26 - LA
VENDETTA DI WAN GULD
Se la nave spagnuola si trovava a
mal partito, essendo ormai sotto il tiro della filibustiera, nemmeno i corsari
si trovavano in un letto di rose. Coll'uragano che s'avanzava rapidamente
dall'Atlantico, colle rocce, le isole, gli isolotti ed i banchi che si
succedevano senza interruzione a destra, a sinistra e dinanzi, e con quelle due
navi così vicine, correvano pericolo di trovarsi da un momento all'altro in
condizioni estremamente pericolose. La corvetta poteva arrestarsi, far fronte
al nemico che la inseguiva e tener fors'anche duro fino all'arrivo della
fregata, la quale ormai aveva segnalata la sua presenza con quegli spari. Le
onde, che ingrossavano a vista d'occhio e che diventavano sempre più impetuose
presso le isole, dovevano favorirla, rendendo difficile l'abbordaggio. Morgan
aveva subito compreso il pericolo ed indovinato l'audace disegno del comandante
spagnuolo.
Salì sulle griselle dell'albero
maestro, spingendosi fino sulle crocette e guardò attentamente verso il sud. In
quella direzione già lampeggiava ed il tuono rombava cupamente, propagandosi
fra le procellose nubi. I fanali della fregata scintillavano sul fosco
orizzonte, ma non si poteva giudicare con esattezza a quale distanza si trovava
la nave.
«Aspettiamo un lampo,» mormorò.
«Poi prenderemo una decisione.»
Attese alcuni minuti, tenendosi
stretto alle funi per resistere alla furia del vento ed alle scosse che subiva
l'albero, finché un gran lampo che divise le nubi come una immensa scimitarra,
facendo scintillare il mare fino agli estremi limiti dell'orizzonte, gli
permise di distinguere la fregata.
«È a otto miglia per lo meno,»
disse. «Prima che sia qui impiegherà un'ora, e in sessanta minuti si possono
fare molte cose.»
Discese rapidamente, si slanciò
sul ponte di comando ed imboccato il porta-voce per
dominare meglio il fragore delle onde, tuonò:
«Fuoco di bordata!... Pronti per
l'abbordaggio!»
Un grido di gioia irruppe da
tutti i petti, a quel comando lungamente atteso. In un baleno tutti i filibustieri
presero i loro posti di combattimento, mentre gli artiglieri puntavano i loro
pezzi.
La corvetta allora non si trovava
che a sei o settecento metri dalla Folgore e stava per virare di bordo,
onde evitare l'isola del Piccolo Pino che le si mostrava a tribordo.
Subito i due grossi cannoni da
caccia della filibustiera avvamparono con un accordo ammirabile, prendendo la
nave avversaria di traverso e sfondando le murate di babordo e di tribordo.
«Più alto, nell'alberatura! -
gridò Morgan che alla luce d'un lampo aveva potuto constatare gli effetti di
quella prima scarica.
La corvetta, solamente
danneggiata nella sua opera morta, virò di bordo quasi sul posto e rispose con
una bordata dei suoi quattro pezzi di tribordo, colpendo la filibustiera presso
la linea di galleggiamento.
«Ah! Si risponde vigorosamente!»
esclamò Morgan.
L'uragano, quasi fosse geloso di quel
combattimento, entrava in lizza a sua volta con grande sfoggio di lampi e di
tuoni. Il vento, scatenatosi quasi improvvisamente, cominciava a ruggire
tremendamente, spingendo addosso alle navi vere trombe d'acqua. Corsari e
spagnuoli però pareva che non si preoccupassero gran che dell'uragano. Erano
intenti a rovinarsi le navi per poi distruggersi da vicino. In mezzo ai tuoni
assordanti, fra le onde che scuotevano sempre più impetuosamente le navi, in
mezzo all'acqua che cadeva a torrenti sulle tolde, combattevano con rabbia
estrema, cannoneggiandosi furiosamente.
La corvetta, inferiore per
artiglierie, si difendeva disperatamente, ma aveva la peggio. I pezzi da caccia
della filibusteria, abilmente maneggiati, la coprivano di ferro, sfondandole i
madieri, fracassandole le murate e le imbarcazioni, crivellandole il cassero ed
il castello di prora e recidendole pennoni, vele e cavi in gran numero.
I filibustieri, ansiosi di
abbordarla, non le lasciavano un momento di tregua, ed infuriavano maggiormente,
risoluti ad impadronirsene, prima che giungesse la fregata del duca fiammingo.
Dieci minuti dopo con una bordata
le fracassavano l'albero maestro, arrestandola nel bel mezzo della sua corsa.
La caduta di quel colosso, spaccato quasi alla base da una palla da trentasei,
spostò bruscamente il suo equilibrio, facendola inclinare sul tribordo. Era il
momento atteso da Morgan.
«All'abbordaggio!» gridò. «Fuori
i para-bordi!»
Mentre i marinai gettavano lungo
i fianchi delle enormi palle di canape intrecciato per ammorzare l'urto, Morgan
formò la colonna d'assalto coi fucilieri e con parte degli artiglieri,
concentrandola sul castello di prora e sul cassero. La corvetta, non più
guidata, andava attraverso alle onde minacciando di arenarsi sui banchi
dell'isola del Piccolo Pino. Il suo equipaggio non aveva però rinunciato alla
difesa e continuava a sparare i pezzi della batteria.
«Attenti!» gridò ad un tratto
Morgan, che aveva presa la ribolla del timone. «Fermi in gambe!»
La Folgore, quantunque
fortemente scrollata dalle onde, s'avvicinava alla povera corvetta, la quale
ormai si trovava impotente a sfuggirle. Alle scariche degli spagnuoli
rispondevano i due cannoni da caccia della coperta i quali tiravano a
mitraglia, spazzando la nave da prora a poppa.
Ad un tratto avvenne un urto
spaventevole. La Folgore aveva cacciato il suo bompresso fra le sartie
di trinchetto della nave nemica, poi, sospinta dall'onda, l'aveva investita con
tale violenza da fracassarle parecchi madieri di babordo.
Mentre i gabbieri lanciavano i
grappini d'abbordaggio per stringere le due navi ed evitare nuovi urti, Morgan
alla testa dei fucilieri si era già slanciato sulla tolda dell'Alambra, urlando:
«Arrendetevi!»
Gli spagnuoli irrompevano allora
in coperta, salendo dalle batterie. All'intimazione del filibustiere,
rispondono con un urlo di guerra:
«Viva la Spagna!...»
«Avanti!» grida Morgan.
I filibustieri accorrono da tutte
le parti. Scendono dal cassero, si slanciano dal castello di prora, si calano
dai paterazzi e dalle sartie, piombano dai pennoni di trinchetto e di maestra.
In mezzo alla pioggia che si rovescia sulle due navi, fra gli urti, i cozzi
violenti, i muggiti orrendi delle onde e gli scrosci assordanti delle folgori,
s'impegna una lotta atroce. L'acqua si mescola al sangue e scorre fra i piedi
dei combattenti, sfuggendo a stento fra i crepacci delle murate.
L'urto dei filibustieri è stato
così impetuoso, da costringere gli spagnuoli, assai inferiori di numero, a
ripiegarsi confusamente verso il castello di prora dove hanno piazzato un cannone.
Mentre i suoi uomini si preparano
ad espugnare quel posto, Morgan, seguito dall'amburghese e da alcuni fidi, si
slancia verso il cassero lasciato libero dal nemico.
Con pochi colpi di scure sfonda
la porta del quadro e si precipita giù dalla scala, gridando:
«Cavaliere!... Signor di
Ventimiglia!...»
Una voce a lui ben nota echeggia
dietro la porta d'una cabina.
«Per centomila diavoli! Siete
voi, signor Morgan?»
«Carmaux!» esclamò l'amburghese,
scagliandosi contro la porta con tale furia da sfondarla di colpo.
«Adagio, amici,» grida Carmaux.
«Dov'è il capitano?» chiese
Morgan.
«Nella cabina vicina assieme a
Moko.»
«Liberi?»
«Legati, signore.»
Mentre alcuni marinai liberavano
Carmaux, Morgan e gli altri sfondavano la porta della cabina attigua. Il Corsaro
e Moko giacevano al suolo strettamente legati ed attaccati ad un grosso anello
di ferro. Il signor di Ventimiglia aveva mandato un grido:
«I miei uomini!...»
«Presto, cavaliere,» disse
Morgan. «Stiamo per venire assaliti da una fregata!»
«E questa nave?»
«È ormai conquistata.»
«E la mia Folgore?»
«Può ancora sostenere una seconda lotta.»
«Datemi una spada!»
«Eccovi la mia, signore,» disse
Morgan.
«Venite!... Mostreremo agli
spagnuoli come sanno combattere i filibustieri!»
Il signor di Ventimiglia si
slanciò sulla scala balzando sul cassero.
«A me, uomini del mare!» tuonò.
Un urlo uscito da cento petti vi
rispose:
«Viva il capitano!»
La battaglia era finita a bordo
della corvetta. Gli spagnuoli, impotenti a resistere al formidabile assalto dei
filibustieri, s'erano arresi deponendo le armi.
Se la nave era stata conquistata,
il pericolo non era però cessato per la Folgore. La fregata del duca
s'avanzava minacciosa, sormontando le onde che l'assalivano da tutte le parti.
Quella massa enorme, colla sua immensa alberatura, faceva impressione alla
livida luce dei lampi.
Il Corsaro Nero non era però uomo
da lasciar tempo ai suoi uomini d'impressionarsi.
«Abbandonate la corvetta!» tuonò.
«Ed i prigionieri?» gridarono
alcuni marinai.
«Abbandonateli al loro destino:
la nave sta per rompersi sulle scogliere.»
«In ritirata!» gridò Morgan.
I filibustieri non esitano più.
Gettano in mare le armi cedute dagli spagnuoli, inchiodano i pezzi
d'artiglieria onde renderli inservibili, spezzano a colpi di scure la ribolla
del timone e, tagliati i grappini d'abbordaggio, si rovesciano a bordo della Folgore.
«Ai bracci delle manovre!» grida il Corsaro.
«Pronti a virare!»
La Folgore abbandona la
corvetta nel momento in cui la poppa di questa va a infrangersi contro una
scogliera.
«Ai vostri pezzi!» comanda il
Corsaro.
La filibustiera, tornata al
vento, si slancia verso la costa settentrionale dell'isola per fuggire nel canale
che bagna le coste della Florida, ma il Corsaro s'accorse che ormai era troppo
tardi per eseguire quella manovra.
La fregata aveva già superata la
punta del Pino e piombava addosso alla povera filibustiera, favorita dal vento
e anche dalle onde.
«Signore,» disse Morgan, che si
teneva presso il Corsaro. «È impossibile prendere il largo.»
«Lo vedo,» rispose il signor di
Ventimiglia, con voce calma. «Chi comanda quella nave?»
«Il duca, signore.»
«L'assassino dei miei
fratelli?...»
«Lui, cavaliere.»
«Ed io stavo per fuggire mentre
quest'uomo viene ad assalirmi!... Uomini del mare!... Vendetta pel Corsaro
Rosso e pel Verde!... L'uomo che li ha uccisi sta dinanzi a noi!...
All'abbordaggio!... All'abbordaggio!...»
«Sì, vendetta o la morte!»
urlarono i filibustieri.
«E sia,» disse Morgan. «Con
questi uomini possiamo compiere qualunque miracolo.»
Il Corsaro Nero s'era messo alla
ribolla del timone con a fianco Wan Stiller, Carmaux ed il negro.
Fermo incrollabile fra i furiosi
rollii della nave che le onde, diventate spaventevoli, scuotevano orribilmente,
fra i lampi, i tuoni ed i fischi del vento, il Corsaro guidava impavido la Folgore.
I suoi occhi, ogni volta che un
lampo rompeva l'oscurità, si dilatavano e si fissavano sul cassero della nave
nemica, cercando avidamente il suo mortale nemico. Egli sentiva per istinto che
il vecchio fiammingo doveva trovarsi là, al timone, a guidare la fregata in
mezzo alla tempesta e che anche lui lo cercava.
I filibustieri lo guardavano con
un misto d'ammirazione e di terrore superstizioso. Capivano vagamente che
qualche cosa di tremendo stava per accadere fra quei due formidabili
avversarii.
Già la Folgore era giunta
a cinquecento passi dalla fregata, senza che né da una parte né dall'altra
fosse stata sparata una sola cannonata, quando fra le due navi si videro due
immense ondate luminose. Correvano l'una contro l'altra, colle creste
scintillanti. Pareva che in mezzo a loro guizzassero getti di piombo fuso o di
zolfo liquefatto. Nel vederle un grido di terrore era echeggiato fra l'equipaggio
della filibustiera. Anche Morgan era diventato pallidissimo.
«I due corsari sono rimontati a
galla!» esclamò Carmaux, facendosi il segno della croce. «Essi vengono ad
assistere alla morte del loro assassino.»
«Ed alla nostra,» mormorò Wan
Stiller.
Le due ondate si erano incontrate
proprio dinanzi alla Folgore, accavallandosi confusamente col fragore
del tuono, poi si erano sciolte scorrendo lungo i fianchi della nave come due
immensi torrenti di fuoco.
Nel medesimo istante un lampo
accecante aveva rotta l'oscurità, illuminando la filibustiera e la grossa
fregata.
Il Corsaro Nero ed il duca fiammingo
si erano veduti. Entrambi guidavano le loro navi; entrambi avevano il medesimo
sguardo terribile. Quella livida luce non era durata che tre secondi, ma erano
bastati perché i due formidabili avversarii si guardassero e forse si
comprendessero.
Due grida erano subito partite su
ambi i vascelli.
«Fuoco!» aveva gridato il
Corsaro.
«Fuoco!» aveva urlato il
fiammingo.
Le due navi avvamparono
simultaneamente. La lotta era cominciata fra quell'orribile rimescolamento
d'acqua, lotta tremenda, senza quartiere. La grossa fregata sembra un vulcano.
Le sue batterie, piene di cannoni, vomitano senza posa torrenti di palle e di
granate e scagliano uragani di mitraglia, ma anche la filibustiera non dorme:
ogni volta che l'onda la inalza, i suoi cannoni tuonano con fracasso orrendo e
le sue palle non vanno tutte perdute.
I marosi fanno trabalzare le due
navi, le scuotono come piume, le sollevano o le precipitano negli avvallamenti
o balzano a bordo spazzando la coperta e minacciando di sfracellare contro le
murate gli uomini che sono al servizio dei pezzi di coperta.
L'acqua entra per gli sportelli
ed invade le batterie, correndo fra le gambe degli artiglieri, ma cosa importa?
Le due navi non s'arrestano, anzi corrono l'una incontro all'altra, impazienti
di distruggersi e di abbandonare i loro rottami alle onde. Il Corsaro Nero ed
il vecchio fiammingo le guidano e quei due uomini hanno già giurato di mandare
tutti a picco, pur di mettere fine al loro terribile odio. Le loro voci, del
pari possenti, risuonano senza posa fra gli urli della tempesta e lo scrosciare
delle artiglierie.
«Fuoco!...»
«Fuoco!...»
Ad ogni lampo che rompe le
tenebre, si scambiano uno sguardo saturo d'odio. Essi si cercano sempre, come
se avessero paura di non vedersi più allo stesso posto. Ma no, anche il vecchio
fiammingo non desidera più evitare il suo rivale, anzi anche lui lo cerca. Lo
si rivede sempre al timone, coi capelli bianchi sciolti al vento, cogli occhi
in fiamme, saldo come il Corsaro, colle mani raggrinzate attorno al frenello
della ribolla.
«Lo vedi?» chiese Carmaux
all'amburghese, dopo un nuovo lampo.
«Sì,» rispose Wan Stiller.
«Non abbandoniamo il Corsaro.»
«No, amico Stiller, qualunque
cosa succeda, noi non lo lasceremo, e se quel sinistro vecchio giunge fino a
noi la pagherà cara. Moko!»
«Cosa vuole il compare bianco?»
chiese il negro.
«Veglia sul padrone.»
«Non lo abbandonerò nemmeno
durante l'abbordaggio.»
«Guardati dal duca.
Intanto le due navi continuavano la
loro pazza corsa cannoneggiandosi furiosamente. Le palle cadevano fitte
dappertutto, sfondando le murate ed i madieri, spezzando pennoni, troncando
corde e fulminando artiglieri ed archibugieri.
La grossa fregata, più pesante e
meno maneggiabile, si sbandava spaventosamente, minacciando ad ogni istante di
sommergersi; la Folgore invece volteggiava sulle creste dei marosi come
un immenso uccello marino, tuonando sempre con lena crescente. Già due volte
aveva scaricati i suoi cannoni di babordo spazzando il ponte della fregata e
facendo dei grandi vuoti fra gli archibugieri radunati in coperta per
l'abbordaggio. Le aveva spezzato il bompresso, sconquassato il castello di
prora e danneggiato gravemente anche il cassero, non ricevendo in cambio che
poche palle. A cento passi però le due navi, inalzate contemporaneamente da
un'ondata gigantesca, si erano scaricate addosso due tremende bordate.
L'effetto era stato disastroso per entrambe. L'albero di trinchetto della filibustiera,
spaccato all'altezza della coffa, era rovinato in coperta trascinando nella
caduta anche l'alberetto di maestra e sbandando spaventosamente la nave.
La fregata invece era stata
rasata come un pontone.
Urla terribili avevano accolto
quelle scariche. Era la fine per entrambe le navi.
«Non ci rimane che morire sul
ponte del nemico,» aveva detto Carmaux. «Qui finisce il Corsaro Nero.»
Carmaux s'ingannava: non era
ancora finita. Il signor di Ventimiglia con un colpo di timone aveva rialzata
la sua nave, ed approfittando d'una raffica furiosa l'aveva spinta addosso alla
fregata che si trovava nell'impossibilità di governare.
Fra le urla di terrore degli
spagnuoli e gli ultimi spari delle artiglierie, la sua voce risuonò potente
ancora:
«Uomini del mare!...
All'abbordaggio!»
Un'onda solleva la filibustiera e
l'avventa contro la nave nemica. La prora, affilata come uno sperone ed a prova
di scoglio, penetra nel fianco sinistro della fregata, producendole uno
squarcio immenso e vi rimane incastrata.
Il Corsaro aveva già abbandonato
il timone e si era scagliato verso prora colla spada in pugno, urlando:
«A me, uomini del mare!»
I filibustieri accorrevano da
tutte le parti, urlando come demonii.
Senza pensare che la fregata,
rotta quasi in due dallo sperone della Folgore, sta per inabissarsi, si
rovesciano confusamente addosso agli spagnuoli, trincerati fra gli alberi ed i
pennoni caduti in coperta. Fra le onde che spazzano ormai i ponti, muggendo e
rompendosi fra gli attrezzi e le gambe dei combattenti e gli scrolli e trabalzi
che subiscono le due navi, s'impegna una lotta omerica a colpi di spada, di
sciabola, di scure e di pistola.
Gli spagnuoli, sapendosi ormai
perduti, vogliono vendere almeno cara la vita. Due volte più numerosi dei
corsari, oppongono una fiera resistenza.
Morgan alla testa di trenta o
quaranta uomini prende gli spagnuoli di fianco per cercare di giungere sul
cassero, dove spera di trovare il duca, ma anche da quella parte trova una
resistenza così accanita da dover ripiegarsi sulla Folgore. Ad un
tratto, quando la Folgore s'era già staccata e l'acqua irrompeva, col
fragore del tuono, attraverso l'immenso squarcio della fregata, una voce
tuonante urla:
«Morirete tutti!»
I combattenti s'arrestano un
momento. Tutti guardano verso poppa.
Là, ritto sul cassero, presso la
ribolla del timone, coi capelli scarmigliati, la lunga barba bianca
scompigliata, scorgono il duca. In una mano stringe una pistola e nell'altra
una fiaccola accesa che il vento ravviva.
«Morirete tutti!» ripete il
vecchio con voce terribile. «La nave salta!»
Il Corsaro aveva fatto atto di
scagliarsi innanzi per raggiungere il suo mortale nemico e cacciargli la spada
nel cuore. Moko, pronto come un lampo, l'aveva afferrato fra le robuste
braccia, sollevandolo come una piuma.
«A me, Carmaux, - grida.
Mentre il terrore inchioda i
combattenti sulle tavole che stanno per aprirsi sotto la spinta della polveriera,
balza sopra la murata e si precipita in mare senza abbandonare il padrone.
Due uomini sono piombati dietro
di lui: Carmaux e l'amburghese.
Mentre un'ondata enorme li spinge
al largo, rotolandoli fra la spuma, una luce accecante rompe le tenebre,
seguìta da un orribile rimbombo che si ripercuote lungamente sul mare.
Quando il Corsaro ed i suoi
compagni tornano a galla, la fregata, sventrata, sminuzzata dallo scoppio della
polveriera, era scomparsa negli abissi del canale della Florida.
Ad una grande distanza invece, la
Folgore, completamente disalberata e fiammeggiante, andava attraverso le
onde, trasportata verso l'Atlantico dalla corrente del Gulf Stream.
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