18. L'assalto dei rajaputi
Anche se John Foster era
caduto per non risollevarsi più mai, il pericolo non era cessato, poiché i
pachidermi superstiti correvano sfrenatamente attraverso lo sterpeto, per
raggiungere i cacciatori.
Yanez, formato il drappello,
colla bella olandese al centro, si era sollecitamente diretto verso il margine
della grande foresta, per ripararsi sotto le piante d'alto fusto.
Di quando in quando, pur
ritirandosi rapidamente, sparavano qualche colpo tentando di cacciare quegli
ostinati bestioni che pareva avessero giurato la perdita di quel gruppo di
persone.
Il portoghese si era
messo a fianco del Sultano e lo sorvegliava attentamente: Kammamuri teneva
d'occhio il capo degli scikari, che dal canto suo pareva che avesse
voglia di tornarsene al campo.
Per un quarto d'ora il
drappello continuò la sua marcia sempre dietro la fronte della foresta, poi
Yanez diede il segnale della fermata.
Erano giunti sulle rive
d'un corso d'acqua interrotto da numerosi isolotti bassi, e proprio di fronte
al maggiore avevano scoperto una roccia alta un centinaio di metri,
assolutamente inaccessibile ai pesantissimi pachidermi.
- Ecco una magnifica
posizione strategica - disse Yanez, quando ebbero raggiunta la cima.
Da questo posto noi
sorveglieremo le mosse sospette degli scikari che non mi rassicurano
affatto.
- Temete un tradimento,
signore? - chiese l'indiano sotto voce.
- Che cosa dice il tuo
cuore?
- Che quell'inglese ha
spezzata la tregua che regnava tra noi ed il Sultano.
Questo è il momento di prendere una grande
decisione o nessuno di noi uscirà vivo da queste foreste, che si prestano così
meravigliosamente agli agguati.
Gettiamoci su Varauni, solleviamo i cinesi e
mettiamo tutto a ferro ed a fuoco, signor Yanez.
- Se avessi sottomano la
scorta di Sandokan, a quest'ora mi sarei gettato anche contro gli uomini del
Sultano.
- Che vogliano farci
prigionieri?
- È quello che sospetto.
La faccia del Sultano non mi rassicura affatto.
- In questo momento
siamo troppo pochi per impegnare una lotta a fondo.
- Non vi è che una cosa
sola da fare. Mandare Mati al campo del Sultano affinché mi riconduca tutta la
mia scorta.
- E gli elefanti,
signore?
- Pare che si siano
calmati, Kammamuri. -
Infatti i pachidermi,
quantunque fossero riusciti finalmente ad attraversare lo sterpeto, dopo una
breve esplorazione si erano spinti verso il fiume, probabilmente coll’idea di
salvarsi su qualche isola.
Di tratto in tratto
qualche proiettile li raggiungeva, anche se lontani e faceva far loro dei
balzi, accompagnati da un concerto assordante di barriti.
Pareva quasi che dalla
grande foresta fossero accorsi altri colossi a prendere parte al combattimento
iniziato dal povero capo-grigio.
- Altezza, - disse
Yanez, accostandosi al Sultano il quale si teneva ben vicino al capo dei
battitori - sapreste dirmi come finirà questa partita di caccia?
- Come tante e tante
altre - rispose il monarca con voce un po' beffarda. - Ne avete già abbastanza
degli elefanti? Eppure, come avete veduto, non sono poi così pericolosi.
- Io non parlo dei
colossi - ribatté Yanez con voce acre - bensì dei vostri scikari che non
vedo più.
- Essi continuano la
battuta, milord.
Vi ho detto che volevo andare alle cime dei
Monti del Cristallo per verificare una voce che corre insistente al campo.
- Ossia? - disse il
portoghese trasalendo e facendo appello a tutto il suo sangue freddo per non
tradirsi.
- Che delle bande di
guerrieri dayachi armati di fucili hanno lasciato il lago Kini Balù e
marciano verso la mia frontiera.
- Guidate da chi?
- Da un guerriero famoso,
che è riuscito a stabilirsi un trono quasi accanto al mio.
È lui che ha pienamente debellate le orde
sanguinarie di quel terribile rajah del lago, contro il quale mi sono
provato ad armeggiare più volte, prendendo più legnate che allori, e lasciando
nelle mani dei cacciatori di teste un numero spaventevole di crani.
- Non avete delle kotte
sulla vostra frontiera? - chiese Yanez.
- Certamente vi sono dei
fortini scaglionati nei burroni delle montagne ed anche sulle cime.
- Lasciate allora che le
guarnigioni se la cavino come meglio potranno. -
Il Sultano scosse il
capo, poi disse con voce triste:
- I miei guerrieri non
valgono niente, milord, quando manca loro l'aiuto della mia guardia indiana.
- Dove l'avete mandata
quella colonna che non si è più veduta?
- Alla frontiera; se
quello sconosciuto scende attraverso i miei Stati, è capace di portarmi la
guerra in casa.
Ben lo sa quel terribile e misterioso rajah
del Kini Balù, che lo aveva accolto da amico nella sua capitale.
- Ha perduto il trono?
- Anche la vita, milord,
poiché quando si è visto nell'impossibilità di difendersi, ha dato fuoco alle
polveri, ed è saltato in aria insieme con la sua famiglia.
- Ho udito parlare
vagamente di questa storia - disse Yanez. - E che cosa contate di farci fare?
- Una corsa verso i
Monti del Cristallo - rispose il Sultano. - Sotto quelle immense foreste noi
avremo selvaggina d'ogni specie da abbattere.
- Ed intanto?
- Io preferirei, per mio
conto, tornarmene al mio campo per riposarmi sotto la mia tenda e sotto la fida
sorveglianza della mia guardia.
Che cosa dovremmo fare qui tutta la notte,
esposti all'umidità del fiume e senza cena?
- Ebbene, Altezza, -
disse Yanez risolutamente - io vi avverto che sono pronto ad andare innanzi, ma
fra i vostri uomini non mi sento più al sicuro dopo il tradimento ordito
dall'inglese. -
Il Sultano fece un gesto
d'impazienza e guardò a lungo il capo di battitori, che gli stava sempre ritto
dinanzi, ma sotto la stretta sorveglianza di Kammamuri.
- Milord, - disse
finalmente - voi mi avete date troppe seccature e dopo d'aver tanto desiderato
un ambasciatore della grande Inghilterra, ora sento che ne farei a meno.
- E se fosse troppo
tardi?
- Che cosa volete dire,
milord? - chiese il Sultano spaventato.
- Che se la guerra
rumoreggia ai vostri confini, delle flottiglie sono pronte, ad un mio ordine,
ad entrare nella baia per aprire il fuoco.
- Voi fareste questo?
- Certo, Altezza.
- Con qual diritto?
- Col diritto dell'uomo
che difende la propria pelle.
- Voi vedete delle
congiure dovunque, milord!
- Io non vedo niente: le
intuisco.
- Allora, milord, è ora
di farvi sapere che qui vi è un Sultano, a cui tutti debbono obbedienza.
- Spiegatevi meglio,
Altezza.
- Sequestro voi e la
donna e vi conduco al mio campo come ostaggi.
- Con quali forze? -
chiese il portoghese ironicamente. - Forse col capo degli scikari che è
già mezzo morto di paura?
Ci vuole ben altro per gente come noi!
- Non volete venire?
- No - rispose Yanez. -
Anzi vi avverto che bruceremo tutte le nostre cartucce.
Il capo degli scikari,
obbedendo ad un gesto del suo signore, prese la carabina e puntò la bocca verso
il petto della bella olandese dicendo:
- O mi seguite o faccio
fuoco! -
Yanez, che già
sospettava qualche tradimento, si era precipitato sul Sultano strappandogli
l'arma e l'aveva atterrato, mentre Mati, Kammamuri e la bella olandese tenevano
in freno il capo degli scikari.
- Altezza, - disse il
portoghese con voce terribile - se uccidete quella donna, vi farò saltare le
cervella. -
Aveva gettata via la
carabina tolta al traditore e armato rapidamente le sue pistole.
- Volete uccidermi? -
chiese il monarca, con voce tremante.
- Non ne ho alcun
desiderio, se voi nulla tenterete contro di noi finché non saremo giunti fra le
Montagne del Cristallo.
Lassù farete quello che vorrete. -
Il Sultano digrignò i
denti come una giovane tigre, poi con una mossa di fianco si sottrasse al tiro
immediato delle pistole.
- Me lo avevano detto
che voi eravate un pirata qualunque, invece d'un ambasciatore d'una grande
potenza che io rispetto.
Ho avuto torto di non prestare orecchio ai
consigli dei miei ministri.
- Dei vostri
diplomatici! - disse Yanez ironicamente. - Quella gente finirà per succhiarvi
tutte le rendite del Sultanato. -
Vi fu un breve silenzio.
Il Sultano, coricato a terra, tremava verga a verga, e faceva invano dei segni
misteriosi al capo degli scikari, il quale, vedendosi minacciato da
parecchie carabine, non aveva più osato muoversi.
- Orsù, milord, - disse
finalmente il Sultano, con voce rauca. - Che cosa volete da me?
- Che mi seguiate fino
ai Monti del Cristallo per vedere che cosa succede alle vostre frontiere.
- E la mia scorta?
- La vostra? Per ora
rimarrà al campo.
- Volete farmi perdere
il trono e fors'anche la vita, milord? Sento per istinto che intorno a me si
congiura per strapparmi il potere.
- Silenzio! - impose
Yanez. - Per entrare nel vostro accampamento ci vorrà qualche parola d'ordine o
qualche segnale?
- Che cosa volete
ancora? Assalire i miei battitori e le mie bajadere?
- No, voglio far
giungere qui al più presto la mia scorta.
Io devo rispondere della vostra vita e non
voglio cacciarvi in qualche brutta avventura, che potrebbe cominciare sulle
Montagne per finire a Varauni.
- Nella mia capitale? -
urlò il Sultano, tentando di alzarsi.
- Fermo Altezza o faccio
fuoco!
Datemi qualche segnale o qualche parola perché
uno dei miei uomini entri nel vostro campo e vada a radunare la mia scorta. -
Il Sultano ebbe una
lunga esitazione, poi si strappò da un dito un pesante anello d'oro e lo gettò
ai piedi del portoghese, dicendo:
- Ecco.
- Non basta dire ecco,
Altezza, perché voi rimarrete come ostaggio con noi finché io lo crederò
opportuno.
- L'anello porta il mio
sigillo - rispose il povero Sultano, tergendosi il sudore freddo che gli colava
dalla fronte.
Non vedendo più armi
spianate si era alzato: anche Yanez aveva rimesse nella cintura le famose
pistole.
Si avvicinò al capo
degli scikari, che non era meno terrorizzato, e gli sussurrò rapidamente
alcune parole, in una lingua che nessuno poteva comprendere.
- Non avrete
l'intenzione di prepararci qualche nuovo agguato? - disse il portoghese.
- No; anzi lo incarico
di accompagnare il vostro uomo, affinché non gli tocchi qualche disgrazia e
perché impedisca ai miei ministri di intervenire in questo affare.
- Fate pure, Altezza.
Già voi rimarrete ben sorvegliato e al primo tentativo di fuga, vi farò
fucilare senza misericordia.
- La partita è aperta,
ma non chiusa ancora; è vero, milord? - chiese il Sultano.
- C'è del tempo per
assestare questa piccola faccenda, che se ha recato offesa al Sultano del
Borneo, per poco l'Inghilterra non perdeva uno dei suoi ambasciatori. -
Si era voltato verso
Mati, il quale pareva impaziente di andare a radunare la scorta.
- I miei uomini me li
condurrai tutti qui ed al più presto, - gli disse. - Guardati dai tradimenti,
amico, e segui i consigli del mio uomo che d'imboscate se ne intende. -
Tolse da un taschino del
panciotto un cronometro d'oro tempestato di brillanti colle sue cifre, regalo
certamente di Surama, poi riprese:
- Sono appena le due:
dopo il tramonto voi potete essere qui.
- Se troveremo il passo
libero - disse Kammamuri.
- Gli elefanti non si
scorgono più, e credo che nessuno vi darà degli impicci.
Andate. -
Il capo degli scikari
e Mati presero le loro armi e dopo d'aver osservato attentamente se in qualche
luogo si scorgevano i pachidermi, scesero rapidamente la rupe calando sulle
rive del fiume.
Yanez li seguiva
attentamente cogli sguardi, come se sospettasse qualche tradimento.
Anche se i suoi compagni
non sembravano tranquilli poiché pensavano ai rajaputi, fanteria
validissima che ha sempre degli ottimi tiratori, e che potevano da un momento
all'altro venire in cerca del loro padrone.
Erano trascorsi cinque
minuti, quando fra i boschi che si stendevano lungo le rive del fiume si udì un
colpo di fuoco.
Yanez era balzato in
piedi guardando il Sultano, il quale, seduto su di una roccia, fingeva di non
vederlo.
- Un altro tradimento,
Altezza? - gli chiese.
- Voi sognate tradimenti
dovunque, milord - rispose il Sultano. - La cosa diventa ormai troppo noiosa.
- Spiegatemi allora voi
perché i miei uomini, appena discesi, sono stati costretti a sparare?
- Grande Allah! Avranno
ammazzato qualche babirussa per la loro cena. Sapete bene che siamo tutti senza
viveri. -
In quell'istante un
secondo colpo di fucile rimbombò sotto gli alberi, seguito quasi subito da un
vero fuoco di fila.
- I rajaputi
assalgono i nostri amici! - gridò Yanez.
- Non v'inquietate per
Mati, signore. Egli è un uomo da cavarsela sempre, anche nelle più terribili
circostanze.
- E se me lo ammazzano?
- Ci sono anch'io,
signor Yanez, e una corsa verso i Monti del Cristallo per chiedere aiuti alla
Tigre della Malesia non mi spaventa. -
Dei proiettili
cominciavano a miagolare sopra la rupe, scrostando dei larghi pezzi di tufo.
Un uomo era uscito dalla
foresta e correva, con velocità fulminea verso il luogo occupato da Yanez e dai
suoi compagni.
- Mati! - esclamò
Kammamuri.
- Coi rajaputi
alle spalle! - aggiunse il portoghese. - Signora Lucy, gettatevi in mezzo alle
rocce e non vi mostrate, poiché quegli indiani sono ottimi bersaglieri.
- E voi, signor Yanez? -
chiese Kammamuri, il quale si era gettato prudentemente dietro ad un enorme
masso.
- Lèvati la tua fascia
di seta, e lega prima di tutto il Sultano - rispose il portoghese. - Se
vorranno salire fin qui, con un simile ostaggio nelle nostre mani, possiamo noi
imporre delle condizioni. -
L'indiano si era levato
la ricca sciarpa ed aveva eseguito prontamente l'ordine.
- Miserabili! Che cosa
fate? - gridò il monarca, diventando grigiastro, ossia pallidissimo.
- Cerchiamo di impedirvi
di fuggire - rispose Yanez, facendo balenare agli ultimi raggi del sole le
canne delle sue famose pistole.
- Questo è un
assassinio! - urlò il Sultano.
- Che in tutti i casi
commetteranno i vostri rajaputi, poiché il primo che si mostrerà quassù,
segnerà l'ultima ora del vostro regno.
- Io ho il diritto di
farmi liberare.
- Ed io quello
d'impedirvi di preparare qualche altro tradimento sotto le foreste dei Monti
del Cristallo.
- Voi non siete il Sultano
del Borneo.
- È vero: ma sono un
tale uomo da mettere a ferro ed a fuoco tutto il vostro regno.
Guardatevi, perché le bande condotte dalla
terribile Tigre della Malesia stanno intanto calando sulle vostre terre.
- Mi vendicherò!...
- Sì, il più tardi
possibile - rispose Yanez.
Poi volgendosi verso
Kammamuri ed additandogli il Sultano, gli disse:
- Prendi quell'uomo e
portalo sulla cima di quella rupe, e cerca che sia bene in vista. Vedremo se la
sua guardia avrà il coraggio di fargli fuoco addosso.
- E poi, signor Yanez? -
chiese l'indiano.
- Avresti paura a fare
una corsa notturna fino ai Monti del Cristallo insieme con me?
- Con voi andrei anche
per la seconda volta a dare la caccia agli ultimi thugs indiani.
- Per ora quelli non ci
dànno nessun fastidio; quindi non dobbiamo occuparci che dei rajaputi.
- I quali hanno pur essi
nelle vene sangue indiano - osservò, non senza una punta di malizia, il maharatto.
Le scariche a salve
erano cessate, ma il combattimento non doveva essere ancora terminato.
Dei colpi isolati
rimbombavano sempre dentro le foreste costeggianti il fiume. Mati batteva in
ritirata, bruciando le sue cartucce.
- Facciamo ora qualche
cosa anche noi - disse Yanez. - Non lasciamo che i rajaputi si avanzino
tranquillamente e conquistino la nostra posizione.
Prima che giungano qui, il Sultano non sarà più
vivo, se non cesseranno il fuoco. -
Salì su una roccia
insieme con Kammamuri, lanciò uno sguardo lungo le rive del fiume, poi avendo
scorto un piccolo gruppo di rajaputi, sparò a sua volta due colpi,
costringendo quegl'indiani, per quanto coraggiosi, a mettersi nuovamente in
salvo sotto le foreste.
Anche Kammamuri aveva
consumato un paio di cariche, appoggiato dalla bella olandese, la quale sparava
meravigliosamente e pacatamente, come se si trovasse in un campo di tiro.
- Quanto durerà questa
tregua? - si chiese il portoghese, guardando Kammamuri. - Se i rajaputi
ci assediano, saremo costretti ad arrenderci per forza, non avendo nulla da
porre sotto i denti.
- Credete che la Tigre della Malesia stia già scendendo la frontiera per tenderci la mano?
- Sandokan non può
essere lontano. Il posto dei corrieri è sul Sirdar e là noi troveremo sue
notizie.
- Che cosa devo fare?
- Partire senza indugio
ed approfittare della notte per far correre i rajaputi. Cerca di unirti
a Mati, se lo potrai, e che Dio ti protegga, mio bravo e fedel servitore. -
|