15. Il tradimento dei
naufraghi
Gli urangs-utangs
o meias o maias come li chiamano i dayachi, sono le
scimmie più formidabili che abitano le grandi isole della Sonda.
Non hanno la statura
straordinaria dei gorilla africani, sono ordinariamente alti non più d'un metro
e mezzo ma le loro braccia sono davvero spaventose, toccando perfino i due
metri.
La faccia di quei
quadrumani è larga, il petto poderoso, il collo lo hanno corto e rugoso, perché
provvisto d'un sacco d'aria che permette loro di mandare dei veri ruggiti che
risuonano sinistramente nelle foreste.
Per lo più hanno un
pelame rosso-ruggine, arruffato, ed abitano le grandi foreste non abitate dagli
uomini, situate nelle bassure umide della foce deigrandi fiumi; e sono così
robusti, che nessun animale potrebbe lottare con loro.
Anche assalito da un
sauriano, il meias salta rapidamente addosso all'avversario e
puntandogli un ginocchio sulle spalle gli strappa d'un colpo solo la mascella.
Non si sa che vi siano
stati combattimenti di urangs con pantere o con animali di maggiori
proporzioni. Probabilmente sapendosi ben decisi a vendere cara la pelle, si
evitano a vicenda con quella certa cura che il leone africano mette nel tenersi
lontano dai gorilla, dai quali potrebbe avere in pochi istanti tutte le costole
fracassate, poiché quei terribili figli delle selve vanno sovente armati di
poderosi randelli che sanno maneggiare con precisione e con forza spaventosa.
L'indiano ed il
portoghese, certi ormai di non correre più alcun pericolo, dopo la caduta del
maschio, con un agile volteggio erano saliti sulla larga e solida piattaforma,
formata di grossissimi rami gettati attraverso a delle biforcazioni.
Un vagito era giunto
subito agli orecchi dei violatori del nido.
Yanez con un ultimo
slancio piombò su uno scimmiotto, non più alto di mezzo metro, ma che si era
subito messo in guardia per contrastargli il passo.
- Che cosa vuoi, macaco?
- chiese il portoghese. - Lottare con noi? -
Estrasse le sue pistole,
le scaricò nel petto del piccolo urang; poi rimosse ansiosamente un
ammasso di foglie secche sotto le quali si vedevano apparire delle vesti
bianche.
- Signora Lucy! - gridò
Yanez, chinandosi verso la bella olandese e sbarazzandola da tutto ciò che la
copriva. - Siete ferita?
- No, milord, ma un
ritardo sarebbe stato per me fatale, perché quell'enorme scimmia non staccava
un solo istante i suoi occhietti neri e brillanti da me.
Ho provato delle angosce terribili, milord. Il
mio timore era che quegli urangs si precipitassero brutalmente su di me
e mi scaraventassero attraverso la macchia.
- Ed erano capaci di
farlo, signora, - rispose Yanez. - Sono bestie maligne, che fanno più paura
delle pantere e delle tigri.
- Una carezza fatta al
piccolo urang, che voi avete or ora ammazzato, deve avermi salvata la
vita, poiché la femmina già stava per scagliarsi su di me.
Il piccolo mostro mi si era pure gettato
addosso, tentando di strapparmi i capelli e le vesti, ma non osai reagire. Anzi
accarezzai il muso dello scimmiotto, placando così di colpo la madre, la quale
un momento prima, come ho detto, pareva ben disposta ad afferrarmi e
scaraventarmi nel vuoto.
- Una manovra molto
facile - disse Yanez - per delle bestie che posseggono muscoli d'acciaio.
- E gli altri dove sono,
milord?
- Cacciano per loro
conto - rispose il portoghese - se pure non sono tutti fuggiti.
Io non odo più alcun colpo di fuoco.
- Signor Yanez, - disse
l'indiano - senza aiuti non potremo calare la signora.
- Vediamo se rispondono,
innanzi tutto, - rispose il portoghese. - Aveva armata la carabina e l'aveva
puntata in alto.
Risonò un primo colpo,
poi, dopo un breve intervallo, un altro.
L'indiano aveva fatto
altrettanto, cercando di misurare più o meno matematicamente il tempo.
Erano trascorsi dieci
minuti, quando degli urli spaventevoli s'alzarono attraverso la macchia,
accompagnati da varie scariche di fucile.
Pareva che una meteora
si fosse rovesciata verso quella parte della foresta ed era veramente una
meteora, poiché se il cielo era tutt'altro che minaccioso, si vedevano gli
alberi sradicati di colpo come durante i più terribili cicloni e travolti al
suolo come fuscelli.
Lucy, Yanez e Kammamuri
erano balzati in piedi, caricando precipitosamente le armi.
- Questa è una fuga di
elefanti selvatici- disse Yanez, il quale se ne stava presso l'orlo del nido. -
I battitori del Sultano devono averne scoperto qualche grossa truppa ed ora le
dànno la caccia.
Non vi muovete, signora, poiché v'è più
probabilità di prenderci qualche palla di fucile o qualche tronco sulla testa
giù sotto di noi che quassù.
Noi possiamo considerarci come in una piccola
fortezza che nessun elefante sarà capace di prendere d'assalto. -
Un urto terribile
avveniva sotto la macchia in quel momento, con un fragore assordante.
Si udivano continuamente
voci umane, poi barriti di elefanti e sibili di palle tirate a casaccio.
Pareva che tutta la
foresta ondeggiasse sotto una improvvisa convulsione.
Gli alberi, investiti
dalle enormi masse lanciate a corsa sfrenata, cadevano al suolo sradicati, come
se una immensa falce li avesse percossi alla base.
- Che carica! - disse
Kammamuri. - Sono diventati da un istante all'altro, questi selvaggi, dei
grandi cacciatori?
Che slancio!...
- Bada alla tua testa,
amico, - consigliò Yanez. - Non odi come fischiano le palle?
- E sento anche i pezzi
di piombo fra i tronchi del nido, signore.
- Fortunatamente questi
hanno uno spessore tale da metterci completamente al coperto. -
La carica continuava
sempre più tremenda, sotto la foresta. I bornesi spaventavano i pachidermi con
fuochi d'artifizio e con fuochi a salve, costringendoli a dirigersi là dove il
capo dei battitori aveva preparata la grande trappola, poiché quelle cacce si
fanno sempre in grande.
Quando un Sultano
desidera procurarsi degli elefanti, fa mandare i suoi battitori nella grande
foresta, accompagnati da parecchi pachidermi ammansati.
Sono le femmine che si
prestano a questo tradimento, poiché i maschi si azzufferebbero terribilmente,
facendo crollare i pali che formano la prigione, la quale viene mascherata da
un gran numero di piante alzate lì per lì.
Per fare quelle battute
occorre uno spazio immenso ed occorrono pure molti uomini i quali devono, prima
di tutto, piantare profondamente nel suolo dei tronchi d'albero così fitti, che
i grossi pachidermi non possano passare.
Una volta che la truppa,
spaventata dai cacciatori, si getta dentro la trappola, ha poche speranze di
uscita, poiché le mal fide femmine, con richiami e con carezze ed anche,
all'occorrenza, con dei buoni colpi di proboscide, la conducono direttamente
dentro, come se provassero una gioia feroce a privare della libertà degli
animali che fino a quel giorno scorrazzavano le foreste.
Dietro ogni tronco
d'albero si cela un uomo, armato d'un laccio formato di robustissime fibre di gomuti
per incatenare i piedi ai prigionieri se si rivoltassero.
- Pare che la caccia
stia per finire - disse Kammamuri a Yanez. - Se discendessimo?
- Per pigliare qualche
palla di rimbalzo? I sudditi del Sultano non fanno economia di munizioni e
sparano come coscritti mal pratici.
- Anche quassù, signor
Yanez, i proiettili non cessano di fischiare.
- Gettati col ventre
contro il nido - rispose il portoghese, e dopo un momento soggiunse: - Eppure
mi viene un sospetto.
- Quale, signor Yanez?
- Che fra i battitori
del Sultano vi siano anche dei naufraghi del vapore, poiché il fuoco continua
in modo inquietante, mentre non vi sono più da uccidere né urangs e
tanto meno elefanti.
- Che si siano
infiltrati anche fra il seguito del Sultano? - chiese la bella olandese.
- Scommetterei una palla
di fucile contro un diamante del valore di duemila fiorini.
Udite questi colpi di fuoco che sono proprio
diretti verso di noi?
Qui sotto vi è la zampa di quel dannato John
Foster, lo giurerei.
- Che voglia la vostra
pelle?
- Parrebbe, signora
Lucy: sono già due volte che tenta togliermi la vita, ma spero di essere ancora
buono a difenderla contro quel cattivo lupo di mare. -
In quel momento tre
palle di fucile fischiarono agli orecchi del portoghese, costringendolo a
gettarsi precipitosamente nel fondo del nido.
- È proprio contro di
noi che fanno fuoco, signor Yanez - disse l'indiano, il quale si guardava bene
di mostrarsi, per non ricevere un proiettile nella testa. - È quassù che
sparano e non contro gli elefanti.
- Lasciamoli fare, per
ora. A nostra volta ci prenderemo una rivincita.
Finché quel John Foster non se ne sarà andato,
noi saremo esposti ad un continuo pericolo.
- E dàgli coi colpi di
fucile! - disse Kammamuri. - Che i naufraghi abbiano vuotata la polveriera del
vapore per sprecare tanti proiettili?
- Bada alla tua testa,
invece.
- Non corre nessun
pericolo, signor Yanez, anche perché quei marinai sparano come uomini che hanno
impugnato per la prima volta le armi.
E se provassimo a rispondere anche noi, signor
Yanez? Giacché ci assalgono, difendiamoci.
Siamo nel nostro diritto.
- Lascia fare a me,
Kammamuri: la prima palla la voglio collocare a posto come m'intendo io. -
Intanto aveva
attraversato il nido carponi, tenendo la carabina nascosta sotto la casacca.
La foresta era sempre in
convulsione. Gli elefanti, spaventati dai fragori assordanti prodotti da
centinaia e centinaia di tam tam percossi furiosamente, continuavano a
galoppare in fuga spaventevole.
Alberi, cespugli, tutto
andava all'aria come falciati da una banda di titani, e gli scricchiolii sempre
più impressionanti si confondevano con barriti formidabili.
Pareva che sotto la
macchia fosse avvenuto uno scontro fra gli elefanti selvaggi che continuavano
le loro corse precipitose ed i battitori, i quali rispondevano con dei colpi di
fuoco.
Ad un tratto il durion
su cui si trovava collocato il nido degli urangs subì una scossa così
forte, da fare stramazzare l'uno sull'altro la bella olandese, Kammamuri e
Yanez.
Si era udito uno
schianto terribile, come se la gigantesca pianta avesse ceduto contro i
continui assalti di quelle enormi masse di carne, che si scagliavano attraverso
il bosco cercando di aprirsi un passaggio e di evitare la trappola che li
aspettava nella parte più fitta già precedentemente preparata dai battitori.
- L'albero cade! - gridò
Kammamuri.
- Che nessuno abbandoni
il nido, - ordinò Yanez. - Ci potrà essere ancora utile.
Un nuovo urto aveva
sradicata la pianta, la quale s'inchinava lentamente, traendo seco molte altre
piante.
- Non sparare,
Kammamuri, - aveva detto Yanez. - Conserviamo i nostri colpi per quando saremo
a terra.
Qui ci hanno preparato un tradimento, e si cerca
di farci cadere senza combattimento.
Fortunatamente non ci hanno ancora nelle loro
mani.
- Credete che sia un
tiro dei naufraghi? - chiese Kammamuri.
- Ormai ne sono
convinto.
- Eppure non ne ho
veduti nel campo del Sultano.
- Si saranno guardati
bene dal mostrarsi - rispose Yanez.
- Invece io qualcuno ne
ho veduto - disse la bella olandese. - L'ho sorpreso due sere or sono mentre
discuteva animatamente col Sultano.
- Non ci mancavano che
quei pesci-cani d'acqua dolce! Ne abbiamo perfino troppi dei fastidi sulle
spalle ed eccone un altro che giunge.
Fortunatamente ho sottomano dodici uomini che
non si terranno quando io dirò loro di dare addosso ai rajaputi del
Sultano.
Ohé!... Tenetevi fermi!... Si cade! -
Il durion
continuava infatti ad inclinarsi verso il suolo, seco trascinando degli ammassi
enormi di rotangs e di gomuti, fra i quali si dibattevano
disperatamente alcune di quelle brutte scimmie bornesi chiamate nasi-lunghi,
perché hanno un'appendice rossa, screpolata, come se vivessero esclusivamente
di liquori inebrianti.
Yanez aveva cinto alla
vita la bella olandese e la teneva appoggiata all'orlo del nido degli urangs,
il quale poteva servire per attutire in qualche modo il colpo.
L'albero si andava
abbassando sempre più, ma senza scosse, perché gli elefanti dovevano essere
stati cacciati nella trappola, non udendosi più che dei barriti lontani.
A una ventina di metri
dal suolo l'albero ebbe una prima sosta, poi riprese a cadere, quantunque fosse
trattenuto da un vero ammasso di piante parassite.
- Vedi nessuno sotto di
noi? - chiese Yanez a Kammamuri, il quale aveva fatto un brusco movimento come
se cercasse di scoprire qualche persona.
- Sì, signor Yanez, -
rispose l'indiano. - Ho scorto delle ombre umane raccolte intorno al tronco
d'una pianta.
- Che siano i naufraghi?
- Ne ho il sospetto. -
Yanez, quantunque avesse
coraggio da vendere, si passò una mano sulla fronte e guardò con inquietudine la
bella olandese, la quale invece conservava sempre la sua calma meravigliosa.
- Prendete le mie
pistole, signora, - le disse - e non badate a uccidere. Se quelle canaglie ci
prendono, ci faranno passare un terribile quarto d'ora.
- Grazie, milord, -
rispose Lucy. - So adoperare questi gingilli. -
In quel momento il durion,
dopo aver fracassato col suo peso enorme un gruppo di sagu e di palme, fece una
nuova discesa, appoggiando i rami al suolo.
Una voce furiosa si alzò
subito:
- Ah, birbanti!
Finalmente vi abbiamo presi! -
Un'ombra umana si era
slanciata in mezzo alla radura, dove il durion si appoggiava, e tendeva
minacciosamente il fucile.
- Ehi, compare, - disse
Yanez, tentando di scherzare. - È con noi che l'avete?
- Certo: sono diversi
giorni che aspettiamo pazientemente l'occasione di vendicare il vostro infame
atto di pirateria ed anche il colpo dato a John Foster.
- È vivo ancora il
comandante? - chiese il portoghese, il quale cercava di guadagnare tempo colla
speranza che qualcuno giungesse.
- Ah, canaglia! - urlò
il marinaio, cercando di avanzarsi fra i forti rami del durion. - Hai
ancora voglia di scherzare? Aspetta di cadere nelle nostre mani, e ti leveremo
per sempre la voglia di ridere delle disgrazie degli altri.
- Intanto, alto là o
faccio fuoco! - gridò Yanez, il quale si teneva sempre dietro al parapetto del
nido degli urangs, coricato a fianco della bella olandese.
- Fate fuoco?...
Osereste darci battaglia?
- Sono sempre vissuto
fra le battaglie - rispose Yanez colla sua solita voce ironica. - Io non posso
vivere se non fra i colpi di fucile.
- Camerati! - gridò il
marinaio, tentando di farsi più avanti. - Prendiamo questi pirati, e giacché
qui non c'è quell'imbecille di Sultano, appicchiamoli subito.
Toddy, dammi la tua corda. -
Un altro uomo armato di
fucile si era avanzato, agitando una funicella.
- A te prima, allora! -
gridò Yanez, facendo rapidamente fuoco.
Toddy cadde colle
braccia allargate, senza mandare un grido. Una palla lo aveva fulminato.
Alcuni spari
rimbombarono qualche istante dopo. Un gruppo d'uomini, poco numeroso
fortunatamente, rispondeva all'aggressione, quantunque si trovasse impacciato
da una vegetazione così fitta, che non permetteva loro di prendere la mira.
- Da' dentro, Kammamuri,
- disse Yanez all'indiano. - Qui giochiamo ben altro che l'isola di Mompracem.
-
Il maharatto, il
quale si teneva prudentemente dietro un enorme ramo, lasciò partire due colpi i
quali furono seguiti da un alto vociare e da uno scrosciare di foglie secche.
Gli assalitori, sapendo
d'aver da fare con uomini risoluti e benissimo armati, per il momento avevano
rinunciato alla lotta, salvandosi nel folto della macchia.
- Avrei preferito che si
spingessero all'assalto - disse il portoghese. - La nostra situazione peraltro
è abbastanza buona ed i rami ci accordano larga protezione.
Signora Lucy non alzate
la testa se vi preme la vita, poiché non è solamente con noi che l'hanno quei
ribaldi. -
La voce del marinaio
tornò ad echeggiare preceduta da una lunga sequela di bestemmie:
- Vi arrendete sì o no? Abbiamo
fretta, per la morte di Saturno!
- E noi, nessuna -
rispose il portoghese, il quale cercava di scoprire qualcuno degli assalitori
per mandarlo a tener compagnia a quello che aveva già attraversato lo Stige.
- Siamo ancora in
quattro e non so come potreste resistere ad un nostro abbordaggio.
- E noi siamo in venti -
rispose il portoghese.
- Mentite, perché vi
abbiamo seguiti passo passo da Varauni fino a qui e non possedete che tre
bocche da fuoco.
- Più terribili delle
tue.
- Ah, basta, basta,
signor mio!... Abbiamo chiacchierato abbastanza.
Abbiate la bontà di lasciare il vostro rifugio e
di farvi stringere al collo una solida funicella.
- Vieni a stringerla,
dunque. -
Due colpi di fucile, che
andarono a vuoto fra la moltitudine di rami e di piante parassite, rimbombarono
subito dopo, accompagnati da minacce feroci.
- Amici, - disse Yanez
al maharatto ed alla signora olandese - non rispondete che a colpo
sicuro, per conservare fino all'ultimo momento le nostre cariche.
Quei ribaldi tendono a farci esaurire le
munizioni.
- Dove si saranno
cacciati gli uomini del Sultano? - si chiese con angoscia l'indiano. - E la
nostra scorta? Ah, se fosse qui, questi uomini sarebbero a quest'ora tutti
fuori di combattimento.
- Ehi, Kammamuri, -
disse Yanez - non sognare l'India misteriosa coi suoi misteriosi idoli, e
occupa il tuo tempo a decimare quei ribaldi prima che giungano sotto e ci
prendano.
- Pare che non abbiano
alcuna premura di avanzare, signor Yanez, - rispose l'indiano.
- Puoi dire invece che
non hanno premura di far fagotto per l'altro mondo.
Ormai sanno che le nostre palle non vanno
perdute.
- Se andassimo a
scovarli?
- Sono in quattro e non
hanno voglia di fare una brutta figura in questo momento, sapendo ormai che la
nostra polvere non la bruciamo come coscritti inesperti.
- Eppure ritorno sempre
alla mia prima idea, signor Yanez, - disse Kammamuri. - Questo assedio può
continuare delle settimane. Volete occuparvi per cinque minuti della signora
Lucy?
- Che cosa vuoi fare?
- Vado a fucilare quei
mascalzoni - rispose risolutamente l'indiano. - Datemi le vostre pistole e
vedrete come li farò urlare.
- E le palle non le
conti?
- Al mio paese si
combatte sotto il fuoco con dei semplici fastelli di legna - disse Kammamuri.
- E non muoiono al tuo
paese?
- Ma che! Basta saper
eseguire a tempo il salto della pantera.
- Un giuoco che io non
ho mai fatto, ma che stimerei pericolosissimo, mio caro Kammamuri, almeno per
chi non conoscesse a fondo questo paese.
- Fate invece come me,
signor Yanez, e vedrete che daremo non poco da fare a quei traditori - rispose
Kammamuri.
Si era messo a rompere
dei rami, formando dei grossi fastelli, composti per la maggior parte di piante
resinose.
- Volete venire, signor
Yanez? - chiese l'indiano.
- Provochiamo prima una
scarica, amico, così ci rimarranno da fare meno salti della pantera. -
Appoggiò la sua carabina
su una spalla dell'indiano e, dopo di avergli raccomandata la massima
immobilità, lasciò partire due colpi in direzione dell'albero sotto il quale si
celavano i naufraghi.
Quattro spari risposero
quasi subito e delle palle si cacciarono crepitando, fra i tronchi che
formavano il nido degli urangs, sibilando agli orecchi degli assediati.
- Sparate anche voi,
signora, - disse Yanez alla bella olandese, la quale aveva già impugnate le
pistole indiane.
La flemmatica donna si
accomodò prima sul parapetto del nido per non esporsi troppo al tiro dei
traditori, poi fece fuoco.
Nello stesso tempo
Kammamuri dava fuoco al suo fastello formato di rami resinosi e lo lanciava
destramente verso l'albero. Una grande fiammata si alzò, mostrando al
portoghese, sempre in agguato, quattro individui che si tenevano raggruppati al
piede d'un gigantesco pombo.
- Ecco il giorno! -
mormorò Yanez, imbracciando la carabina. - Con questa luce si potrebbero far
cadere a uno a uno.
È meglio affrontare gli
elefanti selvatici delle grandi foreste, che quegli esseri umani che nascondono
un cuore da tigre. -
Il portoghese parlava,
ma agiva anche, perché approfittando subito di quella luce, fece nuovamente
fuoco, e fu imitato dalla bella olandese e dall'indiano.
Degli uomini, dopo
d'aver risposto al fuoco, erano caduti dinanzi al gigantesco albero,
esponendosi al pericolo di venire arrostiti, poiché le foglie secche avevano
preso fuoco insieme coi ricchi e resinosi festoni di giunta-wan, che
calavano giù lungo l'enorme pianta.
- A terra! - gridò
Yanez, vedendo che i bricconi scappavano come lepri. - Diamo loro la caccia e
cerchiamo di raggiungere la nostra scorta.
Stava per abbandonare il
nido degli urangs, quando un fischio giunse ai suoi orecchi, modulato su
diversi toni.
- Mati! - esclamò. -
Siamo salvi! -
Poi lanciò una sequela
d'imprecazioni.
- Mati, qui! - riprese.
- Perché hai abbandonato il mio yacht? Presagisco qualche sventura.
Si mise due dita in
bocca e rispose al segnale.
Un momento dopo il
mastro dello yacht, accompagnato da una scorta di dodici uomini, usciva dalla
macchia e si avanzava verso il gigantesco durion.
Yanez si era già
lasciato cadere a terra, mentre Kammamuri aiutava la bella olandese.
- Tu, Mati! - esclamò
facendo un gesto di stupore. - Che cosa vieni a fare qui?
- A salvare il mio
signore - rispose il mastro dello yacht.
- Che cos'è dunque
accaduto durante la mia assenza?
- Delle cose gravissime,
signor Yanez. Qui si prepara un doppio agguato, uno nella baia contro il nostro
yacht ed un altro in queste foreste.
- Spiègati meglio, Mati.
- Il capo del kampong
cinese, che è venuto a ritirare, a vostro nome, uno stock d'armi, mi aveva
avvertito che si sarebbe cercato di uccidervi durante le grandi cacce.
- Da parte dei
naufraghi; è vero?
- Sì, signor Yanez.
- Ed il mio yacht chi lo
comanda?
- Padar.
- Nessuno lo minaccia?
- Non lo so, signore,
poiché l'altra mattina giunsero nella baia tre cannoniere, due inglesi ed una
olandese, ed affondarono le loro àncore in modo da chiudere il passo.
- Sono diventati tutti
pazzi a Varauni, durante la mia assenza! - esclamò Yanez.
- Lo credo un po',
signore, perché i nostri equipaggi non possono più scendere sulle calate senza
essere disturbati da bande di malesi piombate non si sa da dove.
- Hanno assalito i miei
uomini?
- Non ancora, ma credo
che non tarderanno a farlo. Il Sultano vi abbandona alla vostra sorte e non
interverrà di certo nei vostri affari, signor Yanez.
- Che cosa mi consigli
di fare?
- Di rimanere qui,
capitano, - disse un marinaio dello yacht, che giungeva in quel momento sudato
ed infangato fino ai capelli.
- Anche tu qui! -
esclamò Yanez. - Rechi qualche grave notizia tu pure?
- Sì. Da ieri mattina il
vostro yacht è stato sequestrato per ordine dei comandanti delle cannoniere -
rispose il marinaio.
- Crolla dunque tutto
intorno a noi? Dopo aver tanto lavorato, vedremo svanire questo bel sogno! Che
cosa fare ora?
- Vi consiglio anch'io
di rimanere in questi luoghi fino all'arrivo delle bande di Sandokan - disse
Mati.
- A Varauni sareste meno
sicuro - aggiunse l'altro.
- E Padar che cosa ha
fatto?
Non ha protestato contro il sequestro del mio
yacht?
- Dite anche del piccolo
veliero, che è stato pure messo in quarantena.
Egli ha fatto coprire i ponti colla bandiera
inglese, dopo aver avvertito che qualunque persona fosse salita a bordo,
sarebbe stata gettata in mare.
- Non v'era altro da
fare! - mormorò Yanez. - O impegnare la lotta in condizioni disastrose o, per
il momento, cedere.
Andiamo a trovare il Sultano.
- Guardatevi da lui,
signor Yanez, - disse Mati - poiché il cinese mi ha avvertito che si tenterebbe
di farvi la pelle. -
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