20 - LA
MARCHESA DI BERMEYO
Il Corsaro udendo quel nome si
era lasciato cadere su di una sedia, nascondendosi il viso fra le mani. Un
sordo gemito gli era uscito dalle labbra assieme ad un singhiozzo soffocato.
Egli rimase alcuni istanti come accasciato, impotente a pronunciare una sola
parola od a ripetere il nome della povera fiamminga che aveva così immensamente
amata e pianta come morta.
Ad un tratto si alzò di scatto.
Era livido ed i lineamenti del suo volto erano spaventosamente alterati. Guardò
per alcuni istanti, come trasognato, la marchesa, poi facendo uno sforzo, disse
con voce rotta:
«Volete straziarmi il cuore,
signora? A quale scopo parlarmi di quella giovane? È morta e dorme in pace,
negli abissi del mare, a fianco dei miei fratelli.»
«Forse v'ingannate, cavaliere,»
disse la marchesa.
«Volete farmi balenare la
speranza che la giovane fiamminga sia viva?» chiese il Corsaro, avvicinandosi
bruscamente alla marchesa, più pallido che mai.
«Diego Sandorf ne è convinto.»
«Chi è quest'uomo?»
«Ve l'ho detto: il confidente del
duca: un vecchio fiammingo»
«E fu lui a parlarvi di Honorata?»
«Sì, cavaliere.»
«Allora voi sapete...»
«Tutto, tutto... Fu una terribile
vendetta la vostra, ma...»
«Tacete, marchesa,» disse il
Corsaro ricadendo sulla sedia e ricoprendosi il viso.
Stette alcuni minuti silenzioso, immerso
in cupi pensieri, poi scuotendosi e rialzandosi, disse:
«No, Honorata Wan Guld è morta.»
«Chi ve lo assicura, cavaliere?
Avete veduto il suo cadavere ondeggiare sulle acque del golfo?»
«No, ma la notte in cui io
l'abbandonai nella scialuppa soffiava forte il vento e l'uragano stava per
scoppiare. Anche a me fu narrato che la fiamminga era stata raccolta e per
molto tempo ho sperato, ho creduto alla voce, ma ora... è una delle tante
leggende del golfo.»
«Diego Sandorf mi ha assicurato
che la duchessa era stata veramente raccolta da una caravella spagnuola,
naufragata più tardi sulle spiagge della Florida.»
«Ed a me fu raccontato, da don
Pablo de Ribeira, intendente del duca a Puerto Limon, che la scialuppa montata
dalla duchessa era stata incontrata verso le coste occidentali di Cuba. A chi
credete ora?»
«A Diego Sandorf, cavaliere,»
disse la marchesa. «Voi forse avete dimenticato che il duca è partito per la
Florida.»
«E voi credete?...» chiese il
Corsaro, colpito da quelle parole.
«Che egli sia andato a cercare
sua figlia.»
Un'ondata di sangue era montata
in viso al Corsaro, tingendo vivamente quella pelle ordinariamente
pallidissima.
«Viva!» esclamò. «Honorata
viva!... Che Dio abbia potuto compiere questo miracolo?... Marchesa, mi è
necessario questo Sandorf. Bisogna che io lo interroghi.»
«Vi ho detto che è rinchiuso nel
forte di San Giovanni de Luz.»
«Andiamo a rapirlo!» esclamò il
Corsaro, come se avesse preso una rapida decisione.
«Quale audacia!... Ma non sapete
che nel forte vi sono sessanta cannoni e ottocento uomini?
«Che importa?»
«Vi uccideranno, cavaliere.»
«Sono abituato a sfidare la
morte.»
«Bisogna vivere.»
«Oh!... Sì, per vendicare i miei
fratelli,» disse il Corsaro con voce cupa.
«E per Honorata.»
Il Corsaro ebbe un fremito, ma
non rispose. Si era rimesso a passeggiare per la stanza, come una fiera
rinchiusa nella gabbia.
«Addio, signora,» disse ad un
tratto.
«Siete sempre deciso?»
«Sì, marchesa. Andrò a rapire
quell'uomo.»
«Aspettate, cavaliere: chi
sa!...»
«Cosa volete dirmi ancora?»
La spagnuola si era accostata ad
una scrivania d'ebano ad intarsi di madreperla ed aveva vergato alcune righe,
poi porse il foglio al Corsaro, dicendo:
«Trovate il modo di farlo avere a
Diego Sandorf.
Il Corsaro si era impadronito
vivamente del biglietto, su cui la marchesa aveva scritto le seguenti parole:
«Un gentiluomo mio amico desidera
parlarvi. Egli attenderà questa notte sotto l'ultimo torrione di levante, dalle
dodici all'alba.
È venuto coi
filibustieri e ripartirà assieme a loro. Siate all'appuntamento.
Ines De Bermejo»
«Grazie, marchesa,» disse il
Corsaro, «ma voi correte il pericolo di compromettervi.»
«E perché, cavaliere? Forse che
vi do il mezzo per impadronirvi del forte? Anzi evito ai miei compatriotti
questo pericolo.»
«Avete favorito un filibustiere.»»
«No, un gentiluomo, cavaliere.
Voi non siete un nemico della mia patria.»
«Ossia non lo sarei mai stato, se
il mio triste destino non m'avesse gettato dinanzi al duca.»
Addio, signora, forse ci
rivedremo prima che io salpi per la Florida.»
«Una parola, cavaliere.»
«Pariate, signora.»
«Se Honorata fosse viva... cosa
fareste del duca, di suo padre?»
Il Corsaro la guardò fisso, a
lungo, poi disse:
«Credete voi, signora, che le
anime dei miei fratelli siano placate? Quando il mare diventa fosforescente il
Corsaro Rosso ed il Verde, le vittime del duca, rimontano a galla: essi
chiedono vendetta.
Quando l'uragano viene
dall'oriente, in mezzo alle urla del vento, io odo una voce che viene dalle
spiagge della Fiandra: è quella di mio fratello maggiore, assassinato a
tradimento dal duca e quella voce chiede pure vendetta.»
La marchesa provò un brivido.
Il Corsaro, dopo un breve
silenzio, proseguì:
«Fra cinque giorni sarà un anno
che la salma del Corsaro Rosso, staccata da me dalla forca di Maracaibo è scesa
negli abissi del mare. Se quella notte il mare fiammeggerà Wan Guld non avrà
grazia da me.»
«E Honorata?» chiese la marchesa.
«Il mio destino è scritto,»
rispose il Corsaro con voce triste, «ma io sono pronto a sfidarlo.»
«Cosa volete dire, cavaliere?»
Il Corsaro invece di rispondere
le strinse la mano, poi uscì a rapidi passi senza aggiungere sillaba.
Nel giardino lo aspettavano i
filibustieri con Carmaux, Moko e Wan Stiller.
«Che gli uomini della Folgore se
ne vadano,» disse. «Rimangano solo i miei fidi.»
Stava per inoltrarsi nel gran
viale seguito da Carmaux, dal negro e dall'amburghese, quando fu veduto
arrestarsi.
«E Yara?» mormorò con un sospiro.
Ritornò sui proprii passi e
rientrò nella sala pianterrena del palazzo. La marchesa di Bermejo era ancora
là, appoggiata ad una sedia, triste, pensierosa.
«Dov'è?» le chiese il Corsaro,
con un leggero tremito. «Voglio vederla un'ultima volta.»
«Seguitemi, cavaliere,» rispose
la spagnuola, che l'aveva compreso.
Lo guidò in una stanza attigua,
riccamente ammobiliata.
Adagiata su di un sofà di velluto
verde, fra due alti candelieri e coperta di un lenzuolo di fiandra, giaceva la
povera indiana.
I suoi lineamenti delicati non
erano stati alterati dagli ultimi spasimi della morte. Pareva che dormisse o
che sognasse, poiché le labbra erano schiuse ad un lieve sorriso.
Un filo di sangue era uscito al
disotto del lenzuolo e si era raggrumato sul tappeto.
Il Corsaro contemplò, con triste
sguardo, quel bel viso, poi, curvandosi sulla morta, le impresse sulla fronte
un ultimo bacio, mormorando:
«Tu pure sarai vendicata, Yara;
il Corsaro manterrà il giuramento.»
Poi fuggì e raggiunse i suoi
uomini, come se avesse voluto nascondere alla marchesa la profonda emozione che
gli aveva alterato il volto.
«Venite,» disse con voce brusca a
Carmaux ed ai suoi due compagni.
Attraversò quasi correndo il
giardino e si cacciò fra le viuzze della città, dirigendosi verso la piazza
maggiore.
Quantunque la notte cominciasse a
calare, il saccheggio continuava da parte dei filibustieri. In ogni casa che
entravano, gettavano alla porta gli abitanti, costringendoli, con minacce di
morte, ad abbandonare i loro averi ed a lasciare la città, sicché le vie erano
ingombre di fuggiaschi.
Il Corsaro pareva che nulla
vedesse. Continuava a camminare a passi rapidi, immerso in profondi pensieri,
cercando solamente di farsi largo fra i fuggenti. Carmaux ed i suoi compagni lo
seguivano con non poca fatica, sagrando contro la gente che ostacolava la loro
corsa.
«Vedremo dove si fermerà,» diceva
Carmaux. «Il capitano è in burrasca!... Per bacco! Non l'ho mai veduto correre
in questo modo!»
«Sarà successo qualche cosa di
grave,» diceva l'amburghese. «Quando il capitano è uscito dal palazzo, mi
pareva sconvolto.»
«Chissà che rabbia gli bolle
dentro, amico Stiller. Capirai che non deve essere lieto di aver perdute le
tracce di quel dannato duca.»
E l'aveva già sulla punta della
spada!...
«Già la terza volta che ci guizza
di mano. Prima a Maracaibo, poi a Gibraltar ed ora qui.»
«Finirà però per cadere nelle
nostre mani,» concluse Carmaux.
Erano allora giunti sulla piazza
maggiore, dove i filibustieri avevano stabilito il loro quartier generale.
La vasta piazza era ingombra di
prigionieri, di artiglierie, di armi e di ammassi di merci rubate dai grandiosi
depositi delle dogane.
Duecento filibustieri, armati di
fucili, avevano occupato il piazzale del palazzo del governatore per impedire,
da parte dei prigionieri, qualsiasi tentativo di ribellione e altri cento
avevano circondata la cattedrale, nel cui interno erano stati chiusi i
personaggi più ragguardevoli della città e dai quali si contava di trarre dei
grossi riscatti.
Ad ogni istante giungevano
drappelli di filibustieri, con nuovi prigionieri, o spingendosi innanzi colonne
di schiavi negri o di mulatti carichi di merci preziose o di viveri che
venivano tosto consumati dai corsari di guardia.
«Dov'è Grammont? - chiese il
Corsaro ad un filibustiere che era seduto su di un barile di polvere, tenendo
in mano una miccia accesa.
«Nel palazzo del governatore,
cavaliere,» rispose la sentinella.
«E Laurent?»
«Tiene sempre il forte.»
«E Wan Horn?»
«Guarda il presidio di San
Giovanni de Luz.»
Il Corsaro attraversò la piazza ed
entrò nel palazzo del governatore, una costruzione massiccia che aveva
l'aspetto d'un forte e che nondimeno aveva capitolato al primo assalto dei
filibustieri, quantunque difesa da un presidio numeroso. In una sala, già per
metà piena di verghe d'oro e d'argento e di gioielli preziosi, frutto del
saccheggio, trovò il gentiluomo francese.
«L'oro affluisce come un fiume,
cavaliere,» disse Grammont, appena scorse il Corsaro. - Ne abbiamo già per
quattro milioni di piastre.»
Non sono venuto qui per contemplare
le ricchezze di Vera-Cruz.»
«Lo so,» disse il francese,
ridendo. «Mi rincresce dirvelo, il vostro nemico non si è trovato fra i prigionieri.
Però quando il saccheggio sarà finito, farò frugare tutte le case della città.
In qualche nascondiglio noi lo troveremo, cavaliere.»
«Sarebbe tempo sprecato.»
«E perché?»
«È già al largo.»
«Partito!» esclamò il signor di
Grammont, con stupore.
«Sì, a bordo d'un legno che si
chiama l'Escurial.»
«E quando?»
«Fino da ieri sera.»
«E voi?»
«Mi preparo ad inseguirlo,»
rispose il Corsaro, con tono risoluto.
«Ci lasciate?»
«Non ora però. Devo fare qualche
cosa d'altro in Vera-Cruz e venivo in cerca di voi per
consigliarmi.»
«Cosa volete tentare ancora?»
«Devo recarmi a S. Giovanni de Luz.»
«Nel forte!» esclamò il
gentiluomo francese, facendo un atto di stupore.
«Sì, Grammont.»
«Quale pazzia state per
commettere?»
«Non è una pazzia; devo andarci
per avere una informazione urgente.»
«Che riguarda il duca?»
«Lui e... Honorata.»
«La fiamminga?... Che sia vera la
leggenda?»
«Si dice che sia viva.»
«Lo credete?»
«Ve lo dirò quando avrò parlato
coll'uomo che si trova nel forte di San Giovanni.»
«Vi sono gli spagnuoli nella
rocca.»
«Lo so.»
«Vi andrò egualmente.»
«Vi prenderanno.»
«Forse no.»
«Avete qualche talismano?»
«Un semplice biglietto che farò
recapitare all'uomo che desidero interrogare.»
«E da chi?»
«Da qualche soldato spagnuolo.»
«Ne abbiamo tre o quattrocento
fra i prigionieri.»
«Benissimo: ora ascoltatemi, di
Grammont. Se io domani, all'alba, non dovessi ritornare, ritenetemi come morto
o, alla meno peggio, prigioniero.»
«Allora so che cosa mi resta a
fare.»
«Spiegatevi, di Grammont.»
«Preparare i miei filibustieri
per l'assalto della rocca.»
«Voi non lo farete.»
«Non ora, ma domani mattina. Se
all'alba voi non sarete qui, io, Laurent e Wan Horn daremo la scalata alla
rocca e vivaddio la prenderemo, malgrado il presidio ed i sessanta cannoni che
la difendono.»
«Non voglio che si sacrifichino
inutilmente i nostri uomini. Se io non sarò di ritorno, avvertirete Morgan
d'incrociare al largo colla mia Folgore, per una settimana intera, dopo
la quale andrà dove vorrà.»
«E voi credete, cavaliere, che i
nostri filibustieri se ne andrebbero tranquilli, sapendovi nelle mani degli
spagnuoli? Non speratelo.»
«Faranno ciò che vorranno.
D'altronde non sarò così sciocco da lasciarmi prendere.
Agirò con prudenza. Orsù, datemi
un prigioniero.
Il signor di Grammont uscì e poco
dopo rientrava conducendo un giovane soldato spagnuolo. Il povero uomo, credendo
forse che lo si volesse fucilare, era pallido come un cencio lavato e guardava
il filibustiere con occhi terrorizzati.
«Eccone uno che può fare per voi,
» disse Grammont, spingendolo verso il signor di Ventimiglia.
Questi lo guardò per qualche
istante, poi ponendogli una mano su una spalla, gli disse: «Io ti accordo la
libertà senza riscatto, non solo, ma ti regalo cinquecento piastre se mi rendi
un servizio.»
«Parlate, signore,» disse lo
spagnuolo, rinfrancato da quelle parole.
«Tu conosci la marchesa di
Bermejo.»
«E chi non la conosce in
Vera-Cruz?»
«E Diego Sandorf?»
«Il confidente del duca
fiammingo?»
«Sì.»
«Lo conosco, signore.»
«Tu ti recherai all'istante al forte
di S. Giovanni de Luz e consegnerai al signor Sandorf questo biglietto. Gli
dirai che glielo manda la marchesa di Bermejo. Io aspetterò la tua risposta
alla base del torrione di levante, dal lato del golfo e riceverai le
cinquecento piastre. Bada però che se tu cerchi di tradirmi, noi espugneremo il
forte per farti morire fra i più atroci tormenti.»
«Preferisco la libertà e le
cinquecento piastre, signore.»
«Alla mezzanotte ti troverai
all'appuntamento.»
«Vi prometto che vi sarò,
signore.»
«Va'!»
«Mi lasceranno il passo libero i
filibustieri?»
Grammont chiamò un corsaro che
era ritornato portando un cesto di verghe d'argento.
«Ehi, amico,» gli disse.
«Accompagna questo prigioniero fino ai nostri avamposti. Dirai a Wan Horn che
porta ordini del signor di Ventimiglia.»
Poi volgendosi verso il Corsaro
che stava per uscire dietro al soldato:
«Siate prudente, cavaliere.»
«Lo sarò, di Grammont.»
«Spero di rivedervi prima
dell'alba.»
«Se la sorte non avrà disposto
diversamente.»
«In tal caso noi espugneremo la
rocca e vi libereremo o vi vendicheremo.»
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