CAPITOLO XIX
I babirussa
Il sonno del marinaio si prolungò fino al mezzodì, sempre
tranquillo, regolare.
Quando aprì gli occhi, il bravo genovese parve stupito di
trovarsi coricato sotto quella tenda improvvisata, fra i suoi due compagni e lo
Sciancatello, che si era accoccolato ai suoi piedi, come se avesse indovinato
che il suo amico era ammalato.
« Che cosa fate qui? » chiese, guardando ora il signor
Albani ed ora il mozzo, che lo osservavano sorridendo.
Poi si rammentò subito di quanto era avvenuto.
« Ma non sono morto?. » esclamò. « Ah!... Signor Albani,
vi devo la vita!... Mio Piccolo Tonno, io non speravo di vederti più! »
« Come stai? » chiese il veneziano, stringendogli
affettuosamente la mano che gli veniva sporta.
« Sono debole, assai debole, signore, e mi pare di aver
la testa vuota; ma mi sento vivo e ciò mi basta, potete credere », disse il
marinaio sorridendo. « Provo ancora dei dolori acuti alla gamba ferita, ma bah!
cesseranno. Terremoto!... Mi avete proprio calcinato le carni ».
« Era necessario, Enrico; se non avessi agito così,
avresti corso pericolo di morire in capo a un quarto d'ora ».
« Piuttosto di abbandonare voi, avrei preferito perdere entrambe
le gambe ».
« Basta », disse Albani, vedendo che il marinaio faceva
degli sforzi crescenti per terminare le parole. « Manda giù questa tazza di
brodo e poi torna a chiudere gli occhi. Il riposo ti farà molto bene ».
« Lo credo anch'io, signore. Mi sento invadere da una
nuova sonnolenza irresistibile ».
Vuotò la tazza di brodo, poi ingollò alcuni sorsi di
tuwak, quindi tornò a coricarsi. Pochi minuti dopo s'addormentava, ma non era
un
assopimento, era un vero sonno.
Durante l'intera giornata, il signor Albani e il mozzo
vegliarono accanto al ferito, in compagnia di Sciancatello il quale, vedendo il
suo amico coricato, di tratto in tratto rompeva in gemiti lamentevoli. Verso il
tramonto il marinaio, che si sentiva meno debole e in appetito, mangiò una
coscia di tucano e stritolò un biscotto, innaffiando la cena con una nuova e
più abbondante sorsata di tuwak.
I suoi compagni erano contentissimi di quella rapida e
veramente prodigiosa guarigione. Lo stesso marinaio, che al mattino si credeva
già spacciato, era meravigliato.
« Quasi si potrebbe credere che i serpenti dagli occhiali
non sono così velenosi come raccontano i viaggiatori », diss'egli. «Dovevo
morire in un quarto d'ora ed invece sono più vivo di prima ».
« Puoi ringraziare quel povero scoiattolo, che ha
ricevuto prima di te la provvista di veleno del rettile », disse Albani. «
Senza quel fortunato caso, saresti morto ».
« Malgrado le vostre cure?.. »
« Sono mezzi che riescono contro i morsi delle vipere, ma
assai di rado contro quelli dei cobracapelo o dei serpenti del minuto ».
« Ma dove hanno il loro magazzino di veleno, quei dannati
rettili? ... Nei denti, forse?.. »
« In una glandola situata nella mascella superiore. Basta
una leggera pressione perché il liquido mortale esca e scenda attraverso i
denti per mezzo di due appositi canaletti ».
« E si muore sempre? »
« Sempre no, poiché dipende dalla maggiore o minor
quantità di veleno iniettato nella ferita. Una piccola dose può cagionare solo
una breve malattia, o dei gravi disturbi, che possono, dopo un dato tempo,
produrre la morte.
Certi altri serpenti, pure velenosi, producono sovente
delle malattie assai strane, ma senza uccidere. Sono gonfiezze dolorose, che si
riproducono tutti gli anni nell'epoca stessa in cui fu ricevuto il morso, o
eruzioni di vesciche che durano parecchi mesi e che continuano a ripetersi ogni
anno, causando alle vittime dolori di capo, debolezza, oppressioni di cuore ».
« E quando si riceve tutta la scarica di veleno, si muore
presto?.. »
« Ecco: il minutesnake o serpente del minuto, che è uno
dei più piccoli, essendo lungo appena venti centimetri, uccide ordinariamente
in novantasei secondi; il cobracapelo, come ti dissi, in un quarto d'ora; i
serpenti a sonagli pure in quindici minuti, ma talvolta anche in due soli; il
serpente di Giava in cinque minuti, ma alcuni
uomini che subirono il suo morso vissero pure dieci e
perfino sedici giorni; la vipera europea può uccidere un bambino in un'ora, ma
un adulto sopravvive anche alcune settimane ».
« È vero, signore, che il veleno si può bere impunemente?
...»
« Qualche volta sì, specialmente quando lo stomaco non ha
compiuto la digestione; ma è sempre pericolosissimo, poiché se si mescola al
sangue per mezzo di qualche piccola escoriazione, l'uomo è perduto. E poi, non
tutti i veleni si possono inghiottire. Ve ne sono alcuni così potenti, che
basta bagnarsene un dito, per venire presi da leggeri sintomi di avvelenamento.
Specialmente il veleno dei rettili
tropicali può venire assorbito dai pori della pelle. Ma
basta coi serpenti, amico mio; torna a coricarti e domani, se ti potrai
reggere, faremo ritorno alla nostra capanna aerea ».
« Zoppicando, ma ci verrò, signor Albani. Mi pare che sia
trascorso un mese dalla nostra partenza ».
« A domani dunque ».
Piccolo Tonno aveva acceso il fuoco per tener lontane le
fiere, avendo scorto sui margini di quella foresta delle orme che potevano
essere di tigri, e si era seduto fuori della tenda
insieme col mias, per fare il suo primo quarto.
Il signor Albani si coricò presso il marinaio, che
cominciava già a russare, quantunque avesse dormito quasi tutta la giornata.
Durante la notte vi fu un allarme, nell'ultimo quarto di
guardia, essendo state scorte delle grosse ombre vagare presso il margine del
bosco; ma senza conseguenze, poiché bastò la presenza del
mias per fugarle. Quando Enrico si svegliò, pareva ormai perfettamente guarito.
Solamente la gamba era un po' gonfia e la piaga prodotta dalla bruciatura gli
causava dei dolori acuti. Nondimeno volle partire, desiderando ardentemente di
nvedere la capanna e soprattutto il fornello, per preparare le famose
ciambelle.
Lo Sciancatello e il mozzo si caricarono della tenda,
delle armi e dei viveri, ed Enrico, appoggiatosi al braccio del veneziano,
diede coraggiosamente il segnale della partenza. Zoppicava assai e di tratto in
tratto impallidiva per gli spasimi, ma non emetteva alcun gemito.
Arrestandosi ogni due o trecento passi per concedere al
ferito un po' di riposo, verso le nove giunsero a cinquecento passi dalla capanna
aerea, attorno alla quale svolazzavano, gridando e cinguettando, bande di
pappagalli colle penne variopinte e stormi di rondini marine. Si erano
arrestati per concedere ad Enrico un ultimo riposo, quando scorsero le loro due
scimmie scendere a precipizio i pali di sostegno della capanna e arrestarsi
presso una buca, che era stata scavata sul margine de1la piantagione di bambù
per prendere la grossa selvaggina. I due quadrumani parevano in preda a una
viva agitazione; gridavano, saltellavano attorno alla buca e alzavano e
dimenavano le loro lunghe e i pelose braccia.
« Che cosa succede laggiù? » chiese il mozzo. « Che le
nostre scimmie vogliano fare un capitombolo nelle trappole? »
« O che qualche loro compagna vi sia caduta entro? »
« Non si troverebbe impacciata a uscire », rispose il
veneziano.
« Ma urlano proprio sui margini di una delle buche che
abbiamo scavato per la selvaggina grossa, signor Albani », disse il mozzo.
« Sarà caduto qualche animale. Affrettiamoci, amici, e
preparate le cerbottane, poiché potrebbe essere una tigre ».
Allungarono il passo, sorreggendo il marinaio, e in pochi
minuti giunsero sull'orlo della buca. Come il veneziano aveva preveduto, lo
strato di leggere canne che copriva la trappola aveva
ceduto sotto il peso d un grosso animale, il quale ora si trovava prigioniero
in fondo all'escavazione.
Era grande come un cervo, ma somigliava per le forme a un
maiale, quantunque avesse le gambe molto più alte e più sottili. Aveva il collo
egualmente grosso, il grugno sporgente, armato di due denti ricurvi e solidi
che, partendo dalla mascella superiore, salivano fino agli occhi. Il suo pelo.
era invece cinereorossiccio, corto e lanoso.
« Che cos'è? » chiesero il marinaio e il mozzo.
« Un babirussa », rispose Albani, « un animale che
appartiene all'ordine dei pachidermi moltungulati, ma che forma un genere
particolare della famiglia dei porci ».
« E' buona la sua carne? » chiese il marinaio.
« Somiglia a quella del porco ».
« Guardate, signore! » esclamò in quell'istante il mozzo.
« Vi sono anche due piccini ».
« Buono! » disse il veneziano. « Ecco che il nostro
recinto comincia a popolarsi: due orsi, tre scimmie, tre babirussa ed una
uccelliera discretamente fornita!... In tre settimane abbiamo ottenuto più di
quanto potevamo sperare e il vitto è ormai assicurato. Alla capanna, Piccolo
Tonno; festeggeremo il lieto avvenimento e la guarigione del nostro bravo
Enrico con un banchetto ».
« Ed io vi offrirò delle ciambelle », disse il marinaio.
«Sciancatello... Spero che avrai risparmiato il mio miele..»
|