5 - IL
«FIORE DELLE PERLE»
Hang-Tu si
era messo rapidamente in cammino senza aver rivolto all'amico una parola.
Pareva in preda ad una viva inquietudine e pur affrettando il passo, volgeva la
testa da tutte le parti, come se temesse di veder sbucare improvvisamente dei
nemici.
Invece di seguire le mura del
giardino, si era gettato in mezzo ad un dedalo di viuzze che un tempo dovevano
essere fiancheggiate da grandi case, ma che ora si trovavano ingombre di
rottami, di muraglie screpolate, di colonne semi-crollanti,
tristi avanzi delle scosse tremende del suolo vulcanico e delle ire dell'Albay,
un vulcano quasi sempre eruttante lave e fiamme.
Romero, assorto nei suoi
pensieri, lo seguiva macchinalmente, senza curarsi di sapere dove lo
conducesse, né di conoscere il motivo di quella rapida marcia che somigliava ad
una fuga precipitosa, ma dopo alcuni minuti, vedendo che
Hang-Tu non accennava ad arrestarsi, anzi che raddoppiava
sempre più il passo, ad un certo momento si arrestò, dicendo:
— Ma dove andiamo?... Questa non
è la via che conduce al ponte di Binondo.
— Ti salvo, — rispose il chinese.
— Ma se nessuno mi ha veduto
entrare nella Ciudad?...
— Cosa importa?... So che tutti
gli alguazil hanno mandato guardie nei sobborghi e che alle sentinelle hanno
dato ordine di non lasciar uscire dalla città alcun mulatto, senza averlo
diligentemente esaminato.
— Qualcuno ci ha scoperti
adunque?...
— I traditori non mancano mai.
— Ma dove andiamo ora?...
— Ti faccio guadagnare la
campagna. Prima dell'alba sarai ben lontano da Manilla.
— Ma se mi hai detto che non si
può uscire dalla Ciudad?...
— Uscirai egualmente.
— È per questo che sei venuto a
troncare il mio colloquio con Teresita?
— Per questo e forse per altro, —
rispose Hang-Tu, con un sorriso strano. — Eccoci dinanzi ai
bastioni...
— Ma se salto giù mi spezzeranno
le gambe.
Invece di rispondere, il chinese
mandò il suo solito fischio. Un altro, quasi simile, tosto vi rispose.
— I miei uomini sono puntuali, —
disse Hang.
S'arrampicò lentamente sulla
scarpa e si trovò dinanzi a due chinesi che parevano fossero scaturiti da
terra. Quei due uomini tenevano in mano una lunga fune a nodi e dalle loro
spalle pendevano due fucili.
— È tutto pronto? — chiese Hang.
— Sì, capo.
— Li avete veduti?...
— Si sono avvicinati pochi minuti
or sono al fossato.
— Hanno i cavalli?
— Quattro e tutti di buona razza.
— Than-Kiù è
brava ed intelligente, — disse Hang, con voce leggermente commossa.
A Romero parve che soffocasse a
metà un profondo sospiro, ma non vi fece caso. Sapeva che Hang aveva talvolta
delle bizzarrie inesplicabili.
Ad un cenno del capo delle
società segrete, i due chinesi calarono la corda nel fossato del bastione che
s'apriva sei metri più sotto, ingombro di piante acquatiche e di fango.
— Addio, — disse Hang,
abbracciando il meticcio, mentre la sua voce pareva che diventasse maggiormente
commossa. — Se le palle dei nemici uccideranno uno di noi, ci rivedremo un giorno
nell'altra vita.
— Addio!... — esclamò Romero,
stupito. — Ma non vieni tu?
— No, Romero; ma se la morte mi
risparmierà, spero di raggiungerti presto sulle trincee di Salitran e di
combattere al tuo fianco per l'indipendenza delle isole.
— Ma perché non fuggi con me,
mentre ti si cerca?...
— Altri avvenimenti stanno per
scoppiare e le mia presenza in Manilla è necessaria.
— Ma quali?...
— Lo so io forse?... Il caso può
preparare delle sorprese che io ignoro e che non posso prevedere. Va', Romero:
al di là del fossato troverai due uomini ed una guida sicura, fedele... forse
troppo fedele... Veglierà su di te, ma tu veglia su di lei.
— Chi è quella guida?
— Lo saprai fra poco. Addio, o
meglio arrivederci presto dinanzi a Salitran.
I due capi dell'insurrezione si
abbracciarono un'ultima volta, poi il meticcio si aggrappò alla fune a nodi che
i due chinesi tenevano con mani sicure, e scese rapidamente nel fossato.
Avendo, le radici delle piante
acquatiche, formato come un reticolato attraverso al fango, gli riuscì facile
raggiungere la riva opposta senza bagnarsi.
S'arrestò un momento e guardò
verso la cima dell'enorme bastione, giganteggiante nelle tenebre. Proprio
sull'orlo egli vide Hang-Tu immobile come una statua di
granito, coll'ampio cappello abbassato sul viso e le braccia incrociate. Pareva
che il capo degli uomini gialli fosse immerso in profondi pensieri e che non si
ricordasse più del grave pericolo che correva standosene lassù, a così breve
distanza dai posti di guardia.
Romero gli fece un saluto colla
mano, ma senza che Hang rispondesse o si scuotesse da quella immobilità.
Salì la scarpa erbosa, tenendosi
curvo per non farsi scorgere dai soldati che potevano vegliare nell'angolo del
bastione, dove s'ergevano delle casematte, e raggiunse la via esterna di
circonvallazione, gettandosi prontamente in mezzo ai gruppi d'alberi.
— Qui, Romero Ruiz, — disse una
voce.
Il meticcio si volse e scorse
quattro cavalli che si tenevano immobili sotto la fosca ombra d'un tamarindo
colossale. Tre erano montati, ma il quarto aveva la sella vuota.
— Siete voi gli uomini mandati da
Hang-Tu? — chiese Romero
— Sì.
Il meticcio gettò uno sguardo sui
suoi compagni di viaggio. Due erano robusti giovani malesi, dalle membra massicce
ed il corpo tarchiato, ma il terzo pareva più un fanciullo che un uomo. Essendo
però avvolto in un ampio mantello di seta bianca a fiori ed a disegni, che gli
copriva buona parte del viso ed avendo in capo un cappello di paglia di Manilla
a grandi tese e adorno d'una piuma, non si poteva vedere che fosse, né quale
età potesse avere, ma Romero pel momento non si occupò di quel misterioso
compagno, che pareva volesse serbare l'incognito.
Salì sul cavallo che uno dei due
malesi teneva per la briglia, un vigoroso destriero che doveva correre come il
vento, colla testa leggera, il ventre stretto ed i garretti solidi,
probabilmente un animale derivato da un incrocio di sangue arabo e spagnuolo, e
diede il segnale della partenza.
Il fanciullo si mise alla testa,
i due malesi alla retroguardia ed il piccolo drappello partì di galoppo,
tenendosi sotto l'ombra degli alberi.
Romero, sempre assorto ne' suoi
pensieri, non si curava della via che battevano. Sapendo però che gli spagnuoli
avevano disposto intorno alla capitale numerosi drappelli di soldati, per
impedire qualsiasi colpo di mano da parte degli insorti, aveva messo davanti
alla propria sella un fucile a retrocarica di ultimo modello, che aveva trovato
sospeso all'arcione e si era cinto una cartucciera ben fornita che gli aveva
dato uno dei due malesi.
I quattro cavalli galopparono
dieci minuti tenendosi a breve distanza dalla via che gira intorno alla città,
poi la guida si spinse attraverso a campi coltivati raggiungendo il margine
d'un bosco di banani dalle foglie gigantesche.
S'arrestò un momento ascoltando
con profondo raccoglimento, scambiò alcune rapide parole coi due malesi, poi
fece cenno di avanzare.
Uno dei due giovanotti passò
all'avanguardia tenendo il fucile fra le mani e la guida si mise a fianco di
Romero, come se volesse proteggerlo da qualche improvviso assalto e fargli
scudo col proprio corpo.
Solo allora Romero s'accorse che
le vesti di quel fanciullo — tale almeno lo credeva ancora — tramandavano un
delicato profumo di lillà! Quell'odore, assolutamente incompatibile per un
uomo, fosse pure per un giovanetto che si esponeva audacemente ai pericoli
della guerra, lo stupì.
— Ma chi sei tu? — chiese. — Un
fanciullo od una donna?...
— Than-Kiù,
mio signore, — rispose la guida, ma con una voce così dolce, così armoniosa,
che pareva il gorgheggio di uno di quei gentili usignoli ai quali i chinesi han
dato il nome di cantatori di Mongolia.
— Than-Kiù! —
esclamò Romero. — Questo è un nome di donna e se non m'inganno, nella lingua
dei Celestiali significa Fiore delle Perle.
— Sì, mio signore, — rispose la
guida, con maggiore dolcezza.
— Allora sei una fanciulla.
— Del Celeste Impero, mio
signore.
— Ma chi ti ha incaricato di
venire con me?
— Hang-Tu.
— Ma quell'uomo è pazzo!
— Perché, mio signore?
— Esporre una fanciulla agli
orrori della guerra!
— Non temo la guerra.
— Tu non sai che cosa sia.
— Ho udito il cannone rombare a
Malaban e ultimamente a Dasmarinas.
— Tu! — esclamò il meticcio, che
cadeva di sorpresa in sorpresa.
— Io, mio signore.
— E tu hai adoperato il
fucile?...
— Sì, contro gli spagnuoli.
— Strana creatura!...
— Vendicavo mio fratello.
— Chi era tuo fratello?...
La giovane chinese non rispose e chinò
il capo sul petto, ma dopo alcuni istanti disse:
— Forse sta per morire.
— Si trova nella mani degli
spagnuoli?...
— Non ancora, — rispose
Than-Kiù, dopo una breve esitazione, — ma può venire preso
da un istante all'altro.
— E tu vieni con me a combattere
gli spagnuoli a Salitran?
— Sì.
— Qualche imperioso motivo ti
costringe a recarti in quella città?
— Mi hanno detto di guardarti
colà ed io obbedisco.
— Conosci la via?
— Meglio di qualunque altro
forse.
— Una fanciulla!...
— So dove si trovano le
avanguardie dei nemici e forse meglio di tutti. Ti hanno affidato a me, ed io
ti condurrò a Salitran, mio signore, dove ti presenterò ai capi degli insorti.
— E ti conoscono?...
— E mi obbediranno anche.
— Ma chi sei tu adunque?...
— Than-Kiù, —
rispose la fanciulla.
Poi senza aggiungere altro spronò
il cavallo e si addentrò nel bosco, seguendo un sentieruzzo appena visibile e
dove l'oscurità era così profonda, da non potersi quasi distinguere i tronchi
degli alberi che lo fiancheggiavano.
Romero l'aveva seguita assieme ai
due malesi che gli si erano messi alle spalle. Non vedevano quasi più la
fanciulla, ma il delicato profumo dei lillà che esalavano le vesti della strana
creatura e che si espandeva come un'onda in mezzo alle tenebre, bastava per
guidarlo.
Egli la seguiva come fosse
attratto da una forza misteriosa, da una volontà potente contro la quale non
avrebbe forse potuto resistere e seguendola pensava a lei. Chi poteva essere
quella donna, che Hang-Tu gli aveva messo al fianco per
guidarlo, attraverso alle molte insidie dei nemici, fino a Salitran?... E
perché una donna invece di un uomo che avrebbe potuto essergli di maggiore
aiuto, nel momento del pericolo?... Quali occulte mire avevano deciso il
potente capo delle società segrete a dargli quella compagna? Vaghi timori
cominciavano ad infiltrarsi nel suo animo e pensava ora a tutte quelle parole
oscure, inesplicabili, che il chinese aveva pronunciato più volte il giorno
innanzi e quella sera istessa, nel momento della separazione.
Che cosa meditava quell'uomo dal
cuore e dagli sguardi impenetrabili?... Il pensiero del meticcio, così
meditando, si rivolgeva a Teresita e senza sapere il perché, si sentiva
invadere da profonde inquietudini. Aveva paura di qualche tenebrosa trama a
danno della fanciulla bianca che aveva abbandonata a Manilla.
Quel timore a poco a poco divenne
così intenso, così tormentoso, da non poterlo più vincere. Sentiva per istinto
che qualche cosa di tremendo doveva accadere nella capitale mentre si cercava
di allontanarlo.
— Than-Kiù!... — esclamò.
La fanciulla che continuava ad
inoltrarsi nel bosco, udendo la voce del meticcio s'arrestò, dicendo:
— Che cosa desidera il mio
signore?...
— Rivolgerti una domanda.
— Sono la schiava del mio
signore, che può chiedermi tutto.
— Sapresti dirmi perché
Hang-Tu è rimasto a Manilla?...
— Forse.
— Hai udito parlare della Perla
di Manilla?...
La fanciulla non rispose.
— Mi hai udito?...
— Sì, mio signore, — rispose
Than-Kiù, con un accento nel quale si sentiva come una
vibrazione triste.
— La conosci?...
— Il Fiore delle Perle può aver
udito parlare della Perla di Manilla, ma le perle del mio paese non hanno voce.
— Che cosa vuoi dire? — chiese
Romero, con stupore.
Invece di rispondere alla
domanda, Than-Kiù arrestò il proprio cavallo dicendo:
— Taci: ascolta!...
Attraverso la foresta si udiva
allora come un lontano rimbombo, che rapidamente s'avvicinava. Pareva che un
grosso numero di pesanti animali galoppasse in mezzo o ai margini di
quell'enorme agglomerato di piante, dirigendosi verso la capitale delle
Filippine.
— Gli spagnuoli? — chiese Romero.
— Sì, - rispose
Than-Kiù, con un tono di voce che tradiva una viva
inquietudine.
— Qualche squadrone di
cavalleggeri che ritorna?...
— Di certo, ma vorrei sapere
perché corrono verso la capitale, mentre gl'insorti si battono a Bulacan, a
Cavite, a Salitran ed a Malaban.
— Che temano un colpo di mano
sulla Ciudad?...
— Lo ignoro, — rispose la giovane
chinese, ma con un certo imbarazzo che non isfuggì al meticcio.
— O lo sai? — chiese questi.
— Taci, mio signore, o ci faremo
prendere.
Con un agilità sorprendente era
balzata a terra, ed aveva fatto sdraiare il suo cavallo sotto le ampie foglie
d'un gruppo di sagu, avvolgendo la testa dell'animale in una ricca gualdrappa
infioccata, che aveva tolta dall'arcione.
I due malesi ed il meticcio
fecero altrettanto e si nascosero dietro i quattro cavalli coi fucili in mano.
Il fragore s'avvicinava sempre.
Ormai non si poteva più ingannarsi: un grosso gruppo di cavalli, forse uno
squadrone galoppava attraverso la foresta movendo verso la capitale.
Di tratto in tratto si udivano
anche i tintinnii delle sciabole dei cavalieri e dei comandi imperiosi.
Dieci minuti dopo i quattro
insorti videro sfilare, a meno di cento passi, una lunga fila di cavalli
montati da soldati spagnuoli, i quali tenevano in mano una lunga fila di
moschetti come se temessero qualche improvvisa sorpresa.
Era uno squadrone del reggimento
Luzon, in pieno assetto di guerra. Fortunatamente non s'accorse della presenza
dei quattro ribelli e passò oltre scomparendo fra le tenebre.
Than-Kiù
attese che si allontanasse, poi quando ogni rumore cessò fece rialzare il
cavallo, balzò in arcione e si rimise in marcia, facendo cenno a Romero e ai
due malesi di seguirla.
Pareva molto inquieta e
preoccupata. Non rispondeva più alle domande di Romero e di tratto in tratto si
fermava per ascoltare.
Un quarto d'ora dopo un altro
fragore simile al primo si udì, ma verso la riva del Passig. Pareva che un
altro squadrone di cavalleggeri si dirigesse verso la capitale.
Than-Kiù si
era nuovamente arrestata, interrogando i due malesi in una lingua che il
meticcio non comprendeva, poi aveva ripreso le mosse, ma eccitando il suo
cavallo. Aveva però preso un'altra direzione, come se volesse avvicinarsi al
canale meridionale del Passig che va a finire verso Las Pinas.
La marcia continuò per un'altra
mezz'ora sempre in mezzo al bosco, poi la giovane chinese tornò ad arrestarsi.
Scese nuovamente di sella e si fermò dinanzi al proprio cavallo, incrociando le
braccia sul seno, ma senza pronunciare sillaba.
— Che cosa vuoi? — chiese Romero.
— Bisogna arrestarci qui, mio
signore, — rispose ella.
— Perché?
— Gli spagnuoli hanno chiuso
tutti i passi. Ho scorto or ora i fuochi dei loro accampamenti.
— Ritorniamo a Manilla?...
Than-Kiù
scosse il capo, dicendo:
— No: attenderemo la notte
ventura.
— Nascosti qui?...
— Than-Kiù
offrirà un ricovero al suo signore.
Prese il cavallo per la briglia,
si cacciò in mezzo ad un macchione enorme di aranci, di borassi, di banani
selvatici e di alberi gommiferi che colle loro smisurate foglie dovevano anche,
in pieno meriggio, proiettare un'ombra assai cupa, e poco dopo s'arrestava
dinanzi ad una casupola mezzo diroccata, dicendo:
— Ecco il rifugio degli insorti
quando sono costretti ad arrestarsi. Il mio signore non correrà pericolo
alcuno.
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