8. Le furie sanguinarie
di John Foster
I pochi lumi a olio che
illuminavano le gettate stavano per spegnersi, quando la scialuppa di Yanez
prese terra, insieme con Kammamuri e i due malesi di scorta.
Mati, che aveva
accompagnato il padrone, perlustrò rapidamente la riva, poi ritornò verso la
scialuppa dicendo:
- Nulla, signor Yanez.
- Nessun uomo in
agguato?
- No.
- Sbarchiamo!
- Chi temete? - chiese
Kammamuri, ergendo il suo poderoso torso e le sue braccia muscolose, mentre
faceva tintinnare con una mossa energica i grossi orecchini che gli pendevano
dagli orecchi.
- Il capitano del
vapore. Padar ti avrà già raccontato quanto ci è accaduto.
- Sì, signor Yanez.
Nell'India quando un uomo dà noia gli si fa
subito, possibilmente, un passaporto per l'altro mondo.
- È quello che
cercheremo di fare anche noi, se ci capiterà fra i piedi - rispose il
portoghese. - Sono sicuro che quell'uomo è sempre in agguato in Varauni per
giocarmi un brutto tiro.
- Ci guarderemo dal lui,
signor Yanez. Andiamo al kampong cinese, è vero?
- Sì, mi preme vedere un
vecchio celestiale, che in altri tempi ha reso a me ed alla Tigre della Malesia
dei segnalati favori.
- Speriamo che non sia
morto. -
Mandarono indietro i
marinai della scialuppa, dopo averli avvertiti che nella notte non sarebbero
tornati a bordo dello yacht, e saltarono sulla gettata che in quell'ora era
quasi deserta.
Solo pochi gruppi di
malesi, raggomitolati intorno ai vecchi cannoni che servivano d'ormeggio alle
navi, stavano chiacchierando e masticando del betel, lordando di rosso tutte
le pietre del pavimento.
In lontananza luccicava
una fila di lumi, accesi dinanzi alle taverne del kampong.
Yanez, che conosceva già
la città, si orizzontò rapidamente e guidato da quelle lanterne che spandevano
delle luci multicolori, si fece rapidamente innanzi, seguito da vicino dai suoi
uomini, i quali, al pari di lui, in quell'ora, in un luogo ormai quasi deserto,
temevano un qualche attentato.
Per dieci minuti
seguirono la rena, osservando attentamente i piccoli gruppi dei malesi che
sonnecchiavano all'aria aperta, poi si cacciarono in un dedalo di viuzze
fangose, puzzolenti, fiancheggiate da case di stile cinese ancora di
bell'aspetto.
La luce non mancava
poiché gli abitanti, seguendo le abitudini dei loro paesi, avevano appese
dinanzi alla porta delle lanterne monumentali.
Passarono così dinanzi a
sette o otto taverne che portavano dei titoli rimbombanti ed entrarono in una
che portava dipinto sul fanale un battello carico di fiori, come se si trovasse
sul Sikiang ossia sul meraviglioso fiume delle Perle che feconda la Cina meridionale.
- Dev'esser qui - disse
Yanez. - Giorni fa venni a ronzare da queste parti, e però sono sicuro di non
sbagliarmi.
Questa è la taverna del vecchio compare. -
Aprì la porta
sgangherata, che invece di vetri aveva dei fogli di carta oliata, ed entrò
risolutamente tenendo le mani sul calcio delle sue famose pistole indiane.
Il cinese doveva aver
fatto una bella fortuna, poiché invece d'una semplice stanza era riuscito a
montare parecchie salette, dove dei celestiali, sdraiati su delle lunghe sedie
di bambù, si ubriacavano sconciamente d'oppio, lanciando in aria nuvoli di fumo
oleoso e fetente.
- Vi è una stanza
libera? - chiese Yanez. - Andiamo ad occuparla prima che giungano altre
persone.
Nessuno deve sapere quello che io dirò al
vecchio Kien-Koa. -
Infatti la saletta,
tappezzata con carta di thung ormai sbiadita, ma che pur faceva una
bella figura colle sue lune sorridenti ed i draghi vomitanti enormi getti di
fuoco, era deserta.
Un ragazzo cinese,
giallo come un limone, che aveva un codino lungo appena tre dita, segno
evidente che il suo padrone glielo scorciava per punirlo delle sue mancanze, fu
lesto ad accorrere.
- Doy, il
padrone, - disse Yanez. - Vi sarà una mancia generosa se farai presto.
Il fanciullo scomparve
lesto come uno scoiattolo e poco dopo ritornava seguito da un vecchio cinese
che sembrava ormai una mummia, ma con due lunghi baffi pendenti ed una
magnifica coda che gli giungeva fino a terra.
Vestiva di cotone rosso
a grandi fiorami, e nella cintura portava, come per indicare la sua qualità,
due coltellacci atti a sgozzare.
Vedendo l'uomo bianco,
il celestiale s'inchinò, muovendo contemporaneamente le mani distese sul petto,
poi disse:
- Sono ai vostri ordini:
suppongo che vorrete cenare.
- Sì - rispose Yanez -
se la vostra cucina non sarà a base di lombrichi salati e di prosciutti di
cane.
- Ho per voi, milord,
degli occhi di montone all'aglio, che farebbero risuscitare anche un morto.
- Perché mi avete
chiamato milord? Un tempo ci siamo conosciuti, ma da allora sono trascorsi
moltissimi anni e molti avvenimenti sono accaduti.
Voi siete Kien-Koa, è vero?
- Sì, milord.
- Avanti colla cena
allora.
- Stamani nella baia
hanno pescato delle magnifiche aragoste e molti calamari.
- Servite un po'
dell'uno ed un po' dell'altro.
Più tardi poi riprenderemo il nostro discorso,
che fino ad ora è poco interessante. -
Il cinese chiamò a
raccolta i suoi garzoni, tutti brutti esseri sparuti e quasi privi della coda,
e fece preparare la tavola.
- Portate delle
bottiglie, - comandò Yanez. - Noi non siamo bevitori di thè.
- Subito, milord. Ho
ricevuto appunto ieri una cassa di vino portoghese che farà proprio per voi.
- Che fortuna! - esclamò
Yanez, ironicamente. - Hanno pescato, hanno scannato montoni e spedito
bottiglie per farci cenare allegramente.
Su via, vecchio
Kien-Koa, fa' portare intanto gli occhi di montone conditi coll'aglio. Ne ho
mangiati altre volte e li ho trovati sempre buoni. -
Alle chiamate del
padrone, i garzoni si affrettarono a stendere sulla tavola una tovaglia di
carta, deponendovi poi sopra due splendide aragoste ed un piatto d'occhi che,
se producevano un certo effetto strano a guardarli, dovevano essere nondimeno
assai appetitosi.
Yanez, Kammamuri ed i
due malesi di scorta avevano appena cominciato a mangiare, quando dei nuovi
avventori invasero la taverna, facendo un chiasso indemoniato.
- Che debba pentirmi di
essere venuto qui? - si chiese il portoghese. - Questi nuovi arrivati sono
inglesi e, come al solito, alticci.
Fortunatamente ci hanno lasciati tranquilli.
- Che cosa temete,
signor Yanez, dagl'inglesi? - chiese Kammamuri.
- Che cosa vuoi? dopo
che la loro nave è stata affondata, si sono fissati nel cervello che io ne sia
stato l'autore.
- Mentre vi trovavate
lontano, è vero, signor Yanez?
- Io sono sempre lontano
quando succedono dei malanni - rispose il portoghese.
- E la Tigre della Malesia?
- Si avanza lentamente
dal suo Stato e non dev'essere ormai lontana dalle frontiere del sultanato.
- Spazzeremo tutti?
Abbiamo delle forze imponenti.
- Vedremo: per ora
preferisco giocare d'astuzia col Sultano.
- Ma la riconquista di
Mompracem è decisa?
- Non tornerò nell'Assam
se prima non vedrò sventolare sull'alta roccia, dove un giorno sorgeva la
capanna e la batteria di cannoni, la rossa bandiera colla testa di tigre.
- Ed il mio padrone? Mi
pare che siano trascorsi ormai dei lunghissimi mesi.
- Eppure, mio caro
Kammamuri, lo abbiamo sbarcato appena venti giorni or sono nella baia di
Poitou. Come sei impaziente, tu!
- Avrà raggiunto
Sandokan?
- Aveva sei prahos
di scorta, quindi non gli poteva succedere alcun malanno. -
Avevano fatto sturare
delle bottiglie di quel famoso vino portoghese che somigliava molto all'aceto
e, non potendo avere di meglio, si erano messi a bere.
- Ora riprendiamo la
conversazione con Kien-Koa. Se non abbiamo dalla nostra i cinesi, nemici
accaniti dell'elemento malese e dayaco, i rajaputi del Sultano,
quantunque non numerosi, potrebbero darci molto da fare.
Poi, vedendo passare un
garzone, gli gridò dietro:
- Mandaci quella mummia
di Kien-Koa. -
Il vecchio, che doveva
aver qualche dubbio sul vero essere di Yanez, non si fece pregare e si sedette
alla tavola.
- Ebbene - disse il
portoghese - non mi si conosce più?
- No, milord, quantunque
io sia certo d'avervi incontrato in qualche luogo.
- Sapete dove?
- No, davvero?
- A Mompracem. -
Il vecchio cinese ebbe
un sussulto e divenne terreo.
- Allora - continuò
Yanez - Kien-Koa non era un onesto taverniere, e quando si prestava
l'occasione, corseggiava colla sua giunca rispettata da tutte le tigri di
Mompracem.
- Chi siete voi?
- Il fratello della
Tigre della Malesia. -
Il cinese si lasciò
sfuggire un grido di stupore e alzò le mani come per abbracciare il portoghese,
il quale prudentemente si gettò indietro, per evitare quella stretta poco
piacevole.
- Voi! - esclamò. - Sì,
sì! Sono trascorsi moltissimi anni, eppure, guardandovi bene, il vostro viso
non mi è sconosciuto.
Come mai, milord, vi trovo ora qui?
- Prima rispondi ad una
mia domanda, Kien-Koa, - disse Yanez. - Chi comanda nel kampong giallo?
- Sempre io, signore.
- Allora tu sei in grado
di conoscere come i tuoi sudditi la pensino verso il Sultano.
- È un ladro! - gridò il
cinese. - Non si può più andare innanzi. Ci tosa come fossimo un branco di
pecore, e guai a rivoltarsi! Allora fucilazioni ed annegamenti in massa nella
baia. Guardate quanto quell'uomo è avaro: per tenercelo in buona gli abbiamo
regalato uno zaffiro che non costa meno di mille tael.
- E come vi ha
compensati? - chiese Yanez ridendo.
- Con un lurido
pesce-cane a cui ha fatto prima togliere le pinne per metterle nello sciroppo.
Canaglia.
- Lo sapevo - disse
Yanez - poiché il pesce-cane che vi ha regalato il vostro buon Sultano l'ho
pescato io quest'oggi, fuori della baia di Varauni.
- E non vi ha dato
nemmeno un sapeki od un fiorino! Il Sultano non usa pagare mai, a quanto
pare.
Usa derubare o meglio scannare noi cinesi.
Solamente sull'oppio, che è l'articolo principale della nostra importazione,
quel miserabile si prende una cassa ogni due.
- E così, siete furibondi?
- Siamo risoluti a
rivoltarci. Non è già la prima volta che noi facciamo tremare quel poltrone.
Quello che ci manca è
solamente un capo.
- E se questo capo fosse
la Tigre della Malesia?
- Che si mostri
soltanto, ed io scatenerò i miei uomini attraverso le vie di Varauni.
- In quanti siete?
- In mille e cinquecento
- rispose il cinese.
- Avete armi?
- Se non molte da fuoco,
moltissime da taglio, milord.
- Un giorno Sandokan
salvò la tua giunca, mentre stava per naufragare sulle scogliere delle Remades,
e risparmiò la tua testa, quella dei tuoi uomini e le tue ricchezze.
- Me ne ricordo
benissimo, milord.
- Ora sta per giungere
il momento di aiutare le tigri di Mompracem.
Siamo in buon numero e spazzeremo via il
Sultano: così non vi taglieggerà più.
- Fosse vero! - esclamò
il cinese alzando le braccia.
In quel momento in una
delle sale attigue, occupata dagl'inglesi, scoppiò un alterco terribile.
Le stoviglie volavano in
tutte le direzioni, pestando nasi ed ammaccando occhi, con un fracasso
indemoniato.
Kien-Koa si alzò un po'
inquieto, guardando Yanez.
- Non temere - gli disse
questi - io sarò sempre pronto a proteggerti contro quegli ubriaconi. -
Il chiasso era finito,
ma le bestemmie si seguivano con un crescendo spaventoso. Erano grida selvagge,
urli rauchi pieni di minaccia, ma i bicchieri non volavano più, forse per il
semplice motivo che tutti dovevano essere stati distrutti.
Yanez, non molto
tranquillo, a sua volta si era alzato, facendo segno a Kammamuri ed ai due
malesi di tenersi pronti.
Ad un tratto fece un
gesto d'ira:
- John Foster! -
esclamò. - Il capitano della nave che io ho affondata e che ha giurato di farmi
la pelle.
- Avrà prima da fare con
noi! - disse Kammamuri. - Ne abbiamo spacciati nell'India di questi prepotenti!
-
In quell'istante il
vecchio cinese ricomparve, cacciato innanzi a calci da una mezza dozzina di
marinai, guidati da John Foster e sconciamente ubriachi. -
Il disgraziato strillava
come se gli togliessero la pelle di dosso e spiccava dei salti da ranocchio,
per risparmiare la parte più rotonda del suo corpo. John Foster l'aveva
afferrato per il codino e lo spingeva, urlando ferocemente:
- Cane d'un celestiale!
Tu non tornerai in Cina col tuo codino.
- Chi ve l'ha detto,
signor mio? - gridò Yanez, affrontando risolutamente l'inglese. - Ci siamo
anche noi e non siamo uomini da tollerare prepotenze da parte di marinai
sconciamente ubriachi.
Il comandante della nave
rimase un momento silenzioso, poi balzò innanzi, urlando:
- Ah, il pirata! Vedremo
se uscirai vivo di qui! Abbiamo un grosso conto da saldare io e te, e vorrei
liquidarlo prima di domani mattina, canaglia!
- Chiamatemi milord, o
Altezza! - rispose il portoghese. - Ve l'ho già detto che sono un nababbo
indiano che viaggia i mari della Malesia per divertirsi.
- E per affondare anche
le navi, è vero, signor nababbo straccione?
- Io credo che voi, John
Foster, abbiate sognato e che la vostra nave galleggi ancora e forse coi fuochi
accesi.
- Per la morte di Urano!
Siete un magnifico commediante.
- E tu, John Foster, un
imbecille che va in cerca di qualche dura lezione.
- Da chi?
- Da me - rispose Yanez.
L'inglese inarcò le
braccia e prese la guardia di boxe, scatenando uno dietro l'altro una mezza
dozzina di pugni dati con vigore straordinario.
Yanez aveva fatto un
salto indietro, poi aveva levato dalla cintura un coltello americano, chiamato bowie-knife,
dalla lama solidissima e taglientissima.
- Capitano, - gli disse,
facendo scattare la molla del coltello, - se volete provarvi, sono uomo da
tenervi testa.
Voi avete bevuto troppo questa sera ed una buona
cavata di sangue potrebbe salvarvi.
- Per la morte di Noè! A
me cavare del sangue! Sarà il tuo che farò uscire a grandi zampilli dalla tua
carcassa. -
L'insolente, aveva
appena terminate quelle parole, quando Kammamuri, che sino ad allora era
rimasto silenzioso, piombò sul brutale capitano, e gli appioppò un ceffone così
sonoro, da mandarlo a baciare la parete di fronte.
I cinque o sei marinai
che accompagnavano l'inglese avevano tratti risolutamente i coltelli e si erano
gettati innanzi, credendo di aver facilmente ragione dell'ambasciatore.
Anche i malesi erano
balzati innanzi, puntando le carabine e gridando imperiosamente: - Giù i
coltelli, o facciamo fuoco. -
John Foster, inferocito
dalla durissima lezione avuta, appena rimessosi in gamba era tornato alla
carica impugnando un coltellaccio.
- Ti bucherò come un
maiale, Altezza! - disse. - Voglio vedere se nelle tue vene scorre sangue
azzurro o rosso.
- Hai troppa paura,
amico, - rispose Yanez. - Sei pallido come un morto e, quando uno impallidisce
dinanzi al pericolo, vuol dire che non ha coraggio da vendere.
- Io? - urlò John Foster
ferocemente. - Non sapete ancora chi io sia.
- Come voi non sapete
ancora chi sia io! - rispose Yanez.
- Il pirata che ci ha
affondato il piroscafo.
- Andate a dirlo al
Sultano.
- Quello è un cretino!
non capisce e non vuol capir niente.
- Lasciamo che il
Sultano dorma i suoi sonni tranquilli e sbrighiamo tra noi la nostra faccenda.
I miei uomini ed i vostri serviranno da
testimoni.
- Se non si avventeranno,
al momento opportuno, contro di voi.
- Allora, mio caro John
Foster, risponderemo con dei colpi di fuoco e vedremo chi avrà la peggio. -
Yanez s'avvicinò ad una
finestra e strappò una mezza tenda di nanchino, avvolgendosela intorno al
braccio sinistro.
John Foster si mise a
ridere:
- Ecco come sono questi
coraggiosi predatori del mare. Si fasciano prima per paura d'un taglio! Ah, ah!
- Ah, ah! - fecero i
marinai in coro.
Yanez aveva fatto un
gesto energico.
Kammamuri ed i due
malesi avevano subito puntato le loro carabine contro i marinai, minacciando di
far fuoco.
- John Foster - disse
Yanez con voce grave. - Se volete attaccare briga con me per sfogare le vostre
furie sanguinarie di bestia feroce...
- A me bestia feroce?
- Io sono qui pronto ad
aspettarvi a piè fermo - proseguì Yanez. - Vi avverto per altro che se i vostri
uomini faranno un solo passo innanzi, comanderò il fuoco.
- Basta colle
chiacchiere, per centomila pesci-cani! - gridò l'irascibile capitano. - Sono
impaziente di vedere il vostro sangue principesco o piratesco che sia.
- Kien-Koa, - disse
Yanez al cinese - fa' chiudere la porta affinché nessuno venga a disturbarci. -
Ciò detto si mise in
guardia, avanzando il braccio sinistro riparato dalla tenda e spinse ben avanti
la gamba destra per evitare qualche colpo di sgambetto.
- È comodo il signore? -
gridò il capitano.
- Ho l'abitudine di non
aver mai fretta quando devo dare una lezione ad un individuo come voi.
- E voi credete di tener
nelle vostre mani la mia pelle? Oh, oh! La vedremo caro principe. -
Si era messo anche lui
in guardia, a tre passi dal portoghese.
Un silenzio profondo
regnava nella saletta, quel silenzio prodotto da una estrema ansietà.
Nemmeno i marinai,
minacciati dalle tre carabine della scorta, avevano più osato ribattere parola.
Anzi avevano ricacciati nelle cinture i coltelli di manovra che poco prima
impugnavano come se dovessero montare da un momento all'altro all'assalto.
John Foster si parò col
braccio e si spinse coraggiosamente innanzi, menando a Yanez un colpo
terribile.
Il portoghese,
abilissimo in tutti gli esercizi anche i più pericolosi, si liberò con un salto
di fianco.
- Per tutti i venti del
mare! voi mi fuggite! - urlò il capitano.
- Faccio il mio giuoco,
signor mio.
- Che sarà breve, spero.
- Questo si saprà più
tardi.
- Se non mi scapperete.
- Ho fatto chiudere le
porte, più per voi che per me.
- Questo è troppo!
Bisogna che vi uccida.
- Fate pure: io vi
aspetto. -
John Foster tentò un
secondo colpo, che Yanez parò rapidamente colla lama del suo coltello.
L'inglese, che aveva la
punta imbrogliata fra le pieghe della tenda, fu costretto a fare un gran salto
indietro.
- Pare che siate voi ora
che fuggite - disse Yanez ironicamente.
- Dove avete imparato la
scherma col coltello, voi?
- Nella Spagna che è la
terra classica per questi terribili corpo a corpo.
- Non capisco più nulla
- borbottò il capitano, il quale pareva un po' impensierito. - Eppure con
quest'arma sono sempre stato forte anch'io.
- Gl'inglesi si battono
meglio a pugni.
- Io no, perché voglio
vedere di che colore è il vostro sangue.
- Non ci tengo nemmeno
io: è una lotta da facchini. A voi, John Foster! -
Yanez era piombato
improvvisamente sul capitano e gli aveva vibrato un terribile colpo in pieno
petto.
Anche l'inglese era
certamente assai abile nella terribile scherma col coltello, poiché fece ancora
in tempo a parare.
- Un momento di ritardo
ed io ero spacciato, - borbottò.
Era diventato
pallidissimo e la sua fronte si era coperta d'un freddo sudore: mai aveva
veduto la morte così da vicino.
Yanez aveva ripresa la
sua magnifica guardia, quella guardia che nella Spagna distingue i valienti,
ed aspettava il momento opportuno.
Portò un primo attacco,
che costrinse l'inglese a indietreggiare nuovamente; poi un secondo, quindi un
terzo.
Il capitano, che non
riusciva più a tener testa a quella grandine di colpi, stava per essere messo
contro il muro.
- Badate di non farvi
inchiodare! - gli disse Yanez. - Mi dispiacerebbe per il mio coltello, il quale
potrebbe spuntarsi.
- Uh, che sicurezza!
- Non abbiamo ancora
finito, signor mio.
- E nemmeno io sono
ancora morto - rispose John Foster.
- Spero che lo sarete
fra poco.
- Ah! -
Il capitano aveva fatto
un altro salto di fianco, tentando di spaccare il cuore al portoghese.
Fortunatamente il
portoghese non aveva l'abitudine di farsi sorprendere.
Parò col braccio
sinistro, poi attaccò a fondo.
Non fu la punta del
coltello che colpì l'inglese: fu l'impugnatura del bowie-knife, la
quale, spinta a tutta forza, fracassò una mascella all'avversario.
L'inglese rimase un
momento ritto, sputò una boccata di sangue mescolata a diversi denti, poi
allargò le braccia e si lasciò cadere di peso al suolo, mandando
un'imprecazione.
- Ne avete abbastanza,
John Foster? - chiese Yanez, facendo un passo innanzi.
- Sotto, marinai! - urlò
l'inglese con voce che più nulla aveva d'umano.
I malesi, udendo quel
grido, alzarono le carabine e le puntarono contro i marinai, mentre Yanez
impugnava le sue pistole e gridava con voce minacciosa:
- Chi si avanza è un
uomo morto! Se avete assistito allo spettacolo dell'aloun-aloun
offertomi dal Sultano, vi sarete persuasi che io non manco mai il bersaglio
quando sparo un colpo.
- Sotto, marinai! -
ripeté John Foster, sputando un altro paio di denti.
I quattro uomini, tenuti
in rispetto dalle carabine dei malesi, volsero le spalle e si allontanarono
rapidamente, bestemmiando e minacciando.
- Altezza, - disse
l'irascibile capitano, il quale era stato coricato su un traliccio di fumatori
d'oppio - questa sera le ho prese, ma guardatevi da me, poiché tutto tenterò
per perdervi e smascherarvi.
- Andate a raccontarlo
al Sultano. Ve l'ho già detto.
- Se è sempre ubriaco!
- Aspettate il mattino
per andarlo a trovare. Almeno avrà la testa libera.
- Ricorrerò ad altre
persone ben più potenti di quell'imbecille - rispose il capitano del piroscafo.
- Buona sera; ci rivedremo presto.
Volete un consiglio? Fate sorvegliare
attentamente il vostro yacht.
- Se vorrete investirlo
sarete padronissimo - rispose il portoghese. - Ditemi l'ora ed il momento.
- Non ho mai ora io.
- Già, i banditi
sorprendono sempre a tradimento! - disse Yanez, dardeggiando sull'inglese uno
sguardo feroce. - Kien-Koa, apri la porta a queste canaglie, prima che qui
succeda una strage.
- Signor Yanez, - disse
Kammamuri con voce commossa - voi vi esponete troppo.
- È necessario farsi
temere da certe mignatte! - rispose il portoghese. - D'altronde non ho ricevuto
nemmeno una semplice scalfittura, quantunque quell'uomo, devo riconoscerlo, sia
assai forte.
A bordo, Kammamuri: temo qualche brutta sorpresa
da parte dei naufraghi.
- Kien-Koa, - disse poi
- ci rivedremo domani. Prepareremo il nostro piano di guerra che tu maturerai,
mentre io andrò in campagna col Sultano.
È necessario divagarlo
quel povero uomo o finirà per diventare un tale cretino da non capire nemmeno
che il suo trono è meno sicuro di quello che crede.
A me malesi! Tenete pronte le carabine! -
Staccarono una lanterna
di carta oliata e lasciarono la taverna preceduti dai malesi e da Kammamuri, i
quali ispezionavano attentamente tutti gli sbocchi delle viuzze, temendo un
improvviso attacco da parte dei marinai.
La notte era oscurissima
e soffiava forte il vento sopra i quartieri di
Varauni, ululando
sinistramente.
- Alta la lanterna! -
aveva comandato Yanez. - Il dito sul grilletto delle carabine. -
Percorsero un mezzo
chilometro, scendendo verso il porto e raggiunsero la scialuppa legata ad un
palo e montata da due dayachi.
- Nulla di nuovo? -
chiese a loro Yanez.
- Non vi fidate,
signore, - risposero. - Delle scialuppe sono venute a ronzare questa sera
intorno allo yacht.
- Chi le montava?
- Mi parvero bianchi.
- Ho capito: si tratta
di aprire quattro occhi invece di due.
- E credo che farete
bene, signor Yanez. Qualche brutto giuoco lo tenteranno di certo contro di noi.
Quel capitano deve essere un pessimo individuo.
- Io lo so - rispose
Yanez. - Sono scampato dalle sue coltellate per non so quale miracolo. A
quest'ora io dovrei essere morto.
Aspettiamoci da lui, quando sarà guarito,
qualunque cosa.
- Dovevate finirlo,
signor Yanez.
- Sarebbe stata una
ingenerosità - rispose il portoghese. - Ne avrà nondimeno per un bel po',
quantunque quegli inglesi siano duri come macigni. -
In quell'istante la
scialuppa urtò contro qualche cosa di molle che pareva galleggiasse a fior
d'acqua.
- Stop! - gridò il
timoniere.
Yanez si era slanciato
verso prora, tenendo la lampada che aveva presa nella taverna di Kien-Koa.
- Un annegato o un
tradimento? - si era chiesto.
Con suo stupore vide
galleggiare sul mare una pelle di cavallo o di bue, la quale pareva che avesse
servito a nascondere qualcuno.
Prese le sue famose
pistole indiane e sparò quattro colpi contro quella, colla speranza di
ammazzare il nuotatore, nel caso che si fosse trovato sotto la pelle.
Nessun grido si udì.
- Ci siamo ingannati -
disse il portoghese - ma questa pelle abbandonata qui mi dà dei gravi sospetti.
A bordo, amici! -
Cinque minuti dopo si
trovavano tutti a bordo dello yacht.
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