21 - LA
SCALATA A SAN GIOVANNI DE LUZ
Tre ore dopo, quando i
filibustieri, stanchi di saccheggio, si accampavano alla meglio sui bastioni
della città e nelle piazze maggiori, una piccola barca montata da quattro
uomini si staccava dalla spiaggia, avanzandosi rapidamente nel piccolo golfo.
La notte era oscurissima e cattiva. Un forte vento soffiava dalla parte del
grande golfo, spingendo sopra le dighe delle grosse ondate, le quali andavano
ad infrangersi, con lunghi muggiti, contro le navi ancorate lungo le calate e
contro i numerosi barconi.
Quella scialuppa era montata dal
Corsaro Nero e dai suoi tre valorosi marinai. Il primo si era coperto il viso
con una piccola maschera di seta nera e si era avvolto il corpo in un ampio
mantello pure nero; gli altri avevano indossati costumi spagnuoli. Tutti
avevano la spada al fianco e alla cintura un paio di pistole. Moko alla sua,
aveva aggiunta una scure.
Il Corsaro teneva la barra del
timone; gli altri tre remavano vigorosamente per vincere la violenza delle
onde.
Nel porto l'oscurità era
completa, non brillando alcun lume sulle navi ancorate. Solamente all'estremità
della diga, al disotto del forte, scintillava, ad intervalli, la luce verde e
bianca del faro. Di quando in quando però, all'orizzonte, un rapido lampo
illuminava fugacemente il mare tempestoso, seguito da un lontano rullìo.
Il Corsaro, ogni volta che quella
luce livida rompeva le tenebre, alzava vivamente la testa guardando la massa
imponente del forte di San Giovanni de Luz, giganteggiante in alto coi suoi
formidabili bastioni, ed i suoi torrioni merlati.
La scialuppa rollava
disperatamente sotto gli incessanti colpi di mare, ora affondando negli avvallamenti
ed ora librandosi sulle creste spumeggianti. Certi momenti subiva tali scosse
che i tre marinai correvano il pericolo di venire sbalzati fuori dal bordo.
Sotto però quei poderosi colpi di
remo, riuscì a superare la bocca del porto, mettendosi tosto al riparo sotto la
diga.
Giunta all'estremità, superò
l'ultimo tratto, giungendo sotto le scogliere del forte, e precisamente alla
base dell'alta torre di levante.
«Pronti a prendere terra,» disse
il Corsaro.
Con un'ultima spinta la scialuppa
si cacciò in una specie di caletta che s'apriva sotto il torrione.
Carmaux si slanciò sulla
scogliera tenendo stretta la fune e la legò saldamente alla sporgenza d'una
roccia.
Il Corsaro, Moko e l'amburghese
sbarcarono.
In quel momento un lampo ruppe le
tenebre, illuminando il porto.
«Il soldato!» esclamò Carmaux, il
quale si era arrampicato su di una specie di piattaforma che s'estendeva alla
base del torrione.
Un uomo si era alzato dietro una
roccia, muovendo verso i filibustieri.
«Siete le persone che attendono
al forte? - chiese.
«Sì, siamo noi,» rispose il
Corsaro, facendosi innanzi. «Hai consegnata la lettera della marchesa a Diego
Sandorf?»
«Sì, signore,» rispose il
soldato.
«E che cosa ti ha detto?»
«Che è a vostra disposizione.»
«Dove ci aspetta?»
«Sulla terrazza del torrione.»
«Perché non è venuto qui?»
«Non avrebbe potuto abbandonare
il forte senza che venisse notata la sua assenza, ed essendo uno dei
comandanti, non ha osato farlo.»
«Chi crede che noi siamo?»
«Spagnuoli, amici della marchesa
di Bermejo.»
«Non ha alcun sospetto?»
«No, signore, di questo sono
certo.»
«Come faremo a salire sul
torrione?» chiese il Corsaro.
«Sandorf ha gettato una scala di
corda.»
«Sta bene: saliremo.»
«Devi fare qualche segnale a
Sandorf per annunciargli il nostro arrivo?»
«Sì, signore.»
«Affrettati a farlo, poi monterai
la scala dinanzi a noi.»
Lo spagnuolo accostò due dita
alle labbra e mandò un fischio acuto.
Un momento dopo sulla cima del torrione
si udì un fischio simile, che si confuse tra il rullare del tuono.
«Ci aspetta,» disse il soldato.
«Cammina davanti a noi e non
dimenticare che io non ti perderò di vista un solo istante» disse il Corsaro.
Attraversarono la piccola
spianata e giunsero alla base del torrione. Colà scorsero una scala di corda
che pendeva lungo le pareti massicce. Carmaux alzò la testa, guardando le
merlature che si distinguevano vagamente fra le tenebre.
«Che scalata!» esclamò,
rabbrividendo. «Non vi sono meno di quaranta metri dai merli alla base.»
Anche il Corsaro pareva che fosse
rimasto un po' impressionato dall'altezza di quel gigantesco torrione.
«Dobbiamo andare molto in alto,»
disse.
Poi volgendosi verso Carmaux che
esaminava, da uomo che se ne intende, la scala:
«È solida?» gli chiese.
«Le funi sono nuove e d'una
notevole grossezza.»
«Ci potranno sopportare tutti?»
«Anche se fossimo in numero
maggiore.»
«Monta,» comandò il Corsaro al
soldato. «Se ci faranno fare un capitombolo, verrai anche tu nell'abisso.»
«Sandorf ignora chi voi siete,»
rispose lo spagnuolo. «Mi sono guardato bene dal dirglielo, premendomi la
pelle.»
Si aggrappò alla scala e cominciò
a salire senza dar segni di esitazione. Il Corsaro gli si era messo dietro, poi
venivano Carmaux, Wan Stiller e ultimo il negro.
La salita non era facile. Il
vento che soffiava fortemente, investiva la scala facendola ondeggiare vivamente
e sbattendo i cinque uomini contro la parete del torrione.
Di quando in quando essi erano
costretti a fermarsi e puntare i piedi contro i mattoni per frenare quelle
scosse.
Di passo in passo che s'alzavano,
una viva ansietà s'impadroniva dei filibustieri. La paura di fare, da un
momento all'altro, uno spaventevole capitombolo, si era fortemente radicata nei
loro cuori, sapendo di trovarsi in piena balìa dei loro nemici.
Carmaux sudava freddo;
l'ambughese aveva dei brividi che non riusciva a frenare; il negro era diventato
pensieroso.
Anche il Corsaro non era
tranquillo e quasi quasi si pentiva di aver intrapresa quell'audace spedizione.
A metà altezza si erano tutti
arrestati. La scala aveva subita una oscillazione violentissima e che pareva
provenisse dall'alto.
«Che sia questo il momento del
capitombolo? - si chiese Carmaux, aggrappandosi disperatamente ad una pietra
che sporgeva dalla muraglia.
«È il vento,» disse il Corsaro,
tergendosi colla sinistra alcune stille di sudore freddo. «Avanti!»
«Aspettate un momento, signore,»
disse lo spagnuolo la cui voce tremava. «Mi pare che la mia testa giri.»
«Stringi forte la corda se non
vuoi precipitare nell'abisso.»
«Accordatemi un momento di
riposo, signore. Io non sono un marinaio.»
«Un solo minuto, non di più,»
disse il Corsaro. «Ho fretta di giungere sulla piattaforma della torre.»
«Ed anch'io, capitano,» disse Carmaux.
«Amerei meglio trovarmi a cavalcioni d'un pennone di contrapappafico durante un
abbordaggio, che qui!»
S'aggrappò strettamente alla
scala e guardò giù.
L'abisso stava sotto di lui,
pronto ad inghiottirlo, nero come il fondo d'un pozzo. Non si vedeva più nulla;
si udivano solamente i muggiti delle onde che pareva fossero diventati più
spaventosi.
Sopra la sua testa invece, il
vento ululava sinistramente fra i merli del torrione e le corde della scala.
«Se esco sano e salvo da questa
terribile situazione, manderò un cero alla cattedrale di
Vera-Cruz,» mormorò.
«Avanti,» disse in quel momento
il Corsaro.
Lo spagnuolo che si era un po'
riposato, riprese la scalata, aggrappandosi strettamente alle corde.
Il Corsaro si teneva pronto a sorreggerlo,
temendo che da un momento all'altro lo cogliesse un capogiro.
Finalmente con un ultimo sforzo
il soldato giunse sull'orlo superiore del torrione.
«Aiutatemi,» disse, vedendo
apparire fra i merli un uomo. Questi stese le braccia e lo trasse sulla
piattaforma. Il Corsaro che non soffriva le vertigini s'aggrappò all'orlo del
merlo più vicino e balzò agilmente sulla torre, mettendo subito mano alla
spada.
L'uomo che aveva aiutato il
soldato, gli era mosso incontro, dicendogli:
«Siete voi l'amico della marchesa
di Bermejo?»
«Sì,» rispose il Corsaro,
tirandosi da un lato per lasciar posto ai suoi uomini già giunti fra i merli.
Si guardarono entrambi per
qualche istante, con una certa curiosità. Diego Sandorf, il confidente del
duca, era di statura piuttosto bassa, con spalle molto larghe, braccia
muscolose. Dimostrava cinquant'anni. I suoi capelli e la sua barba erano
brizzolati; i suoi lineamenti piuttosto duri; i suoi occhi piccoli e grigi come
quelli d'un gatto, con un certo lampo color dell'acciaio.
Sbirciò il Corsaro dalla testa ai
piedi, alzando una lanterna che aveva presa fra i merli, onde osservarlo
meglio, poi disse con un certo malumore:
«Non era necessario che vi
copriste il viso colla maschera; come vedete io mostro il mio volto.
«Le precauzioni non sono mai
troppe,» si limitò a rispondere il Corsaro.
«Chi sono questi uomini? »chiese
Sandorf, indicando Carmaux e gli altri.
«Miei marinai.»
«Ahi voi siete allora un capitano
di marina.»
«Sono un amico della marchesa di
Bermejo,» rispose asciuttamente il Corsaro.
«Che desiderate sapere da me?»
«Una cosa della massima
importanza.»
«Sono ai vostri ordini, signore.»
«Io so che voi sapete qualche
cosa della figlia del duca Wan Guld, della signorina Honorata.»
Diego Sandorf aveva fatto un
gesto di stupore.
«Perdonate,» disse, «ma io
desidererei prima sapere chi siete voi per interessarvi della figlia del duca.»
«Per ora sono un amico della
marchesa di Bermejo; più tardi, in altro luogo, non qui, vi dirò chi io sono.»
«Sia pure. Ditemi allora cosa
desiderate sapere.»
«Volevo chiarire se era vera la
voce che la signorina Honorata sarebbe ancora viva.»
«Ed a quale scopo?»
«Ho una nave e degli uomini
risoluti e potrei riuscire, meglio di qualunque altro forse, a rintracciare la
giovane duchessa.»
«Allora voi siete un amico del
duca per interessarvi tanto di sua figlia?»
Il Corsaro non rispose. Diego
Sandorf interpretò quel silenzio come un'affermazione e prosegui.
«Allora ascoltatemi.
Due mesi or sono, io mi trovavo
in missione all'Avana, quando un giorno venne da me un marinaio dicendomi di
aver da farmi delle comunicazioni della massima importanza. Credetti dapprima
che si trattasse di qualche confidenza riguardante i filibustieri della Tortue,
invece si trattava di Honorata Wan Guld. Avendo saputo che io ero il confidente
del duca, erasi deciso a venirmi a trovare per darmi delle preziose
informazioni sulla giovane duchessa. Seppi adunque da lui che la tempesta,
scoppiata la notte in cui il Corsaro Nero l'aveva abbandonata in una scialuppa
per vendicarsi del duca, l'aveva risparmiata. La nave che montava quel marinaio
aveva incontrata la giovane duchessa a sessanta miglia dalla costa di Maracaibo
e l'aveva raccolta, non ostante l'infuriare delle onde. La caravella doveva
recarsi nella Florida e la condusse con sé. Disgraziatamente era allora l'epoca
degli uragani. La caravella, giunta presso le coste meridionali della Florida,
naufragò sulle scogliere e l'equipaggio fu massacrato dai selvaggi. Solamente
il marinaio che venne a trovarmi era sfuggito miracolosamente alla morte,
essendosi tenuto nascosto fra i rottami della nave, cioè non lui solo. Anche la
giovane duchessa era stata risparmiata. Quei selvaggi, colpiti forse dalla sua
bellezza, invece di trucidarla le avevano manifestato segni non dubbi di un
rispetto straordinario. Dal suo nascondiglio, il marinaio vide quei feroci
antropofaghi inginocchiarsi dinanzi alla giovane duchessa, come se fosse
qualche divinità del mare, quindi adagiarla su di un palanchino adorno di penne
e di pelli di caimano e condurla con loro.
Il marinaio vagò parecchie
settimane su quella costa inospitale, finché, trovato un canotto abbandonato
fra le sabbie, potè prendere il largo e farsi raccogliere da una nave che
veniva da S. Agostino della Florida.
Ecco, signore, quanto ho potuto
sapere.»
Il Corsaro Nero l'aveva ascoltato
in silenzio, col capo chino sul petto e le braccia strettamente incrociate.
Quando Diego Sandoff ebbe finito, alzò vivamente la testa, chiedendogli con un
accento che tradiva una viva ansietà:
«Avete creduto a questa istoria?»
«Sì, signore. Quel marinaio non
aveva alcuno iscopo per inventarla.»
«Ed il duca non ha subito mandata
qualche nave a cercarla?»
«Egli si trovava qui in
quell'epoca e non potei informarlo che pochi giorni fa, cioè subito dopo il mio
arrivo.»
«Eppure don Pablo de Ribeira
aveva pur saputo qualche cosa.»
«Come conoscete don Pablo?»
chiese Sandorf, con stupore.
«Sono andato a trovarlo alcune
settimane or sono.»
«L'avevo informato io,» disse il
fiammingo. «Credendo che il duca si trovasse nei suoi possedimenti di Puerto
Limon, mi ero prima recato colà, mentre egli invece era già partito per
Vera-Cruz.»
«Mi hanno detto che il duca si è
imbarcato l'altra notte per la Florida.»
«È vero, signore.»
«Non si fermerà in alcun luogo
prima di recarsi laggiù?»
«Credo che si arresterà a
Cardenas, nell'isola di Cuba, dove ha molte possessioni e molti interessi da
regolare.»
«Voi mi avete detto che la
caravella è naufragata sulle coste meridionali della Florida.»
«Sì, signore,» rispose Sandorf.
Il Corsaro gli stese la mano,
dicendogli:
«Grazie: se domani scenderete a
Vera-Cruz, vi dirò il mio nome.»
«Vi sono i filibustieri in
città.»
«Domani non vi saranno più.»
Poi volgendosi verso i suoi
uomini disse:
«Andiamo.»
Carmaux, che aveva già fatto il
giro della piattaforma per accertarsi che non vi erano soldati nascosti, scese
per primo, poi dietro di lui Wan Stiller, quindi il Corsaro e ultimo Moko.
Erano già discesi di dieci o
dodici metri, quando un grido sfuggi a Carmaux.
«Fulmini!» esclamò. «Ed il
soldato?»
«È rimasto sul torrione!» gridò
Wan Stiller.
«Ci tradisce!»
Il Corsaro Nero s'era arrestato.
Se il soldato, che doveva ricevere le piastre promessegli alla base del
torrione non li aveva seguiti, v'era da temere un tradimento. La paura che la
scala potesse venire tagliata, precipitandoli tutti nell'abisso che muggiva
sotto i loro piedi, gelò il sangue nelle loro vene.
«Risaliamo!» gridò il Corsaro.
«Presto, se vi preme la vita.»
S'aggrappano alla scala e
rimontano precipitosamente.
Moko, che era il primo,
s'aggrappò al merlo più vicino. Aveva appena appoggiate le mani quando udì una
voce a dire:
«Siamo ancora in tempo per farli
cadere!»
Il negro d'un balzo si slanciò
fra i merli ed impugnò la scure.
Due uomini attraversavano in quel
momento la piattaforma, dirigendosi precisamente là dove era legata la scala.
Erano il soldato spagnuolo e
Diego Sandorf.
«Indietro, miserabili!» gridò il
negro, alzando la scure.
Lo spagnuolo ed il fiammingo,
sorpresi da quell'improvvisa apparizione, s'arrestarono. Quel momento bastò per
lasciare tempo al Corsaro ed ai suoi due marinai di raggiungere le cime del
torrione.
Carmaux, vedendo una colubrina,
d'un colpo solo la fece girare puntandola verso le piattaforme delle alte torri
e accese rapidamente una miccia, mentre il Corsaro si slanciava verso Diego
Sandorf colla spada in pugno.
«Cosa volete ancora?» chiese il
fiammingo, che aveva pure snudata la spada.
«Dirvi che siete giunto troppo
tardi per precipitarci nell'abisso,» rispose il Corsaro.
«Chi vi ha detto questo?» chiese
Sandorf, fingendosi stupito.
«Vi ho udito, signor Sandorf,
quando dicevate allo spagnuolo: Siamo ancora in tempo per farli cadere».
«Voi siete il Corsaro Nero, è
vero?» chiese il fiammingo, coi denti stretti.
«Sì, il nemico mortale del duca
vostro signore,» rispose il cavaliere, levandosi la maschera.
«Allora vi uccido!» gridò il
fiammingo, caricandolo furiosamente.
Nel momento che lo attaccava, il
soldato erasi gettato giù dalla piattaforma, saltando su di un ponte che
comunicava con un secondo torrione.
«All'armi!» aveva gridato a piena
gola. «I filibustieri!...»
«Ah!... canaglia!» gridò Wan
Stiller, precipitandoglisi dietro.
Il Corsaro, a cui premeva
sbarazzarsi del fiammingo per organizzare la difesa della piattaforma o tentare
la discesa del torrione, se ne avevano il tempo, aveva caricato con grande
impeto l'avversario, costringendolo a retrocedere verso il ponte.
Il fiammingo si difendeva
vigorosamente, ma non era della forza del Corsaro, quantunque fosse un abile
spadaccino.
Giunto presso il primo gradino
del ponte, fu costretto a voltarsi indietro per non cadere. Il Corsaro, pronto
come la folgore, gli allungò una stoccata fra le costole, facendolo ruzzolare
giù dalla scala.
«Avrei potuto passarvi da parte a
parte,» gli disse. «Vi ho risparmiata la vita perché m'avete date delle
informazioni preziose e perché siete amico della marchesa.»
Era tempo che si fosse sbarazzato
di quell'avversario. Moko e Wan Stiller, che non avevano potuto raggiungere il
soldato, tornavano correndo, mentre su tutte le piattaforme e sui bastioni si
udivano le sentinelle a gridare:
«All'armi!... All'armi!... I
filibustieri!»
Il Corsaro aveva gettato attorno
a sé un rapido sguardo. In un angolo della piattaforma aveva scorto una scala
di pietra che pareva conducesse nell'interno del torrione.
«Cerchiamo un riparo,» disse.
«Fra poco le artiglierie del forte fulmineranno questo luogo.»
«Se fuggissimo per la scala di
corda?» chiese Carmaux. «Forse ne avremmo il tempo.»
«È troppo tardi,» rispose Wan
Stiller. «Gli spagnuoli vengono!...»
«Signore,» disse Carmaux,
volgendosi verso il Corsaro. «Salvatevi!...»
«Noi non ci arrenderemo finché
voi non sarete giunto nella scialuppa.
«Abbandonarvi!» gridò il Corsaro.
«Mai!...»
«Affrettatevi, capitano,» disse
Wan Stiller. «Siete ancora in tempo per salvarvi!...»
«Mai!» ripetè il Corsaro, con
incrollabile fermezza. «Io rimango con voi. Venite, ci difenderemo come leoni e
aspetteremo l'assalto dei filibustieri di Grammont.»
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