.»
«Allora sarà pericoloso.»
«Niente affatto, amburghese.»
«È almeno mangiabile?»
«Delizioso come un porcellino da
latte.»
«Allora facciamolo uscire.»
«La cosa è facile: guarda!»
Con una mano afferrò la coda
dell'armadillo, coll'altra estrasse la navaja e l'introdusse nel cavo dell'albero,
pungendo fortemente.
L'animaletto dapprima cercò di
aggomitolarsi su sé stesso, poi abbandonò il rifugio e cadde al suolo. Wan
Stiller sapendo che non era pericoloso, s'era curvato guardandolo con viva
curiosità.
Era grosso un po' più d'un
coniglio, con zampe molto corte ed aveva il dorso coperto da una vera corazza
di piastre ossee giallastre molto resistenti, a quanto pareva, che gli
scendevano fino ai fianchi. La sua testa, molto piccola, con un musettino
appuntito, era riparata da una specie di visiera scagliosa. Le sue gambe, come
si disse, erano corte e portavano unghie robustissime e lunghe. Appena caduto a
terra, l'animaletto si era lestamente ripiegato su se stesso, facendo scorrere
le piastre che parevano dotate d'una certa mobilità e ritirando la coda. In tal
modo presentavasi come una palla perfettamente difesa da quella corazza
scagliosa.
«Molto strano!» esclamò
l'amburghese. «Si è meravigliosamente chiuso entro la sua corazza.»
«La quale non lo riparerà di
certo contro di noi,» disse Carmaux percuotendo violentemente l'animaletto col
calcio del fucile.
Il povero armadillo aveva mandato
un debole grido sotto quel colpo e s'era subito disteso senza vita.
«Ecco l'arrosto!» esclamò
Carmaux, prendendolo per la coda.
«Ma che razza di bestie sono
queste?» chiese Wan Stiller.
«Animali assolutamente
inoffensivi, di abitudini notturne ordinariamente e che non danno fastidio a
nessuno,» rispose Carmaux.
«E di che cosa si nutrono? Di
erbe forse?»
«No, sono carnivori e siccome
riesce loro piuttosto difficile a procurarsi della selvaggina, non essendo né
lesti, né provvisti veramente di denti, vivono per lo più di carogne. Si
racconta anzi che gli armadilli, quando trovano un animale di grossa taglia
morto, vi si introducono e lo divorano a poco a poco tutto, lasciando però
perfettamente intatta la pelle.»
«E tu mi assicuri che sono buoni
a mangiarsi?»
«Come le testuggini. Amico
Stiller, continuiamo la caccia.»
«Cosa speri di trovare ancora?»
«Faremo qualche scarica contro
gli aironi.»
Persuasi di non trovare altri
animali su quell'isolotto, piegarono verso la riva dove udivano un gran
baccano. Pareva che colà gli uccelli acquatici si trovassero in buon numero.
Infatti, giunti presso i
paletuvieri, videro svolazzare al disopra di quelle piante delle bande di
anitre e di splendidi aironi dalle piume verdi. Con due scariche abbatterono
una coppia di quei trampolieri, poi si ripiegarono verso l'accampamento, onde
non impazientire il capitano. Quando vi giunsero, Moko aveva abbattuto parecchi
giovani alberi ed aveva recise numerose liane che dovevano servire da corde.
Mentre Yara si occupava a
spennare i due aironi, i filibustieri, dopo essersi accertati che non vi erano
caimani presso la riva, diedero subito mano alla costruzione della zattera.
Essendo tutti abilissimi, bastò
un'ora per ottenere un galleggiante capace di sostenerli tutti.
Per maggior precauzione
circondarono i bordi con grossi rami onde impedire ai caimani di salire sul
galleggiante e al centro inalzarono un casottino formato di frasche e di grandi
foglie di palme.
Alle otto del mattino, dopo aver
divorata la colazione, i filibustieri e la giovane indiana s'imbarcavano,
remando vigorosamente o puntando sul fondo limaccioso del canale.
Oltrepassati gl'isolotti, essi si
trovarono dinanzi ad una seconda laguna, ingombra di piante palustri ed
interrotta qua e là da banchi di sabbia sui quali si vedevano sonnecchiare non
pochi caimani.
Stormi di uccelli acquatici
volavano al disopra dei canneti, descrivendo dei giri capricciosi e gridando a
piena gola. Di quando in quando quelle bande assordanti piombavano sulla laguna
e davano la caccia ai pesciolini od ai piccoli granchi che si tenevano nascosti
fra le sabbie.
Il Corsaro, che era salito sul
tetto della capannuccia per abbracciare maggior orizzonte, vide in lontananza
una linea oscura, non interrotta e che pareva indicasse qualche grande foresta.
«La terra ferma è là,» disse.
«Avremo però molto da fare per raggiungerla.»
La zattera avanzava lentamente,
essendo l'acqua di quella laguna assolutamente ferma e mancando il più lieve soffio
d'aria.
L'amburghese, Moko e perfino il
Corsaro puntavano fortemente, ma con poco profitto, poiché le lunghe pertiche
che servivano di remi il più delle volte scivolavano sul fondo limaccioso della
laguna, esponendoli anche ad improvvise cadute.
Alcuni caimani, vedendo avanzarsi
quella massa galleggiante, attirati dalla curiosità, venivano di quando in
quando a ronzare attorno ai naviganti, mostrando le loro formidabili mascelle
irte di lunghi denti. Non erano però aggressivi e s'allontanavano al primo
colpo di bastone che l'amburghese e Moko appioppavano loro e molto solidamente.
A mezzodì la zattera giungeva in un nuovo canale il quale invece di dirigersi
verso la linea oscura indicante la terra ferma, piegava verso il sud, aprendosi
il passo fra un numero infinito di banchi sabbiosi e d'isolotti coperti di
paletuvieri e di canne altissime.
Dal mezzo di quelle piante, vere
nuvole di volatili s'alzavano fuggendo dinanzi alla zattera.
Si vedevano numerosi pyrocephalus
colle piume della testa color del fuoco e le gambe cortissime; bande di coclarnis
somiglianti ai nostri fringuelli e di sylvicole dalle splendide
penne color dell'oro, di aironi, di anitre verdi e di stupidi beccaccini, i
quali guardavano tranquillamente i naviganti, senza spaventarsi pei colpi di
remo avventati dall'amburghese.
Allineati indolentemente sui
banchi, si vedevano pure non pochi zopilotes, specie d'avvoltoi, piccoli,
colle penne nere e che nel Messico fanno l'ufficio di spazzini. Sono uccelli cenciaiuoli,
che s'incaricano della pulizia delle città, divorando ingordamente tutte le
immondizie che gli abitanti gettano nelle vie. Dotati d'una voracità
straordinaria, tutto inghiottono e senza soffrire. Sarebbero capaci di
dilaniare anche un coleroso senza sentirne effetto alcuno, al pari dei marabù
che popolano l'India.
«Questo è il vero paradiso dei
cacciatori,» disse Carmaux, il quale seguiva, con occhi ardenti, le rapide
evoluzioni di tutti quei pennuti. «Se non avessimo fretta ci sarebbero da fare
delle belle scorpacciate. Cosa dici, amico Stiller?»
«Io dico che tu mi fai venire
l'acquolina in bocca,» rispose l'amburghese. «Guarda quelle splendide
arzavole.»
«Bocconi da re, mio caro.»
«E quell'uccellaccio d'aspetto
guerresco, cosa sarà? Lo vedi Carmaux?»
«Quello che va frugando i
canneti?»
«Sì, lo vedi?... Si direbbe un
guerriero alato!...»
«È un kamiki, - disse Moko.»
«Ne so meno di prima, compare
sacco di carbone, - disse Wan Stiller.»
«Sta' attento e saprai che specie
d'uccello esso sia!... Guarda: si prepara a dare battaglia!...»
«A chi?»
«Aspetta, compare bianco.»
L'uccello in questione era un bel
volatile, vivace, svelto, armato d'una specie di corno che si elevava sulla sua
testa e colle ali robustissime, coperte di lunghe penne rigide e terminanti in
sproni assai aguzzi.
Quell'uccello, un superstite
dell'antica età, si era precipitato verso una macchia di canne, arruffando le
penne e mandando un grido acuto, un grido di guerra senza dubbio.
Il Corsaro Nero e Yara si erano
pure avanzati verso il margine della zattera guardando curiosamente quello
strano volatile.
«Il kamiki si prepara ad
assalire,» disse la giovane indiana. «È un uccello valoroso che non teme il
veleno.»
«Chi sta per assalire?» chiese il
Corsaro.
«Il serpente che si nasconde fra
le canne,» rispose Yara.
«È un serpentario quel volatile?»
«Sì, mio signore. Lo vedrai
all'opera.»
Il kamiki si era
precipitato nuovamente fra i canneti, sbattendo vivamente le ali e cacciando
innanzi la sua testa armata. Pareva deciso a scovare l'avversario che si teneva
ostinatamente nascosto, sapendo già con quale pericoloso nemico aveva da fare.
Ad un tratto però fra le canne si
vide rizzarsi un serpente, nero come l'ebano, grosso come un pugno e con la
testa assai appiattita.
Era un serpente alligatore,
rettile molto comune nelle paludi dell'America centrale.
Vedendo il kamiki risoluto
a dargli battaglia, gli si era avventato contro con coraggio disperato, tentando
di sorprenderlo e di morderlo.
L'uccello, non nuovo a quelle
lotte, si era prontamente riparato dietro le ali armate di speroni, agitandole
furiosamente per confondere l'avversario. Questi, furioso, sibilava e
dardeggiava la linguetta forcuta, contorcendosi, abbassandosi per poi
allungarsi nuovamente con uno scatto improvviso.
«Perbacco!... Che lotta!...»
esclamò Carmaux, il quale seguiva attentamente le mosse dei due avversarii.
«Come finirà?»
«Colla peggio del rettile,»
rispose Yara.
«Possibile che quel volatile
debba aver ragione?... E se venisse morso?»
«Non si lascerà cogliere.»
Il kamiki, dotato d'una
agilità straordinaria, non rimaneva un solo istante fermo. Balzava innanzi
minacciando il rettile col becco acuto, poi indietreggiava vivamente facendosi
scudo colle ali, quindi tornava ad assalire. La lotta durava da qualche minuto,
quando il kamiki, giudicando l'avversario sufficientemente stanco e
disorientato, si slanciò risolutamente innanzi.
Afferrare col robusto becco il
serpente alligatore, stordirlo con due poderosi colpi d'ala e portarlo in alto
fu l'affare d'un istante.
Alzatosi a dieci o dodici metri,
lo lasciò cadere bruscamente al suolo, poi piombatogli nuovamente addosso, con
un colpo di becco gli sfondò il cranio.
Ciò fatto si mise tranquillamente
a mangiarselo, come se si fosse trattato d'una innocua anguilla.
«Buon appetito,» gridò Carmaux.
Il coraggioso volatile,
satollatosi, se n'era già andato, cercando nuove prede.
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