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L'ARRIVO DEI MONTANARI
I banditi, furibondi per non aver
potuto prendere quei quattro uomini che da tanti giorni inseguivano attraverso
alle jungle ed ai pantani, sfogavano la loro ira con frequenti scariche,
le quali per altro non potevano ottenere nessun successo. Solamente la cupola a
poco a poco se ne andava poiché le palle l'attraversavano in gran numero,
portando via dei pezzi interi di rame.
Ma le salde muraglie dei
costruttori mongoli non si sgretolavano, quindi gli assediati, protetti dalla
pesante porta di bronzo barricata con tre grosse spranghe di ferro, potevano
aspettare tranquilli, e non si occupavano quasi più degli assedianti.
Un gran fracasso regnava intanto
intorno alla torre. I banditi, decisi questa volta di prendere o vivi o morti
quegli inafferrabili avversari, continuavano a sparare, mirando specialmente
alla veranda e alla cupola.
Delle palle entravano anche
attraverso le strette feritoie e andavano a conficcarsi nell'opposta parete.
Era già mezzogiorno e più di tre
o quattrocento colpi di carabina erano stati sparati, ora isolati, ora a salve,
eppure non pareva che quei testardi si fossero persuasi dell'impossibilità
dell'impresa.
Rimaneva l'assedio, e con
l'assedio lo spavento del povero rajaputo, il quale guardava
malinconicamente i mhowah già ridotti a quel tanto che avrebbe potuto
servire per una o due giornate tutt'al più.
Verso l'una il fuoco fu sospeso,
ed il capo della banda, passando dietro i grossi tronchi per non prendersi una
fucilata, giunse a venti passi dalla porta di bronzo.
Era un bandito d'aspetto
imponente, barbuto quanto il rajaputo, ed armato di carabina, di pistole
a due colpi e di tarwar.
Si mostrò un momento, poi si
ricacciò dentro la macchia dei mhowah tirandosi dietro il suo cavallo
slombato.
La sua voce tuonò:
- Ogni difesa è inutile! Ormai
siete nelle nostre mani. Arrendetevi una buona volta!
- Chi lo dice? - rispose
Kammamuri, il quale si era trascinato fino sulla veranda.
- Voi non uscirete vivi.
- Tu credi di prenderci per fame,
ma t'inganni: abbiamo viveri per due mesi, e tanto riso da fare del carri eccellente.
- È impossibile! - gridò il capo
della banda. - Voi cercate di guadagnare tempo, contando forse su un aiuto del
Maharajah.
- Ma no, ma no, amico. Non è il
principe bianco che noi aspettiamo e che da un momento all'altro può giungere
qui alla testa di dieci o quindici mila montanari. È Khampur, il vecchio orso
della montagna, il protettore della rhani.
Il bandito lanciò tre o quattro
imprecazioni, poi ripeté:
- Vi arrendete, sì o no?
- No, aspettiamo Khampur e la
bellissima rhani. Quella gente vi farà correre fino al campo di Sindhia
colle lance alle reni.
- Tu menti: nessun montanaro è
più disceso dopo che la rhani si è rifugiata fra le montagne di Sadhja.
- Ed il Maharajah che cosa
fa?
- È stato preso tre giorni fa
insieme col principe bruno che ha portato quelle terribili armi.
- A chi la dai a bere, amico?
- Te lo dico io, e basta.
- La parola d'un bandito! Ah ah!
Sindhia non ha ancora veduto il principe bianco e nemmeno quello bruno; te lo
assicuro io. Quegli uomini sono capaci di gettare a gambe levate tutti i paria,
i fakiri, i bramini e i banditi, anche se sono in pochi. Ma voi dovete
aver fame. Volete un sacco di riso? Ne abbiamo sette.
- Sarai tanto generoso? - chiese
il bandito uscendo dalla macchia colla carabina armata.
- Non offriresti tu una coscia di
qualcuno dei tuoi cavalli, che ormai sono sfiniti, a noi che non abbiamo
nessuna specie di carne?
- Io no! - rispose il bandito.
- Io invece, più generoso, ti
farò un regalo. Abbiamo, come ti ho detto, anche troppa abbondanza di viveri.
- Gettami il sacco di riso. I
miei uomini sono affamati, e a loro piace poco o punto la carne di cavallo.
Si era novamente avanzato fino a
venti passi dalla porta di bronzo.
Kammamuri sapeva ormai e da tempo
che l'aveva da fare con banditi pronti a qualunque sbaraglio e capaci di
qualunque tradimento. Lo sorvegliava attentamente, tutto allungato sulla
veranda, colla carabina armata e pronta.
- Getta dunque! - gridò il capo.
- Abbiamo fame di riso.
- Eccolo! - gridò il maharatto,
balzando rapidamente in piedi. - Questo riso sarà un po' duro, ma non ne
abbiamo nessuna colpa noi.
Il capo, temendo a sua volta un
tradimento, aveva cercato di rifugiarsi nella macchia dei mhowah, dove
lo aspettavano i compagni, ma la palla del vecchio cacciatore lo raggiunse in
tempo e lo stese a terra fulminato, alla base d'un grosso albero.
Dieci o quindici colpi di
carabina echeggiarono subito, crivellando novamente la cupola. Ma il maharatto
che si aspettava quella sorpresa si era lasciato subito cadere sull'impiantito
della veranda, abbastanza grosso per arrestare le palle.
- E due! - disse il rajaputo, mentre
i banditi continuavano a sparare sempre più furiosamente e ad urlare.
- Così sono diciotto, se non
m'inganno - disse Kammamuri. - Sono ancora troppi, ma delle palle ne ho per
tutti.
- Serbale per questa sera, sahib.
- Che cosa temi?
- Io sono certo che quegli uomini
approfitteranno della nebbia e dell'oscurità per dare la scalata alla torre. Vi
sono troppe piante rampicanti molto grosse e resistenti. Vuoi che le tagli?
- Non ancora.
- Vuoi accopparne degli altri?
- Lo spero - rispose Kammamuri. -
Se monteranno all'assalto, li precipiteremo nel vuoto. Il tuo tarwar è
sempre affilatissimo?
- Taglia come una scimitarra di
Damasco. Quando me lo dirai, le piante cadranno recise insieme cogli
assalitori.
- Ed io che non vi posso aiutare!
- disse Timul. - Che cosa ne faccio di queste due pistole scariche?
- Le romperai sulla testa di
qualcuno - rispose Kammamuri. - Vi sarà lavoro per tutti.
- Fuorché per il gurù -
disse il rajaputo. - Ha succhiato fiori fino a poco fa, ed
ora è addormentato placidamente.
- Lascialo russare: già, non ci
servirebbe a nulla. È troppo vecchio.
Mentre chiacchieravano, i banditi
non cessavano di sparare e di urlare. Parevano furibondi per la morte del loro
capo, che valeva forse più del padrone dello stallone.
Nuvole di fumo si alzavano al di
sopra delle piante, ed i colpi si succedevano ai colpi sempre con lo stesso
risultato.
Kammamuri ed il rajaputo spararono
a casaccio alcuni colpi, ma essendo il bosco di mhowah troppo folto, non
potevano accertarsi della giustezza dei loro tiri.
Tuttavia i banditi non osavano
avanzarsi. Sparavano sempre di mezzo alle piante senza fare un passo avanti.
- Hanno paura della tua carabina
- diceva il rajaputo al maharatto, il quale non mancava di quando
in quando di rispondere al formidabile fuoco degli assedianti. - Sanno bene che
se mostrano solamente un pezzetto d'orecchio, possono considerarsi perduti,
però si tengono alla larga.
- Vorrei vedere solamente i loro
turbanti. Ne getterei giù molti in pochi minuti di quegli ostinati banditi
rompendo le loro teste come fossero noci di cocco.
- Ti credo, sahib; tuttavia
siamo sempre allo stesso punto. Infatti i montanari non giungono, le provviste sono
già quasi esaurite poiché il gurù non fa che masticare, e fra poco la
notte calerà. Vuoi che tagli le piante rampicanti?
- Ti ho detto di no. Lasciamoli
salire - rispose Kammamuri. -Questo attacco me l'aspetto.
- Pensa, sahib, che ho un
solo tarwar, e nessuno che mi possa aiutare.
- Ci sarà la mia carabina, amico.
- Aver due pistole e non poterle
caricare!... Quel bramino ci ha salvato la vita, ma è stato un grand'asino. Che
cosa valgono quattro palle nelle jungle? Doveva lasciarci almeno un po'
di piombo.
- Non avrà avuto il tempo. I
banditi non erano lontani, e potevano sorprenderlo e denunciarlo al rajah.
- E che cosa farà quel cane di
Sindhia? Che continui ad ubriacarsi o che cerchi d'impadronirsi del Maharajah e
della Tigre della Malesia?
- Io credo, amico, che nel suo
campo il colera faccia già gran numero di vittime. Il medico olandese sapeva
quello che si faceva.
- Allora i due principi saranno
sempre trincerati sulla collina.
- Coi loro sikkari ed i
tigrotti di Mompracem. Le mitragliatrici ed il colera sono bestie troppo
cattive anche per quel pazzo.
- Ed intanto mangeranno gli
elefanti.
- Qualcuno l'avranno già
certamente divorato.
- Gente fortunata! E noi invece
abbiamo solamente dei fiori dopo quasi quattro giorni di digiuno!
- Ti prenderai, a suo tempo, la
tua rivincita.
- A suo tempo! Ah, sahib, tu
non sai quanta fame ho sofferto e quanta ne soffro ancora! La rivincita vorrei
avermela già presa.
- Abbi un po' di pazienza. Tu sei
un forte guerriero, e negli assedî gli assediati devono saper resistere.
- E morire - disse Timul
sorridendo.
- Tante volte sì... Oh, infuriano
ancora i banditi! Hanno fretta di crivellarci di piombo, ma non otterranno
nessun...
S'interruppe e si mise in
ascolto. A rischio di prendersi un colpo di carabina, uscì carponi sulla
veranda.
- Odo un lontano fragore -
mormorò, guardando la grande strada che conduceva alle montagne di Sadhja, e
che spiccava bianchissima attraverso le immense jungle che occupano il
cuore dell'Assam.
Guardò il sole che tramontava
rapidamente, anzi pareva precipitare e scosse la testa.
- Che i banditi ricevano dei
soccorsi? - si chiese.
- Che cosa borbotti, sahib? -
chiese il rajaputo.
- Dico che attraverso la grande
strada galoppano dei cavalieri e molti.
- Io non vedo nulla.
- Non odi questo fragore?
- Che sia la cateratta?
- No - disse Timul, il quale pure
si era messo in ascolto. - Sono dei cavalli che si avanzano.
- Da ponente o da oriente? È
questo che vorrei sapere.
- Io non posso dirtelo ancora, sahib.
- Se quei cavalieri vengono da
levante, potrebbero essere i bravi montanari della rhani. Se vengono
invece dall'altra parte, non possono essere che dei banditi - disse Kammamuri.
- Io non posso ancora saperlo, ma
mi pare che il fragore si avvicini rapidamente, e fra poco noi sapremo se
avremo da fare con degli amici o con dei nuovi nemici.
- Ebbene, aspettiamo.
In quel momento il gurù, che
si era trascinato sulla parte opposta della veranda, mandò un grido altissimo:
- Al fuoco! al fuoco!
- Che cosa brucia? - chiese
Kammamuri, balzando in piedi.
- Guarda giù, sahib, - rispose
il sacerdote.
- Ah, i miserabili! Hanno dato
fuoco alle piante parassite che avvinghiano la torre per arrostirci vivi o
farci uscir fuori.
- Devo tagliare, sahib? -
chiese il rajaputo, impugnando la mezza scimitarra. - Se le fiamme
giungono fin quassù, tutta la veranda, che è di legno, crollerà.
- Taglia! taglia! E bada alle
palle!
I banditi, approfittando
dell'oscurità e della nebbia che ricominciava ad alzarsi, si erano spinti sotto
la torre, ed avevano dato fuoco alle piante rampicanti che si spingevano fino
alla cupola.
Alcuni erano rimasti nascosti
nella macchia dei mhowah, e non avevano cessato di sparare.
Le piante vecchie ed abbastanza
secche, si erano subito incendiate crepitando. Strisce di fuoco serpeggiavano
intorno alla torre, mentre colonne di fumo si alzavano fino alla cupola.
Il rajaputo, quantunque
esposto al fuoco dei banditi rimasti ancora imboscati, si era messo a recidere
rabbiosamente i vecchi calamus che si abbarbicavano alla veranda.
Kammamuri intanto aveva ripreso a
far fuoco, sparando sempre dentro la macchia dove vedeva balenare i lampi delle
fucilate.
Timul e il gurù erano
invece scesi a precipizio ed avevano levate due delle tre spranghe che
barricavano la porta di bronzo.
Alla base della torre un calore
intenso si sviluppava già, e delle lingue di fuoco entravano attraverso le
feritoie sibilando.
I quattro disgraziati correvano
il pericolo di morire lentamente arrostiti, poiché i calamus continuavano
a bruciare con estrema rapidità, spingendo nubi di fumo verso la cima della
torre.
- Sahib, - disse il
rajaputo il quale aveva udito parecchie palle fischiargli agli orecchi -
ciò che mi hai ordinato l'ho fatto, ma l'incendio non accenna a scemare. Sono
troppo secchi questi calamus.
Kammamuri, che aveva sparato un
altro colpo di carabina, sempre sdraiato sulla veranda, guardò il gigante e
disse:
- Le cose vanno male, pare.
- Quelle canaglie ci aspettano
all'aperto per prenderci tutti.
- Lo so, per Siva! - esclamò il maharatto
con voce rauca. - Non potremo resistere a lungo. Questa torre diventerà un
forno crematorio, e noi non salveremo nemmeno le ossa.
- Perché non tentiamo un'uscita?
- Quattro contro... mettiamo che
ormai i banditi siano quindici, poiché io ne ho colpiti alcuni... ma anche
quindici sono sempre troppi.
- Pensa, sahib, che il
fuoco continua a salire. Tutta la torre è avvolta dalle fiamme.
- E quel fragore, che abbiamo
udito nel momento in cui il sole tramontava, si ode ancora? - chiese il giovane
cercatore di piste, comparendo insieme al gurù.
- Pare che tutti quei cavalli si
siano arrestati sul margine delle jungle - rispose Kammamuri. -
Ma la torre fa più luce d'un faro, e se quelli sono i montanari della rhani,
non mancheranno di accorrere.
- E se fossero invece altri paria
o fakiri mandati a chiamare dagli assedianti?
Il maharatto incrociò le
braccia sulla carabina che fumava ancora, poi disse con accento di
rassegnazione:
- Se Visnù vuole, ci porti pure
nel suo paradiso.
- Senza combattimento, sahib? -
chiese il rajaputo, il quale era diventato furioso.
- Oh, no! Balzeremo fuori come
tigri e scompariremo nella jungla. Ma aspettiamo che i cavalli, che
marciavano al cadere delle tenebre, si mostrino.
- Tu credi siano i montanari di
Sadhja?
- Ho questa convinzione - rispose
il maharatto.
- E se tu t'ingannassi?
- Impegneremo una lotta suprema
che già dura da troppi giorni... Che caldo! È impossibile resistere!
- Scendiamo, sahib?
- Giù fa più caldo che qui -
disse il giovane cercatore di piste.
- La porta non si è fusa?
- No, sahib.
In quel momento sulla grande
strada, che conduceva alle montagne di Sadhja, si udirono alcune scariche,
fitte, serrate. Una grandine di grossi proiettili cadeva sulla torre ardente,
tempestando specialmente la cupola che cominciava ad arrossarsi. Kammamuri
mandò un grido:
- Son grossi fucili di montanari!
Ecco la nostra salvezza che giunge!
- Non sono carabine, sahib? -
chiese il rajaputo.
- No, sono i vecchi fucili dei cipai,
che il governatore del Bengala, sempre buon negoziante, ha venduto loro.
Buone armi cinque o sei anni fa.
Si slanciò sulla veranda e si
mise a gridare a gran voce:
- Accorrete in aiuto dei
guerrieri del Maharajah. Sospendete il fuoco! Io sono Kammamuri!
La fucileria, che rimbombava
fortissima sulla grande strada delle montagne, subito cessò. Poi mentre i
banditi di Sindhia non cessavano di sparare si udì una voce tonante gridare:
- Io sono Khampur, capo dei
montanari di Sadhja e guido la rhani. Veniamo in tuo soccorso.
Tre o quattrocento cavalieri si
slanciarono nella jungla, decimando crudelmente, con poche scariche, i
banditi del rajah e giunsero in un momento sotto la torre, la quale
ormai minacciava di crollare sotto i morsi delle fiamme.
- Giù! giù! - gridò Kammamuri. -
La nostra salvezza ormai è assicurata.
Si precipitarono tutti e quattro
giù per le scale, trattenendo il respiro, poiché l'aria era diventata ardente
dentro la torre.
Il rajaputo con un colpo
di tarwar fece cadere la terza sbarra di ferro che cominciava a diventar
rossa, spinse con un poderoso calcio la porta e passò primo attraverso ad una
vera cortina di fiamme.
I montanari, dopo aver messo in
fuga i pochi banditi, erano prontamente tornati.
Li guidava un vecchio guerriero
dalla pelle assai bruna e la barba assai bianca, d'aspetto imponente quanto il rajaputo.
Vestiva come un rajah, e
sul turbante larghissimo portava un pennacchio di crini di cavallo bianco,
tempestato di diamantini.
- Dov'è Kammamuri, l'amico del
Maharajah? - chiese avanzandosi, e facendo caracollare il suo
bellissimo cavallo morello.
- Eccomi, Khampur! - gridò il maharatto,
il quale era pure riuscito dalla torre ardente insieme al gurù ed al
giovane cercatore di piste. - Noi ti dobbiamo la vita.
- Chi vi assediava e tentava di
arrostirvi? - chiese il capo.
- Le genti di Sindhia.
- Quelle che noi abbiamo fugate?
- Sì, Khampur, e stavano per
prenderci. Dov'è la rhani?
- È sulla strada della montagna
insieme a mio figlio, scortata da quindicimila cavalieri risoluti a
riconquistare un'altra volta l'Assam. È ora di finirla con quel Sindhia. Ed il
Maharajah resiste sempre? Noi abbiamo saputo che si era trincerato su
una collina insieme agli uomini venuti dal mare colla Tigre della Malesia.
- Io spero che quei valorosi non
si siano ancora arresi.
- Abbiamo pure saputo che il
colera è scoppiato negli accampamenti del rajah e che fa strage.
- Quel malanno l'ha scatenato un
famoso medico che la Tigre aveva condotto con sé.
- Quanti uomini potrà avere
Sindhia?
- Un mese fa ne aveva ventimila,
ma ora non credo che ne abbia più tanti.
- Sono banditi, paria, fakiri
e bramini; è vero? Oh, che pessimi combattenti! - disse il vecchio montanaro.
- Avremo da fare i conti anche
con un migliaio di rajaputi.
- Siamo in buon numero, e la rhani
ed il Maharajah riavranno ancora una volta il loro impero.
Fece scendere a terra quattro
uomini, e fece condurre i loro cavalli dinanzi a Kammamuri.
- Montate e seguitemi - disse. -
Abbiamo fretta di raggiungere il Maharajah e di dare un'altra e decisiva
battaglia a quell'ostinato di Sindhia.
- Ai tuoi ordini, Khampur.
In quel momento la veranda della
torre e la cupola, minate dalle fiamme che continuavano a innalzarsi,
rovinarono con immenso fragore, sollevando una grossa nuvola di fumo e di
scintille.
- Per Siva! - disse il rajaputo
aiutando il gurù a montare a cavallo. - Se questi bravi montanari
tardavano ancora un po', a quest'ora eravamo morti e sepolti.
In mezzo alle folte piante si
udirono alcuni spari.
- Non è ancora finita? - chiese
Khampur, il quale era impaziente di raggiungere la rhani per accorrere
poi in aiuto del principe bianco. - Quei banditi avrebbero la pretesa di
misurarsi con noi? Che cento uomini si accampino qui ed attendano i miei
ordini. Su, partiamo!
Cinquanta cavalieri sbucarono di
tra le macchie di mhowah con le carabine ancora fumanti in mano.
- Sono fuggiti o li avete
fucilati? - chiese il vecchio montanaro.
- Vi sono dieci o dodici morti,
capo, - disse il comandante del drappello. - Gli altri sono riusciti a
scapparci, attraversando un canale che poteva essere pericoloso.
- Prendi altri cinquanta uomini e
rimani qui - disse Khampur. - Se quei furfanti ritornano, fucilateli come cani
arrabbiati. Al galoppo!
I quattrocento cavalieri si
misero rapidamente in moto, in file serrate, attraversando l'ultimo lembo della
jungla.
Altri cento si erano accampati
intorno alla torre, la quale continuava a fiammeggiare, minacciando da un
momento all'altro una completa rovina.
I primi dopo dieci minuti
raggiunsero la via della montagna, che era ingombra, a perdita d'occhio, di
cavalieri d'aspetto imponente, con lunghe barbe, armati di grossi fucili, di
pesanti scimitarre e di pistoloni a due canne.
Erano là i quindicimila montanari
che Khampur per la seconda volta stava per scatenare contro il rajah pazzo.
Le linee si aprirono facilmente, essendo
la via larghissima, ed il capo, Kammamuri ed i loro amici giunsero ben presto
là dove si trovava la rhani, la principessa dell'Assam, moglie di Yanez,
circondata da cinquanta cavalieri di statura imponente.
- Ah!... Kammamuri! - gridò la
bella principessa, la quale montava una candida giumenta, ed indossava un lungo
vestito di seta azzurra. - Mi porti finalmente notizie di mio marito?
- Io credo, signora, che resista
sempre nei dintorni della capitale insieme con la Tigre e i tigrotti di
Mompracem.
- Che non si siano arresi per
fame?
- Ma che! Avevano cavalli ed
elefanti, e per difendersi le terribili mitragliatrici.
- È vero che nei campi di Sindhia
è scoppiato il colera?
- Un amico della Tigre ha portato
delle bottiglie che contenevano dei germi terribili, e alcuni dei nostri si
sono incaricati di vuotarle intorno alle tende del rajah.
- Ed i miei uomini non cadranno
anche loro distrutti dalla terribile epidemia?
- Il signor Sandokan ha ai suoi
ordini un famoso tobib che può scatenare ed anche curare rapidamente
quel terribile morbo.
La rhani guardò Khampur e
suo figlio, un giovanottone saldo come la cima d'una rupe e formidabilmente
armato, e fece poi un cenno.
La nebbia in quel momento si era
alzata e la luna cominciava a far capolino sopra le jungle. Verso il sud
la torre bruciava ancora, cadendo a pezzo a pezzo e continuando a lanciare in
aria nembi di scintille e di fumo.
- Quando potremo giungere a
Gauhati? - chiese la rhani al maharatto, il quale aveva preso le
briglie della bianca giumenta.
- Domani all'alba potremo
piombare sulle orde del rajah.
- Sei sicuro che non sono bravi
guerrieri?
- Sono banditi più abituati a
maneggiare il coltello e il bastone. Ed il piccolo Soarez?
- L'ho lasciato sulle montagne -
rispose la principessa. - È ben guardato, e nessun nemico giungerà lassù.
- Allora si può partire - disse
Khampur, il quale frenava a stento il suo cavallo, nero come la notte. - Faremo
una sola volata e spazzeremo via i campi di Sindhia, prima che i rajaputi, i
soli guerrieri temibili, si preparino ad una vigorosa difesa.
- Via! - gridò la rhani. -
Andiamo a salvare il Maharajah e la Tigre della Malesia.
Uno squillo di tromba echeggiò, e
allora tutti quei cavalieri si mossero a gran trotto, avviandosi verso la
capitale dell'Assam, nei cui dintorni dovevano ancora resistere il Maharajah,
Sandokan e le tigri imbrancate coi sikkari, i famosi cacciatori di
tigri.
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