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IL RIFUGIO IN MEZZO ALLA FORESTA
Hang-Tu,
insensibile all'intenso calore che regnava sotto la grande foresta, non
essendovi sotto la fitta massa di verzura alcun soffio d'aria, vegliava sempre,
conservando una immobilità quasi assoluta. Pareva che il sonno non fosse
necessario a quell'uomo di ferro, poiché le sue palpebre non si abbassavano,
anzi sbarrava sempre più gli occhi e tendeva costantemente gli orecchi.
Non guardava in terra; guardava
invece in alto, sugli alberi, seguendo attentamente le ardite evoluzioni di una
banda di cinocefali neri, dal muso largo e piatto, dalla fronte enormemente
sporgente, dalla coda rudimentale, dal folto pelame d'un nero intenso, e dalle
natiche rosse. E finché quelle scimmie sospettose non davano alcun segno
d'inquietudine, nessun pericolo vi era da temere; esse avrebbero avvertito
l'approssimarsi degli uomini.
Porgeva anche attento ascolto ad
una banda di gazze azzurre che cicalavano, duecento metri più lontano, sulla
cima d'un albero della canfora non che alle grida scordate di un gruppo di
otarde. Finché continuavano a strepitare senza abbandonare i loro posti, ciò
voleva indicare che quella parte della foresta era ancora deserta.
Erano già trascorse due ore,
senza che Hang avesse notato alcun che di straordinario, quando le otarde
improvvisamente zittirono, poi le gazze, quindi le scimmie cominciarono a dare
segno d'inquietudine, interrompendo i loro giuochi e salendo e discendendo i
rami degli alberi con una certa precipitazione.
Hang-Tu si
era prontamente scosso.
— Vengono, — mormorò. — Bisogna
ripartire.
Stette alcuni istanti ancora
immobile, credendo che si trattasse d'un falso allarme, rincrescendogli assai
d'interrompere il riposo dei suoi uomini e soprattutto il sonno della povera
Than-Kiù; ma vedendo che i cinocefali invece di riprendere
i loro giuochi s'affrettavano a guadagnare i rami degli alberi vicini per
allontanarsi, dette l'allarme.
I suoi uomini in un baleno furono
in piedi, Than-Kiù si rialzò prontamente, la barella fu
levata e la piccola colonna riprese la ritirata attraverso la piantagione di
pepe selvatico, marciando lentamente ma in silenzio.
Sei uomini erano già stati
rimandati indietro per sorvegliare le mosse del nemico e sostenere il primo
urto, nel caso che venissero stretti troppo da vicino.
Romero si era pure svegliato ed
apprendendo che l'inseguimento continuava con accanimento, aveva pregato
nuovamente Hang di abbandonarlo per non compromettere la vita di tutti, ma il
chinese gli aveva invece imposto di tacere.
La marcia era diventata rapida,
avendo trovato una specie di sentiero, aperto forse dagli indigeni o da qualche
banda di insorti che era stata forse costretta a passare per di là, ma anche
gl'inseguitori non dovevano aver rallentato la caccia, poiché gli uomini della
retroguardia, che si tenevano a quattrocento passi dal grosso, ne avevano udito
più volte le voci.
L'inquietudine tornava a prendere
i fuggiaschi ed anche Hang-Tu cominciava a dubitare
dell'esito di quella ritirata. Più volte anzi si era domandato, se non fosse
stato meglio trincerarsi in mezzo di una folta macchia ed impegnare una lotta
suprema col nemico, ma il timore di vedere sbandarsi i suoi uomini lo
tratteneva ancora.
Nondimeno era necessario trovare
un qualche rifugio, poiché se questa caccia accanita continuava ancora, avrebbe
finito col ridurre i suoi uomini in tale stato di debolezza, da non essere più
in grado di opporre la menoma resistenza.
Aveva più volte chiesto ai
meticci ed ai chinesi se sapevano dove si trovassero e se nelle vicinanze vi
fosse qualche villaggio su cui appoggiare, ma nessuno aveva dato una risposta
positiva. Alcuni opinionavano di trovarsi presso lo Zapatè, altri invece di non
essere lontani dal mare, ma infine tutti confermavano di essersi smarriti.
Di S. Nicola più nessuno parlava
e forse pel momento non era il caso di pensarvi. Ormai quel posto, ancora
tenuto dagl'insorti, doveva trovarsi ben lontano.
Alle due, il drappello, avvertito
che gli spagnuoli avevano fatta una nuova sosta, prese un po' di riposo, ma per
riprendere la marcia un'ora dopo. Gli uomini della retroguardia erano stati
scoperti ed erano stati salutati da alcuni colpi di fucile; fortunatamente
avevano avuto il tempo di salvarsi.
La distanza spariva rapidamente.
Il drappello, impedito dalla barella, minacciava di venire raggiunto prima che
calasse la notte.
Hang-Tu prese
un partito disperato.
— Romero, — disse rivolgendosi al
ferito. — È necessario uno sforzo supremo da parte tua o verremo assaliti e con
ogni probabilità distrutti.
— Sono pronto a tutto, — rispose
il meticcio. — Ti ho già detto di abbandonarmi.
— No, non ti abbandonerò nelle mani
del maggiore d'Alcazar.
— Del maggiore d'Alcazar!… —
esclamò Romero, con accento di dolore. — È lui adunque che c'insegue?…
— Sì.
— Dovevo immaginarmelo dal suo
accanimento.
Poi, dopo un breve silenzio,
aggiunse:
— Preferisco cadere in sue mani,
piuttosto che in altre.
— Non ti risparmierebbe
egualmente.
— Chissà, Hang.
— Non fidarti della sua
generosità. Che importa a lui che sua figlia ti voglia bene?… È un soldato e
non tradirà la sua bandiera, dovesse infrangere il cuore della donna bianca.
— Forse hai ragione, — mormorò Romero, con
tristezza; — ma se è me che cerca d'avere nelle mani, forse potrei salvare te,
Than-Kiù e tutti gli altri.
— Non ti comprendo.
— Lascia che mi rechi da lui.
— A che fare?…
— A mettermi nelle sue mani a
condizione che lasci liberi voi tutti.
— Non accetterebbe, e poi prima
di te ci sarei io a tentare questo passo estremo. No, Romero, non siamo ancora
vinti ed ogni speranza di salvarci non è ancora perduta, ma tutto dipende dalle
tue forze.
— Ossia?…
— Potresti, facendo appello a
tutta la tua energia, mantenerti in sella?… Il bosco comincia a diradarsi e con
una rapida galoppata possiamo guadagnare un buon tratto di via sugli
inseguitori e giungere a qualche rifugio.
Invece di rispondere Romero fece
cenno ai portatori d'arrestarsi, poi facendo uno sforzo supremo, non ostante il
dolore acuto che doveva produrgli quella mossa, si gettò giù dalla barella.
— Mio signore, t'uccidi! —
esclamò Than-Kiù, avvicinandosi a lui per sorreggerlo.
Romero la respinse dolcemente,
sorridendo.
— Da me dipende la salvezza di
tutti, — disse. — Conducetemi il mio cavallo.
Romero era diventato estremamente
pallido e grosse gocce di sudore, probabilmente fredde, gli bagnavano la
fronte; ma una potente volontà lo manteneva ritto e soffocava gli acuti dolori
della ferita.
Un chinese aveva condotto il
cavallo. Hang-Tu afferrò Romero ed aiutato da un meticcio
lo pose in sella.
— Puoi resistere? — gli chiese,
con inquietudine.
— Avanti, — rispose invece
Romero.
Cacciò gli speroni nel ventre
dell'animale e partì di galoppo, fiancheggiato da Hang e
Than-Kiù, che si tenevano pronti a sorreggerlo e seguito da
tutta la banda.
La foresta tornava a diradarsi e
permetteva al drappello di avanzarsi rapidamente, lasciando indietro gli
spagnuoli.
Than-Kiù, che
era più pallida del ferito e sommamente commossa, chiedeva ad ogni istante:
— Tu soffri, mio signore. Vuoi
che il Fiore delle Perle ti sorregga?
Ma Romero invece di risponderle
continuava a comandare:
— Avanti!… Avanti!…
Pareva che egli non provasse più
nulla, nemmeno il più piccolo dolore e continuava a spronare il proprio cavallo
trascinando, in una corsa sfrenata, tutta la banda. Pareva che non udisse
nemmeno più né la voce di Than-Kiù, né quella di
Hang-Tu. Doveva essere in preda ad una specie di
esaltazione che gl'impediva di provare l'acerbo dolore che dovevano produrgli
le scosse violente del destriero, ma che poteva anche più tardi scontare a caro
prezzo, forse colla propria vita.
Quella corsa vertiginosa durò
un'ora, poi s'arrestò bruscamente. Una abitazione era apparsa sul lembo
dell'immensa foresta ed i cavalli si erano fermati dinanzi alla palizzata che
la circondava.
— Un rifugio!… — aveva esclamato
Hang, con gioia. — forse siamo salvi.
Poi era balzato prontamente a
terra e si era precipitato verso Romero.
Era tempo. Il valoroso meticcio,
esausto da quello sforzo poderoso, cessata la corsa s'era accasciato
bruscamente sul collo del suo cavallo, colpito da uno svenimento fulminante.
Cadde fra le braccia del chinese come se la vita lo avesse abbandonato.
— Morto!… esclamò
Than-Kiù con voce terribile, fissando su Hang uno sguardo
di fuoco.
— No, non temere, — esclamò il
chinese, la cui voce però forse per la prima volta, tremava. — Romero è forte.
L'aveva preso delicatamente fra
le braccia, era entrato nella cinta che circondava la casa, il cui cancello era
aperto, ed avendo veduto in un angolo delle sedie, ve lo aveva deposto.
Than-Kiù e
tutti gli altri lo avevano seguito e lo avevano circondato.
Hang appoggiò un orecchio sul
petto di Romero ed ascoltò con profondo raccoglimento.
— Ebbene? — chiese
Than-Kiù, con voce minacciosa. — Me l'hai ucciso, Hang?…
— No, il cuore batte ancora
forte, — rispose il chinese, respirando. — Romero è solamente svenuto pel
dolore e per lo sforzo eccessivo. Non temere, Than-Kiù, io
lo guarirò, specialmente ora che abbiamo trovato un rifugio.
Esaminò la ferita. La benda si
era spostata sotto i violenti urti di quel galoppo disordinato, e la ferita,
riapertasi, sanguinava.
Avendo veduto in un angolo del
cortile una cisterna, fece attingere dell'acqua, lavò nuovamente ed
abbondantemente la ferita, poi tornò a fasciarla, dopo aver riunito i margini
della carne forata dalla palla nemica.
— Te lo affido,
Than-Kiù, — disse poi. — Io intanto esaminerò questa casa
per vedere se è possibile organizzare qui la resistenza. Gli spagnuoli sono
lontani, ma forse domani saranno qui.
Si alzò e, seguito da alcuni
uomini, ispezionò l'abitazione.
Era una piccola fattoria, ma
solidamente costruita, che pareva fosse appartenuta a qualche famiglia di tagali
che la guerra doveva aver scacciato, se pure non l'avevano abbandonata
volontariamente per raggiungere le bande insorte che s'erano radunate sulle
rive dello Zapatè.
Si componeva d'una casa a due
soli piani, colle pareti abbastanza resistenti ed in muratura e di due piccole
tettoie, il tutto racchiuso da una palizzata robusta, alta due metri e mezzo o
tre, capace di resistere a lungo, anche ad un violento assalto.
Le due stanze della casetta erano
ammobiliate con rozze sedie e tavole ed in una vi erano due letti formati da un
alto strato di stuoie di foglie di cocco, e sotto le tettoie
Hang-Tu scoprì delle provviste considerevoli, del riso,
canne da zucchero, frutta secche, noci di cocco, cacao, caffè e legumi, nonché
parecchi attrezzi campestri, zappe, vanghe, scuri di boscaioli ed un aratro.
Non vi era però nessun animale, quantunque abbondanti fossero le tracce
lasciate da cavalli, da montoni e da volatili.
Hang-Tu
soddisfattissimo, fece il giro della cinta ed avendola trovata dovunque in
ottimo stato, cominciò a sperare.
— Se i miei uomini tengono duro,
credo che il maggiore d'Alcazar non ci prenderà così facilmente come spera, —
mormorò. — Manderò qualcuno a cercare nei dintorni del fiume per avere
soccorsi, ed intanto noi resisteremo finché avremo una cartuccia.
Chiamò a raccolta i suoi uomini,
i quali avevano già ricoverati i cavalli sotto la tettoia, ed espose loro le
sue intenzioni, le quali vennero tosto approvate, avendo ormai tutti compreso
che una nuova ritirata, con Romero ferito, non avrebbe portato che danni
gravissimi.
Fu deciso che due dei più robusti
e dei più pratici del paese, sarebbero partiti dopo qualche ora di riposo, per
cercare di raggiungere le bande che dovevano accampare sulle rive dello Zapatè
e poi di barricare il cancello con un ammasso di tronchi d'alberi.
Trasportarono dapprima Romero
nell'interno della casa, adagiandolo su uno dei due letti ed affidandolo alle
cure di Than-Kiù; poi, mentre i due uomini che dovevano
partire prendevano un po' di riposo, gli altri, armatisi delle scuri trovate,
si misero frettolosamente al lavoro, abbattendo parecchi alberi per completare
la chiusura della cinta.
Due ore dopo, appena partiti i
due corrieri, il cancello veniva ostruito con una triplice fila di pali,
rinforzati da due grossi tronchi d'albero; ma Hang-Tu, non
ancora soddisfatto, fece tagliare altre piante per ostruire in gran parte anche
le finestre della casa, onde i suoi uomini potessero difendersi senza esporsi
troppo ai colpi dei nemici.
Quando vide che la piccola
fattoria era in grado di poter resistere, accordò finalmente alcune ore di
sonno, mentre due meticci, che erano stati lasciati appositamente in riposo,
montavano il primo quarto di guardia sul tetto della casa, per poter meglio
scorgere l'avvicinarsi degli spagnuoli.
Hang, che si sentiva esausto per
quelle lunghe veglie, poté finalmente coricarsi accanto a
Than-Kiù, la quale si era già profondamente addormentata presso
il ferito.
Quando si svegliò, cominciavano a
cadere le tenebre. Il sole era già scomparso dietro ad una grande nuvola nera,
che pareva s'alzasse dalla parte del mare, e la foresta rumoreggiava sotto le
prime raffiche che scuotevano le gigantesche foglie dei banani, dei betel,
degli arecche e delle palme, mentre faceva gemere e scricchiolare i flessibili
rami dei giganteschi tamarindi e delle piante gommifere. Pareva che un uragano
si preparasse a scoppiare.
Romero era già svegliato e
parlava colla fanciulla che gli sorrideva. Hang visitò nuovamente la ferita, la
rinfrescò con acqua fatta attingere nella cisterna, costrinse l'amico a
sorseggiare alcune tazze di brodo, avendo già fatto cucinare un altro pollo,
poi uscì.
I suoi uomini erano tutti in piedi
e stavano preparandosi la cena colle provviste trovate sotto le tettoie. Erano
tutti di buon umore, poiché coll'uragano che minacciava, speravano di passare
la notte senza attacchi, rimettendosi completamente, con una buona dormita,
dalla stanchezza delle veglie precedenti.
— Nulla? — chiese Hang.
— No, capo, — risposero.
— Che gli spagnuoli abbiano
perdute le nostre tracce?…
— È probabile.
— Non è uscito nessuno ad
esplorare i dintorni?
— Sì, io, — rispose un chinese, —
ma non ho veduto alcuno spagnuolo.
— Speriamo, — mormorò Hang,
rientrando nella casa.
«Se ritardano l'attacco d'un paio
di giorni, i soccorsi giungeranno ed il maggiore non ci prenderà più. »
Anche Romero pareva che fosse di
buon umore, poiché continuava a parlare colla fanciulla, come se i dolori gli
avessero accordato una tregua.
Hang-Tu,
vedendoli l'uno vicino all'altra, si era arrestato sulla porta della stanza,
colle braccia incrociate, guardandoli con una commozione che invano cercava di
nascondere. Di tratto in tratto però un sospiro profondo sollevava il suo
robusto petto e come una nube di profonda tristezza gli passava sulla fronte.
Than-Kiù,
colla sua voce armoniosa, cinguettava come una cinciallegra, raccontando a
Romero non so quali leggende del suo paese, che il ferito ascoltava sorridendo.
Pareva che la povera fanciulla del fiume Giallo, fosse in quel momento
grandemente felice e che il meticcio avesse scordato il suo affetto per la
Perla di Manilla per non ascoltare che il Fiore delle Perle.
— E non sarà che un sogno, una
vana illusione, — mormorò Hang. — Quanto sarà terribile, per
Than-Kiù, il risveglio! La donna bianca le sarà fatale e le
infrangerà l'anima.
Era uscito nuovamente, ma in
punta di piedi, per non turbare la fanciulla e si era seduto nel cortile,
tenendosi il capo fra le mani. Pensava forse a Than-Kiù, ma
anche vegliava, tendendo gli orecchi al sussurrìo crescente del fogliame ed ai
primi ululati del vento il quale s'ingolfava attraverso i mille e mille tronchi
della foresta.
I suoi uomini si erano riparati
sotto le tettoie accanto ai cavalli, per mettersi al coperto dai primi
goccioloni che cominciavano a crepitare attraverso le foglie, meno quattro, dei
più robusti che erano rimasti di guardia ai quattro angoli della palizzata,
sotto un riparo improvvisato con alcune stuoie.
L'uragano a poco a poco
s'avanzava. Il tuono rombava di quando in quando fra le tempestose nubi e
qualche lampo illuminava la foresta, facendo spiccare gli uomini che si
tenevano immobili sotto i ripari.
Hang non si muoveva. Ascoltava
sempre, senza curarsi della pioggia che lo sferzava.
Ad un tratto si alzò.
— Uomini di quarto! — gridò.
— Capo, — risposero le guardie.
— Il nemico s'avvicina.
L'udito acuto del chinese non
doveva essersi ingannato. In mezzo ai fragori dell'uragano aveva distinto un
fischio, un segnale lanciato di certo dai soldati del maggiore d'Alcazar.
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