4 - L
'ASSEDIO
Non fu che dopo la mezzanotte che
Yanez ed il cacciatore di topi, seguiti dall'erculeo rajaputo e
dai dodici montanari di Sadhja, si misero in marcia per tentare di procurare
degli alimenti alle povere bestie, le quali, durante la giornata, avevano
barrito e nitrito senza interruzione.
Si erano muniti di due torce ed
erano tutti armati di carabine, di pistole e di scimitarre.
Il drappello costeggiò per oltre
due miglia il pigro fiume nero che frusciava invece di gorgogliare, poi
entrarono in una delle tante rotonde destinate a raccogliere le acque.
Il cacciatore di topi aveva già
fatto un segno su una parete per non ingannarsi, quindi poteva ormai procedere
tranquillo attraverso le gallerie superiori che si estendevano sopra l'immensa
arcata e che si diramavano per la città.
- Quanto impiegheremo a giungere
in quella cantina? - chiese Yanez.
- Appena una mezz'ora - rispose
il baniano. - Non faremo che una semplice passeggiata, poiché le gallerie che
io ho scoperte sono tutte ampie e non avremo bisogno di curvarci per passare.
- Bada di non smarrirti.
- Oh, no!... Nella mia testa vi è
una specie di bussola che mi guida.
- Si perdono anche i marinai
talvolta.
- Non io - rispose il cacciatore
di topi con voce ferma.
- Si sarà raffreddata la cantina?
- Io lo spero. Quando vi sono
entrato non vi era una tale temperatura da non poter resistere.
- A quest'ora troveremo una
temperatura meno ardente.
- Anche qui non regna più un gran
caldo - disse Yanez. - Si suda un po', questo è vero, però non dobbiamo
dimenticare che siamo nel gran paese del sole.
Così parlando avevano
attraversato un ampio corridoio, cosparso di sabbia asciutta che spandeva un
odore nauseabondo quantunque fosse bianchissima, ed erano giunti in un'altra
rotonda, capace di contenere anche trenta persone.
Doveva essere stata anche quella
abitata dai più miserabili abitanti della capitale, poiché anche là dentro si
vedevano mucchi di luridi stracci che dovevano aver servito come letti, delle
foglie secche e dei pezzi di legna accatastati con una certa cura.
- Ancora due e poi sboccheremo
nella cantina, o meglio nel sotterraneo scavato sotto qualche grande palazzo -
disse il baniano.
- Anche questo fogliame secco può
servire pei cavalli se non per gli elefanti - disse il Maharajah, il
quale tutto osservava minutamente.
- L'avevo pensato anch'io,
Altezza - rispose il cacciatore di topi.
- Nelle altre rotonde ne hai
veduto?
- Sì, e anzi l'ultima è ben
provvista.
- Buono a sapersi.
- Disgraziatamente gli animali da
nutrirsi sono troppi.
- Dimmi la tua idea franca e
precisa. Nelle nostre condizioni che cosa faresti?
- Io non mi moverei di qui finché
ci sono cavalli, elefanti e topi da divorare. Sindhia finirà per stancarsi e se
ne andrà.
- E noi a piedi?
- Non so che cosa dire, Altezza. Voi
siete altri uomini, mentre io potrei rimanere assediato per anni ed anni senza
morire di fame. D'altronde vi siete persuaso che i topi, bene arrostiti, non
sono poi da disprezzarsi.
- Oh, no, ma finirebbero per
nauseare - rispose Yanez.
Il baniano alzò le spalle e
continuò la marcia, con maggior rapidità, sbattendo, di quando in quando, a
terra la torcia che portava.
Il drappello percorse altre
lunghissime gallerie che né i secoli né l'umidità avevano guastate, tutte ampie
e discretamente arieggiate. Regnava però un calore ancora intenso prodotto
dall'enorme ammasso di carboni che aveva coperto le vie della capitale.
Dopo un altro quarto d'ora
sboccarono in una nuova rotonda, assai più ampia della prima, e dopo pochi
minuti in un'altra ancora perfettamente asciutta.
- Siamo a poca distanza dal
sotterraneo - disse il cacciatore di topi.
Stava per imboccare un'altra
galleria, l'ultima, quando si fermò tendendo gli orecchi.
- Che cosa hai udito? - gli
chiese Yanez, togliendosi dalle spalle la carabina.
- Un passo d'uomo.
- Tu sogni. Sarà qualche esercito
di topi affamati.
- No, Altezza: io ho troppo
vissuto in queste cloache, e non posso ingannarmi.
- Che abbiano scoperto il
passaggio?
- Non lo so: il fatto è che un
uomo si avanza.
- Io non vedo nulla.
- La galleria qui descrive una
gran curva, Altezza. Quell'uomo non tarderà a mostrarsi.
- Andiamo innanzi o ci fermiamo?
- Sarà meglio attendere, gran sahib.
- Spegnete subito la torcia,
allora.
Fu prontamente obbedito, ed il
drappello si strinse puntando le carabine, e deciso poi a gettarsi innanzi
colle scimitarre.
Tutti si erano messi in ascolto e
non tardarono a udire un passo che l'eco della galleria trasmetteva
distintamente.
- Tu non ti eri ingannato - disse
Yanez al cacciatore di topi. - Fortunatamente pare che non si
tratti che d'un solo uomo.
- Sì, d'uno solo, Altezza -
rispose il baniano. - Non deve essere lontano.
- Anzi, più vicino di quello che
potete immaginarvi. Ah!... Vedete?
Una lampada era comparsa allo
svolto della galleria, e subito l'uomo che la reggeva.
Yanez ed il cacciatore di topi
mandarono due grida:
- Kiltar!...
- Sì, sono io - rispose il
bramino, avvicinandosi rapidamente. - Non credevo di trovarvi qui.
- Tu sei entrato da un
sotterraneo? - gli chiese Yanez.
- Sì, d'un grande palazzo che un
giorno era stato abitato, se non m'inganno, da uno dei vostri ministri.
- Quali nuove rechi?
- Gravi, Altezza - rispose
Kiltar, il cui volto si era offuscato. - Sindhia lavora attivamente alla vostra
perdita.
- In quale modo?
- Un gran numero dei suoi uomini
sono stati mandati nelle jungle a far raccolta di grossi bambù.
- Non saprei a che cosa gli
possono servire. Forse a riedificare la capitale? Riuscirà un bel villaggio
facile a bruciarsi.
- Non scherzate, Maharajah. Quei
bambù serviranno come conduttura d'acqua.
Yanez aggrottò la fronte.
- Vorrebbe tentare di annegarci?
E dove prenderà l'acqua?
- Io non so, ma pare che i suoi fakiri
abbiano scoperta una grossa sorgente.
- Ci vorrà del tempo prima che si
costruiscano tante condutture. E poi non credo che queste cloache siano facili
ad inondarsi, avendo per scolo il fiume nero. Sindhia ed i suoi uomini
perderanno inutilmente il loro tempo.
- E se riuscissero nel loro
intento?
- Allora, prima di lasciarci
annegare come tanti topi, attaccheremo a fondo, alla disperata; perciò abbiamo
bisogno assoluto di conservare i nostri elefanti e quanti più cavalli potremo.
- Ma quelle bestie non potranno
mai passare per queste gallerie - disse il bramino.
- Lo so, e non sarà da questa
parte che noi attaccheremo.
- Dove andrete allora?
- In cerca di fogliame per gli
elefanti che soffrono più dei cavalli. Vi sono truppe al di là dei bastioni?
- In certi luoghi sì, ma io vi
farò passare attraverso le muraglie degli antichi giardini che hanno resistito
al fuoco. Qualche cosa della vostra capitale è rimasto, ma ben poca cosa.
- Il palazzo reale è crollato?
- Distrutto completamente. Anche
tutti i palazzi, le pagode, le moschee sono state sfasciate dal fuoco.
- Orsù, non perdiamo tempo, gran sahib
- disse il cacciatore di topi. - Dobbiamo ritornare
prima dell'alba.
- Hai ragione - rispose Yanez. -
Riaccendete le torce.
Il drappello si rimise in marcia,
affrettando il passo. La galleria saliva rapidamente e conservava ancora un
forte calore sebbene fossero passati tanti giorni dall'incendio.
Cinque minuti dopo i sedici
uomini entrarono in un vasto sotterraneo che non doveva aver mai fatto parte
delle cloache.
Delle pareti, calcinate dal
fuoco, erano crollate, e un'apertura assai larga si era formata.
- Ci siamo - disse il bramino. -
Una scala e saremo all'aperto.
- Non ci saranno soldati dispersi
fra le rovine?
- Non ho veduto che qualche
affamato.
- Ah! ...
- Che cosa avete, Altezza?
- Stanno tutti bene al campo di
Sindhia?
- Per ora sì.
- Malgrado la rottura di quelle
due bottiglie?
- Sì, Altezza. Forse la malattia
si svilupperà più tardi.
- Può darsi. Aspetteremo.
Attraversarono il sotterraneo,
giunsero ad una scala di pietra e si trovarono all'aperto fra una immensa
quantità di macerie.
- Povera la mia capitale!... -
disse Yanez. - Eppure non potevo fare a meno di distruggerla per trattenere gli
assalti di Sindhia.
«Senza questo gigantesco
incendio, non avrei potuto attendere l'arrivo di Sandokan.»
Kiltar si era fermato dietro ad
una muraglia tutta nera, e pareva che cercasse di orizzontarsi fra quel caos
immenso di rovine.
- Seguitemi - disse ad un tratto.
- Non faremo cattivi incontri, ma è necessario che spengiate voi le torce ed io
la mia lampada. Riaccenderemo più tardi le une e l'altra se ne avremo bisogno.
Ascoltò per qualche momento, poi
si mise in marcia, seguendo la muraglia, la quale pareva che si stendesse in
direzione dei bastioni.
Un silenzio immenso regnava sulla
città distrutta. Pareva che fosse diventata la città dei morti.
Tuttavia, in lontananza, fra le
tenebre, brillavano numerosi fuochi i quali indicavano gli accampamenti dei
banditi di Sindhia.
Il drappello affrettava la
marcia, procedendo in fila indiana, colle carabine montate.
Fra tutte quelle rovine regnava
ancora un gran calore. Si sarebbe detto che in certi luoghi, anche dopo tanti
giorni, il fuoco covava ancora.
Ed infatti, di quando in quando,
delle folate d'aria ardentissima, soffocante, si abbattevano sul drappello,
arrestandolo nella sua marcia per qualche minuto ed anche più.
- Mi chiameranno il Nerone
dell'India - disse Yanez. - Io però dovevo salvare la mia pelle.
Finalmente i bastioni comparvero.
Erano ridotti in uno stato miserando a cagione dello scoppio delle polveriere.
Squarci giganteschi, ingombri in
parte di rottami, si scorgevano qua e là, ed erano così larghi da permettere il
passaggio anche di una grossa colonna d'assalto.
Kiltar che pareva conoscesse la
città meglio del Maharajah e perfino del rajaputo, guidò il drappello
attraverso ad uno squarcio enorme, sui cui margini si stendevano delle
casematte completamente sventrate, e lo condusse in aperta campagna.
Da quella parte nessun fuoco
brillava. Sindhia non aveva pensato a circondare completamente la città, non
immaginandosi mai che dalle cloache si potesse, in qualche luogo, giungere a
fior di terra.
- Ah, il famoso guerriero! -
esclamò Yanez con voce ironica. - E si vanta un gran capitano! Ben guidati quei
poveri paria, fakiri e rajaputi! Ci vuole ben altro per
fare la guerra!
Attraversarono il bastione e si
gettarono nella tenebrosa campagna, non rischiarata né dalla luna, né dalle
stelle essendo il cielo assai coperto.
Intorno alla capitale piante ed
erbe ve n'erano in abbondanza, un po' appassite per l'intenso calore, ma i
banani dalle foglie gigantesche avevano resistito meravigliosamente.
Una fattoria si trovava a breve
distanza; era una casa piuttosto massiccia, circondata da alberi colossali.
Il drappello, temendo sempre un
improvviso assalto, quantunque nulla lo facesse presentire, invase l'orto della
casa e si mise a sciabolare frettolosamente rami ed erbe.
Già avevano completato un buon
carico, capace di levare la fame, almeno per una volta, alle bestie, quando
Kiltar ed il cacciatore di topi, che si erano messi in sentinella, si
avvicinarono rapidamente a Yanez il quale fumava la sigaretta con la sua solita
tranquillità.
- Altezza, - disse il bramino -
gli uomini di Sindhia ci hanno seguiti e fors'anche circondati.
- Ah!... - fece semplicemente il portoghese.
- Mi rincresce solamente per gli elefanti. Qui vi è una casa e abbastanza
solida. Occupiamola e vediamo come sapranno comportarsi i famosi guerrieri di
Sindhia. Per Giove, gli affari prendono cattiva piega!
«Noi qui, Sandokan laggiù che non
conosce il passaggio della galleria, elefanti e cavalli affamati!... Come
finirà questa storia?»
- Grande sahib - disse
il cacciatore di topi. - Finché vi è tempo volete che ritorni
nelle cloache ad avvertire i vostri amici della vostra pericolosa situazione?
Anche se uscissero vincitori per la foce del fiume fangoso, chi li guiderebbe
qui?
- Tu sei un brav'uomo. Avresti
tanto coraggio?
- Sì, Altezza.
- Va', parti subito. Forse sei
ancora in tempo.
- Oh, i miei orecchi sono assai
acuti e sapranno subito avvertirmi dell'avvicinarsi del nemico. Io spero di
rivedervi presto.
Ciò detto gettò a terra un gran
fascio di foglie che si era già caricato sulle spalle, e quel diavolo d'uomo,
malgrado la sua età già avanzata, in un momento scomparve fra le tenebre.
- E tu, Kiltar, che cosa pensi di
fare? - chiese Yanez volgendosi al bramino il quale, curvo verso terra, pareva
che ascoltasse con estrema attenzione. - Rimani con noi o ritorni presso il rajah?
- Io penso sempre che posso
esservi più utile rimanendo fra gli assedianti anziché rimanere con voi.
«Chi vi informerebbe di ciò che
succede nei campi di Sindhia? Nella mia qualità di bramino, io posso
attraversare liberamente i campi.»
- Pure mi avevi detto che il rajah
voleva fucilarti.
- Ha pensato forse che io sono un
uomo troppo prezioso, ed ha abbandonata la sua idea.
«Altezza, prendo il largo
anch'io. I guerrieri dell'ubriacone non devono essere lontani.
«Voi barricatevi in questa
fattoria e tenete duro. Quanti colpi avete per carabina?»
- Cento.
- Vi do anche i miei. Addio,
Altezza, e badate di non lasciarvi prendere perché il rajah non vi
risparmierebbe.
- Eh, lo so - rispose Yanez. -
Va' anche tu.
Il bramino s'inchinò fino quasi a
terra, poi prese a sua volta la corsa, per non farsi sorprendere così vicino ai
nemici del suo signore.
Intanto i montanari e l'erculeo rajaputo
avevano occupata la fattoria, la quale era stata abbandonata dai suoi
proprietari.
Era una casa ad un solo piano,
con quattro stanze e otto piccole finestre, che somigliavano piuttosto a
feritoie.
Pochi rozzi mobili si trovavano
là dentro; invece in una delle tre stanze, destinata a magazzino, i montanari
avevano subito scoperto molti sacchi pieni di riso, poi fagiuoli, pesce secco
per preparare il carri, ed una notevole provvista di legna.
- Gran sahib, - disse
il rajaputo, il quale aveva per primo visitata minutamente la casa - se
noi saremo economi, potremo tirare avanti una quindicina di giorni.
«Certo che non dovremo levarci
completamente la fame.»
- E l'acqua?
- Vi è un piccolo pozzo.
- Io non credevo di aver tanta
fortuna. Allora noi resisteremo a lungo.
- Molti colpi abbiamo da sparare,
e questi montanari, che sono quasi tutti cacciatori, difficilmente sbagliano il
bersaglio.
E poi, frugando per bene, potremo
forse trovare qualche provvista di polvere. I contadini indiani ne tengono
sempre.
- Cercheremo più tardi. Ora
pensiamo a barricarci. Sono solide le porte?
- Robustissime, con doppie
traverse di legno durissimo.
- Ordinariamente le fattorie
hanno sempre un'apertura che mette sul tetto.
- Vi è anche in questa: la scala
è nella quarta stanza che serve da magazzino.
- Allora andiamo a metterci in
sentinella. I montanari rimarranno qui e spareranno attraverso le finestre.
Un po' tranquillizzato, si recò,
insieme col rajaputo, nel magazzino portando la lampada che il bramino
gli aveva lasciata, montò una scala di bambù e spinse in alto una piccola
botola la quale peraltro lasciava un'apertura sufficiente al passaggio d'una
persona.
- Non mi ero ingannato - disse
Yanez allungandosi sul tetto formato di fango ben secco misto a paglia. - Di
quassù potremo vedere meglio e seguire le mosse dei banditi. Per Giove, io
conto ancora di dare a quelle canaglie una terribile lezione!
- Siamo in pochi ma risoluti -
disse il rajaputo.
Si erano alzati sulle ginocchia e
si erano messi in osservazione. L'oscurità era troppo profonda per poter
distinguere delle persone, anche perché vi erano intorno alla fattoria degli
immensi fichi baniani, i quali proiettavano un'ombra foltissima.
Invano i due uomini aguzzarono
gli occhi e tesero gli orecchi: non videro nulla, né raccolsero alcun rumore
sospetto.
Eppure era convinto che il
bramino ed il cacciatore di topi non si erano ingannati.
- Che cosa dite, sahib? -
chiese il rajaputo. - Io non odo altro che i grilli e non vedo
che qualche rada stella scintillare fra gli strappi delle nubi.
- Taci - disse Yanez, il quale
ascoltava sempre. - Anch'io ho l'udito acutissimo e gli occhi buonissimi.
- Vengono? - chiese il rajaputo,
dopo un mezzo minuto di silenzio.
- Mi pare che al di là di quei
fichi baniani alcune persone si muovano.
- Saranno i banditi del rajah?
- Chi vuoi che siano?
- Non so come ci abbiano seguiti.
Avete fiducia voi in quel bramino?
- Assoluta.
- Io veramente ne ho poca.
- Ci ha dato già due prove di
esserci amico sincero.
- Uhm!... Vedremo in seguito. Non
vi pare, gran sahib, che gli uomini di Sindhia abbiano una grande paura
a montare all'assalto? A quest'ora dovrebbero essere già qui.
- Sospetteranno forse che noi
possediamo una di quelle mitragliatrici che li ha crudelmente decimati nelle jungle
intorno agli elefanti della Tigre della Malesia.
- Gran brav'uomo quel principe
bornese vostro amico.
- E terribile guerriero
soprattutto. Oh, ne farà un'altra delle sue! Credi tu che non venga qui a
liberarci?
- Avrà un bel da fare, gran sahib.
- Oh, non mi preoccupo. Una volta
lanciato, nessuna cosa, nessun ostacolo arresta quel prode guerriero.
- Se è riuscito a passare le jungle
e a raggiungerci nelle cloache, lo credo. Anche i suoi guerrieri sono
uomini che non temono nessuno. La morte non ha mai fatto paura a quei bravi.
In quel momento, sotto l'oscura
ombra dei grandi fichi baniani, si videro brillare delle lampade che subito si
spensero.
- Hai veduto? - chiese Yanez.
- Sì, gran sahib, - rispose
il rajaputo. - Se provassimo a sparare qualche colpo?
- Le munizioni sono troppo
preziose, amico, e dobbiamo economizzarle fino all'arrivo di Sandokan.
- Dunque voi credete che verrà?
- Se il cacciatore di topi
riuscirà a ritornare nelle cloache, nessuno più tratterrà il mio amico.
Aspettiamo.
Vedendo che i banditi non si
decidevano a farsi vivi ridiscesero nella fattoria.
I montanari avevano barricate le
porte ed avevano acceso il fuoco mettendo a cucinare insieme, in una gigantesca
pentola, del riso, del pesce secco e delle erbe aromatiche per prepararsi il carri.
Già durante la giornata non
avevano ricevuto che una piccola porzione di carne di cavallo, malamente
arrostita, e si sa che i montanari sono sempre disposti a divorare.
- Questa brava gente non perde il
suo tempo - disse Yanez, sorridendo.
- L'uomo che ha mangiato combatte
meglio, gran sahib, - disse il capo del piccolo drappello.
- Così dicono infatti anche i
soldati inglesi.
- Gran sahib, servitevi.
Vi è qui della terraglia che abbiamo prima accuratamente lavata. Anche voi,
malgrado le vostre preoccupazioni, dovete avere un po' d'appetito.
- È probabile, mio bravo -
rispose Yanez. - Non ho mai avuto nessuna passione per il carri, ma in
mancanza di meglio farò lavorare egualmente i miei denti ed il mio stomaco.
Si erano messi a mangiare, mentre
due montanari erano saliti sul tetto, pronti a dare l'allarme.
Nessuno li disturbò. Pareva che i
banditi di Sindhia, pessimi soldati, non si decidessero a tentare un attacco.
- Ma noi potremo aspettare qui
anche una settimana - disse Yanez al rajaputo, che era andato ad
interrogare le sentinelle.
- Eh, non fidatevi, gran sahib
- rispose il gigante, accettando una sigaretta datagli dal
portoghese un po' mal volentieri, poiché la provvista era diventata piuttosto
esigua. - Quegli uomini non sono guerrieri, bensì sciacalli.
- Lo sappiamo, e che cosa
vorresti dire con ciò?
- Mi aspetto qualche brutta
sorpresa.
- Quale?
- Che ci arrostiscano vivi.
- Per Giove!...
- Vi sono troppe piante e troppa
paglia intorno a questa casa.
- Non abbiamo il pozzo?
- Per Sivah, io vi ammiro!... Non
ho mai veduto un uomo più sicuro di sé come voi, gran sahib.
- Non sarei stato un
conquistatore - rispose Yanez sorridendo. - Io penso peraltro che tu possa
avere ragione, e che qualche provvedimento sarebbe necessario.
- Ordinate, gran sahib.
- Lancia fuori i montanari, fa'
distruggere la paglia ed atterrare le piante che circondano la casa.
- Ne avremo il tempo?
- Mi metterò io in sentinella sul
tetto con un paio d'uomini. Tu sai già che io non spreco una carica.
- Non vorrei trovarmi sotto la
vostra mira - rispose il rajaputo.
- Va', il tempo stringe.
Mentre il gigante, seguìto dai
montanari, apriva la porta che era stata fortemente barricata, Yanez salì sul
tetto portando con sé la lampada del bramino avvolta in uno straccio.
L'oscurità era sempre profonda
quantunque l'alba non dovesse essere molto lontana. Grosse masse di vapori
continuavano ad offuscare il cielo, spinte da un vento piuttosto forte che
soffiava dal nord, dalle altissime montagne dell'Himalaya.
- Nulla? - chiese Yanez ai due
montanari che si erano coricati sul tetto, tenendo le carabine dinanzi a loro.
- No, gran sahib - rispose
uno dei due. - Tuttavia non devono essere lontani, poiché poco fa abbiamo udito
l'urlo d'uno sciacallo che non era affatto naturale.
Noi montanari conosciamo troppo
bene quelle bestie che infestano in gran numero le nostre montagne.
Quelle canaglie sono così audaci,
almeno nei nostri villaggi, da portar via fino i ragazzi.
- Cose vecchie - disse Yanez. -
Potevi raccontarle a tuo nipote, se ne hai uno.
- Ne ho una mezza dozzina, gran sahib.
- Avrai da chiacchierare una
notte intera; ma questo non è il momento.
Al primo urlo dello sciacallo
hanno risposto?
- Subito, gran sahib.
Per la terza o quarta volta
l'ampia fronte del Maharajah si era offuscata.
- Per Giove!... - brontolò. - La
faccenda è più seria di quello che credevo. Che cerchino proprio di arrostirci?
- Gran sahib...
- Taci!...
Yanez si era alzato sulle
ginocchia ed aveva puntata la carabina.
La canna parve che seguisse per
qualche istante un'ombra, poi una formidabile detonazione ruppe il silenzio
della notte, subito seguita da un grido acutissimo.
- Preso! - disse uno dei due
montanari aguzzando gli occhi.
- Lo credo - rispose il
portoghese. - Un Maharajah deve tirare come un famoso guerriero.
- Ecco un uomo di meno che rimane
a Sindhia.
- Ben poca cosa - rispose Yanez
con voce un po' amara. - Una mitragliatrice del mio amico avrebbe già spazzato
tutto il terreno intorno a questa topaia. Disgraziatamente i passaggi delle
cloache erano troppo stretti per far passare quelle armi formidabili. Oh,
giungeranno. Io non dispero affatto.
Ricaricò tranquillamente la
carabina e si distese sul tetto, spingendo lo sguardo lontano.
I due montanari si erano spinti
fino all'orlo del tetto, colla speranza di fare anche loro qualche buon colpo
che assottigliasse le schiere troppo numerose dell'ex rajah.
Con grande sorpresa di tutti gli
assediati non si effettuò nessun attacco da parte degli assedianti. Avevano
avuto paura, o volevano aspettare la luce per meglio studiare le forze degli
avversari?
- Ecco una notte perduta
inutilmente - disse Yanez. - Eppure avrei avuto tanto bisogno di schiacciare un
sonnellino. Quando si potrà?
Accese un' altra sigaretta,
lanciando ben lontano il fiammifero, perché il tetto non prendesse fuoco, e
s'alzò in piedi guardando da tutte le parti.
Il sole cominciava ad apparire, fugando,
con rapidità fulminea, le tenebre. Già si sa che in quelle regioni non esistono
si può dire, né albe né crepuscoli.
- Ah, ah! - fece Yanez. - Non si
era ingannato il cacciatore di topi, come non si era ingannato il
bramino.
Poi volgendosi verso i due
montanari, disse:
- Su, alzatevi e guardate anche
voi.
I due uomini si alzarono subito e
spinsero lontano i loro sguardi acuti sulla vasta pianura indorata dal sole,
che si rompeva solamente ai bastioni mezzo sventrati della capitale.
A cinque o seicento metri dalla
fattoria, fra le risaie, si aggiravano alcune centinaia di banditi, per la
maggior parte fakiri e paria, ma non vi mancavano dei minuscoli
drappelli di rajaputi.
- Che cosa dite voi? - chiese
Yanez ai due montanari.
- Che quella gente non osa
attaccarci - risposero insieme.
- Che vogliano affamarci?
- Sarà più probabile, gran sahib
- disse il più vecchio dei due montanari. - Arrischiano meno.
- Ma forse c'inganniamo - disse
il portoghese, alzando rapidamente la carabina. - Ecco laggiù un fakiro che
si avanza verso di noi, facendo sventolare un lurido straccio. Non lo lascerò
certamente avvicinar troppo.
Quel furfante viene a spiarci
fingendosi un parlamentario. Ah, no, caro mio. Non ci s'inganna così.
Un uomo infatti aveva
attraversato la linea dei foltissimi fichi baniani, e si avanzava lentamente
facendo ondeggiare il suo straccio che doveva essere un lurido dugbah.
Apparteneva alla casta dei
fakiri chiamati nanck-punthy, subito
riconoscibili per una usanza loro particolare, la cui origine è ignota, ed è
quella di portare una sola scarpa ed una sola basetta.
Aveva in testa un largo turbante,
molto sporco, adorno di sonagli d'argento, ed intorno al collo delle file di
perle intrecciate con fili di ferro.
Il vestito consisteva in un
gonnellino d'un colore impossibile a definirsi ed abbastanza sbrindellato.
Questi fakiri non sono
prepotenti come i saniassi, che sono veri saccheggiatori i quali
s'impongono a tutti e saccheggiano senza misericordia le ortaglie dei poveri coltivatori.
Girano in grosse bande, battendo
due bastoni l'uno contro l'altro e recitando nel medesimo tempo, con una
speditezza incredibile, un pezzo di qualche vecchia leggenda indiana che
cantano. Guai però se la gente non fa la carità a quei miserabili! Tutte le
maledizioni che si possono immaginare piovono sul povero contadino che non ha
un quarto di rupia da regalar loro.
Il fakiro, attraversati i
folti vegetali, si era fermato a circa centocinquanta metri dalla casa, come se
fosse poco risoluto di andare avanti.
Yanez fece colle mani portavoce,
consegnando per un momento la sua carabina ad un montanaro, e gridò a pieni
polmoni:
- Che cosa vieni a fare tu qui?
Il fakiro agitò
disperatamente il suo bastone, poi rispose in lingua inglese abbastanza pura:
- Mi manda il rajah Sindhia.
- Che cosa vuole da noi? Delle
palle di carabina?
- La vostra resa.
- E per trattare un simile affare
manda da me un pezzente? Il tuo padrone vuole burlarsi di noi! Ti do subito un
buon consiglio: non fare un passo innanzi perché ti fucilo!...
- Sono un parlamentario, sahib.
- Tu non sei altro che un
bandito. Gira sulla tua unica scarpa, e va' a dire ai tuoi compagni che siamo
in cinquanta, ben provvisti di viveri e di munizioni, e che perciò non ci
arrenderemo senza un terribile combattimento.
- Abbiamo dei rajaputi.
- Sì, quelli che erano ai miei
servigi!... - urlò Yanez, perdendo la sua flemma abituale.
- Ora sono del rajah, sahib.
- Come!... Tu osi chiamarmi
semplicemente signore e non Maharajah! E che cosa sono dunque io?
- Un principe senza trono -
rispose audacemente il fakiro.
- Chi te lo ha detto?
- Sindhia, e poi dove si trova la
tua capitale, sahib?
- Un pezzo nelle cloache ed un
pezzo qui - rispose Yanez, il quale si tratteneva a stento.
- Bella capitale!... - gridò il fakiro,
con voce sardonica. - Vale meno della mia miserabile capanna.
- Non so se la tua capanna sarà
difesa come questa.
- Forse più ancora, perché è
sempre piena di serpenti.
- Bestie che non ci farebbero
certamente paura. Ora penso che tu hai chiacchierato abbastanza, e ti invito
per la seconda volta a girare sulla tua sola scarpa, prima che mi sfugga
qualche colpo di carabina.
- Un momento, gran sahib. Che
cosa devo rispondere al rajah?
- Che qui ci troviamo assai bene,
che mangiamo, beviamo e fumiamo senza preoccupazioni. Ora, se credi, pezzente,
da' l'ordine ai rajaputi di attaccarci.
- Occorrerebbe che sapessero
quanti uomini avete voi.
- Cinquanta, con due
mitragliatrici.
- Ah, le brutte bestie!
- Ora vattene. È tempo!...
Abbiamo parlato abbastanza. Va', e non volgerti indietro.
- Ci rivedremo più presto di
quello che credete, gran sahib -rispose il fakiro a gran voce. -
Oh, vi strapperemo la corona!
Yanez aveva appoggiato un dito
sul grilletto della carabina, ma si arrestò dicendo:
- Ba', lo ucciderò un'altra
volta, quando non agiterà più quello straccio.
Rispettiamo i parlamentari.
Si sedette sul tetto guardandosi
intorno.
I dieci montanari che erano
rimasti sotto, guidati dall'erculeo rajaputo, avevano portato via i
covoni di paglia gettandoli entro una vicina risaia abbondantemente irrigata,
ed avevano atterrati tutti i cespugli che si trovavano nelle vicinanze perché i
nemici non potessero incendiarli.
Né i rajaputi, né i paria,
né i fakiri avevano osato sparare un solo colpo di fucile.
Le mitragliatrici di Sandokan
dovevano averli terribilmente impressionati; e per timore che se ne trovassero
alcune anche nella fattoria, giudicandosi troppo deboli forse, erano rimasti
assolutamente inattivi.
Quella tranquillità peraltro non
era fatta per assicurare completamente il portoghese.
- Qui si giuoca davvero la mia
corona - disse. - Se non viene Sandokan coi suoi prodi in mio aiuto, finiremo
tutti malamente. Ba', la guerra è la guerra, ed io sono cresciuto fra il rombo
dei cannoni, delle spingarde e delle carabine. Vedremo!...
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