CAPITOLO VI
I «robinson» italiani
Presso un piccolo poggio sorgeva un gruppo d'alberi
altissimi, col tronco grosso assai e perfettamente liscio, coperti, a
un'altezza di sessanta o settanta piedi dal suolo, da foglie assai folte. Ai
piedi di quei colossi si vedevano delle frutta grosse come la testa d'un uomo,
ma di forma oblunga, coperte da una buccia verde giallognola, irta di punte
acutissime, lunghe
parecchi centimetri. Alcune erano ancora chiuse, ma altre
presentavano delle fessure dalle
quali sfuggiva un odore niente affatto piacevole, poiche
rassomigliava a quello che esalano i
formaggi putridi e raglio guasto. Attraverso quelle
spaccature però si scorgeva una polpa
biancastra, che pareva promettente.
« Che odore! » esclamò il marinaio, arricciando il naso e
facendo una brutta smorfìa.
«Quest'albero produce del gorgonzola un po' troppo
guasto! »
« O del caciocavallo putrido? » chiese il mozzo.
« Toh! » esclamò il veneziano. « lo vi offro le migliori
e più delicate frutta della flora malese e voi cominciate già a protestare ».
« Le vostre frutta saranno squisite, signore, ma
tramandano un profumo tale da far scappare perfìno i cani ».
« Io invece ti dico, Enrico, che i cani addenterebbero
subito e con molto piacere la polpa di queste frutta, anzi ti dirò che ne sono
ghiottissimi, avendo essa il sapore d'una sostanza
animale più che vegetale. Orsù, non fate gli schizzinosi
».
Il signor Albani spaccò un frutto, adoperando la scure
per non ferirsi le mani con quelle punte pericolose, ed estrasse la polpa che
esso conteneva, facendo uscire dei grossi semi avviluppati in una pellicola. .
« Inghiottisci questa polpa », disse, offrendola al
marinaio. « Se l'odore Ingrato ti da noia,
turati il naso ».
Il marinaio, quantunque avesse i suoi dubbi sulla
squisitezza di quelle frutta, ne mise un
pezzo in bocca e, contro ogni previsione, lo inghiottì
avidamente.
« Ma è deliziosa! » esclamò. « Migliore della crema più
delicata, e profumata più delle frutta
dei nostri paesi. Mangia, Piccolo Tonno, mangia!... I
gelati della tua Napoli perdono nel confronto ».
Il mozzo, incoraggiato da quelle parole, si turò il naso
e mandò giù.
« Chi direbbe cne queste frutta così puzzo lenti siano
così buone! » esclamò. « Ancora, signor Emilio, ancora! »
Le frutta abbondavano e, possedendo la scure, i naufraghi
non si trovavano impacciati ad aprirle. Abituatisi presto a quell'odore
ingrato, fecero una vera scorpacciata di quella polpa
tenera e delicata.
« Ma i semi non si mangiano? » chiese il marinaio.
« Sì », rispose Albani. « Si arrostiscono come le nostre
castagne, e ne hanno anche il sapore».
« Signor Albani, facciamo una raccolta di queste frutta
».
« Si guastano presto, Enrico, e quindi non ne vale la
pena; e poi questo cibo è sostanzioso
fino a un certo punto. Bisognerà trovare qualche cosa di
più solido ».
« Della carne? Credete che vi siano degli animali in
quest'isola? »
« E perché no? Troveremo dei babirussa, dei tapiri forse,
delle scimmie e fors'anche degli animali pericolosi: delle tigri, per esempio
».
« Delle tigri!... Diavolo!... E noi non abbiamo che una
scure e due coltelli! Non so cosa
accadrebbe di noi se uno di quegli animali ci
assalisse!... Udiamo, signore: che cosa avete intenzione di fare? Mi pare che
la nostra situazione non sia molto brillante ».
« Sedetevi ed ascoltatemi, amici miei », disse Albani. «
lo non so in quale isola siamo approdati, ma credo che sia una di quelle che
formano l'Arcipelago di Sulù e che sia disabitata. Forse m'ingannerò, ma temo
che noi siamo destinati a fare la vita dei Robinson e ad intraprendere una vera
lotta, per poterci trarre d'impiccio. Questo mare poco noto, poco frequentato
dalle navi, essendo noi lontani dalle linee ordinarie dei
velieri che dalle isole della Sonda si recano alle Filippine, non ci offrirà
tanto presto l'occasione di venire raccolti, e chi sa per quanto tempo saremo
costretti a rimanere qui. Fortunatamente, se quest'isola sembra deserta, è
ricca di piante, e la flora malese può procurare, per chi sappia approfittarne,
mille cose sufficienti ai bisogni della vita.
« Non scoraggiatevi quindi: si tratta di lavorare e, se
Dio ci protegge, spero di potervi far passare tranquillamente, senza timori e
senza sofferenze, tutto il tempo che saremo costretti a fermarci su quest'isola.
Siamo i più poveri di tutti i 'Robinson' poichè gli altri, cominciando da
Selkirk, il caposcuola, l'eroe di Daniel de Foe, possedevano almeno delle armi
da fuoco, mille cose utilissime che traevano dalle loro navi naufragate; ma
colla fermezza e colla volontà noi nulla avremo da invidiare agli altri.
Intanto, amici miei, pensiamo a fabbricare un ricovero, che è la cosa più
urgente di tutte. Col tempo poi fabbricheremo delle armi mortali quanto i
fucili...»
« Delle armi!... » esclamarono i due marinai stupiti. «
Ma dove le troverete? »
« A suo tempo lo saprete », rispose Albani.
« Poi cercheremo il pane... »
« Anche il pane!... »
« Sì, amici, e vi assicuro che il forno che costruiremo
avrà molto da lavorare ».
« Fulmini! »
« Terremoto del Vesuvio! »
« Poi verrà il resto. Avremo del vino, dell'olio,
candele, stoviglie ecc. Conosco la flora
malese e so quante cose indispensabili alla vita può
produrre. La natura penserà a darci tutto».
« Ma voi siete un grand'uomo, signore! » esclamò il
marinaio.
« Niente affatto », rispose Albani, sorridendo. « Ho
viaggiato assai, specialmente nella Malesia, e metterò a profitto tutto ciò che
ho imparato nelle mie escursioni. Al lavoro, amici!... Prima di questa sera,
bisogna avere un ricovero ».
« Ma non abbiamo ancora bevuto, signore » disse il
marinaio, « ed io sarei ben felice di poter ingollare un sorso d'acqua ».
« Ecco una pianta che ci darà dell'acqua buonissima »,
rispose il veneziano. « La natura comincia il suo ufficio di provveditrice dei
'Robinson' ».
Egli si era avvicinato a una specie di liana ramosissima
che s'arrampicava attorno a un durion, formando dei graziosi festoni, e aveva
impugnnato il coltello del mozzo.
« Preparatevi ad accostare le labbra », disse.
Con un colpo secco la troncò, e dai due capi si videro
tosto sgorgare due zampilli d'acqua limpidissima.
« Non sarà velenosa, signore? » chiese il marinaio,
esitando.
« No, uomo diffidente: bevi con tuo comodo: ce n'è per
tutti ».
Enrico e il mozzo applicarono le labbra ai due pezzi
della liana e bevettero avidamente, poi lasciarono il posto al signor Albani,
che si era rifiutato di accettarlo prima.
« È vera acqua, signore », disse il marinaio.
« Ma che specie di pianta è questa, che fa l'ufficio
delle fontane?».
« È chiamata aier dagli abitanti delle Molucche e d'
Amboina, ma è poco conosciuta dai naturalisti europei. Solamente Rumfìo e il
nostro Rienzi, il valoroso esploratore di queste regioni, ne hanno fatto cenno.
È però comunissima e gl'isolani ne fanno molto uso quando l'acqua diventa
scarsa nei serbatoi e nei torrenti. So che anche le frutta di questa liana
contengono molto umore acqueo ».
« Che piante strane! » esclamò Piccolo Tonno.
« Ne troveremo delle altre che ci daranno dell' acqua.
Seguitemi, amici ».
« Dove ci conducete? ...»
« A trovare i materiali per la nostra capanna. Vedo
laggiù una piantagione di bambù, e quelle canne robustissime e facili a
trasportarsi ci serviranno a meraviglia ».
« E i rottami non possono servirci? »
Il veneziano parve colpito da quella domanda.
« È vero », disse. « Vi sono i cordami, le vele e anche
le aste di ferro dei pennoni, che ci possono giovare per molti usi. È meglio
che riportiamo tutto ciò a terra, prima che la marea respinga il rottame al
largo. Questa notte potremo accontentarci d'una tenda ».
Tornarono verso la spiaggia, cercando un passaggio che
permettesse loro di scendere verso il mare, e lo trovarono a duecento passi
dalla grande rupe. Colà la sponda s'abbassava dolcemente formando una piccola
cala, entro la qua1e avrebbe potuto trovare un comodo
rifugio un piccolo bastimento, essendo essa difesa da una
doppia linea di scogliere.
Denudatesi le gambe per traversare i banchi sabbiosi, che
costeggiavano la sponda, sommersi a causa dell'alta marea, si diressero verso
la caverna marina, dinanzi alla quale trovarono ancora arenato il rottame. Si
misero tosto all'opera per ricavare tutto ciò che poteva essere loro
necessario. Il legname era inutile, essendovene ad esuberanza nell'isola ed
essendo preferibile adoperare i bambù, i quali si prestano meglio di tutti alle
costruzioni delle capanne; ma s'impadronirono delle funi, dei paterazzi e delle
sartie, che potevano essere molto utili, quindi levarono tutte le ferramenta
dei pennoni e specialmente le sbarre che servono d'appoggio ai gabbieri, e poi
le vele, che erano tre: quella di gabbia, di pappaffco e di contropappafìco.
« Serviranno a fare delle, amache e dei vestiti », disse
il veneziano. « La tela è ancora in buono stato ».
« Ma ci mancano gli aghi, signore », disse il mozzo.
« Troveremo il modo di fabbricarne ».
« Di acciaio?..»
« Non ho questa pretesa, ma certe ossa di pesci ci
serviranno a meraviglia ».
« Lo dite sul serio? » chiese Enrico.
« Certo, incredulo marinaio. Gli abitanti nordici, gli
Esquimesi per esempio, credi che abbiano degli aghi d'acciaio?.. No, si servono
di
ossa di pesci e noi li imiteremo ».
« E il filo?... »
« Lo avremo dalle vele, quantunque io sia certo di
trovare qui degli alberi che potrebbero procurarcelo. L'arenga saccharifera
produce una
sostanza cotonacea che i malesi adoperano come esca e che
si potrebbe filare ».
« Ma voi, signor Emilio, siete un uomo miracoloso.
Sapreste procurarvi tutto anche in un'isola deserta ».
« Sì, purche abbia degli alberi », rispose il veneziano,
ridendo. «Orsù, torniamo alla sponda ».
Si caricarono d'una parte degli oggetti ricavati dal
rottame e riguadagnarono il gruppo di durion, presso cui contavano di
accamparsi finché non avessero trovato un posto migliore. Dopo essersi un po'
riposati, scesero nuovamente la sponda e riportarono il resto.
Erano allora le quattro pomeridiane, a giudicare
dall'altezza del sole. Essendo troppo stanchi per cominciare nuovi lavori,
colla vela
di gabbia che era molto grande e con pochi rami d'albero
improvvisarono una comoda tenda, quindi fecero un'ampia raccolta di legna
secca, alfine di mantenere il fuoco acceso durante la notte, temendo qualche
visita pericolosa da parte degli abitanti a quattro gambe della foresta.
Fortunatamente avevano la possibilità di accendere quella legna, avendo il
marinaio ritrovato in una delle sue tasche l'acciarino, la pietra focaia e
l'esca, che conservava in una scatola metallica assieme alla pipa, diventata,
ohimè, inutile ormai, per la mancanza di tabacco.
Il pranzo fu molto magro, quella sera; ma si
accontentarono. La minuta era semplice, ma fortunatamente abbondante:
granchiolini di
mare arrostiti sui tizzoni, delle ostriche, delle frutta
di durion e una sorsata d'acqua data da un'altra liana, che avevano scoperto a
breve distanza dalla piantagione di bambù.
«A chi il primo quarto di guardia? » chiese Albani. « Non
sarebbe prudente che ci addormentassimo tutti, poiche non sappiamo quali
animali si nascondano nei boschi o quali uomini abitino
quest'isola».
« Lo farò io », disse il marinaio.
« Bada di non lasciar spegnere il fuoco ».
« Non abbiate timore ».
« E se scorgi qualche cosa di sospetto, chiamaci senza
indugio ».
« Dormite tranquilli ».
Il signor Emilio e il mozzo scivolarono sotto la tenda,
mentre il marinaio si sdraiava presso il fuoco colla scure a portata di mano.
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