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GLI ANTROPOFAGHI DELLA FLORIDA
Per tre giorni i filibustieri
s'avanzarono attraverso a foreste di pini e di cipressi, costeggiando vaste
paludi dalle acque nere e fangose, pullulanti di caimani e di serpenti
alligatori, poi al quarto, completamente privi di viveri, non avendo incontrato
alcun animale da uccidere, si arrestavano sulle rive di un fiume che
serpeggiava in mezzo ad una boscaglia. Da dodici ore non avevano mangiato che
poche manate di tupelas, specie di prugne, piuttosto grosse, di forma
oblunga, eccellenti a mangiarsi, ma non sufficientemente nutritive,
specialmente per uomini che marciavano dall'alba al tramonto.
«Ci fermeremo qui tutta la
giornata,» disse il Corsaro, vedendo che i suoi uomini non potevano più
reggersi in piedi. - La baia già non deve essere molto lontana.
«E noi ci metteremo in caccia,»
disse Carmaux, al negro. «Questo fiume non deve essere sprovvisto di pesci.»
«Non allontanatevi troppo,» disse
il Corsaro, il quale, aiutato dall'amburghese, stava costruendo una capannuccia.
«Non batteremo che i dintorni,»
rispose Carmaux. «Vieni compare, e speriamo di ritornare carichi di selvaggina
e di pesci.»
Presero i loro randelli, vi
attaccarono i loro pugnali onde servirsene come lance e si misero a costeggiare
il fiume battendo le folte erbe ed i cespugli colla speranza di far uscire
qualche tartaruga.
La foresta che si estendeva sulle
due rive non era formata esclusivamente di pini e di cipressi. Qua e là si
vedevano macchie d'alberi da cetriuoli, specie di magnolie dal tronco liscio e
alte più di trenta metri, con foglie larghissime e una grande quantità di fiori
d'una tinta bianco-turchiniccia che espandevano un soave
profumo di violetta. Vengono chiamati alberi da cetriuoli, perché le frutta ne
hanno la forma e anche la grossezza. Sono però rossi a completa maturazione e
vengono adoperati per metterli in infusione, rimedio eccellente per combattere
le febbri intermittenti.
Si vedevano pure macchie di
sassifraghi dal legno nero, il fogliame d'un verde appannato, di aspetto
triste, di noci nere, piante d'aspetto maestoso, altissime, frondose, e di
rododendri formanti cespi alti dieci metri, con rami grossi quanto la coscia
d'un uomo e coperti di fiori porporini e di magnolie che espandevano profumi
così acuti da stordire.
Numerosi uccelli si levavano da
tutte le parti all'apparire dei due filibustieri, ma fuggivano così rapidamente
da rendere vano ogni tentativo per abbatterli. Fenicotteri, tantali verdi, ibis
bianche, anitre, palombi dalla testa bianca volteggiavano in mezzo alle piante,
mentre lungo le rive del fiume si vedevano fuggire dei bellissimi galli dal
collare, uno dei volatili più ricercati per la squisitezza delle sue carni e
che si pagano carissimi dai ghiottoni americani e non poche galline sultane,
col becco e gli occhi rossi, la gola ed il petto purpurei, le ali e la coda
turchine e verdi ed il groppone bianco.
«Guarda quelle gallinelle,» disse
il negro, indicando parecchie coppie di uccelli somiglianti alle nostre
pernici, grige di piume. «Sono eccellenti, compare.»
«E quell'uccellaccio là, tutto
gambe, che ha le penne bruno-rossicce e la testa
picchiettata di bianco? Come si chiama?»
«È un curlam, chiamato
anche becco a lancetta.»
«E perché, compare sacco di carbone?»
«Perché il suo becco è così duro
ed aguzzo da somigliare ad una lama d'acciaio. L'uccello se ne serve per tenere
testa ai cani e anche ai cacciatori.»
«E quell'altro che rade le acque
del fiume e che ha le penne verdi dorate sopra e bianche sotto e la coda mezza
nera e mezza rossa?»
«È un jacamar, una specie
di tordo marino, molto squisito.»
«E quella bestia là, accovacciata
sulla riva del fiume? Cosa credi che sia compare?»
«Un orso lavatore.»
«Tuoni!... Un altro orso!»
esclamò Carmaux, facendo un salto.
«Non pericoloso però, compare.
Guardalo bene.»
Quell'animale, che il negro aveva
chiamato un orso lavatore, non era più grosso di un cane barbone. Aveva il muso
molto appuntito come quello dei sorci, la coda lunga e ricca di peli come
quella d'una volpe, il pelame grigio-giallognolo a
screziature nere.
Questi orsi, poiché appartengono
alla famiglia dei plantigradi, quantunque non rassomiglino né ai neri, né ai
grigi, né ai bruni, si chiamano anche raccoon o procioni e sono affatto
inoffensivi. Abitano le foreste ricche d'acqua e sono per lo più notturni, però
non è raro incontrarli anche di giorno. La loro unica occupazione è la pesca.
Passano delle lunghe ore sulle rive dei fiumi e degli stagni, cercando pesci,
molluschi, gamberi e larve, che mettono poi da parte, avendo l'abitudine di non
mangiare il cibo se prima non lo hanno ben lavato e parecchie volte.
L'animale scoperto da Carmaux,
stava appunto preparandosi la colazione.
Aveva ammucchiati parecchi
piccoli pesci, dei ranocchi e dei gamberi e colle zampe anteriori li manipolava
lavandoli nella corrente.
«E quell'animaletto lo chiami un
orso!» esclamò Carmaux, scoppiando in una risata.
«Lo è, compare,» rispose Moko.
«È mangiabile?»
«I negri hanno una vera passione
per la carne di quegli animali.»
«Allora cerchiamo di catturarlo.»
«È quello che volevo proporti.»
Carmaux ed il negro si misero a
strisciare in quella direzione, tenendosi sottovento onde l'orso non li
fiutasse.
L'animale era però così occupato
a lavare i cibi, da non accorgersi del grave pericolo che correva.
Dieci minuti dopo Carmaux ed il
compagno giungevano a quindici passi, nascondendosi dietro un cespo di pontedeire.
«Tiri?» chiese Carmaux.
«E non lo sbaglierò,» rispose il
negro, alzando la lancia.
Già stava per scagliare l'arma,
quando si udì in aria un leggero sibilo. Una freccia era partita da una macchia
di rododendri ed era andata a colpire il povero orso lavatore alla gola,
attraversandogliela da parte a parte.
Carmaux e Moko erano balzati in
piedi, esclamando:
«Gl'indiani!»
Quasi nell'istesso momento
quattro pelli-rosse, di statura alta, semi-nudi, colla
testa adorna di piume e armati di archi e di mazze pesantissime, balzarono
fuori dal cespuglio, fermandosi dinanzi ai due filibustieri, stupiti da quella
improvvisa comparsa.
«Carmaux!»
«Moko!»
«Fuggiamo!»
«Gambe, compare.»
Stavano per prendere la corsa,
quando altri cinque indiani, armati come i primi, comparvero dietro ai due
filibustieri, tagliando loro la ritirata.
«Che gli uomini bianchi si fermino,»
disse uno di quegli indiani in cattivo spagnuolo.
«Moko, siamo presi,» disse
Carmaux, arrestandosi.
«Prepariamoci a vendere cara la
pelle,» rispose il negro, impugnando la lancia.
«Ci faremo uccidere inutilmente.»
«Che gli uomini bianchi depongano
le armi,» disse l'indiano che aveva parlato e che doveva essere il capo del
drappello, a giudicarlo dalle tre penne d'aquila che portava infisse nella
capigliatura. «Se non obbediscono noi li uccideremo.»
Invece di deporre la lancia, Moko
con un moto fulmineo si gettò contro il secondo drappello colla speranza di
aprirsi il passo e di slanciarsi nella foresta. Gl'indiani, che forse si
aspettavano quella mossa, in un baleno strinsero la loro linea e scagliatisi
sul fuggiasco lo atterrarono, strappandogli la lancia.
Sei o sette mazze si alzarono su
di lui, mentre il capo indiano diceva con voce minacciosa: «Arrenditi o sei
morto!»
Ogni resistenza sarebbe stata
vana, anzi pericolosa, poiché gl'indiani parevano disposti ad eseguire la
minaccia. Il negro che si preparava a difendersi disperatamente coi pugni, si
lasciò legare senza opporre resistenza, onde non uccidessero anche Carmaux, il
quale ormai si era arreso.
«Compare,» disse questi al negro.
«È meglio non farsi ammazzare pel momento; la speranza di poter sfuggire a
questi birboni non è ancora perduta. Fingiamo di rassegnarci a servire loro da
cena o da colazione.»
«Ed il capitano?»
«Non facciamo comprendere
agl'indiani che abbiamo dei compagni. Il Corsaro e l'amburghese non potrebbero
opporre maggior resistenza di noi.»
Mentre si scambiavano queste
parole, le pelli-rosse, radunate presso la riva del fiume,
pareva che tenessero consiglio.
Discutevano animatamente, si
curvavano al suolo come se esaminassero le tracce lasciate sul terreno dai due
prigionieri, poi giravano attorno ai cespugli ed alle macchie, quindi tornavano
a radunarsi parlando a voce bassa.
«Moko,» disse Carmaux, che non li
perdeva di vista. «Mi pare che sospettino che noi abbiamo dei compagni.»
«È vero, compare,» rispose il
negro.
«Che riescano a sorprendere anche
il capitano?»
«Lo temo, compare. I nostri
compagni sono accampati a breve distanza da qui e forse hanno acceso il fuoco
in attesa della colazione. Il fumo li tradirà.»
«Brutto affare se dovessero
venire presi anch'essi,» disse Carmaux. «Sarebbe la nostra rovina.»
In quel momento il capo indiano
si avvicinò a loro, dicendo sempre in un pessimo spagnuolo:
«Voi non siete soli.»
«T'inganni, capo,» rispose
Carmaux. «Noi non abbiamo alcun compagno.»
«L'uomo bianco cerca di sviare le
nostre ricerche, ma non vi riuscirà. Noi abbiamo veduto del fumo alzarsi in
mezzo agli alberi.»
«Qualche indiano avrà acceso la
legna per cucinarsi la colazione.»
«Qui non vi è che la nostra
tribù,» disse il capo. «Quel fuoco è stato acceso dai tuoi compagni.»
«Allora va a cercarli.»
«È quello che faremo, uomo
bianco. Voglio però sapere quanti sono.»
«Molti ed hanno delle armi che
tuonano e che mandano fuoco.»
«Gli uomini rossi conoscono le
armi degli spagnuoli e non le temono, - disse il capo con fierezza. - I nostri
avi ci hanno insegnato ad affrontarle.»
Fece legare i prigionieri al
tronco d'un albero, mise a guardia di loro due guerrieri di statura quasi
gigantesca, armati di pesantissime mazze, poi si inoltrò sotto gli alberi
seguito da tutti gli altri indiani.
«Tuoni d'inferno!» esclamò
Carmaux, digrignando i denti. «Anche il capitano è perduto!...»
«Temo, compare, che non ci
rimanga da vivere che poche ore. Gli spagnuoli, colle loro crudeltà, hanno resi
quest'indiani feroci e perciò non ci risparmieranno.»
«La morte non mi fa paura,
compare. Vorrei però sapere in quale modo ce la daranno. Si dice che tormentino
atrocemente i prigionieri prima di spedirli all'altro mondo.»
«L'ho udito a raccontare
anch'io,» rispose Moko.
«Proviamo ad interrogare questi
due indiani, se ci comprendono.»
«Ditemi, uomini rossi, cosa vuol
farne il capo di noi?» chiese Carmaux, volgendosi verso i due giganti che si
erano seduti presso l'albero.
«Vi mangeremo,» rispose uno dei
due indiani, con un sorriso atroce.
«Canaglie!» gridò Carmaux, con
voce spezzata. «Ci volete mangiare!...»
«Tutti i prigionieri si
arrostiscono.»
«Compare!» esclamò Carmaux,
mentre un freddo sudore gli bagnava la fronte. «Se non troviamo un mezzo per
fuggire per noi è finita.»
Il negro non rispose. Si era
curvato per quanto glielo permettevano i legami e pareva che ascoltasse con
estrema ansietà.
«Hai udito qualche grido?»
«Mi pare.»
«Che abbiano già sorpreso il
capitano?»
«Tuoni!»
Un clamore assordante si era
alzato in mezzo ai pini ed ai cipressi che si estendevano lungo il fiume.
«Assaltano il campo!» esclamò
Carmaux con angoscia.
Le grida erano subito cessate.
L'assalto doveva essere stato così improvviso da evitare qualsiasi resistenza
da parte del Corsaro Nero e dell'amburghese.
I due guardiani si erano alzati e
guardavano sotto gli alberi.
«Vengono?» chiese loro Carmaux.
«I vostri compagni sono presi,»
rispose uno dei due giganti.
Diceva il vero poiché alcuni
istanti dopo si videro comparire gl'indiani i quali trascinavano i due filibustieri.
Il Corsaro e anche l'amburghese
avevano le vesti a brani, ma non pareva che avessero ricevute ferite.
Certamente dopo una breve resistenza si erano arresi per non farsi accoppare a
mazzate.
«Capitano!» gridò Carmaux, con
voce strozzata.
«Anche tu, Carmaux!» esclamò il
signor di Ventimiglia. «Mi ero immaginato che eravate stati presi.»
«Siamo nelle mani degli
antropofaghi, signore!»
I due filibustieri furono legati
con fibre vegetali e gettati dinanzi all'albero a cui stavano attaccati Carmaux
ed il negro. Il capo indiano venne ad accoccolarsi dinanzi a loro, mentre i
suoi uomini stavano tagliando dei rami per improvvisare forse delle barelle.
«Sei tu il capo di questi
uomini?» chiese, volgendosi verso il Corsaro.
«Sì,» rispose questi.
«Come vi trovate qui? Gli uomini
dalla pelle bianca non hanno mai abitato queste foreste.»
«Siamo naufragati.»
«Si è rotta una di quelle grandi
case galleggianti?»
«Si è sfasciata sulle scogliere.»
Gli sguardi del capo ebbero un
lampo di cupidigia.»
«Tu mi dirai dove si è spezzata.
Io so che quelle grandi case galleggianti contengono sempre delle ricchezze.»
«Le onde hanno spazzato via ogni
cosa,» rispose il Corsaro.
«Tu cerchi d'ingannarmi.»
«A quale scopo?»
«Per raccogliere tu quelle
ricchezze, ma non le avrai perché noi ti mangeremo.»
«Saremo un po' duri,» disse il
Corsaro con ironia.
«Andiamo,» disse il capo,
alzandosi.
I suoi guerrieri avevano
preparate le barelle formate con rami di pino legati con liane. Presero i
quattro prigionieri e ve li coricarono sopra.
Il drappello, preceduto da
quattro esploratori, si mise in marcia dirigendosi verso l'ovest, ossia in direzione
del mare.
«Capitano,» disse Carmaux, il
quale veniva dietro al Corsaro. «Che sia proprio finita per noi?»
«Tutto è nelle mani di Dio,
Carmaux. Se la nostra ultima ora è giunta, sapremo morire da forti.
«Siamo sfuggiti all'esplosione ed
alle ire del mare per finire nel ventre di questi ributtanti antropofaghi!
Sarebbe stato meglio che ci avessero divorati gli squali.»
«Morire in un modo o nell'altro è
tutt'uno, Carmaux. Anch'io avrei preferito cadere sul ponte della mia nave, fra
il rombo delle artiglierie e le grida di guerra degli equipaggi... ma bah!...
Si compia il mio destino.»
Intanto gl'indiani marciavano
rapidamente, costeggiando la riva sinistra del fiume che era quasi sgombra di
cespugli. Solamente di quando in quando dei macchioni di palme e di platani,
avvolti fra un caos di cobee arrampicanti che formavano dei grandi
festoni con ghirlande di fiori vivaci, si spingevano fino sulla riva,
costringendo le pelli-rosse ad aprirsi il passo a gran
colpi di mazza. A mezzogiorno il drappello si arrestava sul margine di un
laghetto formato dal fiume. Arrostirono l'orso lavatore che non avevano
dimenticato, aggiungendovi alcuni conigli che avevano uccisi lungo la via e
delle prugne di tupelas.
I prigionieri non furono
dimenticati, anzi ebbero una porzione molto abbondante.
«Hanno paura che dimagriamo,»
disse Carmaux, con un comico sospiro. «Potessi diventare magro come un'aringa!»
«Non guadagneresti molto,» disse
Wan Stiller. «Questi indiani sarebbero capaci d'ingrassarti a forza.»
«Come le anitre del mio paese.»
«Io però non ho ancora perduta la
speranza di fuggire.» disse il corsaro
«Sognate la liberazione?» chiese Wan
Stiller.
«La tenteremo.»
«In quale modo? Questi indiani
non mi sembrano così sciocchi da permetterci di andarcene.»
«Ti dico che qualche cosa noi
faremo.»
«Avete qualche piano, capitano?»
«Forse,» rispose il Corsaro.
«Sapete che ho nascosta la misericordia?»
«Come, voi non l'avete data agli
indiani?» chiesero Carmaux e Wan Stiller.
«No, ho avuto il tempo di
cacciarmela sotto il panciotto.»
«Cosa potrete fare con
quell'arma?» chiese Carmaux.
«Potrà servirci a tagliare le corde
innanzi a tutto,» rispose il Corsaro.
«Non vale una pistola, capitano.»
«Può esserci ugualmente utile,
mio bravo Carmaux. Una mano robusta che la sappia adoperare non si troverà
imbarazzata a uccidere una sentinella. Amici, non disperiamo ancora. Questa
sera sapremo se vi sarà qualche probabilità di prendere il largo.»
La loro conversazione fu
interrotta dagli indiani. Terminato il pasto, s'erano rialzati ricollocando i
prigionieri sulle barelle.
Fatto il giro del laghetto, il
drappello si cacciò sotto una folta pineta, i cui tronchi però permettevano il
passaggio senza dover ricorrere alle mazze, non essendo circondati da cespugli.
Il capo pareva che avesse molta fretta di giungere al villaggio poiché incitava
sovente i portatori delle barelle ad allungare il passo. Un po' prima del
tramonto il drappello giungeva improvvisamente sulla riva del mare. La costa in
quel luogo formava un'ampia insenatura difesa da alcune file di scogliere e
sulla spiaggia si vedevano numerose canoe scavate nei tronchi di pino, adorne a
prora di teste di coccodrillo. All'estremità della baia i prigionieri scorsero
due dozzine di capanne allineate su una doppia fila, formate con tronchi e
coperte di foglie secche.
«Il tuo villaggio?» chiese il
Corsaro al capo che gli camminava a fianco.
«Dei nostri pescatori,» rispose
l'indiano. «Il grosso della tribù abita sui fianchi di quella montagna.»
Il Corsaro alzò gli occhi e vide
dietro il bosco di pini ergersi una collina coperta di fitte piante, sulle cui
pendici si scorgevano numerosi gruppi di capanne.
«È numerosa la tua tribù?» chiese
il Corsaro.
«Numerosa e potente,» rispose
l'indiano con orgoglio.
«Allora vi sarà un re.»
Il capo lo guardò, ma non
rispose, anzi si allontanò per mettersi alla testa del drappello.
Una mezz'ora dopo i guerrieri
giungevano al piccolo villaggio dei pescatori. Parecchi indiani, quasi
interamente nudi, non avendo che un piccolo perizoma stretto ai fianchi e delle
penne sulla testa, si erano precipitati verso i prigionieri mandando grida
minacciose ed agitando le mazze, le lance e certi coltellacci di pietra molto
affilati.
Il capo con un gesto li
trattenne, poi fece condurre i quattro prigionieri dinanzi ad una grande gabbia
costruita con solidissimi rami di noce hickorys e coperta, nella parte
superiore, di quell'erba dura e amara che pullula nelle terre salate della
Florida e che viene chiamata algochloa. I quattro corsari furono spinti
dentro, facendoli passare per una stretta apertura, che fu poi subito chiusa
con robuste traverse.
«Per ora rimarrete qui,» disse il
capo, volgendosi verso il Corsaro.
«E quando ci mangerete?»
«La vostra vita dipende dal genio
del mare.»
«Chi è questo genio del mare?»
«Ciò non ti riguarda,» rispose il
capo volgendogli le spalle ed allontanandosi.
«Capitano,» chiese Carmaux. «Chi
sarà questo genio?»
«Non ne so più di te,» rispose il
signor di Ventimiglia. «Suppongo però che sia qualche grande capo, il
comandante supremo della tribù o qualche stregone.»
«Se avesse un po' di compassione
per noi!»
«Non crearti delle illusioni, Carmaux.»
«Allora non ci resta che tentare
la fuga.»
«È quello che faremo più tardi.
Non vi sono che due sentinelle a guardia della gabbia.»
«Purché più tardi non vengano
raddoppiate.»
«Lo si vedrà, Carmaux. Orsù,
corichiamoci e fingiamo di dormire. Più tardi, quando tutti gli abitanti del
villaggio dormiranno profondamente, tenteremo qualche cosa. Moko!»
«Padrone.»
«Tu che possiedi una forza
prodigiosa, saresti capace di spezzare queste sbarre?»
«Mi sembrano molto solide,
capitano, però spero di riuscirvi.»
«Senza rumore.»
«Mi ci proverò.»
«Carmaux, tu devi tentare di
rodere le tue corde.»
«I denti sono buoni, capitano, e
con un po' di pazienza taglierò i miei legami. Vedo che facendo qualche sforzo
posso accostare le mani alle labbra.»
«Benissimo!»
«E le sentinelle?» chiese Wan
Stiller.
«Le sorprenderemo e le
pugnaleremo.»
«E dopo? Avremo addosso tutti gli
abitanti del villaggio.»
«Le scialuppe non sono lontane e
fuggiremo subito in mare. Chiudete gli occhi ed aspettate il mio segnale.»
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