16 - IL
PADRONE DELLO STALLONE
Il bandito doveva aver seguito
ostinatamente i fuggiaschi, strisciando come un serpente attraverso gl'immensi
vegetali della grande palude, e forse ora cercava di riavere il suo stallone,
ormai mezzo divorato dagli ingordi coccodrilli.
Come mai quell'uomo non era
morto, dopo il gran salto che aveva fatto e il colpo di carabina di Timul?
- Egli crede che il suo cavallo
sia ancor vivo - disse il rajaputo. - Dobbiamo aspettarlo?
- Io temo che non sia solo - rispose
Kammamuri. - Fuggiamo, fuggiamo, o il Maharajah e la rhani perderanno
per sempre il trono.
- Ma potremo andare molto
lontano, sahib? - disse il giovane cercatore di piste.
- Perché?
- Sono due giorni che non
mangiamo, e le forze non tarderanno a mancarci.
- Ci rifaremo più tardi, quando
il pericolo sarà cessato - rispose il maharatto. - I grossi volatili non
mancano qui, e ne troveremo ben altri avanzando verso il nord.
- Si va? - chiese il rajaputo mettendosi
dinanzi al drappello.
- Ed a tutto vapore, amico.
Aprici la via finché avremo trovata la torre e la grande strada che conduce
alle montagne di Sadhja.
- Ci sarà da lavorare assai, ma
il tarwar è buonissimo; ha una tempra straordinaria, e spacca e taglia
subito.
- Allora andiamo: io veglio su voi
tutti colla carabina.
Raccolsero tutte le loro forze e
tornarono a slanciarsi attraverso la jungla umida.
I vegetali si succedevano ai
vegetali, sempre più fitti, sempre più giganteschi.
Tara, latania, pipal e nim lanciavano in
alto le loro cime frondose, superando l'altezza dei bambù, collegati tutti fra
di loro da ammassi di piante parassite.
Di quando in quando un gigantesco
tamarindo si mescolava a quella esuberante vegetazione, torreggiando
maestosamente.
Dei volatili fuggivano dinanzi ai
quattro uomini, alzandosi pesantemente, non trovando lo spazio sufficiente per
prendere lo slancio. Erano vere nuvole di cicogne e di grossi corvi, che
salivano verso il cielo, fuggendo l'aria pestifera della jungla.
Oltre i volatili fuggivano anche
dei serpenti che il rajaputo teneva ben d'occhio, e che era pronto a
decapitare prima che mordessero.
Abbondavano soprattutto i gulabi,
chiamati anche serpenti delle rose perché hanno la pelle tutta picchiettata
d'un vivissimo colore corallino.
Non mancavano nemmeno i veri boa
indiani, che si trovano in gran numero nelle jungle, splendidi per le
loro tinte verdi, azzurrastre e giallastre. Questo serpente, chiamato il pitone
tigrato, supera quasi sempre i quattro metri, e possiede tanta forza da
soffocare fra le sue spire un uomo.
Il rajaputo peraltro non
era uomo da impressionarsi, e continuava a marciare e ad abbattere vegetali,
per far posto ai suoi compagni.
Quella corsa attraverso alla jungla
durò un paio d'ore, poi il gigante disse:
- Sono sfinito, sahib: è
troppo tempo che non mangio. Facciamo una sosta.
- E intanto il bandito ci
raggiungerà, e forse non solo - rispose Kammamuri. - Le frutta non mancheranno.
- Mi ci vuole della carne, sahib.
- Va' a tagliarti un pezzo dello
stallone, cuocilo e divoratelo.
- Ah, no, sahib! Non ho
nessun desiderio di rivedere i coccodrilli.
- E allora non lamentarti.
- Io penso, sahib, un po'
anche allo stomaco. Da quando abbiamo lasciate le grandi cloache, non abbiamo
messo insieme che della gran fame.
- Ma sulle montagne di Sadhja noi
troveremo migliaia e migliaia di montoni, ed allora ci prenderemo una
strepitosa rivincita.
- Il male è, sahib, che le
montagne che nutriscono quei montoni non si scorgono ancora. Quando potremo
giungere lassù?
- Non saprei dirtelo. Mi trovo
smarrito, e finché non avremo raggiunta la grande via che conduce verso
oriente, mi sarà impossibile raccapezzarmi.
- E nemmeno sappiamo dove quella
veramente si trova.
- Risalendo sempre verso il
settentrione in qualche punto dobbiamo tagliarla.
- Forse presso la famosa torre -
disse Timul con voce ironica. - Il gurù ci guiderà senza smarrirsi.
- Ah, per mio conto non ho molta
fiducia nel sacerdote - disse Kammamuri.
- Puoi ingannarti, sahib, -
disse in quel momento il vecchio guardiano della pagoda. - Io comincio a riconoscere
questi luoghi.
- Oh, finalmente! - esclamarono
ad una voce Timul, Kammamuri ed il rajaputo.
- Guardate qui - disse il gurù,
il quale da qualche tempo osservava il terreno. - Io insieme col mio
compagno attraversai questa jungla, che ha la terra nera, mentre le
altre hanno tinte d'altro colore.
- Credi dunque di essere sulla
buona direzione? - chiese il rajaputo.
- Lo spero.
- E tu sei certo di condurci a
quella torre?
- Ne sono certo. È alta sessanta
metri e si vede da molto lontano.
- E se fosse crollata?
Il gurù alzò le spalle.
Pur chiacchierando, non
rallentavano il passo, per paura di vedersi giungere alle spalle, da un momento
all'altro, i banditi del rajah guidati dal padrone dello stallone morto.
La jungla era sempre
foltissima, ma qualche grosso animale, probabilmente un rinoceronte, in certi
luoghi l'aveva sfondata, permettendo così ai fuggiaschi di marciare talvolta
con maggiore rapidità.
Avevano già guadagnate altre due
miglia, quasi senza rivedere il sole, tanto erano affogati dalle piante, quando
giunsero improvvisamente sulle rive d'un canale dalle acque giallastre e
piuttosto tranquille.
Sulle sue rive bande di marabù
e di aiutanti si spennacchiavano facendo un fracasso infernale.
- Va verso il nord questo corso
d'acqua - disse Kammamuri. - Taglierà dunque la grande via.
- Sahib, - disse il
rajaputo - voglio farti una proposta.
- Quale?
- Di costruire una piccola
zattera e attraversare con essa questa immensa jungla.
- Lo pensavo anch'io. Purché i
banditi del rajah non ci giungano addosso prima di aver costruito il
galleggiante...
- Padrone, - disse Timul - dammi
la tua carabina: voglio fare una corsa. Se vi sarà pericolo, manderò anch'io
l'urlo dello sciacallo ripetuto tre volte.
- Sei un bravo ragazzo! - disse
il maharatto porgendogli l'arma.
Intanto il rajaputo si era
messo al lavoro aiutato dal gurù. Tagliava bambù e liane per poter
legare i tronchi e costruire la zattera. Quantunque fosse affamato, quel
diavolo d'uomo conservava sempre il suo vigore eccezionale.
Il maharatto non tardò a
raggiungerlo, ed una zattera lunga una decina di metri e larga quattro fu
varata prima che il sole scomparisse.
Era appena scesa fra quelle acque
limacciose, che esalavano dei miasmi pericolosi, quando Timul comparve sulla
riva, e spiccato un gran salto, cadde sul galleggiante.
- Sahib, - disse -
fuggiamo subito.
- Ancora quei dannati banditi? -
chiese Kammamuri stringendo i denti.
- Strisciano attraverso la jungla
senza far rumore, ma io li ho
veduti.
- Quanti sono?
- Ne ho contati dieci.
- E gli altri erano in venti ed
anche più.
- Saranno andati ad ingrassare i
coccodrilli - disse il rajaputo, tagliando il calamo che serviva
da gomena. - Tanto meglio per noi se
sono così diminuiti.
- Sono lontani, Timul? - chiese
il maharatto riprendendogli la
carabina.
- Forse un cinquecento passi.
- Seguono il canale?
- Sì, sahib.
- Ed i cavalli dove li hanno
lasciati? Che siano morti tutti? È
impossibile!
- Io non ho veduto nessun
destriero. Tutti quegli uomini erano soli e filavano lentamente ma tenacemente
attraverso la jungla per sorprenderci, tenendosi ad una certa distanza
l'uno dall'altro. Hanno scoperta la nostra pista, sahib.
- Vedremo se sapranno ritrovarla
sull'acqua - disse Kammamuri.
In quel momento il sole scomparve
e le tenebre piombarono rapidissime, perché non vi sono crepuscoli nell'India.
Sparito il grande astro, subito si diffondono ed avvolgono ogni cosa.
- Via! - disse Kammamuri.
- Siamo già in viaggio - rispose
il rajaputo, il quale guidava il galleggiante con una lunghissima
pertica. - Questa zattera farà molta strada e non...
- Tutti giù! - disse Timul
interrompendolo. - Sdraiatevi tutti.
- Vengono?
- Sì, sahib, sono ormai a
poca distanza.
- Coccodrilli non ve ne sono,
almeno qui; è vero, rajaputo?
- No, sahib: non ho veduto
che delle bewak, quelle bruttissime brontolone d'acqua che fanno schifo,
e che pure sono così buone a mangiarsi.
- Allora caliamoci in acqua e
guidiamo la zattera colle nostre gambe - disse il maharatto. - Quelle
canaglie del rajah hanno carabine e pistole, e colle armi da fuoco è
meglio non venire a contatto. Su, due a destra e due a sinistra! Tenetevi ben
fermi all'orlo del galleggiante, e se scorgete qualche coccodrillo rimontate
subito.
- Con questa oscurità noi non potremo
veder niente - brontolò il rajaputo.
Il brav'uomo aveva ragione. Una
densa nebbia carica di miasmi ondeggiava sopra le alte cime dei tara,
dei pipal e delle mangifere, sbattute dalla brezza notturna che aveva
cominciato a soffiare con molta violenza.
I quattro fuggiaschi si erano
appena immersi, quando udirono una voce gridare:
- Eccoli! Fucilateli come
sciacalli! Mi hanno ucciso lo stallone!
- Non tutti! - gridò subito
un'altra voce. - Il rajah ha bisogno di uno di quegli uomini, e ce lo
pagherà a peso d'argento.
- Il rajah è lontano e non
si occupa più di noi - riprese il primo. - Su, fate fuoco!
Kammamuri ed i suoi amici si
erano immersi completamente per rendersi invisibili ed evitare una grandine di
proiettili.
Se non che la zattera, che aveva
percorso un duecento metri, spiccava troppo bene sulle acque giallastre del
fiume per non essere scorta.
Passarono alcuni secondi, poi tre
colpi di carabina ruppero il silenzio della notte.
Non tiravano male quei banditi!
Le tre palle si erano conficcate fra i bambù del galleggiante con dei sinistri
crepitii e ne avevano attraversati più d'uno.
- Che siano morti? - chiese una
voce rauca. - Io non vedo nessun uomo su quel galleggiante. Noi siamo stati
magnificamente burlati, e mentre inseguiamo quell'ammasso di canne, gli uomini
fuggono ancora.
- Saltiamo in acqua e cerchiamo
di raggiungerla - disse il padrone dello stallone.
- E i coccodrilli?
- Non si trovano sempre sotto le
gambe.
- E poi ormai la zattera fila e
fila, e non potremo più raggiungerla. Quelle canaglie ci sono nuovamente
scappate.
Era vero. Il fiume, dopo aver
descritta una lunga curva, scorreva con una certa rapidità, frangendo e
rifrangendo le sue acque melmose contro i margini delle due jungle.
La zattera fuggiva inseguita
accanitamente dai banditi del rajah, i quali forse dubitavano che i
quattro fuggiaschi avessero ripreso terra per ricacciarsi nelle jungle.
Correvano come nilgò, seguendo
la riva sinistra e sparando di quando in quando un colpo di carabina, ma senza
nessun risultato.
- La corrente accenna ad
aumentare ancora - disse Kammamuri sorgendo accanto al rajaputo. - Se
non hanno qui i cavalli, non ci prendono più.
- E poi le bestie a quattro gambe
si troverebbero imbarazzate fra questi giganteschi vegetali - rispose il
gigante.
Altri due colpi di arma da fuoco
rimbombarono alla distanza di appena trecento passi, e per poco il maharatto
non fu colpito da una palla di rimbalzo che gli passò sotto il braccio
destro senza toccarlo.
- Spara anche tu, sahib, -
disse il rajaputo.
- Ci scoprirebbero allora e ci
metterebbero subito fuori di combattimento. Pensa che loro sono undici, bene
armati, e noi abbiamo una carabina in tutti.
- Che ci prendano?
- Io non lo credo. Corrono, ma
anche la corrente corre e ci porta rapidamente verso il settentrione, verso la
grande via che conduce alle montagne di Sadhja. Lascia che sparino. Non
riusciranno a spezzare le legature dei calamus e tanto meno i bambù.
- Sahib, - disse in
quel momento il giovane cercatore di piste, il quale si era incaricato di
aiutare il gurù - io credo che vi siano dei coccodrilli.
- Io non ho udito nessun muggito
- rispose Kammamuri. - Tu sai che brontolano sempre.
- Eppure un corpo grosso mi ha
urtato! Era montato da un marabù.
- E sotto il marabù si
trovava qualche indù disgraziato che non aveva potuto procurarsi i mezzi per
pagare un bramino od un gurù. Oh, ne incontreremo degli altri! Sai bene
che quando non possono farsi benedire, si fanno gettare nei fiumi, convinti che
tutti sbocchino nel Gange, il quale sarebbe incaricato di condurre i poveri
diavoli nel kailasson.
- Ecco un altro morto - disse
Timul - se non è un coccodrillo od una bewak.
- Lascialo correre. Non ti
mangerà le gambe. Vedi bene che si è alzato or ora, proprio dinanzi alla
zattera, un arghilak, il quale doveva aver cacciati i suoi artigli nel
morto.
- Vi sono infatti molti cadaveri
qui - disse il rajaputo ricomparendo. - Ecco cinque o sei teste umane
che sballonzolano come zucche e che non avranno più nemmeno un brandello di
materia cerebrale.
- Tu non hai paura?
- No, sahib, - rispose
il gigante. - Ho attraversato molte jungle tagliate da fiumi pieni di
cadaveri.
- Badate! - disse il gurù. -
I banditi ci seguono sempre.
- La zattera ormai vola, e
rimarranno indietro, arrestati fra le piante che non potranno forse
attraversare - disse Kammamuri.
Il fiume descriveva un'altra
curva, e lì la corrente era anche più rapida.
I quattro uomini, tenendosi quasi
interamente sommersi, continuavano a guidare il galleggiante, spingendolo verso
la riva opposta. Ormai non avevano più paura dei banditi, rimasti ben lontani
sul margine della jungla.
Tuttavia per cinque o dieci
minuti ancora le carabine tuonarono facendo un gran fracasso, poi il fuoco
cessò.
- Siamo fuori di tiro - disse
Kammamuri, issandosi rapidamente sulla zattera. - Potete salire tutti ormai.
- Ed è tempo, sahib, - disse
il rajaputo, il quale lo aveva subito imitato. - Non ci sono solamente
dei morti e delle bewak che discendono il fiume; vi sono anche dei
coccodrilli, e per poco non ho lasciata una delle mie gambe in bocca a quei
ripugnanti bestioni.
Anche il giovane cercatore di
piste ed il gurù si erano allungati sulla zattera, essendosi
anch'essi accorti della presenza dei terribili rettili.
Kammamuri si era alzato e
guardava verso la riva percorsa poco prima dai banditi, temendo una qualche
sorpresa.
L'oscurità non era diventata
tanto densa, da non poter distinguere un uomo a cinquanta passi. Osservò a
lungo, ascoltò, poi trasalì.
- Maledetto quel bandito! Ci
perseguita col suo urlo di sciacallo stonato.
- Ancora il padrone dello
stallone; è vero, sahib? - disse il gigante.
- Sì e non deve trovarsi a molta
distanza da noi. Se potessi scorgerlo, gli farei fare la fine del suo cavallo.
- È troppo prudente. Ci ha sempre
seguiti a distanza per non cadere in qualche imboscata.
- Forse lo ritroveremo un giorno.
- Io spero di no, sahib: la
zattera fila come se avesse un paio di vele. Fra un quarto d'ora noi saremo ben
lontani. Gurù, sai dove sbocca questo fiume?
- Fra le jungle del
settentrione - rispose il sacerdote.
- Ecco una risposta che potevo
dare anch'io senza aver mai attraversati questi territori.
- Sono vecchio.
- Lo sappiamo già da molto tempo
- disse Kammamuri, scoppiando in una risata. - Tu diventi vecchio troppo
spesso. Ma se i banditi di Sindhia ti dessero la caccia, sono convinto che
scapperesti come un ascis, dimenticando tutti i tuoi acciacchi.
- Io non so - rispose il
sacerdote che sembrava mezzo istupidito.
- Contiamo solamente sulle nostre
forze - disse Kammamuri. - Quando saremo sboccati nelle grandi pianure del
settentrione, speriamo di scoprire la famosa torre. Noi abbiamo estremo bisogno
di riposo...
- E di viveri, sahib, -
disse il rajaputo.
- Vuoi la mia carabina? Guarda
quanti arghilak e quanti marabù passeggiano sulle due rive.
- Oh, mai, sahib! Quei
volatili mangiano solamente i cadaveri e puzzano spaventosamente.
- Allora prenditi un coccodrillo.
- Aspetteremo l'alba. Intanto mi
stringerò la fascia. È la terza volta che cerco, in tal modo, di calmare la
fame che mi divora.
- Si direbbe che sei una tigre
nera.
- Sahib, sono alto e
grosso.
- Hai ragione, poveretto! La
colazione domani non ci mancherà. Le rive del fiume devono essere frequentate
dai corvi. Abbi pazienza fino allo spuntare del sole.
- Mi rassegno - rispose il povero
gigante con un lungo sospiro, mentre si stringeva rabbiosamente l'alta fascia
di seta rossa.
La zattera intanto continuava a
correre, ma aveva delle soste improvvise. La corrente di quando in quando
pareva che perdesse la sua energia, come se trovasse sotto di sé dei grossi
ostacoli, o fosse troppo ingombra di sabbie, di avanzi di cadaveri umani, di
coccodrilli e di residui di piante che marcivano sulle rive, e che infiniti
torrentelli trascinavano fino a lei.
L'odore pestilenziale che si
alzava da quelle acque apportatrici di veleni e di colera, prendeva alla gola i
poveri fuggiaschi, e minacciava di asfissiarli. Guai se, costretti dalla sete,
avessero osato mandare giù un sorso.
Tutti i fiumi che attraversano le
jungle sono infetti, a cagione dell'enorme quantità di cadaveri che
vengono abbandonati alle loro correnti, poiché solamente i ricchi si prendono
il lusso di farsi cremare con gran pompa, mentre i miserabili vengono gettati
in acqua, talvolta ancora agonizzanti.
Ma ricchi e poveri sono sicuri di
andarsene nel kailasson, appena che le loro ceneri o i loro cadaveri
abbiano raggiunto il sacro Gange, il fiume purificatore d'ogni peccato, secondo
la religione indiana.
Quel corso d'acqua, che la
zattera attraversava, era pieno di cadaveri putrefatti che salivano dal fondo,
per offrirsi, orrido pasto, ai becchi giganteschi degli arghilak e dei marabù.
Molte teste ballonzolavano,
cozzandosi le une contro le altre, con dei rumori che facevano rabbrividire.
Forse al nord dell'Assam qualche
grave epidemia era scoppiata, e centinaia e centinaia di cadaveri erano stati
abbandonati alle acque perché li portassero verso il fiume sacro.
Una nebbia densa volteggiava su
quelle acque corrotte, alzandosi per ricadere subito, come se qualche cosa di
pesante le attirasse verso il fiume.
Grossi goccioloni cadevano di
quando in quando sulla zattera inzuppando i fuggiaschi, i quali avrebbero fatto
volentieri a meno di quella pioggia che conteneva i germi di febbri e di
mortali malattie.
- Mi pare di essere sul Magal -
disse Kammamuri, il quale si era allungato accanto al rajaputo. - Anche
quel fiume era pieno di cadaveri e di marabù, ma le rive erano abitate
dai thugs di Suyodhana, ben più terribili dei banditi del rajah.
- E non hanno mai voluto
strangolarti, sahib? - chiese il gigante.
- Tante volte mi hanno gettato
ora il laccio ed ora il fazzoletto di seta nera, ma, come vedi, sono ancora
vivo, e non vecchio quanto il gurù.
- Tu sei un giovane guerriero che
non ha paura di dieci banditi.
- Una volta sì, ma ora tutti siamo
invecchiati: il Maharajah, la Tigre della Malesia,
Tremal-Naik il mio padrone. Tuttavia se siamo insieme,
siamo ancora capaci di conquistare dei regni e degli imperi.
- Non ne dubito: vi ho veduti
alla prova. Siete gente che non teme la morte.
- Taci!
- Che cosa c'è ancora?
- Lo crederesti? Io ho udito
un'altra volta l'urlo dello sciacallo.
- Io non ho udito nulla, sahib.
Che quel cane di bandito voglia proprio farci la pelle?
- Eppure sono certo di non
essermi ingannato.
- Che sia l'anima dello stallone?
Il maharatto alzò le
spalle.
- Quando una bestia cade, va ad
ingrassare la jungla, e tutto finisce lì.
- E tu hai udito, Timul?
- Sì, anch'io ho udito - disse il
giovane cercatore di piste alzandosi. - Era l'urlo dello sciacallo falso
che noi già conosciamo.
Il rajaputo strinse i
pugni.
- Che non si possa ammazzare quel
cane rognoso? Ci stringe troppo da vicino.
- E sarà solo? - chiese Timul.
- Chi lo sa? Io però non credo
che tutti i banditi possano averlo seguito. Un uomo può scivolare attraverso la
folta jungla: dieci no, poiché non tarderebbero a smarrirsi fra i grandi
vegetali.
- Io conosco questi luoghi -
disse in quel momento il gurù.
- Si è risvegliata la tua
memoria? - chiese Kammamuri.
- Io ho percorso questo fiume.
- Su che cosa?
- In una gonga.
- In un albero scavato; è vero?
- Sì, sahib.
- Allora andremo a finire in
qualche luogo. Speriamo che la tua memoria si risvegli ancora.
- Questo fiume va a rompersi
contro la torre mongola.
- Ne sei sicuro?
- Ora sì, sahib.
- Ci credi tu, rajaputo?
- Uhm! - fece il gigante.
In quell'istante la zattera subì
una scossa violentissima, che mandò a gambe levate i quattro fuggiaschi.
- Abbiamo naufragato? - chiese il
maharatto balzando rapidamente in piedi e precipitandosi verso il lungo
remo che funzionava da timone.
- No, sahib, - disse
Timul. - Abbiamo solamente urtato contro una catasta di scheletri umani; ma la
zattera gira e passerà.
- Sulla riva vi è un'ombra che
corre come un cervo - disse il rajaputo, afferrando la carabina del maharatto.
- Deve essere il bandito che montava il cavallo pazzo. Ora cercherò
io di mandarlo all'altro mondo.
Aveva puntata rapidamente l'arma,
mentre la zattera, presa da un violentissimo gorgo, si era messa a girare su se
stessa come una trottola.
- Spara dunque! - gridò Kammamuri
vedendo che il gigante pareva esitare.
- Non posso prender la mira un
solo momento, sahib, - rispose il gigante. - Questa zattera salta
come una capra del Tibet.
- Lo vedi?
- So dove si è nascosto. Si è
cacciato sotto quella macchia di mangifere che si spinge fino al fiume. Aspetta
un momento, sahib: non sono un cattivo tiratore, come sai.
Ad un tratto, mentre la zattera uscita
dal gorgo riprendeva la corsa, due lampi balenarono sulla riva opposta seguiti
da due detonazioni.
- Pistole - disse Kammamuri,
senza prendersi la briga di gettarsi sul fianco della zattera. - Non arrivano
quelle palle.
- Ma giungerà quella della tua
carabina, sahib.
Fece fuoco in direzione della
macchia di mangifere, e un grido straziante lacerò il silenzio che regnava in
quel momento sul fiume: era il grido d'un uomo che ha avuto il fatto suo.
- Preso! - urlò il rajaputo, con
voce trionfante. - Era tempo che se ne andasse anche lui. Andrà a tenere
compagnia allo stallone.
- Adagio, amico, - disse
Kammamuri. - Puoi averlo solamente ferito.
- E allora qualche tigre o
qualche coccodrillo lo divorerà.
- Se i suoi compagni non
giungeranno in tempo a raccoglierlo e salvarlo.
- Vuoi, sahib, che
spingiamo la zattera verso la riva? Mi preme sapere se quel bandito è proprio
morto.
Il maharatto stava per
rispondere, quando la zattera, che da alcuni minuti procedeva rapidissima, si
mise a rollare spaventosamente.
- Ehi, Timul! - gridò il rajaputo.
Fu il gurù che rispose:
- La cateratta!
- E non ci hai avvertiti prima,
sacerdote? - gridò Kammamuri stringendo i pugni. - Annegheremo tutti!
- No, sahib, poiché anche
la gonga vi passò senza sfasciarsi, - rispose il gurù. - Né
io, né il mio compagno andammo ad ingrassare i coccodrilli.
- Potremo dunque scenderla?
- Più facilmente di quanto credi.
È una cascata a scaglioni, con larghe aperture che permetteranno alla zattera
di continuare la sua corsa senza fracassarsi. Badate solamente alla direzione.
Ci sono delle rocce.
Poi, dopo un breve istante di
silenzio soggiunse:
- La torre fra poco sarà in
vista.
- Ai remi, ai remi! - gridò
Kammamuri.
- Briganti! - gridò una voce che
partiva dal gruppo di mangifere. - Il rajah mi vendicherà!
- Sei stato ferito? Possiamo
mandarti qualche medico? - urlò il rajaputo, il quale aveva ricaricata
la carabina. - Non hai che da mostrarti.
- Che Siva vi maledica, cani
rabbiosi! Mi avete ucciso il cavallo del gran Mogol ed ora avete ferito anche
me! Il rajah vi leverà la pelle!
- Sindhia è lontano! - gridò
Kammamuri. - Non lo temiamo più. Fra qualche ora saremo al sicuro.
- Che la cateratta vi spezzi la
zattera e vi getti in bocca ai coccodrilli! ...
- Grazie: ci guarderemo da quei
ghiottoni. Padrone del cavallo, buona notte, e guardati dalle tigri che sono
più pericolose dei rettili d'acqua.
- Ah, sei tu l'uomo che si chiama
Kammamuri e che il rajah pagherebbe a peso d'oro!
- Come lo sai? - chiese il maharatto.
- Vi ho seguiti sempre ed ho udito
i vostri discorsi.
- Ed ora non udrai più nulla -
urlò il rajaputo.
Aveva puntata novamente la
carabina ed aveva fatto fuoco dentro la macchia di mangifere.
Nessun grido seguì la detonazione.
Il padrone dello stallone era stato fulminato, o aveva creduto opportuno di
fingersi morto?
Intanto la zattera accelerava la
corsa. Il fiume, che poche ore prima aveva delle frequenti soste, scorreva
impetuosamente, come non avesse più né sabbie, né carcasse umane, né detriti
vegetali.
Delle vere ondate si formavano e
rumoreggiavano sinistramente intorno al galleggiante sopravanzandolo di quando
in quando.
Kammamuri ed i suoi compagni
avevano impugnati i lunghi bambù e puntavano forte nel fondo del corso d'acqua.
Un fracasso infernale saliva dal
settentrione. Era la cateratta che muggiva e che si precipitava attraverso le
rocce con grande impeto, lanciando in alto degli spruzzi di spuma
fosforescente.
- Gurù, - disse
Kammamuri - non andremo tutti a fondo?
- No, sahib, noi
passeremo.
- E poi scopriremo la torre?
- Sì, sì, la torre mongola.
- Allora tentiamo la sorte. Le
rive sono troppo boscose, e poi non sarebbe prudente sbarcare sui margini della
jungla, che possono essere frequentati dai mangiatori d'uomini.
Una vera pioggia cadeva sulla
zattera. La cateratta spruzzava altissima con dei rombi impressionanti,
polverizzando l'acqua fetente del fiume coleroso.
- Tenete fermo! - gridò
Kammamuri. - Non abbandonate le pertiche. Se naufragheremo, ci serviranno
ancora.
- Pare che ci sia un gran salto
d'acqua - disse il rajaputo, il quale per conto suo avrebbe preferito
trovarsi in mezzo alla jungla, fosse pure popolata di belve feroci.
In quel momento la zattera
s'inalberò, oscillò spaventosamente, poi precipitò attraverso ad una serie di
rapide, sulle quali l'acqua si frangeva furiosamente.
I quattro indiani si erano
raccolti nel centro per non farsi portar via dai cavalloni che si succedevano
senza posa, colle creste irte di spuma fosforescente.
Si tenevano aggrappati per poter
meglio resistere. Il rajaputo solo maneggiava a poppa la lunga pertica
che funzionava da timone.
Quella corsa rapidissima durò un
quarto d'ora, poi la zattera, sfuggita miracolosamente ai frangenti, scese in
un ampio bacino, una specie di laghetto alimentato dalle acque puzzolenti del
fiume.
- Siamo salvi! - gridò il gurù.
- La torre si alza sulla riva sinistra, in mezzo alla boscaglia. Ora
mi ricordo tutto!
- Finalmente! - esclamò
Kammamuri. - La tua memoria non si è completamente fossilizzata.
- Io vedo... - disse in quel
momento il rajaputo.
- Che cosa?
- Dei coccodrilli che sembrano
impazienti di montare all'abbordaggio, e poi la famosa torre.
- L'hai veduta?
- Sì, sahib.
- Allora spingiamo la zattera
verso la riva e scappiamo prima che i rettili ci portino via le gambe.
Tutti avevano preso le lunghe
pertiche e puntavano, tagliando diagonalmente la corrente. Ma di quando in
quando erano costretti a picchiare a destra ed a sinistra, poiché quel laghetto
era pieno di coccodrilli.
Con un ultimo sforzo cacciarono
la prora della zattera entro le piante acquatiche che coprivano la riva, e
fuggirono.
Fuggirono a tempo. I coccodrilli
erano montati all'assalto e spadroneggiavano sul galleggiante muggendo
rabbiosamente.
- Via di corsa! - gridò
Kammamuri. - Lasciamoli padroni della zattera. Vedremo che cosa sapranno fare
quelle bestie stupide.
Tutti e quattro si slanciarono
nella jungla immensa, correndo all'impazzata, impazienti di giungere
alla torre mongola.
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