23 - LA
PRESA DI SAN GIOVANNI DE LUZ
Wan Stiller, appena giunto sulla
scogliera che si prolungava alla base del torrione, non aveva perduto tempo.
Comprendendo che il Corsaro ed i
suoi due compagni non avrebbero potuto opporre una lunga resistenza al numeroso
presidio del forte, era subito balzato nella scialuppa che aveva ritrovata
nella piccola cala e si era messo ad arrancare con lena affannosa, dirigendosi
verso la calata centrale della città.
Soffiando il vento dalla parte
del golfo, la scialuppa veniva portata dalle onde che irrompevano attraverso le
dighe, spingendola verso terra. Senza questa circostanza, l'amburghese,
quantunque robustissimo, avrebbe dovuto impiegare parecchio tempo a condurre da
solo la scialuppa fino alla più prossima gettata.
Era già giunto a metà della rada,
quando volgendo lo sguardo intorno, si accorse di una grossa scialuppa la quale
seguiva esattamente la sua rotta.
«Che gli spagnuoli mi abbiano
seguito?» pensò.
Stava per gettarsi fra i barconi
ancorati nella rada, quando udì una voce a gridare:
«Ehi, alt o facciamo fuoco!»
L'amburghese udendo quella voce
aveva ritirati i remi.
«Luserni!» esclamò. «Ohe! Siete
della Folgore?»
«Toh!» esclamò la medesima voce. «Che uno squalo mi
divori vivo se quell'uomo non è l'amburghese!»
La grossa scialuppa che era
montata da dodici marinai, con un'ultima spinta aveva abbordata l'imbarcagione
dell'amburghese ed un uomo si era slanciato a prora, gridando con un
marcatissimo accento ligure:
«Sei proprio tu, Wan Stiller?»
«Sì, mastro Luserni.»
«Ed il cavaliere?»
«Sta per essere preso.»
«Dici?...»
«Che se non prendiamo il forte,
il signor di Ventimiglia cadrà nelle mani degli spagnuoli.»
In quel momento un colpo di
colubrina rimbombò sulla torre di levante di San Giovanni de Luz.
«È Carmaux che sbaraglia gli
spagnuoli,» disse Wan Stiller. «Ma non sono che in tre e non hanno che una sola
carica. Dammi due dei tuoi uomini mastro e tu corri ad avvertire Morgan. Il
capitano è rinchiuso nella torre di levante.»
«E tu dove vai?»
«Ad avvertire il signor di Grammont.
All'alba i filibustieri daranno l'assalto al forte. Vieni dal mare?»
«Sì,» rispose il ligure. «Mi ha
mandato il signor Morgan per avere ordini dal capitano.»
«Dove si trova la Folgore?»
«Incrocia dinanzi alla rada.»
«Dirai al signor Morgan d'assalire
il forte dalla parte del mare, mentre il signor di Grammont lo attaccherà dalla
parte di terra. Addio e non perdere tempo!...»
«Due uomini con Wan Stiller,»
disse il mastro. «Pronti a riprendere il largo!»
Un momento dopo l'imbarcazione
dell'amburghese, rinforzata da due robusti rematori, correva verso la gettata,
mentre la grossa scialuppa riprendeva la lotta contro le onde, dirigendosi
verso le dighe del porto. Appena sbarcato, l'amburghese si volse verso i due
filibustieri dicendo loro:
«Recatevi subito al palazzo del
governatore ed avvertite il signor di Grammont che il Corsaro Nero si trova
assediato nella torre di levante. Fra poco vi raggiungerò anch'io.
Poi partì correndo, cercando di
orientarsi fra le numerose vie della città che conosceva a malapena.
Non fu cosa facile ritrovare il
palazzo della marchesa di Bermejo, ma finalmente riuscì a giungervi.
Nel momento in cui entrava nel
giardino, due uomini che montavano due bellissimi e vigorosi cavalli, stavano
per uscire.
«Dov'è la marchesa?» chiese Wan
Stiller.
«È partita,» rispose uno dei due.
«Da quando?»
«Da tre ore.»
«Non cercate d'ingannarmi,» disse
l'amburghese, con voce minacciosa. «Ho da farle una comunicazione della massima
importanza.»
«Vi ripeto che è partita.»
«Per dove?»
«Per Tampico, da cui s'imbarcherà
per la Spagna.»
«La rivedrete voi?»
«Andiamo a raggiungerla.»
«Le direte che tutto è stato
scoperto, che Sandorf è stato gravemente ferito e che il signor di Ventimiglia
si trova assediato e che aspetta il signor di Grammont.»
«Io sono il suo maggiordomo,»
disse lo spagnuolo che aveva parlato. «Le vostre parole le saranno riferite.»
«Ditele che io sono stato mandato
espressamente dal signor di Ventimiglia per avvertirla del tradimento e che si
guardi.»
Poi uscì sempre correndo, dal
giardino, mormorando:
«Una donna astuta, quella
marchesa. Ha preso in tempo le sue precauzioni.
Quando giunse al palazzo del
governo stava per albeggiare.
Una viva agitazione regnava sulla
vasta piazza. Bande di filibustieri giungevano da tutte le parti, trascinando
cannoni, rotolando barili di polvere, portando scale lunghissime tolte dalle
chiese.
Ufficiali e mastri d'equipaggio
entravano ed uscivano dal palazzo del governo, mentre nelle vicine vie si
udivano le trombe ed i tamburi suonare a raccolta. Di quando in quando dei
grossi drappelli partivano a passo di corsa, dirigendosi verso l'estremità
della rada, dove giganteggiava la massa imponente di San Giovanni de Luz.
«Grammont è uomo di parola,»
mormorò Wan Stiller. «Si prepara ad espugnare il forte.»
Si aprì il passo fra i
filibustieri che entravano e uscivano dal palazzo del governatore e salì nella
sala che guardava sulla piazza, dove vide Grammont discutere animatamente con
Laurent e con parecchi comandanti di navi.
Il gentiluomo francese appena lo
vide gli mosse sollecitamente incontro, esclamando:
«Finalmente!... Cosa è accaduto
adunque al signor di Ventimiglia? I due marinai che mi hai mandato ne sapevano
quanto me.»
«Quando l'ho lasciato, la guarnigione
del forte si preparava ad assalirlo, signore,» rispose Wan Stiller.
«Che sia già stato preso?»
«Ne dubito, signore. Stava per
barricarsi in una stanza del torrione di levante.»
«Orsù, Laurent, non perdiamo
tempo e prepariamoci ad assalire vigorosamente il forte.»
Stava per uscire, quando alcuni
colpi di cannone rimbombarono dalla parte del porto.
«Che significa ciò?» si chiese,
arrestandosi. «Che i nostri uomini abbiano già cominciato l'attacco senza
attendere noi?»
«Ve lo dico io, signore,» disse
Wan Stiller. «Queste sono cannonate della Folgore.»
«Anche la nave del Corsaro Nero è della partita?»
«Sì, signore; ho fatto avvertire
Morgan.»
«Ecco un potente aiuto sul quale
io non avevo contato.»
Poi volgendosi verso i numerosi
ufficiali che ingombravano la sala, gridò:
«Andiamo, signori!... L'attacco è
cominciato!»
Le bande dei filibustieri si
erano già ammassate sulla penisoletta, alla cui estremità s'ergeva il forte di
San Giovanni de Luz, e si erano preparate per dare l'assalto alle torri di ponente,
le quali presentavano minor robustezza di quelle che guardavano la baia di
Vera-Cruz. Quei torrioni però, rinforzati da bastioni
merlati altissimi e da lunette, e armati da numerosi cannoni di grosso calibro,
avevano un aspetto così imponente da spaventare i più audaci filibustieri.
L'alba era appena sorta, quando i
filibustieri, armati solamente di pistole e di sciabole d'arrembaggio,
cominciarono ad avanzare sotto la condotta di Laurent e di Grammont.
Quantunque tutti avessero compreso
le gravi difficoltà che presentava quell'impresa, pure quegli arditi uomini
avevano accettato con entusiasmo la proposta fatta loro dai capi, trattandosi
di liberare il Corsaro Nero, il più popolare ed il più amato di tutti i
filibustieri della Tortue.
Grammont e Laurent, d'accordo con
Wan Horn, il quale era stato incaricato di sorvegliare la città, onde impedire
una sollevazione da parte degli abitanti, avevano deciso di assalire il
formidabile castello da due parti, per dividere il presidio.
Il primo però doveva dare
vigorosamente l'assalto, mentre il secondo, che aveva minor numero d'uomini,
doveva limitarsi a tormentare i difensori e minacciare i torrioni che
guardavano verso il mare. Erano le sette quando le squadre di Grammont giunsero
a tiro di fucile dai bastioni di ponente. Gli spagnuoli si erano raggruppati in
buon numero dietro agli spalti, decisi ad opporre una resistenza disperata ed a
farsi uccidere piuttosto che arrendersi. Dalla parte del mare non avevano lasciato
che poche squadriglie per far fronte alla Folgore, i cui cannoni
tuonavano senza posa, diroccando le merlature delle torri e tempestando gli
spalti, dietro ai quali si trovavano le grosse artiglierie del forte.
All'apparire delle prime squadre
dei filibustieri di Grammont, le artiglierie di grosso calibro degli spagnuoli
avevano subito cominciato un fuoco infernale, battendo tremendamente le
spianate che si estendevano dinanzi alle torri ed alle cinte di ponente e
fracassando gli alberi dietro i quali si erano appostate le avanguardie.
I filibustieri invece di
rispondere, si erano limitati a disperdersi, appiattandosi fra le alte erbe o
dietro ai cespugli, ma dopo ogni scarica s'affrettavano a guadagnare,
strisciando come serpenti, dieci o quindici passi, per poi tornare a sdraiarsi
al suolo.
Quella manovra, suggerita da
Grammont, limitava immensamente le perdite, poiché di rado le grosse palle
dell'artiglieria spagnuola, più atte a sconquassare grosse navi che uomini
isolati, colpivano nel segno.
Quando però i filibustieri
giunsero dinanzi all'ultima spianata, lontana soli trecento metri dai fossati
dei bastioni, le cose cominciarono a volgere subitamente alla peggio per gli
assalitori.
Le piccole artiglierie erano
entrate in scena, tirando a mitraglia e quei nembi di schegge, sparate rasente
al suolo dalle feritoie aperte alla base dei torrioni, spazzavano alla lettera
la spianata, mutilando o fulminando i filibustieri.
Grammont si era alzato in piedi,
gridando:
«All'assalto!... Il Corsaro Nero
ci aspetta!»
Un urlo immenso, selvaggio,
scoppia fra gli assalitori.
«Alla carica!... Morte agli
spagnuoli!»
I quattrocento uomini che
formavano il corpo del gentiluomo francese si scagliano innanzi portando le
scale ed incoraggiandosi con clamori spaventevoli.
Non vi erano che trecento metri
da attraversare per giungere ai fossati, ma erano trecento metri senza riparo.
Il fuoco degli spagnuoli
raddoppia. Dai bastioni, dalle feritoie, dai merli delle torri le artiglierie tuonano
con un crescendo assordante. Le palle, le granate, la mitraglia cadono dovunque
solcando e sollevando il suolo e facendo larghi vuoti fra gli assalitori.
I filibustieri, malgrado le grida
dei loro capi, esitano. Alcuni, più audaci, sono giunti nei fossati e hanno
rizzate le scale, ma non osano spingersi in alto e affrontare quel fuoco
d'inferno che semina la morte dovunque.
«Avanti!» grida Grammont,
mettendosi alla testa d'un drappello di bucanieri. «Il Corsaro Nero è lassù.»
Si slancia arditamente in mezzo
al fumo e fa gettare sul fossato un ponte volante. Una scarica di mitraglia
colpisce in pieno coloro che lo seguono e la squadriglia audace si sfascia come
un castello di carta. In quel momento una nuova truppa di filibustieri si
precipita sulla spianata. Sono gli uomini di Laurent. Respinti a loro volta si
erano affrettati a raggiungere le bande di Grammont, sperando di riuscire
meglio da quel lato. Quel soccorso infonde un coraggio disperato alle bande del
gentiluomo francese. Scendono nei fossati, piantano le scale e si slanciano
all'assalto, tentando di allontanare gli spagnuoli a furia di bombe lanciate a
mano. Vani sforzi. I difensori rovesciano le scale nei fossati e fanno piovere,
addosso agli assalitori, macigni e acqua bollente, mentre le artiglierie
continuano a spazzare le spianate.
La partita sembra ormai perduta!
I filibustieri, stremati da quegli inutili tentativi, fulminati dai cannoni e
dai moschetti dei difensori del castello, si ripiegano sulla seconda spianata
portando con loro i feriti.
I due capi della filibusteria,
con una banda composta di uomini scelti, tentano ancora uno sforzo supremo, ma
a loro volta si vedono costretti a indietreggiare per non farsi sterminare da
quella tempesta di ferro e di piombo.
Ad un tratto delle urla acute
scoppiano dietro alle ultime bande. Sono pianti di donne e grida d'uomini
spaventati, atterriti.
«Che succede? - grida Grammont.
Uno spettacolo strano,
inaspettato, si presenta agli sguardi del gentiluomo francese.
Quattro o cinque dozzine di persone,
parte frati e parte monache, s'avanzano, fra grida e pianti, portando delle
lunghe scale. Dietro a loro ed ai fianchi marciano un centinaio di filibustieri
colle armi in mano, sagrando e minacciando.
«Cosa vengono a fare qui quei
frati e quelle monache?» chiese Grammont, stupito.
«È stata un'idea di Morgan,»
risponde un filibustiere.»
«Morgan!... È sbarcato dalla Folgore?»
«È giunto or ora.»
«E cosa vuole farne di quei
religiosi?»
«Li manda a piantare le scale nei
fossati.»
«I frati!...»
«Egli spera che gli spagnuoli
sospendano il fuoco. Sono troppo religiosi per ucciderli([4]).»
«Io credo invece che il
governatore di San Giovanni de Luz non li risparmierà e compiango fin d'ora
quei disgraziati.
I frati e le monache, fra le urla
e le minacce dei filibustieri, malgrado lo spavento che li invade, s'avanzano
attraverso la spianata portando le scale. Invano chiedono grazia e cercano, con
pianti e lamenti, d'impietosire i loro guardiani.
Gli spagnuoli vedendoli
avanzarsi, sospendono per un momento il fuoco. Essi esitano a sterminare quei
miseri.
«Risparmiateci!» gridano le
monache, alzando le braccia verso i soldati affollati sulle torri.
«Grazia!... Non fate fuoco!»
gridano i frati.
Quel momento d'esitazione dura
poco.
Il governatore del castello ha
compreso il progetto infernale dei filibustieri. Deciso a difendersi ed a
risparmiare la sua guarnigione, fa giuocare le sue artiglierie contro i
religiosi ed i loro guardiani, facendo strage degli uni e degli altri.
Le bande, riorganizzate da
Grammont e da Laurent, protette da quella schiera, sono però giunte nuovamente
sull'ultima spianata.
Una rabbia tremenda anima tutti.
Senza badare al fuoco sempre tremendo degli spagnuoli, si rovesciano nei
fossati, issano le scale e montano all'assalto con slancio meraviglioso.
Gli spagnuoli rovesciano su di
loro massi, palle di ferro e fanno fuoco coi moschetti, non potendo più far uso
delle artiglierie e li accolgono a colpi d'alabarda e di spada.
Più nulla trattiene i
filibustieri, ormai giunti sui primi bastioni.
Con granate cacciano gli
spagnuoli dai merli e dalle piattaforme e irrompono furiosamente nel forte.
L'ostinata resistenza del presidio e le gravissime perdite subite li avevano
resi feroci. Quanti nemici cadono in mano vengono spietatamente trucidati. Gli
spagnuoli, respinti, fuggono verso le ultime torri, cercando di opporre una
disperata resistenza e di arrestare lo slancio dei filibustieri colle colubrine
piazzate sulle terrazze. Le artiglierie della Folgore li obbligano a
sgombrare ed a rifugiarsi nei cortili interni.
Grammont e Laurent fanno puntare
su quei disgraziati tutte le artiglierie della fortezza, intimando la resa. Di
cinquecento non erano ridotti che a duecento e per la maggior parte feriti. Il
governatore ed i principali ufficiali si erano fatti bravamente uccidere sulle
terrazze delle torri.
Ritentare la lotta sarebbe stata
una follia inutile e s'arresero, ammainando, colla morte nel cuore, il grande
stendardo di Spagna che avevano così valorosamente difeso.
Wan Stiller, che aveva sempre combattuto
a fianco di Grammont, si era volto verso il gentiluomo, dicendogli:
«Andiamo a trovare il Corsaro
Nero, ora, mio signore. Qui non vi è più nulla da fare.»
«Credi che sia ancora vivo?»
«Non solo, ma io sono convinto
che si trovi ancora barricato nel torrione di levante.»
«Ti seguo, mio bravo amburghese,»
disse Grammont.
Mentre i filibustieri disarmavano
i prigionieri, l'amburghese ed il gentiluomo si diressero verso il torrione, le
cui merlature erano state smantellate dalle artiglierie della Folgore.
Alla base della scala che
conduceva sulla piattaforma, inciamparono in un cadavere.
«Io conosco quest'uomo,» disse
l'amburghese, curvandosi.
«Forse il soldato che vi ha
condotti qui?» chiese Grammont.
«No, signore, è Diego Sandorf.»
«Il fiammingo che doveva fare
delle preziose rivelazioni al Corsaro?
«Sì, signor di Grammont. Aveva
ricevuto una stoccata dal capitano.
Salirono sulla piattaforma e
scesero la stretta gradinata che metteva nell'interno della torre.
A mezza discesa trovarono un
altro cadavere. Era quello d'un sergente spagnuolo.
«Ecco qui un altro che ha
ricevuto una stoccata in pieno petto,» disse Wan Stiller. «Il capitano non ha
risparmiato nemmeno questo povero diavolo.»
Giunti in fondo alla scala si
trovarono dinanzi alla porta ferrata.
«Che siano chiusi qui dentro?» si
chiese Wan Stiller.
Alzò il fucile che teneva in mano
e percosse furiosamente la porta. Questa subito cedette, non essendo stata
chiusa internamente.
«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan
Stiller, tergendosi colla sinistra alcune gocce di sudore. «Non vi è nessuno
qui!...
«L'avete trovato?» chiese in quel
momento una voce.
Il signor di Grammont e
l'amburghese si volsero e videro Morgan il quale scendeva precipitosamente la
scala, seguito da alcuni marinai della Folgore.
«Pare che qui non vi sia più il Corsaro,» rispose
l'amburghese, con voce strozzata. Armò il fucile e si slanciò risolutamente
nella vasta camera, seguìto dal signor di Grammont e da Morgan.
«Tuoni e uragani!» esclamò. «Il
Corsaro è scomparso!»
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