17. Un tragico duello
Un fascio di luce rosea,
d'una infinita dolcezza, aveva invaso la foresta che si estendeva intorno
all'immenso accampamento, quando il primo drappello di cacciatori si mise in
marcia per fare una visita alla stanza da letto dell'elefante.
Era composto del
portoghese, di Kammamuri, della bella olandese, del capo degli scikari e
del Sultano.
Già i battitori in gran
numero avevano svolte le loro file accerchiando un gran tratto di foresta, dove
supponevano si trovasse il terribile solitario.
Un elefante solitario è
sempre di pessimo umore. Cacciato, non si sa bene per quali motivi, dalla sua
tribù se ne va di foresta in foresta non sognando che stragi.
Segue a distanza i suoi
compagni d'un tempo, sognando forse i giuochi fatti insieme, poi si rifugia in
una foresta foltissima, dove si prepara la sua stanza da letto.
Guai allora a chi si
avvicina a lui! Carica all'impazzata, anche delle legioni di cacciatori e, se
cade, non muore invendicato.
La stanza da letto
dell'elefante solitario è ben semplice. Non si compone che di un albero vuoto
al quale il pachiderma la sera si appoggia per fare le sue dormite fino
all'alba o quasi.
Quell'albero peraltro è
traditore ed un giorno tornerà fatale al povero colosso, insidiato anche al
Borneo, come nell'India, come nell'Africa.
Gl'indigeni che vivon di
caccia s'accorgono subito che quello è il posto d'un elefante dal cattivo stato
della pianta, la quale presenta sempre da un lato dei guasti nella corteccia.
Il colosso, appena
svegliato, ama grattarsi come un mortale qualunque e finisce con lo
scortecciare la sua misera stanza da letto, e così si tradisce da sé.
Eppure questi solitari,
che vengono chiamati anche capi-grigi, difendono ferocemente la loro stanza,
alla quale pare che si affezionino assai. Nondimeno i dayachi ed i
malesi, quantunque privi per lo più di buone armi da fuoco, non esitano a dar
loro la caccia ma ricorrendo ad una sottilissima astuzia.
Scoperto l'albero, lo
segano per un certo tratto, sicché quando il pachiderma, stanco delle sue
lunghe corse, vi si appoggia contro, stramazza abbattendo l'intero suo rifugio.
È quello il momento
d'impegnare la grande lotta. I selvaggi bornesi, che hanno del coraggio da
vendere, piombano sul caduto coi kampilangs e gli recidono ferocemente
il tendine d'Achille per impedirgli di risollevarsi e di prendere la fuga.
Le frecce avvelenate nel
succo dell'upas, scagliate da qualche mezza dozzina di cerbottane, fanno
il resto.
Come abbiano detto, il
piccolo drappello si avanzava attraverso la grande foresta, per giungere al
rifugio del pachiderma.
Gli scikari, a
grande distanza, per non farlo spaventare, seguitavano l'accerchiamento,
guardandosi bene dal mostrarsi.
- Milord, - disse la
bella olandese a Yanez che le teneva compagnia - che cosa ne dite di questa
caccia? Io ho accettato di prendervi parte, ma senza alcun entusiamo.
- Sarà una caccia come
un'altra - rispose il portoghese - ma più pericolosa.
Guardatevi dal lasciarvi accostare dalla
testa-grigia, perché un colpo di proboscide è presto scagliato e guai a chi
tocca.
- Forse non pensavo in
questo momento al solitario - rispose la giovane donna. - Pensavo piuttosto al
Sultano.
- E perché, signora?
- Io non l'ho trovato
stamane del suo solito umore e non vorrei che questa caccia vi portasse
sventura.
- A me? - esclamò
Yanez.
- Eppure io scommetterei
che ieri sera qualche cosa è stata complottata sotto la tenda del Sultano.
- È una vostra
supposizione.
- Può essere - rispose
la bella olandese che accompagnava sempre Yanez, sorvegliando tutte le folte
macchie della foresta, come se temesse di veder sbucare una banda di rajaputi
o di dayachi.
- Il fatto è che voi non
mi sembrate tranquilla, signora, - rispose il portoghese. - Avete notato
nell'accampamento del Sultano qualcosa di straordinario?
- No: ho osservato solamente
che quell'uomo era assai confuso quando voi siete entrato sotto la sua tenda,
milord.
- Rassicuratevi,
signora: tutte le volte che ci ha ricevuto, ha tenuto sempre di fronte a me un
contegno ambiguo.
Si direbbe che mi crede un nemico così
formidabile da sbalzarlo dai Monti del Cristallo.
- Ragione di più milord,
per raddoppiare la vigilanza. Dove avete lasciata la vostra scorta?
- Si trova insieme agli scikari
e non dubitate che al mio primo segnale accorrerà compatta, pronta a misurarsi
colla guardia indiana del Sultano.
Noi camminiamo e non li
vediamo, ma anche essi camminano e non ci perdono di vista un solo istante.
Volete una prova? -
Si erano in quel momento
fermati sull'orlo di una macchia foltissima, composta quasi esclusivamente di
banani delle cui frutta facevano strage i quadrumani.
- State attenta,
signora, - disse Yanez. - Udite nessun rumore voi?
- No, un silenzio
assoluto regna sotto quelle gigantesche foglie.
- Eppure la mia scorta
in questo momento cammina, seguendoci a brevissima distanza.
Fece colle mani
portavoce e gridò per tre volte con voce sonora:
- Mati!
Un momento dopo da un
fascio di gomuti, svelto ed agile, si slanciava a terra il mastro dello
yacht, gridando:
- Aru?
- Aru! - aveva
risposto il portoghese che voleva dire: avanzate. - Come va la battuta, mio
bravo amico?
- Finora, signore, gli scikari
agiscono lontano da noi e non posso controllare le loro mosse - rispose Mati.
- Hai notato fra quei
battitori alcuni rajaputi della guardia del Sultano?
- Ve ne sono più di
quanti credete, signor Yanez, - rispose il mastro, il quale appariva un po'
turbato.
- Sapresti dirmi che
cosa fanno quegli uomini fra le guardie?
- M'immagino che
vorranno prendere parte alla caccia, signor Yanez.
- Temi qualche sorpresa,
tu?
- Vi confesso che non
sono tranquillo. Quegli indiani potevano rimanere a guardia della tenda del
Sultano.
- I tuoi uomini li tieni
sempre in pugno? - chiese Yanez.
- Quando daremo il
segnale convenuto, li vedrete comparire.
- E dove marciano ora
che non si vedono, né si odono? - chiese la bella olandese. - Sono scimmie od
esseri umani?
- Sono quadrumani,
quando vogliono attraversare una foresta senza destare l'attenzione dei nemici,
ed uomini, quando si tratta di battersi...
Oh!... Là!... Ecco il capo-grigio che viene ad
occupare la sua camera da letto.
Preparate tutte le vostre armi o noi verremo
spazzati via in una carica spaventosa, dalla quale nessuno ci salverà. -
Il drappello era giunto
sulle rive d'un piccolo stagno presso cui sorgeva solitario un pombo
maestoso che i battitori dovevano aver segato in buona parte.
Una massa enorme,
grigiastra, armata di due zanne formidabili, era improvvisamente comparsa fra
la nebbia che i primi raggi del sole facevano già alzare.
Il solitario s'avanzava
tranquillo, sicuro della sua forza smisurata, senza barrire.
Era un magnifico
pachiderma, d'alta taglia, colla fronte larga, le zampe anteriori altissime
come gli elefanti indiani, i quali sono i più belli che producano le grandi
isole della Sonda e la terra del Siam, già tanto famosa pei suoi elefanti
bianchi.
La bella Lucy si era
messa a fianco del portoghese, come per difenderlo da qualche tradimento.
Teneva sollevata la gonnella per essere più lesta a scappare in caso di
pericolo, e fissava freddamente il colosso che emergeva dalla nebbia, tenendo
imbracciata la sua piccola carabina inglese, la quale, se era di dimensioni
modeste, aveva bensì una grande forza di penetrazione.
- Milord, - disse -
tenetevi presso di me e forse non oseranno tentare il tradimento che sospetto.
Si dice che i rajaputi, che sono i
guerrieri più cavallereschi che abbia l'India, risparmiano nei loro
combattimenti le donne.
- Temete dunque sempre
qualche sorpresa? - chiese Yanez, armando precipitosamente la sua carabina.
- Sempre, milord, ed io
condivido in parte i timori della signora - disse Kammamuri.
Mi pare che ci abbiano tratto in un agguato per
farci spazzar via o dal solitario o dai rajaputi.
- Al vostro posto io non
avrei accettata una simile partita di caccia.
- È peraltro ancora da
cominciare, - disse il portoghese - ed armi da fuoco ne abbiamo anche noi per
respingere qualsiasi attacco.
- Badate, signor Yanez -
disse in quel momento Kammamuri.
L'elefante era uscito
dalla nebbia e percorreva la fronte dello stagno mandando di quando in quando
dei sordi barriti che sembravano dei brontolii prodotti da una gigantesca gran
cassa vibrante.
- Signor Yanez, - disse
Kammamuri al portoghese - non andate più avanti, io conosco le furie
sanguinarie di questi terribili solitari.
Vedrete fra poco alla prova quel bestione.
- Ci saremo anche noi a
calmarle, mio caro, - rispose Yanez. - Abbiamo delle buone palle coniche dentro
le carabine, rinforzate da un leggero strato di rame.
- Ma non vi siete
accorto che l'elefante non è più solo?
Guardate dietro di lui e
ditemi che cosa sono quelle masse che si avanzano attraverso la nebbia. -
Il portoghese,
quantunque poco facile ad impressionarsi, si era fermato contro il tronco d'un
durion, puntando la carabina.
Infatti il pachiderma
non era più solo. Quattro altri colossi, armati di denti lunghissimi che
dovevano pesare non meno di mezzo quintale, si avanzavano lungo la riva
nebbiosa dello stagno, mandando di quando in quando dei barriti che
annunciavano certamente una imminente carica.
L'esiliato si era
accompagnato con altri che forse si trovavano nelle sue medesime condizioni e
quella banda formidabilmente spaventosa non cessava di avanzare verso il
drappello, stretta probabilmente dagli scikari che battevano le macchie
più folte della selva.
- Guardatevi!... La
vostra piccola carabina non potrà ottenere che degli scarsi risultati.
Non mirate alla fronte, bensì alla congiuntura
della spalla.
Soltanto quando un proiettile si caccia fra
quelle ossa tarpa le forze a quei terribili animali.
- Sì, signor Yanez, -
disse Kammamuri - gettatevi fra i cespugli e dietro gli alberi.
- Ci sono già.
- Sotto gli altri!...
- Seguitemi, Signora
Lucy, - disse Yanez. - Vi è poco da scherzare.
- Badate a voi invece,
milord, - rispose la bella olandese. - Non vorrei che la camera da letto del
solitario diventasse la vostra tomba, milord.
- E noi non contiamo
nulla, signora? Ora siamo in pochi, ma fra un momento diventeremo tanto
numerosi da tener testa alla carica di cento elefanti.
Seguitemi, signora, e tenetevi dietro l'albero e
dietro le macchie, per potere sfuggire più rapidamente all'assalto che ormai
non tarderà.
Il capo-grigio suona già la sua fanfara di
guerra. -
Il colossale elefante
che ne guidava altri tre, vedendo quelle persone, si era fermato d'un tratto e
andava fiutando l'aria a diverse altezze.
L'enorme corpaccio
vibrava tutto, come se avesse nascosto dentro qualche grosso istrumento
musicale.
Yanez si era appoggiato
fortemente contro l'albero, per non essere travolto nella corsa che doveva
essere certamente terribile.
- Qui ci vuole dell'altra
gente - mormorò. - Siano maledetti i capricci del Sultano! -
Attraverso la nebbia si
vedevano apparire e scomparire delle ombre umane, le quali accennavano a
scendere verso lo stagno per tagliare il passo al terribile capo-grigio e alla
sua piccola ma non poco temuta banda.
- Via - disse Yanez -
proviamo qualche colpo prima.
Gli è che siamo in pochi
per arrestare la caccia che non risparmierà nessuno di noi...
Per Giove! E la mia scorta che segue i
battitori? -
Si mise due dita in
bocca e mandò un acutissimo fischio, che ebbe subito la sua risposta di tra i
cespugli costeggianti lo stagno.
- È Mati che guida la
vostra scorta, signor Yanez, - disse Kammamuri. - Questo segnale lo conosco
benissimo, avendolo udito molte volte sullo yacht.
Il capo-grigio, udendo
quel sibilo acuto, si era precipitato nello stagno sollevando una gigantesca
ondata fangosa.
Sprofondò fino al
ventre, agitando rabbiosamente la proboscide, poi prese di nuovo terra barrendo
spaventosamente.
In quel momento alcuni
spari risuonarono fra gli alberi. La scorta del portoghese cominciava la sua
battaglia contro i colossi.
- Sparate anche voi! -
gridò il portoghese. - Dobbiamo distruggere il drappello che quell'irascibile
vecchione tenta di scagliare contro di noi. -
Tutti si erano gettati a
terra, nascondendosi fra gli sterpi che erano numerosi in quel luogo, ed
avevano cominciato a tirare schioppettate con furore.
L'irascibile
capo-grigio, conscio della sua forza straordinaria, si era provato a tentare la
carica, ma fatti pochi passi cadde sulle ginocchia, rompendosi una delle
magnifiche zanne.
Yanez ed i suoi compagni
l'avevano crivellato di palle, arrestando in tempo l'attacco, ma rimanevano
ancora in piedi gli altri, i quali già tentavano di guadagnare lo stagno per
giungere sulla fronte della boscaglia.
- Non vi muovete! -
disse Yanez, vedendo la bella olandese ed il Sultano alzarsi. - Se ci scoprono,
siamo perduti e nemmeno la scorta ci salverà. Lasciate fare a me! Vieni,
Kammamuri. -
Ricaricarono rapidamente
le carabine e lasciarono il loro nascondiglio per cercare di arrestare anche i
compagni del solitario.
- Badate a quello che
fate, signore! - disse l'indiano.
- Sono sicuro dei miei
colpi ed in questo momento la mia mano non trema. -
Passarono dietro le
grandi piante che formavano la fronte della foresta e comparvero bruscamente
quasi sulle rive dello stagno.
Un elefante, vedendo il
portoghese, gli si lanciò contro all'impazzata, sferzando l'aria colla sua
tremenda proboscide.
Aveva peraltro di fronte
un uomo non nuovo alle grosse cacce e che possedeva un sangue freddo
meraviglioso, che non lo abbandonava mai, nemmeno durante i più gravi pericoli.
- Signor Yanez! - gridò
l'indiano.
- A me il più grosso; a
te il più piccolo, per ora - rispose il portoghese.
Balzò in mezzo ai cespugli
che coprivano la base delle grandi piante e s'avanzò, risolutamente, contro i
quattro mostri.
Stava per fare fuoco,
quando uno sparo rintronò verso l'opposta fronte della foresta, che non doveva
ancora essere stata occupata dagli scikari.
Un momento dopo una
palla gli portava via il cappello. Qualche centimetro più sotto ed il
valent'uomo era finito.
Udendo quello sparo
tutti erano balzati in piedi, temendo qualche tradimento. Solamente il Sultano
aveva preferito sdraiarsi fra le fresche erbe della foresta.
- Chi ha fatto fuoco
contro di me? - urlò il portoghese, avvicinandosi all'elefante, la cui massa
poteva servirgli da barricata.
La risposta fu uno
scroscio di risa.
- Canaglia!... Mòstrati,
se non sei un vile! - gridò Yanez.
- Allora eccomi! -
John Foster era
scivolato fra due cespugli ed invece di far fuoco contro gli elefanti, pareva
volesse decimare i cacciatori.
- Voi! - gridò Yanez,
non poco impressionato da quell'apparizione. -
Miserabile, che cosa volete? Non vedete che
stiamo per essere spazzati via tutti e che con noi vi è anche il Sultano?
- Non sarò certamente
io, signor pirata, che vi porterò aiuto - rispose il capitano dell'affondato
piroscafo.
- Volete lasciarci
ammazzare tutti?
- Crepate!
- È troppo, signor
Foster; ed ora, anche se vi sono gli elefanti, vi darò una tale lezione da
farvela ricordare per sempre. -
Accompagnato dal fido
indiano aveva raggiunto l'enorme corpaccio del capo-grigio e vi si era gettato
dietro, per evitare i colpi dell'inglese.
- Mati! - gridò. - Tieni
testa agli elefanti, solamente per pochi minuti. Se non puoi sloggiarli,
incendia le erbe. -
Ciò detto imbracciò la
carabina e guardò verso il luogo dove l'inglese erasi mostrato affrettandosi
poi a scomparire, sapendo forse con che tiratore aveva da fare.
- Signor Foster, il
Sultano ci guarda - disse Yanez. - Degnatevi mostrarvi perché non si faccia un
brutto concetto dei marinai della grande Inghilterra.
- Signor pirata - urlò
l'inglese con voce rauca - mostratemi solamente un pezzo del vostro viso per
far vedere a Sua Altezza come gl'inglesi puniscono le canaglie vostre pari.
- Eh, signor mio -
rispose Yanez, il quale si guardava bene dall'esporsi ai tiri del traditore -
non avete ancora in tasca la mia pelle.
- Ma l'avrò, per tutti i
fulmini e tutti gli uragani!...
Finché vi tenete nascosto, io non posso darvi la
giusta punizione che vi spetta.
In quel momento un colpo
di fucile scoppiò a fianco del portoghese.
Kammamuri, avendo potuto
scorgere l'inglese, benché si tenesse prudentemente nascosto fra i cespugli,
aveva sparato ma disgraziatamente aveva mancato il bersaglio.
L'inglese aveva salutato
quel colpo con una beffarda risata e per un momento era scomparso fra gli
alberi per sfuggire all'urto dei pachidermi, il quale diventava sempre più
tenace, malgrado le scariche della piccola scorta.
- Non ti mostri ancora?
- gridò Yanez.
- Non ho nessuna fretta
di mandarvi a pirateggiare sui mari dell'altro mondo.
- Avete gli elefanti
alle spalle.
- Me ne rido io! -
rispose l'inglese.
Poteva infatti ridersene
per un momento, poiché si era gettato in mezzo ad uno sterpeto, attraversato
qua e là da fortissime fibre di rotangs che, quando sono tese,
posseggono la resistenza delle gomene di fili di rame o d'acciaio, quali sono
oggi quelle di molte navi, sia a vapore, sia a vela.
Gli elefanti non
potevano lanciarsi in mezzo a quello sterpeto senza ammazzarsi, tanto più che i
cespugli erano difesi da alberi di grosso fusto, resistenti anche all'urto di
quei massicci bestioni.
Un pachiderma, credendo
di trovare un passaggio, si era provato a scagliarsi in mezzo alla macchia,
dove l'inglese, pur tenendosi nascosto, non cessava di tirare schioppettate ora
contro la scorta del portoghese, ora contro i giganti delle foreste bornesi.
Il colosso che aveva
tentato di assalire alle spalle l'inglese, non aveva avuto proprio fortuna.
Caricando colla solita furia, si era scagliato fra i rotangs ed i gomuti,
tentando di sfondarli a colpi di tromba.
Era già penetrato e
distava pochi passi dall'inglese, quando la sua tromba cadde, falciata d'un
colpo solo.
L'enorme appendice aveva
urtato contro un rotang ed era stata tagliata.
Un barrito spaventevole,
seguito da clamori paurosi ed impressionanti, annunziò la morte del pachiderma,
il quale era caduto sulle ginocchia vomitando dal naso mutilato, con rapide
pulsazioni, un sangue nero e spumeggiante che cadeva come pioggia rossa sullo
sterpeto.
John Foster, che doveva
conservare una calma ammirabile anche dinanzi a quell'estremo pericolo, si era
voltato d'un tratto ed aveva fatto fuoco replicatamente.
Il gigante, già
mutilato, aveva ricevuto la scarica negli occhi.
Disgraziatamente ve
n'erano altri due che s'avanzavano attraverso gli sterpi, come se fossero ben
risoluti di vendicare i loro compagni.
Yanez, che non perdeva
di vista né l'inglese né i colossi, attese qualche istante colla speranza forse
che gli elefanti si incaricassero di togliergli quel pericoloso avversario, ma
poi, sprezzando la vita, si slanciò all'aperto tentando di raggiungere ancora
l'enorme corpaccio del capo-grigio.
- Fa' come me, dannato
inglese! - gridò - se è vero che tu non hai paura di me.
Ecco, io mi offro ai tuoi colpi e tu fa'
altrettanto coi miei, se è vero che sei un coraggioso. -
Il Sultano intanto
vedendo che le cose andavano troppo per le lunghe, con una serie di fischi acutissimi
aveva fatto accorrere venti o trenta scikari, i quali battevano le
macchie dietro lo sterpeto per spingere i giganti verso lo stagno.
Un altro animalaccio,
niente spaventato dell'orribile fine del suo compagno, che rantolava a terra
completamente dissanguato, aveva preso lo slancio e si era rovesciato là dove
l'ostinato inglese si nascondeva.
Ma non aveva miglior
fortuna, poiché dopo il primo impeto andò a urtare colla testa contro una fila
di rotangs tesa fra due altissimi alberi come una vera corda d'acciaio.
Si udì un schianto
spaventevole, seguito da barriti altissimi e dal crepitare delle piante che
reggevano le fortissime liane malesi, che offrono maggiore resistenza anche di
quelle americane.
I due alberi, quantunque
di mole enorme, erano stati sradicati e giacevano al suolo attraverso gli
sterpi.
Il disgraziato
pachiderma non aveva avuto più fortuna del suo compagno.
Lanciato colla velocità
di una locomotiva attraverso a tutti quegli ostacoli, era caduto sopra un calamus,
resistente come l'acciaio, il quale l'aveva decapitato in un attimo.
Né gli altri due,
vedendo alzarsi delle nuvolette di fumo di sopra ai cespugli, si erano fermati.
John Foster, scovato dai
bruti delle grandi foreste i quali si preparavano a farlo a pezzi od a
schiacciarlo contro il tronco d'un albero, si era precipitato fuori dalla
brughiera urlando a squarciagola:
- Se fra voi vi è un
europeo, accorra in mio aiuto perché è dovere di tutti gli uomini bianchi di
proteggersi.
- Allora eccomi, John
Foster, - gridò il portoghese.
- Si era appena
mostrato, che l'inglese gli sparò contro una nuova fucilata colla speranza di
assassinarlo a tradimento.
- Ah, miserabile! -
gridò il portoghese, il quale aveva evitato il proiettile, lasciandosi cadere
precipitosamente a terra.
Ma si alzò subito, e
armato della sua infallibile carabina, si slanciò innanzi.
L'inglese, pressato
anche dagli elefanti, si era dato alla fuga attraverso lo sterpeto, colla
speranza d'intanarsi nella grande selva.
- Fermati, briccone, o
faccio fuoco! - gridò Yanez, il quale si spingeva audacemente innanzi preceduto
da Mati e da alcuni uomini della sua scorta.
- Avrò la tua pelle! -
rispose l'inglese. - L'ho giurato ed io sono uomo da mantenere i miei
giuramenti.
- Ed anche i tuoi
tradimenti, indegni d'un europeo! -
John Foster continuava a
correre coll'agilità d'una gazzella, quantunque non fosse più giovane.
Tre volte si fermò
dietro l'enorme massa del capo-grigio e dopo essersi gettato a terra urlò:
- Ecco la palla che ti
ucciderà, infame pirata! -
Aveva già puntata la
carabina, mirando il portoghese, quando un colpo di fuoco prevenne il suo.
La bella olandese, che
aveva assistito fino allora a quel tragico duello senza manifestare alcuna
emozione, aveva sparato, e l'inglese era caduto a fianco del capo-grigio, colla
testa attraversata da un proiettile conico foderato di rame.
- Grazie, signora, - le
disse Yanez. - Non scorderò mai che mi avete salvata la vita.
- Anch'io avevo dei
debiti di riconoscenza verso di voi, milord, - rispose Lucy colla sua solita
voce pacata. - Ed ora?
- Cerchiamo di trarci
d'impaccio meglio che possiamo. Qui soffia un vento strano, che sa di
tradimento. -
Il portoghese ricaricò
le sue armi, avendo sparato prima qualche colpo contro i pachidermi, poi gridò:
- Se vi preme la vita,
stringetevi tutti intorno a me. -
Poi, lanciando verso il
Sultano uno sguardo minaccioso, aggiunse:
- Che scherzo mi avete
preparato, Altezza?
- Una partita di caccia
e niente altro. Ci sono già a terra dei colossi e vi lagnate?
- Vorrei vedere i vostri
scikari.
- Non possono lasciare
in questo momento la battuta - rispose il Sultano con voce un po' tremula.
- Badate, Altezza, che
se invece preparano qualche nuovo tradimento, il primo colpo di fucile che
sparerò sarà per voi.
Su, tutti intorno a me! -
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