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L'ASSALTO DI VERA-CRUZ
I filibustieri della Tortue,
decisi più che mai ad espugnare quella grande e ricchissima città del Messico,
protetti da una fortuna veramente insperata, erano riusciti ad accostarsi alle
coste senza che gli spagnuoli, che pur si tenevano sempre in guardia, se ne
fossero accorti.
Per meglio ingannare gli
avversarii, essi avevano approfittato d'una circostanza fortunata.
Avendo appreso che a
Vera-Cruz si attendevano due vascelli provenienti da S.
Domingo, i filibustieri avevano arrestato il grosso della flotta in alto mare e
con due sole navi, sulle quali avevano imbarcati i più risoluti combattenti, si
erano spinti audacemente nel porto, inalberando il grande stendardo di Spagna.
Lo stratagemma era riuscito al di
là d'ogni speranza. Gli abitanti, convinti che fossero i due vascelli attesi,
non si erano dati alcun pensiero di verificare la cosa e tanto meno le autorità
del porto.
Le due navi corsare si erano
ancorate sul cader del giorno, verso l'estremità del porto, fuori tiro dei
forti, onde in caso di pericolo poter prendere sollecitamente il largo. Calata
la notte, Laurent, Grammont e Wan Horn avevano fatto mettere in acqua le
scialuppe, cominciando lo sbarco. Un drappello d'uomini scelti, sbarcato poco
prima, aveva già sorprese e uccise le guardie costiere, impedendo così che gli
abitanti ed il governatore potessero venire avvertiti del grave pericolo che sovrastava
alla città addormentata. Operato lo sbarco, i filibustieri, divisi in tre
colonne, s'erano cacciati silenziosamente sotto i boschi che in quell'epoca
circondavano la piazza, guidati da alcuni schiavi che avevano fatti
prigionieri. Essendo però la città chiusa da bastioni che la difendevano dalla
parte di terra, unitamente ad un forte armato di dodici cannoni di grosso
calibro, si videro costretti ad attendere l'apertura delle porte, non avendo
scale per varcare le mura.
Laurent, Grammont e Wan Horn,
fatti nascondere i loro uomini negli orti che circondavano la città, si
radunarono per decidere sul da farsi, prima d'impegnarsi fra le mura.
«Una cosa sola ci rimane da
fare,» disse pel primo Grammont, il quale, avendo appartenuto all'armata
regolare francese, godeva una certa influenza sui suoi due compagni. «Dare
innanzi a tutto l'assalto al forte che domina la città dalla parte di terra.»
«Impresa difficile,» rispose Wan
Horn.
«Ma non impossibile,» disse
Laurent che non trovava alcuna impresa temeraria.
«Ha dodici grossi cannoni sugli
spalti,» osservò Wan Horn, «mentre noi non abbiamo nemmeno una colubrina.»
«Le nostre sciabole vinceranno le
bombe.»
«E le nostre granate
allontaneranno i difensori,» aggiunse Grammont. «I nostri uomini ne sono ben
provvisti.»
«Volete affidare a me l'impresa?»
disse Laurent. «Prima che l'alba sorga vi assicuro che il forte cadrà in mia
mano.»
«E noi?» chiese Wan Horn.
«Vi rovescerete sulla città
appena aperte le porte.»
«Sia,» disse Grammont, dopo una
breve esitazione. «Il forte ci è necessario per non farci schiacciare fra le
mura della città.»
«Allora andiamo,» disse Laurent.
«I minuti sono preziosi.»
Un quarto d'ora dopo, una colonna
formata di trecento filibustieri, scelti fra i più risoluti della squadra,
lasciava silenziosamente le ortaglie, guidata da due schiavi. Il forte che
doveva assaltare si trovava su di un'altura dominante la città e si ergeva a
ridosso delle mura di cinta. Era una costruzione massiccia, fornita di
merlature assai grosse e presidiata da cinquecento uomini, i quali avrebbero potuto
resistere lungamente se si fossero accorti della presenza dei loro accaniti
avversarii.
L'ardita colonna, protetta dalle
tenebre, s'avvicinava rapidamente per tema di venire sorpresa dai primi albori.
Era ancora molto scuro quando giunse nei fossati dei bastioni.
«Sorprenderemo la guarnigione,»
disse Laurent ai filibustieri che gli stavano presso.
I bastioni, da quella parte,
erano in parte diroccati, sicché una scalata non era difficile per quegli
uomini abituati a inerpicarsi sugli alberi delle navi coll'agilità degli
scoiattoli.
«La sciabola fra i denti e
avanti,» comandò Laurent.
Per primo s'aggrappa alle
sporgenze del bastione e sale. Gli altri gli tengono dietro afferrandosi agli
sterpi, puntando i piedi nei crepacci e aiutandosi vicendevolmente.
La catena umana s'allunga,
serpeggiando, rompendosi, riallacciandosi e raggiunge felicemente la cima del
bastione: restava però da superare la muraglia del forte, alta non meno di
dieci metri e perfettamente liscia. Quell'ostacolo fece titubare quegli audaci.
Guai se gli spagnuoli li avessero sorpresi sul bastione!... Forse neppur uno
sarebbe sfuggito alla morte!
«Bisogna salire prima che sorga
l'alba, - dice Laurent ai sotto-capi che lo circondano, - e
non abbiamo che mezz'ora di tempo!
Infatti verso oriente l'oscurità
cominciava a diradarsi lievemente. La luce degli astri impallidiva ed una
striscia biancastra si diffondeva pel cielo. Il momento è terribile. Da un
istante all'altro un grido d'allarme può rompere il silenzio e far accorrere l'intera
guarnigione.
Un'idea attraversa il cervello di
Laurent. Aveva veduto una palizzata eretta dietro al bastione, sormontata da
due antenne, lunghe quanto e forse più dell'altezza della muraglia.
Manda alcuni uomini a levarle e
le fa appoggiare, con infinite precauzioni, ai merli del forte.
«All'abbordaggio! - comandò.
Per primo s'aggrappa ad
un'antenna e aiutandosi colle mani e coi piedi si spinge in alto. Marinaio
valente, non trova alcuna difficoltà a giungere sulla cima. Appena superato il
merlo, si trova dinanzi ad una sentinella spagnuola armata d'alabarda. Il
soldato rimane così sorpreso per quell'improvvisa apparizione che non pensa
nemmeno a far uso della propria lancia, né a dare l'allarme.
Laurent con un salto da tigre gli
è sopra e con un colpo di sciabola lo getta a terra moribondo. Il soldato però
raccoglie le ultime forze per mandare un grido d'allarme: «I filibustieri!...»
La guarnigione del forte,
svegliata di soprassalto, dà mano alle armi e si precipita nel cortile del forte
per accorrere alle artiglierie.
È troppo tardi!... I trecento
corsari si sono già radunati e l'assaltano con furore, sgominando, con una
carica irresistibile, le prime file. Intanto alcuni filibustieri sfondano la
porta della polveriera e fanno rotolare fuori i barili disponendoli intorno al
fabbricato centrale, nel cui interno trovasi ancora la maggior parte della
guarnigione.
Da ogni parte s'alza il grido:
«Arrendetevi, o vi facciamo
saltare in aria!»
Quella terribile minaccia produce
maggior effetto della carica. Gli spagnuoli, sapendo di quanto erano capaci
quei tremendi scorridori del mare e vedendosi già impotenti a far fronte
all'assalto, dopo una breve resistenza abbassano il grande stendardo di Spagna,
che ondeggia sulla più alta torre e depongono le armi dopo d'aver ricevuta la
promessa d'aver salva la vita.
Laurent fa rinchiudere i
prigionieri nelle casematte del forte, dispone intorno numerose sentinelle, poi
ordina di puntare le artiglierie verso la città gridando:
«Prima un colpo, poi una scarica
generale. È l'annuncio della vittoria!
Una cannonata rimbomba, poi gli
altri undici pezzi s'infiammano contemporaneamente con orribile frastuono,
facendo piovere una grandine di palle sulla disgraziata città ancora immersa
nel sonno.
Grammont e Wan Horn avevano atteso
quel segnale in preda ad un'angoscia che è facile immaginare. Dalla presa del
forte dipendeva la vittoria od una disastrosa sconfitta.
Udendo quegli spari, balzano
attraverso le siepi delle ortaglie.
«Avanti, uomini del mare!
Vera-Cruz è nostra!
I filibustieri abbandonano i loro
nascondigli e si slanciano sulla strada che conduce alla città. Sono seicento,
armati di fucili, di sciabole d'abbordaggio e di pistole e decisi a tutto,
anche a dare l'assalto al formidabile forte di S. Giovanni de Luz, se sarà
necessario.
Lungo la via arrestano i
contadini che si dirigono verso la città coi loro cavalli e muli carichi di
provviste e di erbaggi e giungono dinanzi alla porta nel momento in cui veniva
aperta.
Il loro assalto è così improvviso
che le guardie non pensano nemmeno a opporre resistenza. Alcune però riescono a
fuggire attraverso la città, urlando:
«Alle armi!... I filibustieri!
Mentre i filibustieri si
rovesciano entro la città come un torrente che dilaga, sulla loro destra, dalla
parte dei primi giardini, odono alcuni spari, quindi vedono dei soldati fuggire
a rompicollo inseguiti da quattro uomini che tirano stoccate e colpi di navaja
con furore terribile.
Grammont che era alla testa della
prima colonna, si slancia da quella parte, credendosi assalito di fianco.
Un grido gli sfugge:
«Il Corsaro Nero!
Era infatti il signor di
Ventimiglia il quale aiutato dai suoi tre valorosi, aveva fugato i soldati che
avevano uccisa Yara, poi superato il muro di cinta si era slanciato dietro ai
fuggiaschi, ebbro di vendetta.
«Grammont!» esclamò, vedendo il
gentiluomo francese.
«Giungete in buon momento,
cavaliere,» gridò Grammont. «Venite!»
«Eccomi,» disse il Corsaro.
«Ed il duca è morto?»
«Fuggito ancora, mentre stavo per
inchiodarlo al muro con un colpo di spada,» rispose il Corsaro con voce sorda.
«Lo ritroveremo, signor di
Ventimiglia. All'assalto, uomini del mare! Il Corsaro Nero è con noi!»
La battaglia era incominciata per
le vie della città, terribile, sanguinosa.
I soldati e gli abitanti, passato
il primo momento di stupore e di terrore, si erano precipitati nelle strade per
contrastare il passo ai corsari. Da tutte le parti si combatteva con rabbia
estrema, mentre i cannoni del forte tuonavano senza posa, abbattendo campanili
e case e facendo piovere sui tetti una grandine di bombe.
In mezzo al fragore orrendo delle
abitazioni che diroccavano sotto quei tiri incessanti, alle scariche di
moschetteria, alle urla dei combattenti ed alle grida lamentevoli dei feriti,
si udivano le grida dei capi a tuonare senza posa:
«Avanti!... Abbruciate!...
Distruggete!
Intanto dalle finestre cadono
sulle loro teste vasi di fiori, scranne, tavole, macigni e dai tetti partono
colpi di fucile. Ad ogni momento turbe di soldati li assalgono ai fianchi od
alla coda impegnando sanguinosi combattimenti. Non importa!... Avanti
sempre!...
«Uno sforzo ancora e
Vera-Cruz è nostra!» gridano i capi.
Le ultime vie, con uno sforzo
supremo, sono superate ed i filibustieri irrompono dove si ergeva in quell'epoca
una bellissima cattedrale. Le truppe spagnuole ammassate sulla piazza, di
fronte al palazzo del governo, tentano di far argine all'irruzione dei corsari.
Hanno piazzati alcuni pezzi di cannoni e chiamata parte del presidio del forte
di S. Giovanni de Luz, forte diventato affatto inutile avendo le difese volte
verso il mare.
«Avanti!» gridano il Corsaro
Nero, Grammont e Wan Horn, gettandosi animosamente nella mischia. La lotta
diventa selvaggia, feroce. Gli spagnuoli, spalleggiati dagli abitanti, resistono
tenacemente, ma più nulla ormai arresta i filibustieri. Con scariche bene
aggiustate spazzano il terreno dinanzi a loro e uccidono sui loro pezzi gli
artiglieri, poi piombano sulle colonne spagnuole colla sciabola d'abbordaggio
in pugno.
Nessuno resiste ai fieri
scorridori del mare, già imbaldanziti dai primi successi. Gli spagnuoli, rotti,
scompaginati, s'arrendono o fuggono attraverso le vie della città, travolgendo
nella loro pazza corsa donne e fanciulli. I filibustieri assaltano il palazzo
del governo e fanno strage di quanto trovano entro, poi lo incendiano; altri
danno l'attacco ai palazzi, sfondano con travi le porte o frantumano le grosse
inferriate, afferrano gli abitanti e li trascinano nella cattedrale nonostante
i pianti e le urla.
Dei barili di polvere vengono
messi alle porte assieme a degli uomini muniti di micce accese. Hanno ricevuto
l'ordine di far saltare l'edifizio al primo tentativo di rivolta da parte dei
prigionieri.
Intanto gli altri saccheggiano i
palazzi, le case, i magazzini, le chiese, i monasteri e perfino le navi
ancorate in porto.
Bisogna far presto. Tutti sanno
che nei dintorni, a non molte leghe, vi sono grosse guarnigioni le quali
possono piombare improvvisamente su Vera-Cruz.
Mentre i filibustieri si abbandonavano
al saccheggio più sfrenato, il Corsaro Nero seguito da Carmaux, da Moko,
dall'amburghese e da una quindicina d'uomini della Folgore, visita i
palazzi, le case, perfino i più umili tuguri. Non ha che un solo desiderio:
scovare il suo mortale nemico.
Cosa importa a lui dei tesori che
si trovano in Vera-Cruz? Tutti li avrebbe dati per poter
riavere nelle mani l'odiato fiammingo.
Vane ricerche. Nelle case non
trova altro che donne piangenti, fanciulli strillanti, uomini feriti e filibustieri
minacciosi occupati a derubare i miseri abitanti.
«Nulla!... Nulla!...» rugge il
Corsaro.
Ad un tratto un'idea gli balena
nel cervello.
«Dalla marchesa di Bermejo!»
grida ai suoi uomini.
Attraversa di corsa la città
aprendosi il passo fra i cittadini fuggenti ed i filibustieri che li inseguono
e giunge, un quarto d'ora dopo, dinanzi al giardino.
Il cancello era stato abbattuto
ed alcuni corsari erano già giunti dinanzi al palazzo per metterlo a sacco.
Con grida minacciose avevano
intimato ai servi di aprire la porta che era stata sbarrata, ma non avevano
ricevuto risposta alcuna. Credendo che gli abitanti volessero fare resistenza,
già stavano per scagliarsi contro le finestre del pianterreno quando comparve
il Corsaro.
«Via di qua!» gridò il signor di
Ventimiglia, alzando la spada.
I filibustieri si dileguarono
tosto.
«Grazie, cavaliere,» disse una
voce a lui ben nota.
La marchesa di Bermejo era
comparsa ad una finestra del piano superiore, assieme ai due servi armati di
fucile.
«Aprite, signora,» disse il
Corsaro, salutandola colla spada.
Un momento dopo la porta, che era
stata barricata, lasciava il passo al Corsaro.
La marchesa era già scesa e
l'attendeva nel medesimo salotto dove aveva avuto luogo il duello col duca.
«È perduta la città, è vero,
cavaliere?» disse la marchesa, con voce alterata.
«Sì, signora,» rispose il
Corsaro. «Ve lo avevo detto che la guarnigione si sarebbe arresa dinanzi all'assalto
dei filibustieri.»
«Triste guerra, cavaliere.»
Il Corsaro non rispose. Si era
messo a passeggiare per la stanza con viva agitazione. Ad un tratto si fermò
dinanzi alla marchesa, dicendole:
«Io non l'ho trovato.»
«Chi?»
«Il duca.»
«L'odiate molto quell'uomo?»
«Immensamente, signora.»
«E siete tornato qui colla
speranza di trovarlo nascosto.»
«Sì, marchesa.»
«Non è più tornato.»
«Dite il vero?»
«Ve lo giuro.»
«Dove si sarà rifugiato
quell'uomo adunque?»
La marchesa lo guardò in
silenzio; pareva che esitasse a rispondere.»
«Voi ne sapete qualche cosa,
signora, - disse il Corsaro.»
«Sì,» rispose la marchesa, con
voce recisa.
«Voi amate quell'uomo?»
«No, cavaliere.»
«Chi dunque v'impedisce di dirmi
dove potrei trovarlo?»
«Egli era ai servizi della
Spagna.»
«Per opera d'un infame
tradimento, - proruppe il Corsaro con ira.»
«Lo so, - mormorò la marchesa,
chinando il capo.»
Poi dalla borsetta di velluto
cremisi che le pendeva dal fianco levò un biglietto e lo porse, dopo una breve
esitazione, al Corsaro, dicendo:»
«L'ho ricevuto due ore fa:
leggetelo.»
Il Corsaro s'era impadronito
vivamente di quella carta. Non vi erano che poche righe.
«Sono riuscito a raggiungere l'Escurial
ed a prendere il largo. Farete le mie scuse al governatore, ma motivi
urgenti mi costringono a recarmi nella Florida.
Diego vi dirà il
resto.
Wan Guld»
«Partito!» esclamò il Corsaro.
«Egli mi sfugge ancora!...»
«Saprete dove ritrovarlo,» disse
la marchesa.
«Voi conoscete l'Escurial?»
«Non so che nave sia, cavaliere, ma da Diego
potrete avere molte informazioni preziose.»
«Chi è quell'uomo?»
«Un confidente del duca.»
«Dove si trova?»
«Nel forte di San Giovanni de
Luz.»
«Il forte non ha capitolato,
signora.»
«Cercate un mezzo per avere in
mano quell'uomo. Egli sa molte cose sul duca che io stessa ignoro e forse potrà
spiegarvi il motivo per cui il duca si reca nella Florida.»
«Infatti questa partenza per
quella lontana regione mi è inesplicabile.»
«Ed a me pure, cavaliere,» disse
la marchesa. «Era qualche tempo che mi parlava di questo viaggio e...»
«Continuate, marchesa,» disse il
Corsaro, vedendola esitare.
«Vorrei raccontarvi una strana
istoria, che vi può interessare.»
«È probabile.»
«Voi allora sapete molte cose
che...»
«Non io, Diego.»
«Allora bisogna che io abbia
nelle mie mani quell'uomo.»
«Per ora ascoltatemi, cavaliere.»
«Di cosa si tratta?...»
«Ve l'ho già detto. È una istoria
che v'interessa.»
Poi guardandolo fisso, disse
lentamente:
«Di Honorata!...»
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