CAPITOLO XI
« Mias Pappan » e « Boa Constrictor
»
Si erano coricati subito dopo il tramonto del sole,
contando di alzarsi prima dell'alba, per mettersi al lavoro.
Dormivano profondamente, sognando già trappole piene di
animali e recinti popolati di tapiri, di babirussa, di scimmie d'ogni specie e
di uccelli, quando un urto, che fece oscillare vivamente
l'intera costruzione aerea, svegliò bruscamente il mozzo, che si era
addormentato sulla piattaforma esterna, per godersi il fresco della notte.
Dapprima credette di aver sognato e si limitò a gettare
all'intorno uno sguardo assonnato; ma un secondo scrollo, che fece gemere i
bambù della capanna, lo decise ad alzarsi per vedere di che cosa si trattava.
Si trascinò sull'orlo della piattaforma e guardò giù.
La luna, allora sorta, rischiarava tutta la costa come in
pieno giorno e permetteva di distinguere minutamente ogni cosa. Si può
immaginare quale fosse lo stupore del piccolo mozzo nello scorgere, appeso alle
traverse che servivano di sostegno alla casa aerea, uno strano animale che
rassomigliava a un uomo.
«Toh! » esclamò, più meravigliato che atterrito. « Un
selvaggio che si diverte a fare della ginnastica sottò di noi! Quel signore è
allegro, a quanto sembra ».
Quell'essere singolare, che invece di dormire si
divertiva a fare dei capitomboli, delle orizzontali e delle verticali con una
sveltezza da
muovere ad invidia un maestro di ginnastica, pareva che
si preoccupasse, almeno pel momento, di capire che cosa fosse quella
costruzione sospesa fra cielo e terra. Balzava da un bambù all'altro, eseguiva
dei volteggi meravigliosi e manifestava la sua soddisfazione con certi grugniti
e certi soffi potenti, tali da suscitare una viva
apprensione nell'animo del mozzo.
« Lave del Vesuvio! » esclamò questi. « Ma che voce ha
quell'uomo? Sembra che abbia in gola una canna d'organo o un contrabasso! »
S'alzò per andare a svegliare i compagni, ma uno scossone
più violento degli altri lo fece stramazzare sulla piattaforma.
« Corpo d'un pappafìco! » esclamò. « Crolla la capanna ».
Quasi nello stesso istante la voce di Enrico gridò:
« In piedi! Il terremoto! »
E il marinaio si slanciò sulla piccola piattaforma,
seguìto dal signor Albani il quale, non credendo affatto al terremoto, s'era
invece armato d'una cerbottana e di alcune frecce tinte nel succo dell'upas.
« Che cosa succede, Piccolo Tonno? » chiese Enrico,
scorgendo il mozzo. « È il terremoto?. »
« Sì, ma un terremoto a quattro gambe che fa una
ginnastica indiavolata », rispose il mozzo.
« Che cosa vuoi dire? » chiese Albani.
« Che vi è da basso un certo uomo che si diverte a
scrollare la nostra capanna ».
« Un uomo!... » esclamarono il genovese e il veneziano.
« Potete vederlo: è sotto di noi ».
S'appressarono entrambi all'orlo della piattaforma, ma
subito retrocessero vivamente. Il misterioso personaggio, udendo senza dubbio
quelle voci, si era arrampicato fino alla piattaforma, sporgendo innanzi la
testa. Altro che uomo!... Quella testa, se rassomigliava a una testa umana, era
ben brutta!... Era una testaccia
enorme, coperta di folti peli rossicci, colla faccia
larga solcata di rughe profonde, gli zigomi assai sporgenti, una bocca così
larga che andava da un orecchio all'altro, armata d'una doppia fila di denti
bianchissimi e acuti come quelli delle tigri.
L' espressione di quel volto era così feroce, da
agghiacciare il sangue.
« Tuoni di Genova! » esclamò il marinaio.
«Che uomo è questo?.. »
« Indietro! » gridò Albani, con voce alterata.
« Il mias pappan è peggiore delle tigri ».
Il marinaio e il mozzo, quantunque ignorassero che cosa
fosse un mias pappan, furono lesti a girare sui talloni.
Il mostro guardò i tre naufraghi con due occhi che
mandavano sinistri bagliori, fece udire un rauco brontolio, poi scomparve,
imprimendo ai bambù un tale urto, che l'intera capanna parve sul punto di
sfasciarsi.
« Fulmini! » urlò il marinaio, precipitandosi verso la
scure.
« Un altro urto come questo e ci romperemo le gambe! »
gridò il mozzo.
Il signor Albani, che pareva in preda a una viva
agitazione, aveva cacciato rapidamente una freccia nella cerbottana e si era
steso presso l'orlo della piattaforma. Aspettava che il mostro
formidabile apparisse, per lanciargli la freccia mortale.
Il mias però pareva che non avesse fretta di lasciare i
bambù di sostegno, e lo si udiva brontolare e soffiare proprio sotto la
piattaforma.
Pareva che fosse occupato a fare qualche cosa, forse a
slegare i sostegni, perche la capanna continuava a subire delle scosse
fortissime.
« Signore », esclamò il marinaio, volgendosi verso
Albani, il quale cercava di puntare la cerbottana. « Se queste scosse
continuano, la
nostra capanna farà un tremendo capitombolo ».
« Lo so, ma non riesco a scorgere quel dannato orangoutan
», rispose il veneziano.
« Si tratta d'una scimmia, dunque? »
« Sì, ma delle più formidabili, e che può tenere testa a
dieci uomini armati di fucili ».
« Fulmini!... »
« Zitto ».
In mezzo ai cespugli che crescevano presso il recinto si
era udito un grido, una specie di urlo lamentevole che aveva qualcosa d'umano.
« Chi si lamenta? » chiese il marinaio stupìto.
« Pare che succeda q,ualcosa fra i cespugli », disse
Albani.
« Il mostro! » esclamo Piccolo Tonno.
«Eccolo là, guardatelo! »
Infatti l'orangoutan con un balzo immenso si era lanciato
sui bambù esterni, e discendeva con rapidità fulminea.
Quello scimmione faceva paura. Era alto quanto un uomo di
media statura: il suo petto ampio, tozzo, muscoloso, eccessivamente grosso, era
coperto d'un lungo pelame rossiccio: le sue spalle larghe, potenti, con un
ossatura enorme, dimostravano che quell'essere doveva possedere una vigoria
straordinaria, incalcolabile: le sue braccia lunghe un metro e più, nodose come
tronchi d'albero, irte di muscoli, terminavano in certe manacce armate d'unghie
robuste e leggermente arcuate, e le sue gambe massicce, enormi, finivano in
piedi di dimensioni esagerate, pure armati d'unghie ricurve.
Questi scimmioni, che i malesi ed i dayachi chiamano mias
pappan o mias kassà, vivono nascosti nelle più fitte foreste del Borneo e delle
isole vicine, tenendosi per lo più sugli alberi. Dotati d'un vigore tremelldo e
d'una agilità meravigliosa, salgono con rapidità fulminea sulle piante più alte
per provvedersi di frutta, e sono capaci di attraversare una foresta intera
senza mai scendere a terra.
Non si trovano però a disagio a terra e corrono
facilmente, non mantenendosi diritti ma servendosi delle mani e dei piedi. Il
loro galoppo è uno dei più stravaganti e ridicoli, muovendo essi
simultaneamente il braccio e la gamba destra e poi il braccio e la gamba
sinistra, sicche dànno l'impressione di correre obliquamente.
Consci della loro forza, affrontano coraggiosamente le
più formidabili fiere delle foreste: non temono né gli uomini, né i
coccodrilli, né i serpenti, né le tigri, e quando sono assaliti sono d'una
ferocia spaventevole.
Lasciati tranquilli però, non assalgono nessuno e se
incontrano degli uomini si limitano a guardarli con curiosità, poi proseguono
tranquillamente la loro via.
Il mias che era salito sui bambù della capanna, attratto
senza dubbio da una irresistibile curiosità, doveva avere dei gravi motivi per
scendere così precipitosamente, almeno cosi suppose il veneziano, che invece di
inviargli la freccia mortale rialzò la cerbottana, curioso di sapere che cosa
stesse per accadere.
Giunto a terra, il mias pappan attraversò con un sol
balzo il recinto e si precipitò verso i cespugli, emettendo una specie di
latrato furioso. A un tratto, un oggetto lungo lungo e grosso gli piombò
addosso e gli si avvolse intorno da capo a piedi.
« Un boa!... » esclamò il veneziano.
« Un serpente? » chiesero il marinaio e il mozzo.
« Sì, amici: è un avversario degno del mias ».
Il veneziano non s'ingannava. I boa constrictor sono
avversari capaci di tener testa alle tigri e anche agli orangoutan, poiché
posseggono tale forza da stritolare fra le loro spire perfino un bue.
Sono i più lunghi e i più grossi di tutti, poiché sovente
arrivano ai nove e perfino ai dieci metri, e hanno una circonferenza che
eguaglia
le cosce d'un uomo. Non sono velenosi, ma sono forse più
pericolosi degli altri, poiché quando riescono ad afferrare una preda non la
lasciano più. Si accontentano anche di prede piccole: di topi, di rane, di
lucertole, di scimmie; ma, se riescono, non lasciano sfuggire né le tigri, né i
babirussa, né i tapiri, né i mias, quantunque soccombano di frequente nelle
lotte con questi ultimi.
L'orangoutan, sentendosi imprigionare di colpo dal boa e
vedendo sopra di se la testa del rettile, i cui occhi dardeggiavano su di lui
sguardi d'ardente cupidigia, aveva lanciato un grido rauco, furioso. Essendogli
rimasto un braccio libero, afferrò il rettile sotto la testa e lo torse come
fosse stato una pagliuzza, ma le spire non si sciolsero, anzi si strinsero con
maggior vigore, facendo scricchiolare la potente ossatura dell'uomo dei boschi.
Quella stretta doveva essere tremenda, poiché si vide lo
scimmione dilatare spaventosamente la bocca, come se l'aria fosse per mancargli,
e i suoi occhi, che mandavano sinistri bagliori, uscire quasi dalle orbite. La
sua robusta mano afferrò la testa del rettile e la schiacciò come fosse una
nocciuola; poi coi piedi armati di quelle unghie robuste che con un sol colpo
sventrano un uomo, si mire a lacerargli la coda, facendola a brani.
Il serpente sibilava di rabbia, perdeva sangue dalle due
estremità, ma ancora non si decideva ad abbandonare l'avversario, e pareva che
approfittasse delle ultime convulsioni dell'agonia per
raddoppiare la stretta irresistibile. A un tratto si sentì come uno
scricchiolìo d'ossa infrante, e rettile e mias caddero entrambi a terra, ancora
strettamente avvinti.
« Morti? » chiesero il marinaio e il mozzo, che avevano
seguito, con viva ansietà, le fasi di quella tremenda lotta.
« Mi pare di udire ancora la respirazione del mias »,
rispose il veneziano. « Sarà cosa prudente lanciargli una freccia, prima di
scendere».
Alzò la cerbottana e soffiò dentro con forza. Il dardo
silenzioso partì rapido e andò a conficcarsi nel petto dell'uomo dei boschi.
Si udì un sordo grugnito, ma poco dopo la respirazione
della scimmia gigante cessava.
« Ora possiamo discendere », disse Albani.
« No, signore! » esclamò il mozzo.
« Perché?.. Sono morti entrambi ».
« Guardate, là, presso i cespugli ».
Il veneziano e i marinaio guardarono nella direzione
indicata e videro uscire dai cespugli una scimmia di statura superiore a un
metro e di complessione robusta. S'avanzava titubando verso il gruppo formato
dal mias e dal boa, emettendo dei gemiti che avevano qualche cosa d'umano.
« È il figlio dell'orangoutan » disse Albani.
« Era adunque una femmina », disse il marinaio. « Povero
piccino!... Potrà vivere solo? »
« È già sviluppato », rispose Albani.
« Lo lasceremo andare?.. »
« Penso che potrebbe esserci utile, Enrico».
« Quello scimmiotto!... »
« Faremo di lui un valente e robusto servitore ».
« Ma quando diverrà grande ci accopperà, signore ».
« I dayachi ne adottano spesso e non hanno mai avuto da
lagnarsi. In schiavitù pare che perdano i loro istinti feroci. Quel mias, col
suo
vigore straordinario, ci potrà rendere dei grandi servigi
».
« Allora andiamo a prenderlo, io avrò cura di lui,
signore », disse il Piccolo Tonno. «Mi piacciono assai le scimmie ».
Si lasciarono scivolare dai bambù che servivano loro come
di scala e s'avvicinarono al giovane mias, il quale continuava a girare attorno
alla madre morta, emettendo acuti gemiti. Il marinaio
l'afferrò per le braccia e cercò di trascinarlo nel recinto, ma ricevette una
spinta così poderosa, che cadde colle gambe in aria.
« Terremoto! Che vigore! » esclamò.
« Prendiamolo colle buone », disse Albani.
Si mise ad accarezzarlo e gli offrì delle frutta. Il
piccolo mias dapprima si mostrava diffidente, ma finì coll'accettare e divorare
con ingordigia la deliziosa polpa dei durion.
A poco a poco, coll'offerta di sempre nuove frutta, fu
attirato nel recinto, e il marinaio lo legò con una robusta gomena senza
ricevere
altre spinte.
« Si abituerà presto », disse Albani. « Fra due settimane
ci seguirà come un cagnolino e fra un mese avremo un ottimo servitore e un
abile
provveditore di frutta. Lasciamolo ora tranquillo e
riprendiamo il nostro sonno ».
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