CAPITOLO XXXIV
I Tagali
I naufraghi si erano rannicchiati dinanzi ai tizzoni, gli
uni stretti addosso agli altri, per asciugarsi le vesti grondanti d'acqua. Come
si disse erano cinque: tre ragazze, un giovinotto e un vecchio.
Erano tutti tagali, abitanti che popolano l'arcipelago
delle isole Filippine. Questa razza è una delle più belle, delle più
intraprendenti, delle più industriose e delle più gagliarde dei mari
della Cina.
La loro carnagione non è olivastra come quella dei
malesi, né bruna come quella dei bughisi, ma rossastra. Hanno zigomi sporgenti,
il contorno del viso più romboidale che quadrato, il naso prominente, gli occhi
lievemente obliqui.
Le tre fanciulle, che potevano avere dai quindici ai
venti anni, erano graziosissime, con certi occhietti vivaci e neri, la
carnagione leggermente ramigna, le labbra d'un bel rosso incarnato e i denti
più bianchi dell'avorio. Indossavano delle sottanine a pieghe, a colori vivaci,
e una camicia ricamata, mentre i loro piedi sparivano entro scarpine di velluto
a fregi d'oro. Al collo portavano collane di perle e agli orecchi grandi
pendenti di provenienza spagnola.
Il giovinotto non aveva più di venticinque anni, e il
vecchio doveva toccare la sessantina.
Erano entrambi di alta statura, snelli, ma il primo aveva
i tratti del volto un po' diversi da quelli dei tagali e anche la sua
carnagione era più terrea, quasi grigiastra. Erano entrambi vestiti di tela ma
colla camicia svolazzante fuori dai calzoni, secondo l'uso del loro paese.
Il vecchio, vedendo avvicinarsi il signor Albani, s'alzò,
dicendogli:
« Grazie, señor, del vostro aiuto. Senza di voi, noi
saremmo stati trascinati via dalle onde ».
« Altre persone avrebbero fatto altrettanto », rispose
Albani, modestamente. « Ehi, Piccolo Tonno, abbiamo ancora un po' di tuwah?..
Un sorso farà bene a questa povera gente ».
« Sì, signore », rispose il ragazzo.
Ritornò nella scialuppa e poco dopo tornò portando un
recipiente di bambù, pieno di quella forte bevanda e una provvista di biscotti.
Le
ragazze e i due uomini, dopo nuovi ringraziamenti, bevettero
alcuni sorsi e mangiarono alcuni biscotti.
Il vecchio intanto narrava la sua storia. Le ragazze
erano sue figlie, il giovanotto era il fidanzato della più giovane, e si erano
imbarcati su una giunca cinese in rotta per le Molucclie con lo scopo di visitare
una possessione che il futuro genero, molucchese, possedeva a Ternate. Presso
le Sanghier un violento uragano aveva assalito la giunca, la quale era stata
respinta verso ovest, malgrado gli sforzi disperati dell'equipaggio, composto
di quindici uomini. Appena avvenuto l'urto, nonostante i consigli del capitano
cinese, si erano gettati in acqua e le onde li avevano respinti sopra la
scogliera. Poco dopo la nave, sventrata dalle punte corallifere, era scomparsa
con tutti coloro che la montavano.
« Abitavate a Manilla? » chiese Albani al vecchio.
« No, alle isole Calamine », rispose il tagalo. « Ero
capo d'un villaggio ».
« Avete udito dal capitano cinese il nome di questa
isola? »
«No, signore. Credo che il capitano ne ignorasse
l'esistenza ».
« Dunque voi non sapevate quale terra fosse questa ».
« Suppongo che sia una delle Sulù, poiché dalle Sanghier
siamo stati trascinati sempre verso nordovest ».
« Lo credo anch'io », disse il molucchese.
« Siete anche voi dei naufraghi? » chiese il vecchio.
« Sì, ma non inquietatevi per questo. Possediamo una
casa, degli animali, dei viveri e un campo; non soffrirete la fame ».
« Non possedete alcuna nave per abbandonare quest'isola?
»
« Una sola scialuppa, quella che avete veduto, la quale
non può affrontare una lunga navigazione. Noi siamo come prigionieri su
quest'isola, ma non ci lamentiamo, poiché col lavoro e colla perseveranza ci
siamo procurati tutto ciò che è necessario all'esistenza umana ».
« Ma noi? ...» chiese il vecchio.
« Se vorrete, farete parte della nostra famiglia, della
famiglia dei "Robinson" italiani, ma ad una condizione: che ci
dobbiate obbedienza, e che al pari di noi lavoriate pel benessere di tutti ».
« Signore », disse il vecchio capo, con voce commossa. «
A voi dobbiamo la nostra esistenza, quindi disponete interamente di me, delle
mie figlie e del mio futuro genero: noi, se lo vorrete, saremo vostri servi o
schiavi ».
« No, né servi né schiavi sulla terra dei
"Robinson" italiani », disse il veneziano. « Voi sarete nostri compagni,
anzi fratelli, poiché come noi siete naufraghi, e qui non voglio che esistano
distinzioni. È vero, Enrico?.. È vero, Piccolo Tonno e Marino? »
« Sì, signore, siamo tutti eguali qui », disse il
genovese, « ma tutti noi riconosciamo in voi il governatore dell'isola ».
« Ben detto! » esclamò il maltese.
« No, amici », disse Albani.
« Sì, signore », disse il marinaio. « Voi ci avete
guidato, voi ci avete salvato dalla fame e dalle tribolazioni; voi, colla
vostra sapienza e colla vostra abilità, ci avete dato un'esistenza felice;
è quindi giusto che noi tutti vi riconosciamo per nostro
capo ».
« Allora procurerò di mostrarmi degno della fiducia che
riponete in me. Siamo tutti vigorosi, siamo tutti pronti a lavorare e
cercheremo di trasformare quest isola, pochi mesi fa deserta e selvaggia, in
una colonia fiorente, degna della patria italiana ».
« Viva il signor Albani! » urlarono il maltese, Enrico e
Piccolo Tonno. « Viva il nostro capitano!... »
Intanto cominciava a spuntare l'alba e l'uragano andava
calmandosi rapidamente. Il cielo si sgombrava, il vento dopo aver urlato su
tutti i toni cedeva, e le onde si spianavano.
I « Robinson » decisero di esplorare un'ultima volta la
scogliera, per vedere se vi fosse qualche altro naufrago, e se potessero raccogliere
qualche utile avanzo del carico della giunca; poi di partire per raggiungere la
capanna aerea.
Albani e i due marinai attraversarono il braccio di mare
e si recarono sulla scogliera, ma la loro gita fu inutile, poiché nulla
rinvennero. Le onde avevano spazzato via i rottami della nave e nessun naufrago
fu trovato.
Essendo in quel frattempo spuntato il sole ed essendosi
il mare calmato, deliberarono di partire senza perder tempo. Non potendo però
la scialuppa portarli tutti a causa della sua eccessiva
immersione, il maltese, che aveva ormai una certa conoscenza dell'isola, fu
incaricato di guidare i naufraghi verso le coste settentrionali; mentre Albani,
Enrico e Piccolo Tonno s'incaricarono di ricondurre l'imbarcazione.
Questi diedero ai compagni la cerbottana del mozzo,
affinché potessero difendersi nel caso d'un attacco da parte delle tigri; poi
spiegarono la vela, prendendo rapidamente il largo. Poco dopo anche il maltese
ed i naufraghi della giunca si mettevano in cammino, seguendo la costa.
La « Roma », spinta da un vento assai fresco, che le
permetteva di raggiungere una velocità di cinque nodi, si tenne a due miglia
dalle
spiagge, per tagliare le profonde insenature della costa
e per evitare le scogliere che si stendevano in tutte le direzioni.
Se quella velocità non scemava, secondo i loro calcoli
avrebbero potuto giungere nella piccola baia della costa settentrionale poco
dopo mezzodì.
« Come sono contento di rivedere la nostra capanna »,
disse Enrico, che manovrava la vela in modo da farle raccogliere più vento che
poteva. « Sarà inquieto quel bravo Sciancatello, non avendoci veduto ritornare
».
« Se non glielo avessi impedito, mi avrebbe seguito »,
disse il mozzo.
« Quale sorpresa pei tagali, quando vedranno i nostri
animali, la nostra bella casa, il nostro campo e i nostri magazzini. Sono brave
persone i tagali, signor Albani? »
« Sono i più industriosi ed i più robusti di tutti gli
abitanti delle isole della Sonda. Sono compagni preziosi che ci saranno di
molto giovamento » .
« Bisognerà costruire delle altre capanne, signore ».
« Le costruiremo ».
« E raddoppiare, anzi triplicare le nostre provviste ».
« Le triplicheremo e dissoderemo un bel tratto di terreno
».
« Signore », disse il marinaio, esitando. « Non vi
sembrano belle le figlie del capo?... »
« Sono graziose davvero, Enrico ».
« Mi frulla in capo un'idea ».
« E quale?.. »
« Terremoto!... » esclamò il genovese, che da qualche
istante si grattava furiosamente il capo.
« Di' su, amico ».
« Sapete, signor Albani, che non mi rincrescerebbe...
che... »
« Parla », disse il veneziano che lo guardava sorridendo.
« Ormai ci sono... orsù... meglio che ve lo dica... lampi
e fulmini!... Se il capo mi desse una figlia per sposa?. »
« Ah!... furfante!... Tu pensi già a formar famiglia!...
»
« C'è la maggiore che mi piace, signor Albani.
Terremoto!... È una bella ragazza e mi sembra che debba essere anche molto
buona ».
« Gliela domanderai ».
« Ma il capo?... »
« Credo che si terrà molto onorato di imparentarsi con un
uomo di razza bianca ».
« Fulmini!... Che bella colonia!... E so che a Marino
piaceva l'altra, sapete?.. Il volpone la guardava con certi occhi da
triglia!... »
« Buono! » esclamò il veneziano, ridendo. « Ecco una
colonia che non perirà più. Ne parlerò al capo ».
« Voi? ...»
« E perché no?.. Fra un mese celebreremo tre matrimoni:
il tuo, quello di Marino e quello del molucchese ».
« Signore!... » esclamò in quell'istante il mozzo, che
stava ritto a prora.
« Che cos'hai? ...»
« La capanna!... Eccola lassù che sporge dietro quel
gruppo d'alberi!... Hurrà!... »
Il veneziano guardò verso la costa, la quale piegava
bruscamente a ovest. Dietro a un macchione di piccoli durion si vedeva sorgere
il
tetto della capanna aerea. Una viva commozione si dipinse
sul viso di Enrico e del veneziano.
« Hurrà!... Hurrà!... » urlò il marinaio, con quanta voce
aveva in gola.
Poco dopo videro Sciancatello correre sulla cima delle
rocce, seguìto dalle due scimmie. L'affezionato orangoutan spiccava salti di
gioia
e dondolava comicamente la testa e le braccia.
La « Roma », oltrepassata una scogliera, entrò nella
piccola cala attigua ai vivai. I tre «Robinson » l'arenarono, tirandola in
secco sulla sabbia. Enrico, che era in preda a una viva commozione, si prese
Sciancatello fra le braccia e per poco non depose due baci su quelle gote
pelose.
« Andiamo a vedere se l'uragano ha causato dei guasti »,
disse Albani. « Sono inquieto pei nostri animali ».
Il ventaccio, malgrado la sua violenza, non aveva
atterrato né le tettoie, né le cinte. Nemmeno la casa aerea, quantunque fosse
così esposta, aveva sofferto.
« Affrettiamoci a preparare il pranzo pei nostri nuovi
amici », disse Albani. « Fra un paio d'ore saranno qui ».
« Corro al vivaio a prendere una testuggine e dei pesci »,
disse Enrico.
« Ed io vado a spillare del toddy e del vino bianco »,
disse Piccolo Tonno.
« Io invece andrò a torcere il collo a un paio di tucani
», concluse Albani. « Prepareremo ai nostri compagni un vero pranzo e
mostreremo loro come delle persone laboriose possano trovare mille risorse
anche su quest'isola ».
|