CAPITOLO V
I mostri dell'Oceano
Quella parte dell'isola, a prima vista, non presentava
passaggi per salire la costa, la quale era alta assai e scendeva quasi a picco.
Pel momento l'unico rifugio era quella caverna, che doveva essere stata scavata
dall'impeto continuo delle ondate.
Né a destra né a sinistra si scorgeva alcun tratto di
terra larga abbastanza da permettere ai naufraghi di sedersi e tanto meno di
sdraiarsi.
Quantunque nella caverna entrassero le onde, il marinaio
s'inoltrò, sperando di trovare nell'interno un posto per potersi riposare.
Aspettò un istante perché l'ondata uscisse, poi
si spinse arditamente innanzi, seguito dal signor Emilio
e dal mozzo; ma d'improvviso si ritrasse, emettendo un grido di sorpresa e di
terrore. Una specie di braccio, assai grosso, appena visibile in quella prima
luce che penetrava a stento dall'apertura, gli era piombato addosso,
stringendolo a mezzo corpo.
Dapprima il marinaio credette che fosse un braccio umano,
ma ben presto s'accorse d'essersi ingannato: dinanzi a lui brillavano due occhi
grandi, rotondi, fosforescenti, i quali lo fissavano in tal modo che pareva
volessero affascinarlo.
Il marinaio era coraggioso, ma nel trovarsi dinanzi a
quel mostro misterioso, in quella
semioscurità, colle onde che gli urlavano intorno
minacciando di rovesciarlo e con quel braccio che lo stringeva già con grande
energia, si sentì rimescolare il sangue e rizzare i capelli.
« Signor Emilio!... » urlò con voce strozzata.
« Che cosa avete? » chiese il veneziano, che nulla aveva
potuto vedere, trovandosi ancora indietro. Il marinaio non poté rispondere.
Quel braccio lo stringeva in modo da soffocarlo e alle reni gli faceva provare
un dolore così acuto, come se gli si succhiasse il sangue a forza.
Non si era però smarrito d' animo. Facendo uno sforzo
disperato, trasse il coltello dalla cintola e con un rapido colpo tagliò netto
quel membro dotato di forza straordinaria.
Il veneziano correva allora in suo aiuto, tenendo ben
stretta in pugno la scure. Con un solo sguardo vide subito con quale formidabi
le avversario aveva a che fare.
« Indietro! » urlò.
Il marinaio girò sui talloni lanciandosi verso
l'apertura, ma due altre braccia lo afferrarono cercando di sollevarlo, mentre
altre tre piombavano sul suo compagno.
« Ah!... Canaglia! » urlò Albani, furibondo.
Non badando che alla propria rabbia, si scagliò a corpo
perduto contro quei due grandi occhi che brillavano nell'oscurità, menando
colpi disperati, mentre il marinaio agitava pazzamente il coltello percuotendo
a destra e a sinistra.
A un tratto si sentirono inondare da una scarica di
liquido denso, che tramandava un acuto odore di muschio, mentre le braccia che
li stringevano cadevano inerti. Mezzo soffocati e
acciecati, guadagnarono a tentoni l'uscita, presso la
quale si teneva il mozzo, che urlava come
un ossesso.
« Fulmini di Genova! » esclamò il marinaio, correndo a
tuffarsi nelle onde. « Che m'abbia
acciecato? ... »
« Ma siete inondati d'inchiostro! » urlò il mozzo. « Che
cosa è accaduto, dunque?.. »
« Aspetta un po' che mi lavi!... Mondaccio birbone...
Sono profumato come un caimano!... »
Anche il veneziano balzò in acqua e si lavò con grande
vigore, stropicciandosi il viso, i capelli e le vesti.
« Ma cos'è accaduto, dunque? » ripeteva il mozzo, il
quale lanciava sguardi impauriti ver
so la caverna.
« Auff ! » esclamò finalmente il marinaio, riguadagnando
la sponda. « Era inchiostro di prima qualità!... »
« Ma avete combattuto contro dei calamai? » chiese il
mozzo, che ormai rideva a crepapelle.
« No, contro uno solo; ma se tu l'avessi veduto, ragazzo
mio, non, avresti più una goccia di sangue in corpo. Che braccia!... E che
occhi!... Se mi avesse stretto un po' di più, avrebbe fatto uscire gl'intestini
dalla bocca, te lo assicuro ».
« Un polipo formidabile, dunque?... »
« Enorme ».
« E l'avete ucciso? »
« Credo ».
« E stava in quella grotta come nella sua casa? »
« Precisamente, Piccolo Tonno ».
« Ah!... San Gennaro, aiutami! »
« Cosa c'è? »
« Oh! l'orribile mostro! »
« Fulmini!... ancora lui!... Signor Emilio! »
Albani, che aveva allora terminato di lavarsi, guadagnò
prontamente la riva, ma subito si arrestò. Dalla caverna marina usciva in quel
momento il mostro che li aveva poco prima assaliti, tentando di tornare in
mare.
Quel calamaro gigante faceva paura. Era di dimensioni
enormi, poiché poteva pesare mille chilogrammi, biancastro ma quasi gelatinoso,
con braccia lunghe sei metri, fornite d un gran numero di ventose destinate a
succhiare il sangue delle vittime, con un becco grandissimo, di
sostanza cornea, che somigliava nella forma a quello dei
pappagalli, e due occhi grandi, piatti, glauchi. S'avanzava penosamente,
essendogli state recise tre braccia, e cercava di approfittare delle onde che
la risacca scagliava contro la caverna.
« Fuggite! '' gridò il signor Emilio.
Sul fianco destro della caverna si prolungava una fila di
scoglietti, gli uni collegati agli altri da banchi di sabbia che la bassa marea
aveva lasciati scoperti, e che si univano all'altra sponda. I naufraghi senza
più esitare si slanciarono verso quegli scogli, cercando di giungere presso la
riva, e si arrestarono dinanzi a una rupe gigantesca che s'inalzava per due o
trecento piedi. Il calamaro gigante, fortunatamente, pareva che non pensasse a
dare loro una seconda battaglIa, ma solo a raggiungere il mare. Attese che una
nuova onda giungesse presso la caverna, e quando la vide ritirarsi si lasciò
trascinare via.
Per qualche istante furono vedute le sue braccia agitarsi
fra la spuma, poi l'intera massa
scomparve sott'acqua.
« Buon viaggio! » gridò il marinaio, respirando
liberamente. « Fulmini!... Come era brutto!... Non ne ho mai visto uno
simile!... »
« I cefalopodi sono piuttosto rari », disse Albani.
« Si chiamano cefalopodi, quei mostri?... »
« Sì, Enrico ».
« Sono pericolosi? ... »
« Posseggono tale forza nelle braccia, da stritolare un
uomo robustissimo. Aggiungi poi che le loro ventose dove si applicano succhiano
il sangue, e se tu non fossi stato vestito, le avresti
provate ».
« Ma il furfante morrà, così mutilato ».
« Non crederlo, amico mio. I cefalopodi hanno la vita
dura e per ucciderli bisogna colpirli
al cuore o meglio ai cuori, poiché ne hanno tre».
« Ma ha perduto tre braccia, signore ».
« Col tempo le rifarà ».
« Cosa dite?.. Torneranno a crescergli le braccia?... »
« Sì, fra sette anni. Ma lasciamo andare il cefalopodo e
cerchiamo di scalare questa costa. Vedo degli alberi lassù che promettono delle
frutta, se non m'inganno ».
« Siamo marinai, signore, e spero che ci riusciremo ».
Il sole spuntava allora, illuminando il mare e l'isola.
Alzando gli occhi verso l'alta sponda,
i naufraghi ormai distinguevano perfettamente degli alberi
di mole enorme, coperti di folte e
grandi foglie, in mezzo alle quali apparivano delle
grosse f.rutta spinose, di forma un po'
allungata.
« Se non m'inganno sono durion », disse il signor Emilio.
« Sarà un po' difficile far cadere
quelle frutta, ma chissà che a terra non ve ne siano ».
Si misero a osservare la rupe, ma alla base essa era così
liscia, da non permettere la salita
nemmeno a un gatto o ad una scimmia. Quattro metri più
sopra però vi erano numerosi crepacci e radici e sterpi, i quali potevano
offrire appigli per una scalata.
« Corpo d'un tre alberi sventrato! » esclamò il marinaio,
che si rompeva inutilmente le unghie contro quella parete liscia e dura. « Che
non si possa giungere lassù? »
« Colla pazienza ci riusciremo », disse il signor Emilio.
« Dov'è il rottame? »
« Si è arenato presso la caverna », rispose il mozzo.
« Va' a tagliare un paterazzo dell'albero ».
Il mozzo si recò presso la caverna e poco dopo ritornò
tirando la lunga e grossa gomena incatramata.
« Formiamo ora una scala umana », disse il veneziano. «
Tu, Enrico, appoggiati alla rupe; io salgo sulle tue spalle e Piccolo Tonno
sulle mie, portando con sé il paterazzo ».
« Sarai poi capace di salire? » chiese il marinaio al
mozzo.
« Mi basta puntare un piede e una mano in una di quelle
fessure », rispose Piccolo Tonno.
« Avanti, allora! »
Il marinaio s'appoggiò alla rupe inarcando il robusto
dorso, il signor Emilio gli salì sulle
spalle con un solo salto, poi il mozzo, che si era legata
la fune attorno ai fianchi, sormontati i due uomini s'arrampicò sulla roccia
con un'agilità da scoiattolo, aggrappandosi a una radice e puntando i piedi
nudi entro un crepaccio.
« Ci sei? » chiese il marinaio.
« Salgo », rispose il ragazzo.
Il signor Emilio balzò a terra e guardò in aria. Piccolo
Tonno s'arrampicava sul fianco della rupe con rapidità sorprendente e con
sicurezza, tenendosi stretto agli sterpi o alle radici e approfittando delle
più lievi sporgenze e delle più piccole fessure.
In pochi istanti raggiunse felicemente la vetta della
grande rupe che si addossava alla spiaggia.
« Che cosa vedi? » chiese il marinaio, impaziente.
« Tanti alberi e delle canne immense ».
« Vi sono delle capanne? » chiese il signor Emilio.
« Non ne vedo ».
« Lega la fune, poi gettala ».
« Signor Albani!... »
« Cosa c'è ancora?... »
« Vedo delle scimmie ».
« Non valgono il giupin, ma allo spiedo basteranno pei
nostri stomachi affamati '', disse il
marinaio.
« Giù la fune, ragazzo mio!... »
Il mozzo legò un capo del paterazzo attorno alla punta
d'una roccia e gettò l' altro, il quale
cadde in acqua.
« A voi, signore », disse Enrico.
Albani afferrò la fune e si mise a salire con una
destrezza che dimostrava la sua famigliarità
colla ginnastica, e raggiunse il mozzo, il quale ammirava
estatico alcuni uccelli dalle penne
splendide, che volteggiavano attorno agli alberi.
Quella parte dell'isola, le cui sponde erano così
elevate, pareva fosse assai accidentata e formasse le ultime pendici della
montagna già scorta, la quale s'alzava a meno di un miglio dal
mare. Il terreno saliva e scendeva in forma d'ondulazioni
assai accentuate, ed era coperto da
folte boscaglie, le quali poi s'arrampicavano sui fianchi
del monte.
Si vedevano alberi d'ogni specie incrociare i rami, tanto
crescevano uniti, gli uni altissimi e
grossi assai, altri esili e più bassi e altri ancora
nodosi e contorti, tutti coperti da piante rampicanti che formavano dei
pittoreschi festoni.
Molti uccelli di diverse specie volavano qua e là
fuggendo in mezzo agli alberi più folti, mentre sulle sponde volteggiavano
bande di rondini salangane e parecchi volatili acquatici.
Nessuna traccia d'abitanti si scorgeva su quella costa:
non canotti, non capanne, non un fuoco o del fumo che indicassero la presenza
di qualche abitante. Si vedevano invece numerose scimmie, di quelle chiamate
nasi lunghi (Nasalis lardatus), dalla fisonomia comica, col naso lungo, grosso,
a punta rigonfia e rossa come quella dei discepoli di Bacco, occupate a
saccheggiare le frutta degli alberi.
« Nessun abitante, signore? » chiese il mari naio
raggiungendo Albani.
« No, finora », rispose questi.
« E da mettere sotto i denti, nulla? ...Ho un appetito
formidabile e vi assicuro che darei un
anno di vita per una zuppiera di quel giupin, che papà
Merlotti sapeva fare così delizioso ».
« E io due per un piatto di maccheroni col pomodoro »,
disse il mozzo.
« Per ora vi accontenterete delle frutta di questi durion
», rispose Albani sorridendo.
« Sono buone almeno? » chiese il marinaio.
« Le migliori e le più nutrienti di tutte, ma.... »
« C'è un ma?... »
« Non so se saprete vincere l'odore ingrato che esalano
».
« Toh!... Sono le frutta più squisite e hanno un profumo
che non tutti possono affrontare!... Che specie di frutta sono dunque? »
« Deliziose, ti ho detto ».
« Puzzassero anche di catrame, io le manderò giù », disse
il mozzo. « Ho lo stomaco vuoto che
reclama la colazione molto imperiosamente ».
« Seguitemi », disse Albani. « Ecco delle frutta ben
mature, che sono già cadute ».
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