5. Un terribile
momento
Cominciava ad imbrunire,
quando lo yacht entrò nella vasta e pittoresca baia di Varauni, salutando la
bandiera del Sultano con un colpo di cannone, subito restituito dalla vecchia
crollante batteria.
La piccola nave si era
appena ancorata alla boa, quando Mati che osservava attentamente tutto, segnalò
la barca dipinta in rosso coi bordi dorati, che quattro giorni prima aveva
trasportato Yanez all'aloun-aloun.
- Signore, - disse,
precipitandosi nella cabina dove il portoghese stava visitando una cassetta
d'acciaio piena di diamanti indiani e di smeraldi e rubini birmani. - Viene...
- Chi?
- Il segretario del
Sultano.
- E ti inquieti per
questo, amico? Ho qui di che corrompere tutti i favoriti di S. A. Fa bene a
venire, perché non gli ho ancora offerto nessun regalo.
- E dopo?
- Dopo? Mio caro,
abbiamo una nave a vapore sotto pressione, sempre pronta a prendere il largo.
Chi mi darà la caccia? I giongs sgangherati del Sultano? Ne mettesse in
linea anche venti, noi passeremmo ugualmente su di loro. E poi a Gaya abbiamo
una riserva imponente, capace di bombardare la città ed anche di prenderla
d'assalto.
- Non fidatevi del
Sultano.
- Uh! Un vero
fanciullone! -
Prese una manata di rubini,
di diamanti e di smeraldi, se li mise in tasca e richiuse la cassetta che
doveva contenere parecchi milioni.
- Andiamo a vedere che
cosa desidera quella mezza scimmia, - disse salendo in coperta.
La barca, che era
montata da dodici remiganti, era già sotto la scala.
L'antipatico segretario
in un baleno fu a bordo, salutando Yanez solamente con un mezzo inchino.
- Che cosa abbiamo
dunque di nuovo, amico? - gli chiese bonariamente il portoghese.
Il segretario tirò il
fiato, sgranò gli occhi e dopo d'aver fatto una brutta smorfia, disse con un
certo sforzo:
- S. A. vi aspetta a
cena.
- Accetto subito, perché
questa corsa al largo mi ha fatto venire un appetito da pesce-cane. Speriamo
che sia di buon umore.
- Lo è sempre, quando ha
bevuto.
- Allora ci penso io.
Padar!
- Signore!
- Metti in un canestro
dodici bottiglie di gin con qualcuna di champagne e portalo nella barca.
- Andate solo?
- Formami una buona
scorta di dodici uomini ed io rispondo di tutto. -
Poi, avvicinandosi al
segretario e levandosi dalla tasca un magnifico rubino, gli disse:
- Amico, vi prego di
gradire questo come ricordo dell'ambasciatore dell'Inghilterra. -
Il segretario, con
grande stupore del portoghese, il quale sapeva quanto erano venali i bornesi,
invece di allungare la mano, la ritirò.
- Rifiutate? - gli
chiese.
- Se non so ancora chi
siete voi.
- Come?... Briccone! Non
ho presentato le mie credenziali in piena regola al tuo padrone?
- Eppure vi sono molte
persone che vi accusano.
- Di essere un furfante?
- Io non lo so, milord.
- Ah, la vedremo rispose
Yanez. - Per Giove, per chi mi si prende? Per una scimmia delle foreste
bornesi?
Il mio naso non è ancora diventato rosso, né si
è screpolato. Su via, prendete: vale almeno duecento fiorini e potrete far
felice qualche bella fanciulla del vostro harem. -
Questa volta il
segretario fu pronto ad allungare la mano e a chiudere le dita intorno al
rubino.
- Avrà degli invitati
questa sera il Sultano? - gli chiese Yanez. - A me piace molto la compagnia.
- Temo che ne troverete
troppa, dopo la cena.
- Niente di meglio:
improvviseremo una festa da ballo e faremo saltare le belle bornesi. Andiamo,
signor segretario. -
Si passò nella fascia le
due pistole indiane che Padar gli porgeva, raccomandò di tenere la nave sempre
sotto vapore ed i pezzi carichi e scese nell'imbarcazione colla sua scorta
completamente equipaggiata, come se dovesse entrare subito in campagna.
La calma del portoghese
era per altro più apparente che reale, poiché gli era sorto il dubbio che il
Sultano lo mettesse dinanzi ai naufraghi della nave a vapore e che gli
domandasse anche stretto conto della cannoniera, che più nessuno aveva veduto
rientrare nella baia, mentre le detonazioni dei pezzi erano state udite da non
poche persone.
Ma confidava nella sua
straordinaria audacia e sul suo sangue freddo, per giuocare la terribile
partita che si presentava con pessime carte, e colla speranza di vincere
ancora.
La scialuppa, spinta dai
suoi dodici remi energicamente manovrati, varcò la baia ed approdò dinanzi alla
gettata, dove l'attendeva il carro dalla cupola dorata e le colonnine bianche,
tirato dagli zebù.
- Seguitemi alla corsa -
disse Yanez ai suoi uomini, mentre i piccoli bovi partivano, galoppando
abbastanza bene.
I dodici malesi,
abituati alle lunghe corse attraverso alle foreste, si erano slanciati dietro
il carro, tenendosi ben vicini.
In meno di dieci minuti
giunsero dinanzi al bellissimo palazzo del Sultano tutto bianco e leggero, con
cupolette e lunghe gallerie.
Mezza compagnia di rajaputi
si trovava schierata dinanzi alla porta.
Yanez la passò in
rivista; poi preceduto dal segretario salì un grandioso scalone illuminato da
un gran numero di lanterne cinesi, le quali lasciavano piovere sotto di loro
una luce dolce e tranquilla.
Ad ogni pianerottolo vi
erano altre guardie in alta tenuta e completamente armate. Quell'apparato di
forze diede un colpo al cuore di Yanez.
- Che vada proprio a
gettarmi come uno stupido nella bocca della tigre del Borneo? - si era
domandato con una certa apprensione. Ah, no, no; io spero di avere ancora
qualche buona carta da giuocare.
Calma e sangue freddo, amico. -
Dopo d'aver attraversato
alcune verande piene di fiori e di vasi cinesi e giapponesi, il segretario lo
introdusse in una immensa galleria, dalle cui balconate si potevano scorgere
benissimo le navi che entravano ed uscivano dalla baia.
Una tavola lunghissima
era stata preparata.
Vasellame d'argento
scolpito, bicchieri di vero cristallo scintillavano sotto le venti lampade
cinesi.
Il Sultano, che
indossava il solito costume di seta bianca e che portava al fianco una
scimitarra dalla guaina d'oro, troppo pesante per le sue braccia, era già a
tavola insieme coi suoi due ministri ed una mezza dozzina di cortigiani dalla
pelle assai oscura e che indossavano dei sarongs assai vistosi, a
fiorami larghi.
- Ah, siete qui, milord!
- esclamò vedendo entrare Yanez. - Vi fate aspettare.
- Sono tornato tardi,
Altezza.
- Dove siete stato
dunque?
- A cacciare in alto
mare.
- Ed avete preso?
- Quattro miserabili
rondoni di mare, che i pesci-cani si sono mangiati sotto i miei occhi.
- Deve essere bello
cacciare in mare, a bordo d'una rapida nave come la vostra.
- Qualche volta sì,
Altezza.
- M'inviterete domani a
fare una corsa?
- Il mio yacht è a
vostra disposizione.
- Allora possiamo
cenare. -
Dei giovani malesi
s'avanzarono tosto, portando su dei grandi piatti d'argento fritture di pesce,
arrosto di babirussa, cavallette in salsa piccante, delle mostruose frittate.
Yanez aveva fatto cenno
all'uomo che portava il canestro pieno di bottiglie.
- Altezza, - disse
permettete di offrirvi quanto ho di meglio a bordo del mio yacht.
- Voi siete ben gentile,
milord, - rispose il Sultano con un certo sorrisetto che non tranquillizzò
affatto Yanez.
La cena, quantunque
assai abbondante, fu rapidamente divorata, poi, dopo le frutta, Yanez sturò una
bottiglia di champagne ed empì il bicchiere del Sultano, dicendo:
- Lunga vita a Vostra
Altezza.
- Dove si fabbrica
questo vino? - chiese il Sultano, il quale aveva già vuotato d'un colpo il
bicchiere.
- In Francia, Altezza.
- È un paese che ho
udito solo vagamente nominare.
- Vi piace, Altezza?
- Domani, se ne avete
delle altre di queste bottiglie, le vuoteremo a bordo del vostro yacht. -
Quella insistenza di
recarsi a bordo della sua piccola nave aveva messo una pulce in un orecchio a
Yanez. Guai se non si fosse sbarazzato del vero ambasciatore!
Il capitombolo sarebbe
stato completo.
Fu portato del moka
eccellente, servito in tazze giapponesi color del cielo dopo la pioggia, poi il
Sultano, che pareva molto di buon umore, rovesciandosi improvvisamente sullo
schienale della sua larga e comoda sedia di bambù sormontata da uno stemma
vistoso che rappresentava un'isola fra il mare burrascoso, chiese bruscamente a
Yanez, il quale non aveva mancato di accendere la sua sigaretta, mentre i
ministri ed i favoriti masticavano noci d'areca, con una sensualità bestiale,
lanciando sul bianco pavimento dei ripugnanti getti di saliva rossastra.
- Sapete, milord, che
cosa si dice nella mia capitale?
- Non mi sono mai
occupato dei pettegolezzi degli altri - rispose il portoghese, il quale
conservava un sangue freddo meraviglioso.
- La voce è grave,
milord e nella mia qualità di Sultano io devo appurare che cosa ci può essere
di vero in quelle dicerie che vi offendono molto da vicino.
- Chi, Altezza? - chiese
Yanez.
- Voi.
- Che cosa si dice
dunque di me? Dite pure Altezza. -
Il Sultano esitò qualche
istante a rispondere, poi disse:
- Quando siete uscito
dalla baia, non avete incontrato delle scialuppe piene di naufraghi,
rimorchiate da una cannoniera?
- Sì, le ho incontrate.
- Quella cannoniera ora
non è più ritornata, milord, - disse il Sultano, con voce grave.
- E spero che non
tornerà mai più - rispose audacemente il portoghese.
- Perché?
- Perché in questo
momento si trova coricata sul fondo del mare, completamente crivellata dalle
mie artiglierie.
- L'avete assalita?
- Avevo ricevuto ordine
formale dal mio governo di dare la caccia a quella nave a vapore che
apparteneva al rajah di Balaba.
- Non è possibile! -
esclamò il Sultano. - Aveva la bandiera olandese sul suo albero. Io l'ho veduta
perfettamente da questa galleria.
- Una bandiera non vuol
dir nulla, Altezza, - rispose Yanez sorridendo. - Si fa presto a cambiarla.
Come vi ho detto quella cannoniera era stata acquistata, non si sa ancora presso
quale stato, dal rajah delle isole, coll'evidente intenzione di
corseggiare il mare. Spero che non vorrete darmi a bere, Altezza, che quel rajah
non eserciti la pirateria su vasta scala.
- Non lo nego - rispose
il Sultano. Ho avuto da dolermi di lui parecchie volte e la lezione che gli
avete data in nome dell'Inghilterra l'approvo pienamente. L'avete dunque
affondata quella nave?
- Dopo un combattimento
durato appena qualche ora.
- È bene armato il
vostro yacht?
- Ed anche bene montato,
- aggiunse Yanez.
- E ditemi, milord, i
vostri pezzi non hanno fatto fuoco su nessuna altra nave?
- No, Altezza.
- Eppure vi sono delle
persone che hanno lanciato contro di voi delle terribili accuse. Voi sareste
responsabile dell'affondamento d'un vapore che veniva dal nord.
- Devono aver scambiato
il mio yacht per un altro e può anche darsi, poiché mentre navigavo verso la
baia, mi parve d'averne veduto uno filare a tutta velocità all'orizzonte.
- Un altro yacht?
- Sì, Altezza.
- Appartenente a chi?
- Ah, questo non lo so.
- Che il rajah
delle isole si prepari a farmi la guerra? - si chiese il Sultano con voce
tremante.
- Finché ci sarò io,
nessuna nave entrerà nel porto, se non sarà di commercio. Siete ora convinto
della mia innocenza?
- Mi resta ancora un
dubbio.
- Che cosa vorreste
fare?
- Nella veranda attigua
ci sono trenta o quaranta dei naufraghi giunti colle scialuppe. -
Yanez impallidì, ma non
perdette il suo sangue freddo.
- Fateli venire dunque -
disse.
Io li confonderò. -
Il Sultano batté le
mani.
Una porta, che fino
allora era stata custodita da quattro rajaputi, fu aperta, ed i
naufraghi entrarono guidati da John Foster, il capitano del vapore affondato.
Vi erano uomini ed anche
signore, e queste non erano meno furibonde di quelli.
Yanez si era alzato per
sfidare meglio la bufera che gli si addensava sul capo.
Il capitano, vedendolo,
lo minacciò col pugno e gridando:
- Ecco l'infame pirata!
- Sì è quello che ha
affondata la nostra nave senza alcun motivo.
- Fatelo impiccare!
- Vendetta! Vendetta,
Altezza! -
Yanez li lasciò dire,
guardandoli ben bene ad uno ad uno, poi avendo potuto il Sultano ottenere un
po' di silenzio, disse:
- Siete ben certi che
sia stato io od un altro?
- Voi! - urlò John
Foster. - Vi ho riconosciuto.
- Vi sono delle persone
che si rassomigliano.
- Voi siete il pirata!
- Io vi mostrerò ora che
voi stati affondati da uno yacht che non era il mio.-
Fra i naufraghi aveva
veduto Lucy Wan Harter, la bella olandese, la quale aveva assistito alla scena
tumultuosa senza aprir bocca.
- Signora, - le disse,
muovendole incontro - è vero che quattro settimane or sono noi siamo stati
insieme, ad un thè danzante offerto dal governatore di Macao?
- Verissimo - rispose la
donna, malgrado le occhiate furibonde dei suoi vicini.
- Che divisa indossavo
quella sera?
- Quella d'ambasciatore
inglese.
- È troppo! - vociò John
Foster, agitando le braccia come le ali d'un molino.
- Tacete! - disse il
Sultano. - Milord, riprendete la parola.
- Quella sera a questa
signora io ho regalato un anello che brilla ancora in un suo dito. È vero?
- Verissimo - rispose
l'olandese sempre calma.
- Voi vedete, Altezza,
che queste persone si sono ingannate. Qualche altro yacht può averli assaliti e
colati a fondo, guidato da un uomo che per una singolare combinazione mi
rassomiglia.
- Vi si inganna,
Altezza! - gridò John Foster, che pareva lì lì per scoppiare dalla bile. - Io
accuso formalmente quell'uomo di aver affondato il mio vapore e di aver portato
via un personaggio che si diceva ambasciatore. Se si visitasse il suo yacht lo
si troverebbe ancora.
- Basta! - disse il
Sultano. - Coi vostri urli non avete provato niente, ed io debbo credere alle
parole di quella signora. Potete ora ritirarvi. -
Yanez fece un segno a
Lucy Wan Harter, affinché non uscisse col gruppo. John Foster fu l'ultimo a
varcare la porta della veranda e, tendendo nuovamente il pugno verso Yanez, gli
gridò:
- Non sarò contento
finché non vi avrò ammazzato. -
Il portoghese rispose
con un'alzata di spalle.
- Voi dunque, signora, -
disse il Sultano, facendola sedere alla sua tavola - affermate di aver
conosciuto a Macao milord.
- L'ho detto e lo
sostengo.
- Indossava la divisa
d'ambasciatore?
- Sì, Altezza.
- Allora vi è qualche
briccone che vi rassomiglia straordinariamente, milord, - disse il Sultano. -
Vorrei scovare quell'uomo ed appiccarlo all'antenna della mia bandiera.
- Per ora non c'è da
pensarci, Altezza, - rispose Yanez. - Fatto il colpo, non sarà così stupido da
ritornar qui.
- Mi viene ora un
dubbio, milord.
- Quale?
- Che quei naufraghi
abbiano scambiata la cannoniera del rajah delle isole per il vostro
yacht.
- Lo sapremo subito. -
Si volse verso la bella
olandese che stava sorseggiando un bicchiere di champagne, e le chiese:
- L'attacco è avvenuto
di giorno o di notte, signora?
- Di notte e molto
inoltrata.
- Chi guidava quegli
uomini?
- Un personaggio che vi
rassomigliava.
- Vedete, Altezza, che
quei naufraghi mi hanno accusato a torto. Quella sera erano ciechi come talpe
e, probabilmente, ubriachi, ciò che accade sovente ai marinai inglesi. Altezza,
i vostri ordini per domani. Voi mi avete detto che desiderate visitare il mio
yacht e fare una corsa al largo.
- Dopo il mezzodì sarò
sulla vostra nave. -
Yanez affondò una mano
nella tasca e trasse una manata di pietre preziose, le une più splendide delle
altre e le depose sulla tavola, facendo sprigionare dalle loro faccettature
lampi bianchi, rossi, verdi, azzurri.
- Altezza, - disse -
queste le distribuirete fra le vostre donne.
- Dopo che mi sarò
servito io - rispose il Sultano, il quale fissava le pietre con due occhi
scintillanti.
- A questo penserete
voi. -
Si alzò e porse
galantemente il braccio alla bella olandese, poi, rivoltosi al Sultano
soggiunse:
- Finché quel furibondo
capitano non se ne sarà andato, voi sarete mio ospite, Altezza. Quell'uomo è capace
di tutto, anche di uccidervi.
- Fortunatamente ci
siete voi, milord.
- Vi assicuro che quando
comincio una battaglia non faccio nessuna economia di proiettili. Si mostri e
lo calerò a fondo.
- E farete bene a non
risparmiarlo, milord.
- Basta che lo incontri
e vedrete che cannonate gli sparerò nei fianchi. Posseggo dei pezzi d'una
potenza grandissima.
- Dovreste farmene avere
anche a me - disse il Sultano.
- Chi vi minaccia?
- Quello yacht
misterioso che va, viene, affonda navi in alto mare, turba i miei sonni. Vorrei
anzi farvi una proposta, milord.
- Dite pure, Altezza. -
- Se facessimo una corsa
fino all'isola di Balaba, per mostrare a quell'insolente tirannello che ho dei
pezzi così grossi da spianargli la capitale? Accettereste, milord?
- Sì, purché mi
procuriate un ottimo pilota pratico di quelle scogliere e di quei frangenti.
- Vi manderò a bordo il
mio grande ammiraglio.
- Benissimo, Altezza.
Faremo colazione a bordo
del mio yacht, poi andremo a cacciare le rondini di mare sulle sponde di quelle
isole. Si dice che siano salangane, è vero?
- Sì, milord.
Voi mi permettete di far tuonare i vostri pezzi
contro la capitale del rajah delle isole.
- Gliela incendieremo,
Altezza.
- Milord, buona notte. -
Yanez aveva ridato il
braccio alla bella dama bionda, la quale, pur conservando un gran sangue
freddo, apparve piuttosto inquieta per le minacce di John Foster.
- Non tremate, signora,
- le disse Yanez - sono qui io a proteggervi e tengo sotto le mie mani una
scorta capace di montare all'abbordaggio anche in questo momento. Quel Foster
avrà da fare con me. Altezza, a domani. -
La scorta si era messa
in fila, colle carabine ad armacollo per essere più pronta a far fuoco, e con i
pesanti e terribili parangs alla cintola.
Il drappello staccò una
lanterna cinese e lasciò il palazzo del Sultano, inoltrandosi attraverso le
oscurissime viuzze della capitale del sultanato.
- Grazie, signora, - le
disse Yanez.
- Di che cosa? - gli
domandò la flemmatica olandese.
- Di avermi salvato.
- È costato così poco.
Una semplice menzogna, che nessuno poteva contraddire.
- E che, ritardata, mi
avrebbe creato dei gravissimi imbarazzi col Sultano.
- Tutto è finito bene
ora, milord, ed il Sultano non vi seccherà due volte.
- Eh, non bisogna
fidarsi di questi orientali doppi e falsi. -
Così discorrendo, sempre
seguiti dalla scorta, si erano avanzati su una via piuttosto larga,
fiancheggiata da un numero infinito di viuzze.
Yanez che si teneva in
guardia, aspettandosi qualche brutto tiro da parte dell'irascibile John Foster,
ad un certo momento si era fermato, dicendo:
- Passate dietro di me,
signora. Attenti! -
Delle ombre erano
sbucate da un viottolo ed avevano invasa la strada.
Dovevano essere
certamente i marinai del piroscafo affondato.
Due colpi di pistola
rintronarono, squarciando coi lampi la profondissima oscurità.
Yanez si gettò
prontamente da un lato e comandò:
- Fuoco! -
La scorta fece una
scarica, spazzando la via. Si udirono urli, bestemmie, gemiti; poi una voce
minacciosa tonò in mezzo all'oscurità:
- Cane! Avrò la tua pelle!
-
Era John Foster.
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