2 - IL
PARLAMENTARIO
L'europeo dalla pelle rosea, i capelli
biondi e gli occhi azzurri difesi da un paio di occhiali montati in oro, a
quella chiamata fu pronto a svegliarsi ed a discendere dall'houdah.
- Altezza, - disse levandosi
l'elmo di tela bianca e facendo un profondo inchino. - Vi conosco già assai per
fama, e sospiravo il momento di vedervi.
- Voi siete olandese? - chiese
Yanez, dopo avergli dato una stretta di mano.
- Sì, Altezza.
- Un professore forse?
- Un medico che ha dedicato tutta
la sua esistenza allo studio dei bacilli.
- E perché siete venuto insieme
col mio amico?
- Per aiutarvi, Altezza, -
rispose l'olandese con voce pacata. - Esperimenterò la potenza dei miei bacilli
sui vostri avversari.
- Veramente non capisco bene,
signor Wan Horn.
- Lo credo: non avete ancora
veduto le mie bottiglie entro le quali coltivo quei microscopici animaletti
così terribili da scatenare la peste, il colera, il tifo ed altre malattie.
- Yanez - disse Sandokan
interrompendo - tu credi proprio che la volta non cadrà anche se calcinata dal
fuoco?
- Ti ho detto che non vi è alcun
pericolo.
- Allora, finché voi discuterete
di cose che io, uomo quasi selvaggio, non posso comprendere, vi lascio per
recarmi verso la foce del fiume fangoso. Voglio vedere coi miei occhi come
vanno le cose laggiù.
«Pare che gli sciacalli di
Sindhia si siano fitti in capo di entrare qui malgrado il fuoco delle
mitragliatrici. Ah, la vedremo!...»
Chiamò due malesi, prese un'altra
torcia e si allontanò rapidamente seguendo la larga banchina, mentre dei colpi
di fuoco continuavano a rimbombare verso l'estremità della grand'arcata.
- Dunque vi dicevo - riprese
l'olandese, a cui piaceva assai parlare, a quanto pareva, quantunque sia cosa
piuttosto rara in un olandese - che io sono riuscito a coltivare una quantità
enorme di bacilli, bastanti per distruggere anche cento milioni di persone in
pochi giorni.
- Possibile? Sareste voi il
fratello del Demonio della guerra? - esclamò il Maharajah.
- No, Altezza - rispose
l'olandese, sorridendo. - Conosco già la storia di quel disgraziato inventore.
E poi io non sono un inventore.
Non sono che un coltivatore, ma invece di piantare fagiuoli e patate, racchiudo
i bacilli più terribili dentro delle bottiglie che invece di acqua pura
contengono un brodo assai nutriente, ottenuto con siero di vitello e di fegato glicerinato.
- È un po' difficile capirvi,
signor Wan Horn. Io non sono uno scienziato.
- Capirete subito, Altezza.
Quantunque verso il fondo della
grande cloaca continuassero a rombare le grosse carabine, l'olandese si
arrampicò agilmente sull'hauda, aprì una cassa, prese a casaccio qualche
cosa e ridiscese con infinite precauzioni.
- Che cos'è questa? - chiese a
Yanez.
- Una bottiglia che mi pare piena
d'un liquido color dell'ambra, ma che io non vuoterei, ve lo assicuro, dottore.
- No, è un vivaio. Entro questo
vetro ho coltivato i bacilli della tubercolosi.
- Ma io non vedo alcun insetto
agitarsi dentro quel brodo!
- Come sarebbe possibile? I
vostri occhi non sono dei microscopi. Pensate, Altezza, che i bacilli della
tubercolosi, per esempio, che hanno la forma di asticciuole rosse, sono così
piccoli, che mille, messi l'uno dietro l'altro, raggiungono appena la lunghezza
d'un millimetro.
Calcolate poi che occorre un
milione di quei terribili esseri per coprire solamente un millimetro quadrato.
- Sicché io non posso vederli.
- Nemmeno se possedeste gli occhi
delle aquile.
- E quanti ve ne sono rinchiusi
in quel vivaio?
- Tanti da poter inoculare la
tisi a cento o duecentomila uomini -rispose l'olandese.
- Voi mi spaventate. Se le vostre
bottiglie si spezzassero?
- Morremmo tutti ed in poco
tempo, perché ho tre vivai di bacilli virgola del colera.
- Mi stupisco come Sandokan vi
abbia permesso di portare con voi degli oggetti così pericolosi - disse Yanez.
- Una disgrazia può sempre avvenire.
- Quale?
- Una palla di cannone potrebbe
frantumare la vostra cassa ed allora saremmo noi alle prese col tifo, colla
peste, col colera ed altri malanni ancora.
- Speriamo, Altezza, che la palla
non giunga fino alle mie preziose bottiglie. Sarebbe per me una perdita
incalcolabile.
- Che avreste ben poco tempo per
rimpiangere, dottore. Il colera vi prende e vi spazza via in poche ore...
- Anche meno, Altezza. Ho un
vivaio che contiene dei bacilli virgola che fulminano l'uomo appena
attaccato.
- Signor Wan Horn, rimettete a
posto la vostra bottiglia. Una palla potrebbe entrare nella grande cloaca e
spezzarvela fra le mani... E dite un po' - soggiunse Yanez - come vi servireste
di questi... chiamiamoli i proiettili della morte sicura?
- Si va a gettare una bottiglia
nel campo nemico, la si rompe, e si lascia che i microbi si sviluppino e
compiano il loro dovere.
- Ah, dovere lo chiamate!
- Il loro compito, allora. Dopo
poche ore ecco il colera dichiarato nel campo, ed ecco gli uomini cadere più o
meno fulminati.
- E chi sarà l'uomo che avrà
tanto coraggio da andare a spezzare il vivaio proprio in mezzo ai nemici?
- Ci penso io - rispose
l'olandese colla sua solita flemma. - Io sono immune completamente contro tutte
le malattie che potrebbero sviluppare le mie care bestioline.
- Sta bene; e vi recherete fra le
truppe di Sindhia?
- Sì, Altezza, con due bottiglie
ben nascoste in due tasche speciali cucite dentro la mia ampia giacca.
- Non vi fidate di quella gente.
- Sono un europeo; e vedrete,
Altezza, come io giuocherò quella gente ed il loro rajah.
- Da solo?
- Da solo - rispose l'olandese. -
Ho avvicinato i dayaki che nelle selve del Borneo usano ancora fare
raccolte di teste umane, eppure nessuno ha tagliato la mia. Le genti di
Sindhia, che sono poi degli assamesi, che io sappia, non sono mai stati
tagliatori di zucche umane.
- Dovete aver del fegato, signor
Wan Horn - disse Yanez. - Vi vedremo alla prova.
- Quando vorrete, Altezza. Il calore
che regna nel Borneo e nell'India si confà assai ai miei microscopici
animaletti.
«Se fossi rimasto in Olanda,
malgrado le mie cure, sarebbero a quest'ora morti tutti.
«Fa un po' freddo nel mio paese,
e molta umidità vi regna in tutto il tempo dell'anno e...»
Un crepitio di mitragliatrici lo
interruppe bruscamente. Si combatteva dunque verso l'ultima arcata della
gigantesca cloaca?
Yanez afferrò la carabina che
aveva appoggiata contro la parete, e dopo d'aver fatto due o tre passi disse al
dottore, che teneva sempre fra le mani la sua pericolosa bottiglia:
- Vado a vedere come stanno le
cose: riprenderemo più tardi la nostra interessante conversazione. Vi
consiglio, per ora, di mandare a dormire i vostri bacilli.
E scappò via seguìto da
Tremal-Naik e da Kammamuri che si era munito d'una torcia e
la roteava continuamente onde ravvivare la fiamma. Tutti e tre, seguiti a breve
distanza da una mezza dozzina di malesi i quali, udendo le fucilate non avevan
più potuto trattenersi, si erano slanciati a gran corsa lungo la riva del fiume
nero.
Le mitragliatrici stridevano,
segno evidente che gli sciacalli di Sindhia, come li chiamava ormai Sandokan,
tentavano d'introdursi nella grande cloaca in buon numero.
Dopo una corsa velocissima di
dieci e più minuti, Yanez ed i suoi compagni raggiunsero la Tigre della
Malesia.
Le palle sibilavano in aria,
scrostando ora le pareti ed ora la grande volta.
Dal di fuori della cloaca della
gente sparava all'impazzata, credendo di spaventare col fracasso di cinquecento
o mille fucili i pirati di Mompracem. Ah, ci voleva ben altro per quei vecchi
guerrieri incanutiti fra il fumo di tante battaglie terrestri e marittime!...
- Dunque, un vero assalto? -
chiese Yanez avvicinandosi a Sandokan, il quale scatenava una delle cinque
mitragliatrici, seduto su un masso presso il quale ardeva una fiaccola.
- Pare - rispose il formidabile
uomo. - Ma finché questi giocattoli funzioneranno, gli sciacalli di Sindhia non
metteranno piede qui dentro. Il difficile sarà poi l'uscire da questa specie di
trappola.
- Vi è il dottore olandese che
penserà ad aprirci la via - disse Yanez un po' ironicamente.
- E tu credi?...
- Chi lo sa?
- Io te l'ho portato perché lui
mi assicurava di poter distruggere anche tutta la popolazione dell'Assam in
pochi giorni colle sue famose bottiglie piene di non so quali bestioline. Io
peraltro conto più sulle mie mitragliatrici e sulle carabine della mia gente...
Oh, il fuoco è cessato, e si ode un ramsinga sonare insieme con una campana.
«Guarda bene, Yanez!... Non vedi
tu una grossa lampada avvicinarsi? Che Sindhia ci mandi qualche parlamentario?»
- Sì - rispose il Maharajah. -
È un parlamentario. Fa' cessare il fuoco.
Sandokan levò un fischietto d'oro
e lanciò tre note acute. Subito le mitragliatrici e le carabine diventarono
silenziose.
Nella notte tenebrosa una voce
echeggiò al di fuori della grande cloaca:
- Porto con me la bandiera
bianca!...
- Chi sei? - chiese Yanez.
- Un parlamentario.
- Chi ti manda?
- Sindhia.
- Avànzati.
Poi volgendosi verso Sandokan gli
disse:
- Io questa voce l'ho udita
ancora e non molto tempo fa.
Tremal-Naik,
che stava osservando le mitragliatrici, disse:
- Io conosco l'uomo che ha
parlato.
- Chi può essere?
- È l'uomo che tu avevi legato al
cannone sul bastione di Marundia, e che invece di farlo saltare in aria, come
ne avevi il diritto, l'hai graziato.
- Kiltar!... Il bramino!...
- Sì, quell'uomo ti disse di
chiamarsi Kiltar e di non dimenticare il suo nome.
- Ecco un uomo che ci porterà delle
notizie preziose - disse Yanez.
- Crederai tu alle sue parole? -
chiese Sandokan, sempre diffidente.
- Mi deve la vita, e gli indiani
sono riconoscenti.
- Vedremo.
Otto malesi colle carabine
spianate, preceduti da un dayako che portava una torcia, erano andati
incontro al parlamentario, il quale si era avanzato solo, facendo ondeggiare
una bandiera bianca.
Era un uomo di statura alta,
magro come tutti i bramini ed i fakiri, dalla tinta piuttosto fosca ed i
lineamenti energici, resi più duri da una lunga e folta barba nera.
Era tutto vestito di bianco.
Solamente alle reni portava una larga fascia di seta gialla, abbastanza in
cattive condizioni.
I malesi lo afferrarono e lo
spinsero, assai brutalmente, verso Yanez, il quale era illuminato da un'altra
torcia tenuta da un dayako armato d'un kampilang luccicante.
- Gran sahib, - disse
- mi riconosci? Io spero che tu non avrai dimenticato il mio nome.
- Tu sei Kiltar, l'uomo che io ho
graziato - rispose il Maharajah. - Ti ho riconosciuto
perfettamente.
«È la seconda volta che ti
presenti a me come parlamentario. Che cosa vuoi? È Sindhia che ti manda?»
- Sì, gran sahib - rispose
il bramino, fissando cogli occhi il luccicante kampilang del dayako che
reggeva la torcia.
- Che cosa vuole quell'uomo?
- Che tu ti arrenda, gran sahib.
- Ah!... - fece Yanez, prendendo
a Sandokan una sigaretta. - Quell'uomo è pazzo.
- Lo credo anch'io, gran sahib
- rispose il bramino. - A Calcutta non lo hanno curato bene.
- Spiegati meglio, Kiltar.
- Ti consiglio, gran sahib, di
non cedere. Dopo che tu hai ricevuto quei terribili uomini i quali hanno fatto
una vera strage fra i rajaputi che un giorno erano al tuo servizio, il rajah
è spaventato.
- Buono a sapersi - disse
Sandokan, il quale, seduto su una mitragliatrice, guardava con viva curiosità
il parlamentario.
- Tu mi sei debitore della vita -
disse Yanez. - Te lo ricordi?
- Sempre, gran sahib. Si
dice che i morti stanno benissimo nel nirvana che è tanto largo da
accogliere tutte le anime degli indù, ma io sono contento di non esservi
andato.
- Ti credo - rispose Yanez
ridendo. - Almeno quando siamo vivi si può sapere quello che succede nel mondo.
- Non so che cosa sia il mondo -
rispose il bramino. - Io non conosco che l'India.
- Insomma, che cosa vuoi? Noi non
abbiamo tempo da perdere.
- Potremo riprendere questo
discorso domani o fra una settimana, gran sahib, se così ti aggrada.
- Ritornerai qui?
- No, io non tornerò più, perché
se portassi a Sindhia la notizia che tutti voi vi rifiutate di arrendervi, mi
farebbe schiacciare la testa da uno dei suoi elefanti.
- Suoi?... Miei!... - urlò Yanez.
- È vero. I rajaputi te li
hanno rubati tutti.
- Vile gentaglia!... - esclamò
Sandokan. - Risparmierò dei paria, risparmierò dei bramini, dei fakiri,
ma non quei mercenari. Quanti cadranno nelle nostre mani li fucileremo, e
le nostre grosse carabine di mare non sbaglieranno.
- Ne ha perduti nessuno? - chiese
Yanez con un impeto di rabbia.
- Tre o quattro nell'assalto di
Gauhati - rispose il bramino.
- Quanti uomini ha?
- Forse quindicimila, perché la
colonna, che è corsa in tuo aiuto, ha fatto dei veri massacri con certe armi
che non conoscevamo prima. Era un fuoco infernale che si succedeva senza tregua
e rovesciava gli assalitori a centinaia e centinaia.
- Ha paura anche Sindhia di
quelle armi?
- Trema quando ode quel sinistro
crepitìo.
- Anche questo è buono a sapersi
- disse Sandokan, il quale aveva accesa la sua pipa, incrostata di zaffiri
orientali e col bocchino d'oro. - Quest'uomo è veramente prezioso.
Yanez continuava a fumare la sua
sigaretta, colla fronte aggrottata, accarezzandosi la barba. Pareva che
pensasse intensamente.
- Tu non vuoi ritornare? - chiese
finalmente.
- No, gran sahib, questa
volta mi ucciderebbe.
- Eppure tu dovrai rivedere
Sindhia.
Il bramino divenne livido ed i
suoi occhi si allargarono di spavento.
- Tu vuoi la mia morte, gran sahib,
- disse. - È vero che mi hai donata la vita.
- Tu non tornerai al campo di
Sindhia solo - disse Yanez. - Ti darò un compagno e sarà un uomo bianco.
- Un uomo bianco!... - esclamò il
bramino.
Sandokan si era alzato ed aveva
vuotata la pipa.
- Che cosa mediti tu, fratellino!
- chiese a Yanez, il quale conservava sempre il suo sangue freddo meraviglioso.
- Tu mi hai portato un uomo
bianco che si propone di distruggere tutte le bande di Sindhia in pochi giorni.
«Ebbene, io lo metterò alla
prova.»
- Chi? il signor Wan Horn?
- Sì, e ci farà provare la
potenza delle sue bottiglie.
- E ci credi tu?
- Io ho più fiducia nella mia carabina
- rispose il portoghese. - Pure a certi scienziati si deve credere.
- Se lo dici tu è affare finito.
E vuoi mandarlo da Sindhia?
- Certamente.
- Ti ha detto che voleva andarci?
- Sì, con un paio di bottiglie
piene di bacilli di colera.
- Che cosa sono?
- Sono delle piccole bestie che
tu non conosci.
- E se Sindhia lo fucilasse?
- Un uomo bianco? Oh, non
l'oserebbe di certo!
- Che cosa dici, tu, bramino? -
chiese Sandokan a Kiltar.
- Che accompagnato da un uomo
bianco tornerei nel campo di Sindhia.
- Che cosa decidi allora, Yanez?
- chiese la Tigre della Malesia.
- Di mettere alla prova i famosi
microbi del tuo amico olandese. Credi che accetterà di recarsi al campo di
Sindhia come parlamentario?
- È un uomo che ha del coraggio e
perciò non si rifiuterà. E che cosa vuoi che vada a dire a quel rajah?
- Ci penserò io ad istruirlo. A
me basta che possa rompere un paio di bottiglie di bacilli del colera. Non gli
domanderò altro.
- Io rispondo di lui.
- Allora tu rimani qui mentre io
vado a trovare il dottore. Trattieni Kiltar.
- Oh, non me lo lascerò scappare,
- rispose Sandokan.
- E guardati da qualche
improvviso assalto.
- Tutte le mitragliatrici e tutte
le carabine sono cariche. Mi attacchino gli uomini dell'ex rajah se
l'osano. Dei suoi paria e dei suoi fakiri farò una marmellata.
Mentre Yanez si allontanava
frettolosamente, scortato da Tremal-Naik e da sei malesi,
il terribile capo dei pirati della Malesia caricò la pipa, si sedette su una
mitragliatrice, e dopo aver ben guardato in viso il bramino, gli chiese:
- Dunque Sindhia spera sempre di
riconquistare l'Assam?
- Gli fanno paura i montanari di
Sadhja che già altra volta lo hanno vinto.
- E noi no?
- La tua colonna sì. Ha ucciso
troppi uomini ed ha fatto specialmente strage di rajaputi. Metà di
quegli uomini, che costituivano la sua forza, sono rimasti sul terreno.
- Hanno meritata la paga dei
traditori - disse Sandokan, avvolgendosi in una nube di fumo profumato.
- Sì, traditori - disse il
bramino. - Brava gente in guerra, salda al fuoco, ma sempre pronta a vendere il
loro onore di soldati per qualche rupia di più, signore.
- Oh, li conosco! Non è la prima
volta che vengo in India.
- Io, gran sahib, ho udito
parlare assai di te. Tu sei l'uomo che ha ucciso Suyodhana, il famoso capo dei thugs
delle Sunderbunds del basso Bengala.
- Si direbbe che tu mi hai veduto
un'altra volta.
- Sì, a Delhi, quando tu
combattevi per la libertà indiana. Se la memoria non mi tradisce, io ti ho veduto
sparare i cannoni sui bastioni della porta Cascemir.
- Può darsi - rispose Sandokan. -
Rispondevo, come potevo, ai pezzi inglesi che squarciavano, colle loro bombe,
tutte le casematte.
«Tu dunque c'eri quando gli
inglesi presero d'assalto la città?»
- Sì, gran sahib, e vidi,
ben nascosto, cadere scannati tutti i miei nipoti che non potevano difendersi,
e condurre via anche Mahomed Bahadur, legittimo discendente dei Gran Mongoli
che i rivoluzionari avevano acclamato imperatore.
- Ne so qualcosa anch'io di
quelle tristi giornate che lasciarono una macchia indelebile sulle giubbe rosse
degli inglesi. Non erano bianchi che montavano all'assalto: erano peggio dei
pirati della peggiore specie, poiché non rispettavano nemmeno le donne e
trucidavano freddamente i fanciulli...
«Ma occupiamoci di Sindhia. Credi
tu che gli inglesi lo abbiano aiutato a fuggire e a radunare tutti quei
disperati?»
- Ne sono più che convinto, sahib,
- rispose il bramino. - Il governatore del Bengala non vedeva di
buon occhio il Maharajah bianco: pare che le giubbe rosse avessero avuto
a dolersi di lui in altri tempi.
- E molto! Ma noi all'Inghilterra
abbiamo reso un servigio impagabile, poiché siamo stati noi a distruggere i thugs
che popolavano le jungle delle Sunderbunds, ed il Governo del
Bengala c'è stato mediocremente riconoscente.
- Sono sempre gli stessi uomini, sahib.
L'uomo di colore per loro è una pecora da tosare.
- Oh, lo so meglio di te e...
Sandokan si era alzato di scatto,
vuotando con un gesto brusco il tabacco che ancora rimaneva nella pipa, ed
aveva fissati gli sguardi su un grosso punto luminoso che si avanzava
velocemente, seguendo la banchina.
- Yanez - disse. - Vedremo che
cosa avrà combinato coll'olandese.
Era infatti il portoghese che
tornava a gran passi accompagnato da Tremal-Naik, dal
cacciatore di topi e dal biondo medico che si occupava dell'allevamento dei
terribili bacilli.
- Dunque? - gli chiese
premurosamente Sandokan, movendogli incontro.
- Il signor Wan Horn è deciso a
tentare l'avventura.
- È vero, amico? - chiese la
Tigre al dottore.
- Sì, signor mio - rispose
l'olandese. - Io non ho mai avuto paura degli indiani, e poi sono un uomo
bianco.
- E andate come nostro
parlamentario.
- Sono stato istruito dal
Maharajah. Basterà che mi fermi una mezz'ora nel campo di Sindhia per
sprigionare i miei cari animaletti.
- Che sono?
- Bacilli virgola.
- Ne so meno di prima.
- Colera, signor Sandokan, e
forse fulminante.
- Voi avete molte speranze?
- Sì, sono sicurissimo delle mie
coltivazioni - rispose l'olandese.
- Avete portato con voi qualche
bottiglia?
- Ne ha due in tasca - rispose
Yanez.
- Basteranno, dottore? - chiese
Sandokan con un po' di diffidenza.
L'olandese si mise a ridere
mostrando una doppia fila di denti che avrebbero fatto buona figura anche in
bocca ad un lupo indiano.
- In queste due bottiglie vi sono
tanti microbi da uccidere mezza popolazione del Bengala.
- Uhm!... Mi pare un po' grossa.
Che cosa ne dici tu, Yanez?
- Da questi scienziati tutto si
può aspettarci - rispose il Maharajah.
- E gli hai dato tutte le
istruzioni necessarie per presentarsi a Sindhia?
- Fingerà di andare a trattare la
nostra resa.
- Ed i nostri elefanti come
stanno?
- Continuano a lamentarsi,
quantunque i nostri uomini non cessino di innaffiarli. Fa sempre caldo assai
verso l'alto corso del fiume fangoso.
- Non morranno?
- Io credo di no, Sandokan.
- Mi rincrescerebbe di perderli
perché ci sono necessari per raggiungere i montanari di Sadhja.
«E poi io penso che se il
tentativo di questo dottore fallisse, ci servirebbero per dare una carica
sfrenata e passare attraverso le bande di Sindhia.
«Sono abituati a udire rombare le
mitragliatrici e non si spaventano più. Animali d'una robustezza eccezionale e
d'un valore guerresco immenso.»
Additò al bramino l'olandese,
dicendogli:
- Ecco l'uomo che ti accompagnerà
come parlamentario.
- Va bene, sahib. Io sono
pronto a partire.
- Tu avrai un premio di mille
rupie - gli disse Yanez.
- Io devo a te la vita, Altezza -
rispose il bramino con una certa nobiltà. - Mi hai pagato abbastanza.
- No, perché io conto di
rivederti e di prenderti ai nostri servigi - disse Yanez.
- Tu, Altezza, farai ciò che
vorrai. Ti giuro su Brahma che fino da ora sono interamente tuo, corpo ed
anima.
- Ti avverto che se vedrai questo
sahib spezzare un paio di bottiglie farai finta di non vedere, e ti do
il consiglio di scappare subito colla velocità d'un nilgò.
- Io sarò cieco, Altezza.
- Hai una scorta che ti aspetta
fuori? - gli chiese Sandokan.
- Sì, sono giunto con una ventina
di rajaputi. Si sono fermati presso la moschea per ricondurmi al campo.
- Signor Wan Horn, se non avete
paura dei vostri microbi, potete seguire quest'uomo. Ci direte più tardi in
quali condizioni di salute si trova quel caro Sindhia.
- Io non ho paura - rispose
l'olandese colla sua voce sempre pacata. - Sarò un parlamentario meraviglioso.
Lo sono stato ancora, per conto del mio governo, presso i dayaki laut.
- E non vi hanno mangiato? -
chiese Yanez ridendo.
- No, perché allora ero molto
magro e non potevo fornire a quei cannibali che delle bistecche assai spolpate.
Tese la mano a Sandokan, a Yanez,
a Tremal-Naik, si abbottonò l'ampia giacca nelle cui tasche
interne nascondeva le famose bottiglie e seguì il bramino il quale si era
impadronito d'una torcia.
- Speriamo di rivedervi presto -
gli gridò dietro il portoghese. - Nessuno oserà passarmi per le armi - rispose
il dottore.
E se ne andò tranquillo, mentre i
pirati della Malesia, sempre sospettosi, puntavano le mitragliatrici verso la
vecchia moschea.
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