14. Le grandi cacce
del Sultano
Tutta la popolazione di
Varauni era sottosopra ed accorreva verso i magnifici giardini del Sultano,
dove si erano radunati battitori, fucilieri e non poche bajadere per
divertire il potente signore durante gli ozi serali.
Venti carri, tirati da
zebù, forniti tutti di cupoletta dorata, erano stati messi a disposizione dei
cacciatori ma con nessun piacere del portoghese che amava la vera caccia
emozionante e non quella sfarzosa accompagnata da grande baccano.
Il Sultano si era
affrettato a concedere un posto nel suo rotabile al suo ambasciatore, di cui
pareva non potesse ormai far senza.
- Milord, - gli disse -
faremo una gita trionfale attraverso i Monti del Cristallo e torneremo qui
carichi d'animali.
- Voi, Altezza,
conducete troppa gente - disse Yanez. - Le bestie scapperanno dinanzi a noi e
non si lasceranno cogliere per far piacere ai nostri begli occhi.
- Voi, milord, non avete
mai assistito alle nostre cacce. Qui si usa fare tutto in grande.
- Preferirei farle
diversamente - concluse il portoghese.
Il corteggio,
fiancheggiato da una compagnia di splendidi rajaputi alti e forti e che
sembravano statue di bronzo, lasciò finalmente il palazzo fra le acclamazioni
della popolazione ed i grugniti minacciosi di alcuni gruppi di cinesi, gli
eterni nemici dell'elemento malese in tutta l'Indo-Cina.
Lasciate le bassure
paludose, coperte da una splendida vegetazione, il corteggio continuò a
risalire verso levante fra un continuo schioppettìo, poiché i rajaputi,
che battevano i lati insieme agli scikari, non cessavano di far fuoco
sui piccoli uccelli che si mostravano e che dovevano essere l'avanguardia degli
elefanti e di altri grossi animali.
Verso il tramonto, sul
margine d'una foresta furono rizzate delle bellissime tende di nankino
fiorito, ed i cacciatori si accamparono, mentre le bajadere, per non
lasciar annoiare il loro signore, intrecciavano danze in mezzo ai giganteschi
falò di giunta-wan.
Il cuoco aveva già
preparati i cinquanta o sessanta uccelletti, caduti sotto il piombo dei
maldestri tiratori.
Il Sultano pareva
trionfante per quella cacciagione, come se, invece di poveri volatili, fossero
delle tigri, delle pantere nere, dei rinoceronti e degli elefanti.
- Milord, - disse a
Yanez, che pranzava sotto la tenda regale, - se continueremo di questo passo
noi torneremo a Varauni più grassi dei mandarini cinesi e senza spendere un
fiorino.
Tutta questa gente vivrà di caccia, se vorrà
mangiare.
- Dei miei uomini sono
sicuro - rispose Yanez. - Sono tutti famosi cacciatori che hanno affrontata più
volte perfino la tigre indiana.
È il vostro modo di cacciare, Altezza, che mi
garba poco.
- Non siamo ancora
giunti sui grandi territori di caccia riservati a me.
Sappiate intanto che i miei battitori preparano
una gigantesca caccia agli elefanti selvatici.
- È la caccia di notte a
piè fermo, occhi contro occhi, che io apprezzo - rispose Yanez. - Fatemi
scovare una pantera, nera o macchiata non importa, o qualche tigre, ed io vi
insegnerò come si caccia nell'India inglese.
- Ho udito infatti
parlare molto di queste strepitose cacce e non mi spiacerebbe provare quelle
grandi emozioni.
- Allora, Altezza, dopo
cena voi verrete con me con una piccola scorta di cacciatori, due dei miei e
due dei vostri.
Lasciate pure in pace le
bajadere, che non servirebbero ad altro che a fornire carne fresca ed
appetitosa ai carnivori della foresta. Volete? Non correremo alcun pericolo, ve
l'assicuro, e poi voi sapete che quando io faccio fuoco colpisco sempre.
- Lo so, lo so, milord,
- rispose il Sultano - tuttavia è bene pensarvi sopra due volte, poiché le
nostre foreste, oltre che un gran numero di carnivori, celano delle scimmie di
dimensioni gigantesche.
- I maias.
- Sì, milord.
- E dovremo noi
spaventarci per delle scimmie?
- L'attrattiva è troppo
bella per rifiutarsi, milord. Poche volte io ho veduto cacciare all'agguato.
- Allora vi mostrerò io
come si caccia. -
Il Sultano batté diversi
colpi su una lastra di bronzo, facendo accorrere precipitosamente il capo dei
battitori.
- Nulla in vista? - gli
chiese.
- Sì, Altezza: prima del
tramonto è stata scovata una coppia di pantere nere.
- Sai dove hanno il loro
covo?
- Sì, Altezza.
- Allora ci condurrai
là: questa notte voglio dedicarla interamente alla caccia e non agli affari di
Stato. -
Terminarono alla lesta
la cena, poi, mentre le bajadere continuavano ad intrecciare danze per
divertire i cortigiani ed i ministri, lasciarono quasi di nascosto
l'accampamento.
Il piccolo drappello era
formato dal capo degli scikari, da Yanez, dal Sultano, da quattro
cacciatori, fra i quali Kammamuri, e dalla bella olandese.
A trecento metri
dall'accampamento, la grande foresta cominciava, sinistra e tenebrosa.
Fra le grandi piante che
proiettavano un'ombra fittissima, si udivano mille vaghi rumori, che parevano
prodotti da carnivori e non già da babirussa inoffensivi o da semplici cervi.
Di quando in quando un
urlo acuto, terribile, si propagava sotto le arcate di verzura facendo
sussultare perfino Yanez, il quale non era davvero alle prime cacce, e
raggrinzare il cuore del Sultano che non era mai stato in vita sua altro che un
poltrone.
Il capo degli scikari
aveva a poco a poco rallentato il passo, cercando fra le macchie oscure una
pista che lui solo poteva trovare.
- Ci avviciniamo - disse
Yanez a Kammamuri, che gli camminava a fianco.
- La prudenza di
quest'uomo m'indica che qui esiste realmente un pericolo. - E rivolto alla
olandese soggiunse:
- Signora, non vi
staccate da me.
- Sono abituata a
cacciare, milord - rispose Lucy con un adorabile sorriso. - Mio fratello era
francese e mi ha insegnato per tempo ad affrontare le belve delle grandi
foreste.
- Ma non vi fidate
troppo della vostra piccola carabina. -
Il capo degli scikari
in quel momento si era fermato, poi era tornato rapidamente verso il Sultano,
il quale faceva degli sforzi straordinari per non mostrare la sua paura.
- Altezza, - disse - ci
siamo.
- Le pantere? - chiese
il monarca, battendo i denti.
- Non devono essere
lontane più d'un colpo di fucile, Altezza.
- Saranno poi davvero
due?
- Voi sapete che quando
noi battitori rileviamo una pista, non c'inganniamo mai.
Il Sultano guardò Yanez,
il quale stava caricando tranquillamente una splendida carabina a due colpi, di
forte calibro, adatta per le grosse cacce.
- Che cosa pensate voi,
milord? - chiese.
- Che all'accampamento
riderebbero alle nostre spalle se tornassimo a mani vuote.
Per mio conto non lascerò la foresta, senza
avere sparato alcuni colpi di fucile.
- Sentiamo - riprese,
guardando il capo degli scikari - come hai rilevata la pista?
- Da un babirussa mezzo
divorato scoperto presso una folta macchia.
Le pantere devono avere là dentro il loro covo:
sono certo di non ingannarmi.
- Ecco una bella partita
di caccia a piè fermo, Altezza. Basta saper calmare i nervi e non perdere di
vista gli avversari nemmeno un istante.
Andiamo, Altezza?
- Andiamo pure - rispose
il Sultano dopo una breve esitazione. Ad un suo cenno il capo degli scikari
si era rimesso in cammino, inoltrandosi con precauzione sotto le fitte e
tenebrose arcate di verzura.
Di quando in quando si
arrestava per ascoltare o per trovare la pista, poi riprendeva la marcia cogli
occhi ben aperti e gli orecchi in ascolto.
Cercava di raccogliere
qualche lieve rumore che gl'indicasse dove realmente si nascondevano le due
pericolose belve.
- Yanez lo seguiva passo
a passo, col dito sul grilletto della carabina, volendo mostrare al Sultano
come si fanno le vere cacce. Kammamuri gli stava a fianco, coprendo la bella
olandese, la quale si avanzava intrepidamente attraverso la tenebrosa foresta,
senza chiedere aiuto a chicchessia.
Per la seconda volta il
capo degli scikari tornò indietro, dimostrando una viva agitazione.
- Dunque? - chiese
Yanez.
- Stanno dinanzi a noi.
- Due?
- Sì, sì, due.
- Altezza, - disse il
portoghese, volgendosi verso il Sultano - prendete le vostre precauzioni.
Le pantere, nere o macchiate, hanno lo slancio
lungo e piombano facilmente e di sorpresa sul cacciatore.
- Che cosa devo fare? -
chiese il monarca, la cui voce tremava sempre.
- Non allontanarvi da me
e far fuoco a colpo sicuro.
- Gli è che non sono mai
stato un forte tiratore.
- Ci siamo noi, Altezza,
e se le due pantere vorranno passare, avranno da fare i conti con noi. -
Mise la carabina in
posizione di sparare e s'avanzò verso una macchia gigantesca e tenebrosa che il
capo degli scikari gli indicava.
Gli altri lo seguivano
in gruppo serrato, per essere più pronti ad aiutarsi in caso di pericolo.
Dentro la macchia
qualche cosa doveva avvenire, poiché si udivano ad intervalli oscillare dei
rami e crepitare le foglie secche.
- Adagio, signor Yanez,
- disse Kammamuri. - Noi non sappiamo ancora se le pantere sono imboscate sopra
o sotto la macchia.
- I loro occhi
fosforescenti non tarderanno a tradirle - rispose il portoghese.
Si era fermato a
cinquanta passi dalla macchia ed aveva raccolto un grosso sasso.
- Vediamo se
s'inquietano - mormorò. - Di solito quelle belve non temono l'uomo ed attaccano
risolutamente.
Altezza, amici, signora, attenzione! -
Prese la pietra e la
gettò a tutta forza in mezzo alla macchia. Dapprima non si udì nessun rumore,
poi seguì un grido breve, rauco, gutturale, poco forte.
- Sono proprio là -
disse Yanez, e soggiunse:
Circondiamo la macchia. Poggia a destra,
Kammamuri, colla signora e due cacciatori; e voi, Altezza, raccogliete tutto il
vostro coraggio e venite a guardare in faccia le belle bestie che popolano le
vostre foreste.
Siete pronti?
- Sì, - rispose per
tutti Kammamuri.
- Avanti adunque: io
spingerò risolutamente l'attacco. -
I due piccoli drappelli
si erano messi in marcia, avanzandosi con grandi precauzioni.
D'improvviso un'ombra
nera scattò dal mezzo d'un cespuglio e andò a cadere quasi alle spalle della
bella olandese.
Kammamuri, che non aveva
perduto il suo sangue freddo, si voltò e fece rapidamente fuoco.
La belva si contorse un
momento, poi si allontanò scattando. Ma non aveva più lo slancio primiero,
perciò si poteva dedurre che fosse rimasta ferita.
- Inseguiamola! - disse
Yanez, slanciandosi. - Fate fuoco prima che scomparisca fra le macchie. -
Tutti si erano messi a
correre, sparando a casaccio, poiché la pantera si guardava bene dal mostrarsi
e continuava a sgattaiolare, quantunque ferita, fra i cespugli.
Si erano avanzati d'una
cinquantina di passi, continuando a sparare, quando si udì echeggiare un grido
di donna.
Yanez aveva avuto appena
il tempo di vedere la bella olandese fra le braccia di quei formidabili urangs-utangs
o maias od anche meias, che popolano le più folte foreste del
Borneo e che formano il terrore di tutti, essendo dotati d'una forza più che
gigantesca.
- A me!... A me!... -
gridava la bella olandese.
Il quadrumane, che
l'aveva sorpresa fra i rami di un'arenga saccarifera, già scappava con
la preda a tutte gambe, tentando di raggiungere la grande foresta dove doveva
avere il suo rifugio.
Yanez aveva ancora una
canna carica, ma non ebbe il coraggio di spararla, perché poteva colpire,
insieme coll'urang-utang, la giovane donna.
Anche gli altri di erano
ben guardati dal far fuoco, sicché l'enorme quadrumane poté in pochi salti
raggiungere un gruppo di giganteschi alberi e scomparire con rapidità
straordinaria fra il fogliame.
- Cento fiorini a chi la
salva! - gridò il Sultano.
Ci voleva ben altro che
promettere dei premi!... Era necessario agire rapidamente, prima che l'urang-utang
si allontanasse troppo e si rifugiasse nel suo nascondiglio.
- Badate alla pantere,
voi, - disse Yanez. - A me, Kammamuri! -
I due uomini si erano
slanciati verso la grossa macchia d'alberi, in mezzo ai quali doveva
nascondersi il terribile urang-utang, mentre rimbombavano alcuni spari.
- Lasciali fare - gridò
Yanez all'indiano. - Non è affare nostro; essi se la sbrighino come meglio
possono. -
Con una volata avevano
raggiunta la macchia e là si erano fermati dinanzi ad una vera muraglia di
verzura, che pareva impenetrabile.
- Bisogna marciare sulle
radici - disse il portoghese. - Aiutati coi gomuti e coi rotangs.
-
Altri due spari erano in
quel momento echeggiati verso la radura che avevano lasciata.
Le pantere si alleavano
al quadrumane per dare addosso ai disturbatori delle grandi foreste.
- Se la cavino come
possono - ripeté Yanez. - Mi preme più la signora Lucy che quella mummia di
Sultano.
E dove si sarà cacciato questo maias?
- È quello che anch'io
mi domando - disse Kammamuri.
Che l'abbia strangolata?
- No, no; la ritroveremo
ancora viva, se riusciremo a scoprire il nascondiglio.
- Ciò che non sarà
facile, mi pare, fra tutti questi rami e questi ammassi di verzura che si
accavallano così fitti, sebbene quei bestioni siano molto grossi.
- Sì, molto, ma...
taci... -
In mezzo alla foltissima
macchia si udì come un sordo grugnito, che terminò con un certo rumore, che
parve una scarica di pugni nell'ampio petto dell'urang.
- Siamo più vicini di
quello che credevamo - rispose Yanez, il quale si era bruscamente fermato
alzando il fucile. - Il rapitore di donne non è lontano.
- M'impressiona il
silenzio della signora.
- Sarà certamente
svenuta. -
Tese gli orecchi, si
alzò sulle radici, tentando di raggiungere il gruppo centrale della macchia,
poi riprese le mosse, sempre seguito dal fedele Kammamuri.
In lontananza non si
udivano più rimbombare colpi di fucile. Erano scappate le pantere, o invece gli
uomini avevano preso prudentemente il largo?
Era forse più probabile
la seconda ipotesi, essendo le pantere tali animali da spaventare l'uomo più
coraggioso, quando si sono slanciate.
Yanez e Kammamuri
intanto continuavano ad inoltrarsi nella grande macchia, badando a non far
rumore, poiché gli urangs hanno un udito finissimo.
Avevano percorsi
cinquanta o sessanta metri, passando sopra le radici, quando il portoghese si
arrestò di colpo raccogliendo di su un cespuglio un pezzo di gonnella.
- La veste della signora
Lucy! - disse con voce commossa. - Ah, povera donna!...
- Che siamo vicini al
nido? - chiese l'indiano.
- Non deve essere
lontano: ascolta bene. Odi nulla tu?
- Si direbbe che sulla
cima della macchia passi come una corrente d'aria - rispose Kammamuri.
- Sono gli urangs
che russano.
- Gli urangs
avete detto?
- Certo!
- Sono due?
- Sì, il maschio e la
femmina. Il maschio si forma una vera famiglia ed ama la sua pelosa metà.
- L'impresa sarà dura.
- Siamo bene armati,
Kammamuri e bravissimi cacciatori. Quando spariamo un colpo, sappiamo sempre
dove va a colpire la palla.
In quell'istante cadde
dall'alto un proiettile, il quale traforò la macchia con un fragore minaccioso.
- Che cosa è caduto? -
chiese Kammamuri sotto voce.
- Potrebbe essere un durion
ché ci troviamo in questo momento appunto sotto uno di quegli altissimi alberi.
Quando le frutta sono mature, si staccano da sé e costituiscono un vero pericolo
per coloro che s'inoltrano nelle foreste.
Ma può darsi anche che sia stato l'urang
a mandarci questo poco gentile messaggio, che se ci avesse presi sul cranio non
ci avrebbe lasciato nemmeno un lembo di pelle. -
In quel momento un grido
che rassomigliava al vagìto d'un bambino, echeggiò al disopra della folta
macchia.
I due cacciatori si
erano novamente arrestati scrutando il fitto fogliame.
- Lassù - sussurrò ad un
tratto Yanez. - Lo vedi lassù?
- Che cosa?
- Il nido degli urangs.
- Vedo infatti sulla
cima di un grande albero una massa enorme che potrebbe essere benissimo un
nido.
- Non far rumore. Se gli
urangs si svegliano, sono capaci di far passare un brutto quarto d'ora
alla signora Lucy.
Sali su quel gruppo di rotangs
tu, mentre io cercherò egualmente di pervenire fin lassù.
Sangue freddo e grande calma, perché l'affare
non sarà facile a sbrigarsi. -
Per la seconda volta, al
di sopra della tenebrosa macchia, si udì il vagìto.
Un piccolo urang
si lagnava.
- Su - disse
Yanez.
Si erano già aggrappati
ai rotangs, quando un altro proiettile attraversò, fischiando, la
macchia, facendovi un vero squarcio.
Un momento dopo ne
giungeva un terzo che per poco non accoppava il portoghese, quantunque avesse
avuto la precauzione di tenersi al riparo contro il tronco di un sagu.
- È un bombardamento in
piena regola! - mormorò Yanez, evitandone un terzo. - Che cosa si fa qui? -
Si guardò intorno.
Kammamuri continuava a salire per suo conto, seguendo il gran fascio di rotangs,
che pendeva dal grand'albero su cui si trovava il gigantesco nido degli urangs.
Avanzava cauto,
servendosi più dei piedi che delle mani, per essere più pronto ad imbracciare
il fucile.
- È già a buon punto, -
mormorò il portoghese. - Cerchiamo di raggiungerlo. -
La grandine di
proiettili era cessata, forse perché il durion era stato rapidamente
spogliato delle sue pericolosissime frutta.
Era il momento opportuno
per avanzare.
Yanez si gettò ad
armacollo la carabina, si aggrappò al suo fascio di rotangs e cominciò a
salire prestando attento orecchio ai rumori che provenivano di sopra la
macchia.
Ad un tratto un urlo
acuto, che parve il ruggito di un leone, squarciò l'aria, seguito da un
tamburellare sonoro prodotto da gran colpi di pugno in mezzo al petto.
Yanez si era fermato
sulla biforcazione d'un ramo, puntando la carabina per proteggere l'indiano, il
quale continuava la sua salita con un coraggio assolutamente straordinario.
Una massa enorme, una
specie di piattaforma formata da grossi rami incrociati e legati da rotangs,
si ergeva a pochi metri sopra la testa dell'indiano.
Era il nido degli urangs.
Trascorsero alcuni
istanti d'attesa angosciosa per Yanez, il quale mirava sempre il nido, deciso a
dare battaglia a tutti i suoi abitanti, poi un altro ruggito rimbombò
accompagnato da un furioso scricchiolìo di rami.
Gli urangs
dovevano essersi accorti che si stava per tentare l'assalto al loro nido e si
preparavano alla difesa, una difesa certamente spaventosa, poiché quei
quadrumani sono alti quasi come un uomo, con certe braccia che sembrano tronchi
d'albero, tutti irti di gruppi di muscoli.
Sono, dopo i gorilla, le
scimmie più formidabili che si trovino sulla superficie del globo e non hanno
alcun timore ad affrontare l'uomo, anche armato di fucile, quando la rabbia
frenetica li prende.
Yanez, vedendo che non
cadevano più dall'alto dei durion, aveva ricominciato a salire, non
volendo lasciare solo Kammamuri nel momento dell'attacco.
Un'ombra era comparsa
sul margine del nido, una forma quasi umana, la quale squassava furiosamente i
rami dell'albero, mandando di quando in quando dei ruggiti.
- Cerchiamo di gettarlo
giù - mormorò Yanez. - Sarà sempre uno di meno. -
Diede un ultimo sguardo
all'indiano il quale non cessava di salire, poi si fermò alla biforcazione di
un altro ramo e puntò la carabina.
Un lampo squarciò le
tenebre, seguito da una fragorosa detonazione e da un fracassìo che pareva
prodotto dallo spezzarsi di parecchi rami.
L'urang che si
trovava sull'orlo del nido ora non si vedeva più. Era piombato attraverso la
macchia come un bolide fracassandosi le braccia e le gambe.
- Bel colpo! - esclamò
imprudentemente Kammamuri, il quale si trovava ormai sotto la piattaforma.
Una zampa vellosa
l'afferrò in quel momento per il collo e lo tenne sospeso in aria.
Uno degli urangs,
probabilmente il maschio, si era precipitato sull'indiano, pronto a farlo a
pezzi.
Non ci voleva gran che
per un animale dotato d'una forza erculea veramente spaventosa.
- A me, signor Yanez! -
aveva gridato l'indiano, il quale invano si era appoggiato ai rotangs
colla speranza di paralizzare quella trazione.
- Eccomi Kammamuri! -
gridò il portoghese.
Poi due colpi di
carabina rimbombarono formando quasi una detonazione sola.
- Toccato! - gridò
l'indiano, il quale aveva sentito subito allentare la stretta spaventosa.
Il meias si
mantenne per qualche minuto ritto sull'orlo del nido, percotendosi furiosamente
il petto il quale risonava come una gran cassa, poi le forze improvvisamente lo
tradirono e piombò a sua volta attraverso la macchia, fracassandosi le membra.
- È morto, signor Yanez!
- gridò Kammamuri, il quale si era prontamente rimesso dalla terribile emozione
provata.
- Saliamo, amico: non
troveremo che qualche piccolo urang, impotente a difendersi. -
Si aggrapparono
novamente ai rotangs e ripresero la salita, giungendo ben presto sotto
l'ampio nido.
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