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ATTRAVERSO I PAESI DELL'INSURREZIONE
I due insorti e
Than-Kiù, volte le spalle alle ultime case dei popolosi
sobborghi di Manilla, si allontanavano rapidamente per non farsi sorprendere,
prima che l'alba spuntasse, dalle truppe spagnuole che dovevano essersi
concentrate nei dintorni della capitale.
La fanciulla chinese, più pratica
di tutti dei luoghi e che sapeva dove si trovavano accampate le forze del
generale Polavieja operanti contro Cavite, e quelli di Lachambre e Cornell che
miravano ad espugnare Salitran e d'impadronirsi delle rive dell'Imus, li
guidava.
Invece di prendere la via
costiera che metteva a Las Pinas, si dirigeva verso il
sud-est come se avesse voluto avvicinarsi alle montagne che
costeggiano la vasta Laguna della Baia, dalla quale esce il fiume Passig.
Hang-Tu, che
aveva piena fiducia nella sagacia della giovane, e Romero, entrambi silenziosi
e preoccupati dagli avvenimenti della sera, la seguivano senza chiederle dove
li conducesse.
La notte era oscura assai e
favoriva la loro fuga. Un velo di vapori, che il vento marino spingeva dal
golfo di Manilla verso le montagne della Laguna, copriva il cielo, offuscando
gli astri ed intercettando del tutto la luce della luna.
Nessun abitante, né alcun
accampamento di soldati si scorgevano sui margini delle immense piantagioni che
i ribelli attraversavano. Solo di quando in quando, in lontananza, si udivano i
latrati di qualche cane vigilante la capanna di qualche povero coltivatore
tagalo o chinese.
In aria invece volteggiavano
numerosi quei brutti ed enormi pipistrelli, comunissimi in tutte le isole
malesi ed anche nell'arcipelago delle Filippine, col corpo lungo circa quaranta
centimetri e le ali membranose larghe oltre un metro, prese insieme.
Than-Kiù
camminava sempre, con passo leggero, ma rapido. Quel corpiccino che sembrava
così delicato e quasi privo di sangue, doveva possedere una resistenza
straordinaria. Si sarebbe detto che sotto la pelle così diafana nascondeva dei
muscoli intrecciati con fili d'acciaio.
Attraversate tre o quattro
piantagioni di canne da zucchero e d'indaco, senza arrestarsi un solo momento,
si era avanzata lungo il margine d'una foresta di felci arboree e di palme, ma
giunta presso i primi alberi, aveva cominciato a rallentare il passo.
Pareva che temesse una sorpresa o
qualche pericolo, poiché ascoltava di frequente con estrema attenzione e non si
rimetteva in marcia se non dopo d'aver scrutato attentamente le macchie vicine.
— Che cosa temi? — chiese
Hang-Tu, raggiungendola. — Io non so ancora dove ci
conduci.
— Non me lo hai nemmeno chiesto,
— rispose Than-Kiù.
— Tu conosci la via meglio di me,
ma mi sembra che noi non andiamo verso Las Pinas.
— Là stanno le truppe del
generale Cornell.
— Ma mi hanno detto che sull'Imus
vi sono i nostri.
— Sì, guardati dalla 1° e 2°
compagnia dei cacciatori del generale Zabala.
— Si potrebbe passare fra di
loro.
— E cadremo fra le due brigate del
generale Cornell.
— Tu la sai più lunga d'un
generale, — disse Hang-Tu, sorridendo. — Quanta
intelligenza nella tua piccola testa!
Romero non aveva pronunciato una
sillaba, ma aveva guardato la giovane chinese con ammirazione. Gli sembrava
impossibile che quella fanciulla sapesse tante cose e che conoscesse così bene
tutte le mosse e tutte le posizioni degli spagnuoli.
— Dove vuoi condurci,
Than-Kiù? — chiese Hang.
— Verso la Laguna della baia.
Colà non vi sono soldati spagnuoli.
— Ma giungeremo in tempo per
organizzare la difesa di Salitran?...
— I cavalli delle isole corrono
come il vento e Salitran non verrà assalita così presto.
— Ma dove troveremo dei cavalli
noi?...
— Lo so io e forse troveremo Pram-Li.
Venite.
— Una domanda ancora. Temi che vi
siano degli spagnuoli in questo bosco?...
— Tutto può darsi. Sanno dove
gl'insorti hanno le loro spie e possono aver preparato delle imboscate.
— Ecco un prezioso avvertimento,
— disse Hang, estraendo la catana e la rivoltella. — Passa dietro di noi,
Than-Kiù.
— Than-Kiù
non si lascia sorprendere, — rispose la giovane, — e poi non teme la morte.
Si era rimessa in cammino, ma
tenendo in pugno la rivoltina, s'avanzava però sempre con precauzione, poiché
oltre gli spagnuoli che potevano aver occupato il bosco, aveva da temere i
serpenti i quali si trovano numerosissimi anche nelle provincie meridionali di
Luzon, specialmente dove vi sono delle grandi macchie. I pitoni sono comuni e
così pure i boa e non mancano i rettili velenosi. Ve ne sono alcuni piccoli il
cui morso produce una morte quasi fulminante, come ve ne sono invece altri che
raggiungono dimensioni esagerate, poiché si dice che misurino perfino trenta
piedi, ossia dieci metri.
Quella foresta però pareva che
non celasse quei pericolosi ospiti, non udendosi alcun sibilo in nessuna
direzione. Si vedevano invece, saltellare fra le erbe, a mo' delle rane,
parecchi animaletti alti quindici o venti centimetri, forniti di grandi occhi
rotondi, che luccicavano come quelli delle civette.
Erano i tarsi spettri, i più
strani esseri che si possa immaginare e che formano una delle più singolari
curiosità dell'arcipelago delle Filippine.
Questi animaletti, che sono
d'indole notturna e che vivono celati nei boschi, hanno la testa rassomigliante
alle rane, ma col muso in forma di cono, una bocca larghissima che sembra una
squarcio, due occhioni rotondi, gialli, fosforescenti e grandissimi, gli
orecchi che somigliano a due cucchiai piantati su di un corto manico, le gambe
anteriori brevissime e terminanti in dita nodose e ossute e quelle posteriori
tre volte più lunghe e spelate fino a metà.
Il loro pelame è finissimo,
leggermente lanoso, bruno giallognolo, ma bianchiccio sul capo.
I tarsi sono riguardati come
spiriti maligni e sono sfuggiti da tutti gli isolani; ma
Than-Kiù non si preoccupava della loro presenza in quel
bosco o non credeva alle superstizioni. Concentrava invece tutta la sua attenzione
sulle macchie più fitte per guardarsi dai nemici, sospettando sempre la loro
vicinanza.
Aveva già percorso un mezzo
miglio avanzando lentamente, seguita da vicino da Hang-Tu e
da Romero, il quale aveva pure impugnata la rivoltella, quando s'arrestò
bruscamente.
Un oggetto indefinibile, ma che
parve ai suoi occhi come una linea sottile, le era passato dinanzi, emettendo
un fischio acuto.
— Che cos'è questo sibilo?... —
chiese Romero.
— Io l'ho udito ancora nel mio
paese, — rispose Hang-Tu. — È un segnale.
— Sì, — disse
Than-Kiù. — è passata dinanzi a me una freccia di guerra.
Fece cenno ai suoi compagni di
non muoversi, poi andò a frugare in mezzo ad una macchia di gambir e ritornò
mostrando loro una sottile asta. Era una freccia lunga un metro, ma invece
della punta aveva uno zufolo.
— Deve averla lanciata un
chinese, — disse Hang-Tu. — I nostri soldati usano tali
frecce, quando di notte vogliono avvertire qualcuno.
Than-Kiù
aveva compreso che un pericolo li minacciava e si era affrettata a retrocedere
verso un macchione di palme sontar, i cui tronchi sostenevano fitti festoni di
pepe selvatico.
Hang-Tu e
Romero si erano affrettati a raggiungerla mettendosele ai fianchi onde
proteggerla, nel caso che degli spagnuoli si mostrassero.
Passarono alcuni minuti, poi in
cima ad un frondoso pombo, enorme albero che produce degli aranci grossi come
la testa d'un bambino e che cresceva a circa cinquanta passi dal macchione, si
udì uno stormire di fronde, come se qualcuno si aprisse un passaggio fra i
rami.
Hang-Tu e
Romero, che avevano alzati gli sguardi, scorsero ben presto una forma umana, la
quale scendeva rapidamente, aggrappandosi ad alcuni calami che si erano
avviticchiati al colossale tronco.
Quell'uomo, che pareva possedesse
un'agilità straordinaria, tale da sfidare anche le scimmie, toccato il suolo,
si era arrestato un istante, poi si era messo a strisciare verso il nascondiglio
degli insorti.
— Una spia degli spagnuoli?... —
aveva chiesto Hang-Tu, puntando la rivoltella.
— No, — aveva risposto
Than-Kiù, abbassandogli il braccio. — È uno dei nostri.
— Tu sai molte cose che io ignoro,
— disse il chinese.
— So dove si trovano i posti
degl'insorti incaricati di vegliare sulle mosse degli spagnuoli.
— Lo vedo,
Than-Kiù.
Intanto l'uomo si era accostato fino
a pochi passi, ma poi si era arrestato dietro il tronco d'un'arenga
saccharifera.
— Sei tu,
Sheu-Kin? — chiese la fanciulla sottovoce e facendo un
passo innanzi.
Colui che portava quel nome
scivolò rapidamente fra le piante sarmentose del pepe selvatico, dicendo:
— Avevo sospettato in voi
degl'insorti ed avevo lanciato la freccia di guerra per arrestarvi. Avete fatto
bene, poiché gli spagnuoli da ieri sera hanno sorpreso il posto d'osservazione.
Sono felice di rivederti, Than-Kiù.
Sheu-Kin era,
come lo diceva il suo nome, un chinese che poteva aver diciott'anni, ma
d'aspetto robusto. Teneva ancora in mano l'arco col quale aveva lanciato il
dardo munito di zufolo, ma alla cintura portava una rivoltella ed un lungo
coltello.
— Sei un bravo e fedele
giovanotto, — disse Than-Kiù. — Sapevo di non ingannarmi
affidandoti la sorveglianza di questa foresta. Sono partiti gli spagnuoli?...
— No,
Than-Kiù. Vi sono due dozzine di uomini accampati intorno
al posto.
— Ciò è grave. Ero venuta qui per
avere alcuni cavalli e alcune armi per me ed i miei compagni.
— Vi saranno, — rispose il
giovane chinese. — Il mio cane aveva fiutato i nemici prima che entrassero
nella foresta ed ho potuto fuggire assieme ai cavalli dei corrieri giunti ieri
dalle rive dell'Imus.
— Dalle rive dell'Imus?... —
chiese Hang-Tu. — Quali notizie recavano?
— Parla, — disse
Hang-Tu, udendo che il giovane chinese dopo di aver
guardato sospettosamente Hang e Romero, esitava. — Questi sono due capi
dell'insurrezione.
— Brutte nuove, — rispose
Sheu-Kin. — Il generale Lachambre si preparava ad assalire
i posti degli insorti sulle rive dell'Imus.
— Per spingersi su Salitran? —
chiese Romero.
— Sì, — rispose il chinese.
— Allora bisogna partire senza
ritardo, Hang-Tu.
— Lo so, — disse il capo delle
società segrete. — Se Salitran cade, anche Cavite e Noveleta non potranno
resistere a lungo, alle forze riunite di terra e di mare.
— Guidaci,
Sheu-Kin, — disse Than-Kiù. — Abbiamo
molta fretta.
Il giovane chinese si alzò e si
mise in marcia, cacciandosi in mezzo a macchini di sontar, di felci arborescenti,
di betel, di areca, di sagu e di banani, le cui grandi foglie proiettavano
un'ombra così fitta, da non potersi scorgere alcun oggetto a tre passi di
distanza.
Than-Kiù,
Hang e Romero, erano costretti a tenersi ben vicini al chinese per non perderlo
di vista e per evitare i tronchi delle piante e gli smisurati calami che
s'intrecciavano a tutte le altezze.
Sheu-Kin però
pareva che avesse gli occhi degli animali notturni poiché procedeva
speditamente e senza esitare, evitando facilmente tutti gli ostacoli che
ingombravano il cammino.
Dopo dieci minuti, avvertì i
compagni che il terreno s'abbassava.
Ad Hang ed a Romero parve di
scendere entro una cupa valletta, o meglio in una gola, le cui pareti erano
coperte di piante dalle foglie gigantesche che s'incrociavano sulle loro teste,
impedendo di scorgere, o quasi, il cielo.
— Dove andiamo? — chiese Hang.
— Sheu-Kin lo
sa, — rispose Than-Kiù, che camminava dietro il giovane chinese.
Ben presto la gola cominciò ad
allargarsi, diventando un po' più chiara. Le piante erano scomparse, ma le
pareti erano sempre altissime e sulle loro cime si vedevano curvarsi i grossi e
fronzuti alberi della foresta
Sheu-Kin si
era arrestato dinanzi ad una nera apertura che pareva s'internasse nel fianco
della valletta.
— Attendetemi, — disse.
S'inoltrò entro quella spaccatura
che doveva condurre in qualche caverna, e poco dopo usciva conducendo tre
cavalli completamente bardati e dai cui arcioni pendevano tre fucili.
— Sono vostri, — diss'egli. — I
corrieri ne troveranno altri a Manilla. Sono già avvertiti che il posto è stato
sorpreso dagli spagnuoli.
— È necessaria la tua presenza in
questo bosco? — gli chiese Than-Kiù.
— Attendevo l'alba per fuggirmene
fino a Salitran. Credo che ormai più nessun insorto si dirigerà qui per
rifornirsi d'armi e di cavalli.
— Vieni con noi.
— Ma non abbiamo che tre cavalli,
— disse Hang.
— Sheu-Kin
salirà dietro di me, — rispose la fanciulla.
Balzarono in arcione e si misero
in cammino. Il giovane chinese, che si teneva dietro
Than-Kiù, aveva domandato d'inoltrarsi nella valletta per
riguadagnarsi il bosco, onde allontanarsi verso la Laguna della Baia ed evitare
gli appostamenti spagnuoli che sapeva essere numerosi intorno alla capitale.
Il terreno cominciava a salire;
ma era assai aspro, interrotto da crepacci, da macigni caduti dall'alto ed ingombro
di vecchi tronchi d'alberi che finivano d'imputridire in fondo a quella grande
spaccatura. I tre cavalli però, tre vigorosi animali e di buona razza,
varcavano facilmente quegli ostacoli e pareva che fossero impazienti di
giungere sul piano per lanciarsi al galoppo.
Il giovane chinese tuttavia
consigliava i cavalieri di frenarli, non essendo certo che l'uscita della gola
fosse libera. Gli spagnuoli che avevano occupato il posto di rifornimento dei
corrieri insorti, potevano essersi accorti di quei notturni viaggiatori ed aver
teso un agguato.
Verso le quattro del mattino,
quando il cielo cominciava a rischiararsi, i fuggiaschi giungevano
all'estremità della valletta. Dinanzi a loro si estendeva la tenebrosa foresta,
composta di macchioni d'alberi e di cespugli.
— Adagio, — aveva detto
Sheu-Kin.
In quell'istante si udì una voce
a gridare.
— Chi vive?...
— Espana e Luzon!... — gridò il
chinese.
Poi volgendosi verso
Hang-Tu e Romero:
— Carichiamo o non usciremo più
da questa trappola.
Il capo degli uomini gialli ed il
meticcio si gettarono dinanzi a Than-Kiù, poi lanciarono i
cavalli al galoppo, armando i fucili.
Alcune ombre umane si agitavano
sull'orlo del bosco e pareva che si disponessero a chiudere il passo.
— Fuoco!... — urlò
Hang-Tu.
Tre spari echeggiarono, poi tre
cavalli caricarono a corsa sfrenata, passando come un uragano in mezzo ad
alcuni soldati che si erano gittati precipitosamente a destra ed a manca.
Una scarica rintronò. I soldati,
accortisi dell'inganno, avevano pure fatto fuoco.
Il cavallo di
Than-Kiù, che era l'ultimo, fece un brusco scarto, mandando
un nitrito di dolore, ma continuò la corsa. La fanciulla si era mantenuta in
sella, ma si era accorta che il povero animale era stato colpito.
—
Sheu-Kin!... — esclamò.
— Lascialo correre finché ha
forza, — rispose il chinese, che si teneva aggrappato alla sella.
Romero aveva però udito il grido
della giovane. Con una violenta strappata costrinse il proprio cavallo a
moderare la corsa, poi quando si vide passare accanto
Than-Kiù, allungò le robuste braccia e la levò d'arcione.
Il momento era stato ben scelto,
poiché poco dopo il cavallo montato da Sheu-Kin stramazzava
pesantemente al suolo, spaccandosi la testa contro il tronco d'un albero.
Il suo cavaliere, proiettato
innanzi dal colpo, girò due volte in aria, ma ebbe la fortuna di andare a
cadere nel bel mezzo d'un folto cespuglio le cui fronde bastarono per
impedirgli di fracassarsi le ossa.
— Morte di Fo!... Chi è caduto? —
gridò Hang-Tu, arrestando il proprio cavallo.
Il giovane chinese, invece di
rispondere, si rialzò con una agilità che indicava come nulla si fosse guastato
e con un balzo si trovò dietro al capo degli uomini gialli.
— Avanti!... — gridò, stringendo
le ginocchia e tenendosi alla sella.
Delle detonazioni rimbombavano
verso l'uscita della valletta e se ormai non potevano produrre danno ai fuggiaschi
che erano fuori di portata dai colpi, potevano però attirare l'attenzione di
altri soldati.
I due cavalli, malgrado quel
doppio carico, mantenevano un galoppo rapidissimo, evitando abilmente gli
ostacoli che incontravano sul loro cammino.
Hang-Tu e
Sheu-Kin si erano messi alla testa: Romero veniva dietro,
sostenendo fra le braccia la giovane chinese.
Quella corsa furiosa durò una
mezz'ora, poi i due cavalli cominciarono a rallentare. Le piante si diradavano
ed il terreno saliva rapidamente. La pianura boscosa si tramutava in collina e
più oltre in montagna.
L'alba spuntava fugando
rapidamente le tenebre ed al calore soffocante della notte succedeva una fresca
brezzolina, vivificante e carica del profumo di mille piante in fiore.
Gli uccelli cominciavano a
cinguettare sulle più alte cime degli alberi. Le ciarliere gazze aprivano, ai
primi raggi del sole, le loro ali screziate d'azzurro brillante; gli aironi si
stiracchiavano le loro lunghe gambe; le splendide colombe, coronate dalle piume
scintillanti d'oro e d'azzurro, si preparavano ad innalzarsi, mentre i grossi
calao, dal becco enorme, mostruoso, facevano udire le loro grida sgradevoli,
somiglianti allo stridere d'una ruota male unta.
Anche le scimmie che sono
piuttosto numerose nelle foreste delle Filippine e soprattutto in quelle di
Luzon, si preparavano a lasciare i loro rifugi notturni.
Sugli alberi fruttiferi si
vedevano agitarsi non pochi di quei ridicoli quadrumani chiamati Bacantan, dal
corpo svelto, la coda lunga, dal pelame ricco e morbido di color bruno più o
meno chiaro, alti circa un metro e mezzo, ma con un viso assai strano.
Figuratevi che hanno la barba gialla, il labbro superiore spaccato ed un naso
rosso come quello dei seguaci di Bacco e così lungo e adunco, che quei poveri
animali sono costretti a tenerselo quasi sempre in mano per non fracassarselo
contro i rami degli alberi.
Non mancavano nemmeno i macachi
chiamati Monjet, altre scimmie barbute, colla testa piatta, il pelame verde
bruno, la coda lunga e che quando vogliono divertirsi, vanno a percuotere, per
ore di seguito, le grosse canne di bambù, improvvisando dei concerti molto
rumorosi.
Hang-Tu,
vedendo che il terreno continuava a salire e che i cavalli faticavano assai con
quel doppio peso, si era arrestato, dicendo a Sheu-Kin:
— Dove andiamo?... I nostri
animali non possono condurci fino a Salitran, se siamo costretti a raddoppiare
il cammino.
— Vi è una fattoria sulla cima di
questo colle, — rispose Sheu-Kin. — Colà troveremo dei
cavalli.
— Conosci il proprietario?...
— Sì, ed è un malese.
— Allora non vi è da temere.
I cavalli dopo un breve riposo
s'erano rimessi in cammino, ma Romero e Hang erano discesi per non affaticarli
troppo e procedevano insieme, coi fucili sotto il braccio.
Il terreno saliva sempre, ma la
foresta continuava a diradarsi. S'alzavano qua e là gruppi di fichi, alberi che
crescono splendidamente in quelle isole, mentre tutte le altre piante di
provenienza europea intisichiscono, producendo frutta avvizzite; macchioni di
alberi gommiferi, di grossi e fronzuti tamarindi, di felci colossali, di nipa
dalle bellissime foglie e di tigli detti del pitro, piante che dànno delle
fibre tigliose bellissime che unite colla seta servono a fabbricare dei tessuti
di meravigliosa finezza, assai apprezzati e molto ricercati sui mercati chinesi
e giapponesi.
Di passo in passo che salivano,
l'orizzonte si allargava. Attraverso agli squarci della foresta, i cavalieri
potevano già scorgere la vasta baia di Manilla solcata da numerosi velieri e da
cannoniere che lanciavano in aria nuvoli di fumo nerissimo e più oltre, verso
il nord, la selva di campanili della Ciudad e più indietro i popolosi sobborghi
del Passig.
Giunti sulla cima del colle, che
era quasi sgombra di piante, apparve ai loro sguardi la vastissima Laguna della
Baia che è divisa da quella di Manilla da un istmo largo poco più di sette
miglia, colla sua isola di Talim che ne occupa il centro e le sue isolette
affollate dinanzi all'uscita del fiume.
Hang-Tu,
salito sulla cima d'una rupe in compagnia di Romero, aveva volto ansiosamente
gli occhi verso il mare, seguendo attentamente la curva pronunciatissima che
descrive la baia di Manilla verso le coste meridionali.
— Eccolo il baluardo
dell'insurrezione, — diss'egli, con un certo entusiasmo. — Lo vedi, Romero?
Il meticcio aveva arrestato lo
sguardo su un grosso gruppo di casette biancheggianti all'estremità d'una lunga
lingua di terra. Dinanzi ad esso si vedevano parecchi punti neri, sovra i quali
s'alzava come una nebbia oscura.
— Cavite, — disse, — la vedo.
In quel momento un sordo colpo di
cannone rimbombò in lontananza, ripercotendosi poco dopo fra le rocce della
collina, seguito da un secondo, poi da un terzo.
— A Cavite si combatte, — disse
Sheu-Kin, che li aveva raggiunti.
— Sì, la flotta la bombarda, —
rispose Hang-Tu, la cui fronte si era abbuiata.
— Finché i nostri tengono
Salitran, non v'è pericolo, — disse Romero. — Le cannoniere spagnuole non
riusciranno a scacciare da Cavite i nostri fratelli.
— Ma se Salitran non potesse
resistere?... Chi impedirebbe poi al generale Polavieja di prendere i nostri
alle spalle, assalendoli dalla parte di terra?...
— Vi è Noveleta ancora.
— Verrà espugnata presto, Romero.
Non potrà resistere a lungo agli assalti delle numerose truppe spagnuole.
— Ma noi andremo a scatenare
l'insurrezione nelle province settentrionali. Luzon è vasta e fra i monti del
centro nessuno potrebbe sloggiarci, né domarci.
— Lo si vedrà, — disse
Hang-Tu, crollando il capo.
Lasciarono quella specie
d'osservatorio e girando attorno ad una vetta, scesero in una stretta valle
dove si scorgevano piccole piantagioni di zenzero e di canne da zucchero e più
oltre una casa di bell'aspetto, cinta da uno steccato, entro cui pascolavano
numerosi cavalli e buoi.
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