32 - LA
FUGA DEI CORSARI
A poco a poco i rumori erano
cessati nel villaggio dei pescatori ed i fuochi accesi presso le capanne si
erano spenti. Non si udiva altro che il monotono e regolare fragore delle onde,
spinte dalla marea, che venivano ad infrangersi sulla sponda.
Gli indiani che dovevano aver
pescato tutta la giornata, a giudicare dalla straordinaria quantità di pesce
messo a seccare su certe graticole di legno rizzate sulla riva, si erano
addormentati ed il drappello dei cacciatori, che aveva camminato dall'alba al
tramonto, non aveva tardato ad imitarli.
Solamente le due sentinelle che
erano state collocate presso la gabbia, vegliavano ancora, sedute presso un
falò già quasi semispento, ma non dovevano tardare a chiudere gli occhi. La
loro conversazione languiva ed il Corsaro, che non le perdeva di vista, si era
accorto che facevano sforzi straordinarii per non abbandonarsi in braccio a
Morfeo.
Doveva essere la mezzanotte
quando gli ultimi tizzoni del falò, non più ravvivati, si spensero completamente.
Per alcuni minuti ancora le braci proiettarono verso la gabbia qualche po' di
luce sanguigna, poi anche quelle si coprirono di cenere e l'oscurità piombò in
quel luogo.
Le due sentinelle si erano
sdraiate l'una presso all'altra e russavano.
«È il momento,» disse il Corsaro,
dopo essersi assicurato che nessun altro indiano vegliava attorno alla gabbia.
«Si sono addormentati?» chiese
Carmaux.
«Non li odi a russare?»
«Purché non fingano di dormire,
capitano! Non mi fido affatto di questi indiani.»
«Rompi le corde, Carmaux.»
«Le ho rose così bene che si
spezzeranno subito, capitano.»
«Allora affrettati.»
Il marinaio contrasse le braccia
più che potè, poi le fece scattare allargandole di colpo. Le corde vegetali, già
intaccate in varii punti dai suoi acuti denti, si spezzarono.
«Ecco fatto, capitano,» disse.
«Frugami nel petto,» disse il
signor di Ventimiglia. - La misericordia l'ho nascosta qui.
Il filibustiere cacciò una mano
sotto il panciotto di seta nera del Corsaro e trovò il pugnale, un'arma
affilatissima, d'una robustezza eccezionale, di acciaio di Toledo, il migliore
che si conoscesse in quei tempi.
«Ora recidi le nostre corde,»
disse il signor di Ventimiglia. «Adagio, non far rumore.»
Carmaux, dopo d'essersi
assicurato che le sentinelle non si erano mosse, s'accostò ai suoi compagni e
tagliò destramente i loro legami.
«Almeno potremo morire
difendendoci,» disse il Corsaro stiracchiandosi le membra indolenzite da quelle
legature.
«Cosa devo fare capitano?» chiese
il negro.
«Levare due traverse della
gabbia.»
Il negro ed il marinaio passarono
dalla parte opposta onde essere più lontani dalle due sentinelle ed intaccarono
risolutamente una delle sbarre.
Il legno era durissimo, essendo
di noce nero, ma Moko aveva il pugno solido ed il pugnale tagliava come un
rasoio. Bastarono cinque minuti per recidere parte della traversa.
Afferrarono la sbarra e facendo
forza insieme la staccarono. S'udì un leggero scricchiolìo, poi più nulla.
«Fermi!» mormorò il Corsaro.
Quantunque il rumore fosse stato
leggierissimo, uno dei due indiani si era alzato brontolando.
I quattro filibustieri s'erano
sdraiati prontamente l'uno vicino all'altro, mettendosi a russare.
L'indiano, sospettoso come tutti
i suoi compatriotti, rimosse coll'estremità della lancia i tizzoni, alzando
qualche scintilla, poi sempre brontolando fece il giro della gabbia e ritornò
presso il compagno senza essersi accorto che una sbarra era stata già levata.
Rimase qualche minuto ritto,
guardando la luna che allora cominciava ad alzarsi specchiandosi nel mare poi,
rassicurato dal continuo e regolare russare dei prigionieri, tornò a sdraiarsi.
I quattro filibustieri rimasero
per un buon quarto d'ora immobili, temendo che il sospettoso indiano li
spiasse, poi s'alzarono silenziosamente e Moko e Carmaux ripresero il lavoro
intaccando la seconda sbarra.
Onde evitare lo scricchiolìo, la
recisero completamente alla base ed in alto e poi la fecero cadere.
«Capitano, possiamo andarcene,»
disse Carmaux, con un filo di voce.
Diedero un ultimo sguardo ai due
indiani i quali non si erano più mossi, poi uno alla volta abbandonarono la
gabbia.
«Dove fuggiremo?» chiese Wan
Stiller.
«Verso il mare,» rispose il
signor di Ventimiglia. «C'impadroniremo d'una scialuppa e prenderemo il largo.»
«Andiamo,» disse Carmaux. «Ho la
febbre indosso.»
Fecero il giro della gabbia e si
slanciarono verso la spiaggia la quale non era lontana più di duecento passi.
Colà vi erano due dozzine di
scialuppe o meglio di canoe, molto pesanti essendo scavate nel tronco
d'un albero e munite di pagaie col manico corto e la pala assai larga.
I filibustieri unendo i loro
sforzi ne spinsero una in acqua. Già stavano per balzarvi dentro, quando si
videro piombare addosso le due sentinelle.
Il primo arrivato si scagliò
contro il negro, alzando la mazza e gridando:
«Arrenditi o ti uccido!»
Il negro con una mossa fulminea
evitò il colpo che doveva fracassargli il capo poi, afferrato l'indiano
attraverso il corpo lo sollevò come che fosse una piuma e lo scagliò dieci passi
lontano facendogli fare un superbo volteggio.
Il secondo indiano, spaventato
dalla forza erculea del gigante e anche dalla misericordia che brillava
nelle mani del Corsaro, fuggì verso il villaggio urlando a squarciagola.
«Presto, imbarchiamoci!» gridò il
Corsaro, slanciandosi verso la canoa.
I tre filibustieri l'avevano
seguito, afferrando subito le pagaie.
Nel villaggio si udivano delle
grida furiose e si vedevano agitarsi delle ombre umane. Gl'indiani, ormai
avvertiti della fuga dei prigionieri, si preparavano a dare la caccia.
«Forza, amici, - disse il Corsaro
che si era pure impadronito d'una pagaia. - Se fra mezz'ora non siamo fuori
della baia verremo ripresi.
La canoa, spinta
velocemente, si era staccata dalla spiaggia, dirigendosi verso le scogliere che
difendevano la baia contro la furia dei marosi. I filibustieri arrancavano con
lena disperata, tendendo i muscoli fino a farli quasi scoppiare. Soprattutto
Moko, il cui vigore era colossale, imprimeva tali colpi alla sua pagaia,
da sbandare la canoa fino al bordo superiore. Gl'indiani, passato il primo momento
di confusione, si erano rovesciati verso la spiaggia, gettando in acqua cinque
o sei imbarcazioni, fornite ognuna di sei remi.
Vedendo i fuggiaschi dirigersi
verso le scogliere, arrancarono celeremente verso l'uscita della baia per
impedire loro di prendere il largo. Avendo maggior numero di remi, quella
manovra doveva riuscire senza troppe difficoltà.
«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan
Stiller, che si era accorto delle intenzioni dei nemici. «Fra poco avremo la
via chiusa.»
«Vento d'inferno!» gridò Carmaux.
«Stiamo per venire presi, capitano.»
Il Corsaro aveva abbandonato per
un momento il remo, guardando le scialuppe indiane, le quali stavano già per
giungere all'uscita della baia.
«Non possiamo più prendere il
largo,» disse.
«Cerchiamo di approdare su quella
spiaggia,» disse Carmaux, indicando il lato sud della baia. «Vi sono alberi e
cespugli e potremo forse far perdere le nostre tracce.»
«Animo!... Date dentro ai remi!»
La canoa virò di bordo sul posto
e riprese la corsa, mentre gl'indiani, credendo che i fuggiaschi volessero
sforzare l'uscita della baia, si stendevano fra le scogliere per chiudere il
passo.
Accortisi però della intenzione
dei filibustieri, lasciarono tre scialuppe a guardia del passaggio e colle
altre si misero in caccia per catturarli prima che potessero toccare terra.
Erano troppo lontani per avere
qualche speranza di riuscire. Il Corsaro approfittò subito del vantaggio per
guidare la canoa dietro una scogliera onde sottrarla agli occhi degli indiani.
«Li costringeremo a dividersi,»
disse. «Forza, amici!... La riva è vicina!»
Con pochi colpi di remo
superarono la distanza che li separava dalla costa ed arenarono l'imbarcazione
su di un banco di sabbia.
Essendo riparati dalla scogliera,
giunsero inosservati sotto i primi alberi, partendo a tutta corsa. Dove
andavano? Non lo sapevano, né pel momento si preoccupavano della direzione. A
loro bastava di guadagnare via e di cercare un rifugio. La foresta era fitta,
essendo composta d'immensi noci neri, di tapelas, grandissime piante
colle foglie fittissime raggruppate in rosette, di enormi grandiflore e di
ammassi di rododendri i quali formavano dei cespi enormi e così folti da
impedire quasi il passo.
I fuggiaschi percorsero un chilometro
tutto d'un fiato, e s'arrestarono dinanzi ad un noce colossale, il cui tronco
era coperto da liane e da cobee ricadenti in festoni.
«Lassù,» disse il Corsaro. «Il
rifugio è trovato.»
Aggrappandosi alle liane ed alle
cobee, i quattro filibustieri raggiunsero i rami superiori, nascondendosi
in mezzo al fitto fogliame.
Gli indiani giungevano urlando
come indemoniati. Avevano acceso dei rami di pino e frugavano le macchie,
minacciando, imprecando ed avventando dovunque colpi di lancia e di mazza. Essi
passarono presso l'albero senza nemmeno arrestarsi e scomparvero in mezzo alla
foresta, sempre urlando e tutto fracassando sul loro passaggio.
«Buon viaggio,» disse loro
Carmaux. «Vi auguro di non tornare più mai.»
«Non li aspetteremo di certo,»
disse Wan Stiller. «Cosa ne dite, capitano?»
«Che ce ne andremo,» rispose il
signor di Ventimiglia.
«Da qual parte?» chiese Carmaux.
«Verso la spiaggia.»
Stavano per abbandonare i rami ed
aggrapparsi alle liane, quando videro due forme massicce sbucare da un cespuglio
ed accostarsi rapidamente all'albero. Non regnando che una luce molto debole
sotto la gigantesca pianta, quantunque la luna brillasse in tutto il suo
splendore, lì per lì non seppero con quali esseri avevano da fare.
«Non mi pare che siano indiani,»
disse Carmaux, il quale si era subito arrestato.
«Mi sembrano due orsi,» disse
Moko, rabbrividendo.
«Vento d'inferno! Non ci
mancherebbe altro! Dopo gl'indiani gli orsi!»
«Vediamo,» disse il capitano,
curvandosi innanzi ed aggrappandosi solidamente alle liane.
«Abbiamo da fare con due veri
orsi, signori,» disse Wan Stiller, il quale era disceso di qualche metro. «Mi
pare anzi che abbiano intenzione di dare la scalata all'albero.»
«Gli indiani devono averli
spaventati e cercheranno anch'essi di rifugiarsi quassù,» disse il Corsaro.
«O che vengano per mangiarci?»
chiese Carmaux. «E non abbiamo che un pugnale per difenderci!»
«La legna non manca qui. Ehi,
Moko, spezza qualche grosso ramo.»
Mentre il negro stava per
obbedire, i due orsi, dopo una breve esitazione, s'erano aggrappati alle liane,
cacciando i loro unghioni, solidi come l'acciaio, nel tronco dell'albero.
Come si sa, tutti gli orsi,
eccettuati i bianchi, sono ottimi arrampicatori. Ordinariamente vivono a terra,
ma quando le bacche cominciano a scarseggiare nei boschi, salgono sugli alberi
per divorarne le frutta. I due orsi non dovevano quindi incontrare molte
difficoltà per dare la scalata alla noce, tanto più che il tronco era coperto
di piante arrampicanti le quali dovevano facilitare loro molto la salita.
«Capitano,» esclamò Carmaux.
«L'hanno proprio con noi!»
«Moko sei pronto?»
«Ho spezzato un grosso ramo,
signore,» rispose il negro. «Gli orsi sentiranno se pesa!»
«Io ti aiuterò colla misericordia.»
«Eccoli,» disse Wan Stiller,
salendo rapidamente e mettendosi in salvo su di un grosso ramo.
I due orsi erano già giunti
presso la prima biforcazione dei rami. Udendo però quelle voci umane si erano
arrestati come se fossero indecisi.
Moko che si trovava a due metri
da loro, alzò il nodoso bastone, ed appioppò al più vicino una legnata da
fracassargli di colpo la spina dorsale. Il povero animale mandò un urlo
altissimo che fece rintronare la foresta, poi allungò le zampe e rovinò
pesantemente, al suolo, schiantando quanti rami incontrò nella sua caduta. Il
compagno, spaventato da quell'accoglienza, si lasciò scivolare lungo il tronco
e giunto al suolo fuggì precipitosamente, grugnendo e soffiando. Quasi nel
medesimo istante un drappello d'indiani sbucava fra i cespugli slanciandosi
verso l'albero. Probabilmente avevano udito l'urlo mandato dal plantigrado,
così tremendamente conciato dal negro e s'erano affrettati ad accorrere per
vedere di che cosa si trattava.
Vedendo l'animale steso alla base
dell'albero, cominciarono a sospettare che fra i rami si nascondessero degli
uomini. Uno di essi accese alcuni pezzi di pino e li scagliò fra le fronde.
Uno andò proprio a cadere addosso
a Carmaux, strappandogli una esclamazione di dolore.
Urla feroci salutarono quel
grido.
«Ah! Miserabile che sono!»
esclamò Carmaux, strappandosi i capelli. «Vi ho perduti!...»
«Lo eravamo anche senza il tuo
grido,» disse il signor di Ventimiglia. «Gl'indiani non se ne sarebbero andati
senza esplorare l'albero.»
«Ora non ci rimane che
arrenderci,» disse Wan Stiller. - La graticola ci aspetta.
Una voce ben nota, quella del
capo che li aveva fatti prigionieri sulla riva del fiume, gridò loro:
«Che gli uomini bianchi scendano!
Ogni resistenza sarebbe inutile.
«Preferiamo morire combattendo,»
gridò il Corsaro, spingendosi verso il tronco dell'albero, per mettersi al
riparo dalle frecce.
«Vi accordiamo salva la vita.»
«Sì, pel momento.»
«Il genio del mare vi protegge.»
«Non ti credo,» rispose Wan
Stiller.
«Scendete!»
«No,» disse il Corsaro.
«Allora vi affumicheremo e daremo
fuoco all'albero,» gridò il capo.
«E se fosse vero che il genio del
mare ci protegge?» chiese Moko.
«Sarà il capo supremo della tribù
o qualche stregone.»
«Signor capo,» disse Carmaux. «Si
potrebbe parlamentare col genio del mare?»
«Gli uomini bianchi non devono
vederlo,» rispose l'indiano.
«Potremo intendercela meglio con
lui.»
«Orsù, finitela o faccio
incendiare tutte le piante che circondano l'hickorys.»
«Mi pare che non vi sia più nulla
da fare qui,» disse l'amburghese. «Questo selvaggio metterà in opera la
minaccia.»
«Giacché il genio del mare ci
protegge, arrendiamoci,» disse il signor di Ventimiglia. «La misericordia l'ho
nascosta e se ci si presenterà l'occasione ritenteremo il colpo.»
«Ah!... Vedo la mia pelle in
pericolo,» sospirò Carmaux.
«E rimanendo quassù non la
salveresti, vecchio mio,» disse Wan Stiller.
«Scendete?» gridò l'indiano che
cominciava a perdere la pazienza.
«Eccoci,» rispose il Corsaro,
aggrappandosi alle liane e lasciandosi scivolare lungo il tronco.
Appena giunto a terra si sentì
afferrare e stringere da dieci corde vegetali, in modo da non poter fare più
alcun movimento. I suoi compagni non ebbero migliore trattamento.
«Eh, signor capo,» disse Carmaux.
«È in questo modo che il genio del mare ci protegge?»
«Sì,» rispose l'indiano con un
feroce sorriso. «Aspettate la notte del Kium e vedrete cosa ne faremo di
voi.»
«Ci mangerete, è vero?»
«La tribù è impaziente di
assaggiare la carne bianca e la nera.»
«Per sapere quale è la migliore?»
chiese Wan Stiller.
«Te lo diremo quando ti avremo
mangiato,» rispose l'indiano con un atroce sorriso.
Fece gettare i prigionieri su
quattro barelle improvvisate con rami ed il drappello riprese la via del
villaggio, attraversando la foresta.
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