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FRA IL FUOCO E L'ACQUA
Il grosso della colonna era
giunto disordinatamente sulla riva dello Zapatè, credendosi assalito anche alle
spalle e sui fianchi, ma nessun cavaliere aveva ancora osato slanciarsi in
acqua, poiché le lance di alcuni tagali non avevano trovato fondo.
Il fiume, ingrossato da qualche
recente acquazzone, correva rapido, frangendosi furiosamente contro i due
argini e da quella parte non offriva alcun guado. Vi era quindi il pericolo,
con tanti cavalli e con il pànico che aveva cominciato ad invadere le due bande,
che il passaggio terminasse in una catastrofe.
Hang-Tu con
uno sguardo aveva compresa la gravità della situazione, ma aveva pure capito
che non vi era da esitare. O passare rapidamente il fiume, o farsi sterminare
dai soldati spagnuoli che già accorrevano con forze imponenti da tutti gli
accampamenti.
L'avanguardia, riparata dietro
l'argine, si difendeva vigorosamente con scariche micidiali, ma non avrebbe
potuto resistere a lungo all'irrompere della brigata.
— In acqua!… — gridò Hang-Tu.
In quel momento si rammentò di
Romero e di Than-Kiù e s'arrestò, gettando uno sguardo
angoscioso sui cavalieri che s'affollavano confusamente sulla riva.
— Romero!… — gridò.
— Eccomi! — rispose una voce.
Il meticcio Stava per
raggiungerlo, aprendosi impetuosamente il passo fra le bande. Udendo i primi
spari, si era gettato dalla barella, malgrado le preghiere di
Than-Kiù e dei meticci incaricati di vegliare su di lui, e
fattosi condurre un cavallo lo aveva montato.
Aveva pur lui compreso la estrema
gravità della situazione e da vero capo, non badando ai dolori causati dalla
ferita, accorreva in prima fila per organizzare la difesa e guidare le bande
attraverso il fiume. Than-Kiù lo aveva seguito coi quattro
meticci.
Vedendosi di già sulla riva,
Hang-Tu aveva respirato liberamente.
— Puoi reggerti, Romero?… —
chiese.
— Sì, — rispose il meticcio.
— Than-Kiù,
lascia il tuo cavallo e sali dietro di me.
— L'acqua non mi fa paura, Hang,
— rispose la fanciulla.
— Ma la corrente è rapida. Sali e
aggrappati a me. Il mio cavallo è vigoroso.
Than-Kiù
obbedì.
— In acqua!… — gridarono i due
capi.
Spronarono i cavalli e si slanciarono
arditamente nel fiume. I loro uomini, incoraggiati nell'esempio e spaventati
dall'accorrere degli spagnuoli, i quali avevano già aperto il fuoco, li
seguirono confusamente. Quelli che erano rimasti senza cavalli erano balzati in
groppa a quelli dei loro compagni o si erano attaccati alle code.
La corrente, che era rapidissima,
trascinava uomini ed animali, minacciando d'inghiottire gli uni e gli altri.
Per maggior disgrazia l'avanguardia, oppressa dal numero, aveva abbandonato
l'argine balzando pure in acqua, sicché gli spagnuoli, giunti sulla riva,
sparavano sui cavalieri della retroguardia, spargendo il terrore e la morte.
Hang-Tu e
Romero, in testa a tutti, con furiose speronate cercavano di mantenere a galla
i cavalli e di guidarli verso alcuni banchi di sabbia che si vedevano emergere
nel mezzo del fiume, mentre Than-Kiù, pur tenendosi stretta
al chinese, colla sinistra faceva fuoco contro gli spagnuoli, bruciando tutte
le cariche della sua rivoltella.
Dietro di loro si dibattevano i
chinesi ed i tagali, urlando come indemoniati. Presi da un pànico ormai
irrefrenabile, si urtavano confusamente per essere i primi a giungere
sull'opposta riva, imbarazzando le mosse dei poveri animali, i quali non si
mantenevano a galla che con sforzi disperati.
Di quando in quando alcuni
cavalieri e cavalli, colpiti dalle palle del nemico, scomparivano, trascinati
dalla corrente, andavano ad urtare, violentemente contro gli altri, causando
nuove disgrazie.
Le grida dei fuggiaschi, le urla
dei feriti, i nitriti dei cavalli, gli spari ed i muggiti delle acque,
formavano un baccano assordante tale da impedire ad Hang-Tu
e Romero di dare qualsiasi ordine, per evitare che quella precipitosa ritirata
si convertisse in un completo disastro. Invano urlavano ai loro uomini di
tenersi lontani gli uni dagli altri, per non imbarazzare le mosse dei cavalli e
raccomandavano la calma; la loro voce veniva coperta da quel fracasso
assordante.
Le linee erano state rotte.
Alcuni cavalli, impotenti a resistere all'impeto della corrente, erano stati
trascinati lontano e si vedevano dibattersi a tre, quattro e perfino
cinquecento metri dal luogo ove si erano tuffati; altri invece, erano stati
respinti verso la riva ed i loro cavalieri erano caduti sotto il fuoco del
nemico od erano stati fatti prigionieri.
Intanto
Hang-Tu, Romero e dieci o dodici altri che non li avevano
abbandonati, erano giunti sui primi banchi e là si erano arrestati in attesa
dei compagni. Vedendo che gli spagnuoli non cessavano il fuoco e che
continuavano ad ingrossare, si nascosero dietro ai cavalli e cominciarono a
sparare.
I cavalieri che giungevano a due
o tre alla volta, li imitavano per rendere meno disastrosa la ritirata degli
altri che si trovavano ancora nelle acque profonde.
Le palle s'incrociavano sopra il
fiume con strani miagolii. Cadevano uomini d'ambo le parti, Ma soprattutto
insorti, le cui bande si assottigliavano rapidamente, mentre le compagnie
nemiche ingrossavano sempre.
Dei duecento insorti, che erano
entrati nel fiume, ne rimanevano centocinquanta; gli altri erano stati
inghiottiti dalle acque ed i loro cadaveri, unitamente a quelli dei cavalli, si
vedevano arenati presso i banchi o lungo le rive.
Hang e Romero, frettolosi di
salvare i rimanenti e di sottrarli a quelle scariche micidiali, appena videro
approdare gli ultimi cavalieri, comandarono nuovamente la ritirata.
Ormai la riva era vicina, e
dietro gli alberi che la coprivano potevano trovare un ottimo rifugio.
Attraversarono rapidamente i
banchi sempre sotto il fuoco che faceva grandi vuoti fra le fila degl'insorti,
e si cacciarono in mezzo agli alberi, dove sostarono per attendere i compagni
che avevano approdato due o trecento metri più lontano.
— Presto, presto! — gridava Hang,
— o avremo addosso anche le truppe che hanno guadato il fiume prima di noi.
Gl'insorti giungevano alla
spicciolata, alcuni ancora a cavallo, altri a piedi e quello che era peggio,
senz'armi, avendo dovuto abbandonarle per salvarsi a nuoto.
Quando
Hang-Tu se li vide tutti intorno, ordinò ai cavalieri di
prendersi in sella i compagni che avevano perduto i loro animali e diede il
comando della partenza, sperando di poter giungere a S. Nicola prima che il generale
Lachambre ordinasse l'attacco.
La borgata tenuta dagl'insorti
non era lontana e con una rapida galoppata si poteva raggiungerla in meno di
tre quarti d'ora.
Tutta la colonna si era lanciata
al galoppo, inoltrandosi in una vallata in mezzo alla quale scorreva un piccolo
affluente dello Zapatè, procurando di tenersi nascosta in mezzo agli alberi che
coprivano il fondo ed i due pendii.
Dalla parte del fiume le
detonazioni erano cessate, ma più oltre, verso S. Nicola, si udivano squillare
le trombe degli spagnuoli. Pareva che il generale si preparasse ad assalire.
— Speri di giungere in tempo? —
chiese Romero, che cavalcava a fianco di Hang. Conduciamo con noi rinforzi già
stremati dalla lotta e dalla fatica e inoltre avviliti.
— Faremo quanto potremo. La
presenza nostra può incoraggiare gli insorti ad una disperata resistenza.
Quello che temo, è di trovare la via tagliata.
— Cercheremo di girare le
posizioni spagnuole. Forse S. Nicola non è ancora stata circondata.
— Speriamo, Romero. E la tua
ferita?…
— È già un po' cicatrizzata. Fra
tre o quattro giorni tutto sarà finito.
— Non ti producono dolori le
scosse del cavallo?
— Sì, ma sono sopportabili.
In quell'istante, verso il fondo
della valle, si udirono a squillare delle trombe, mentre più in alto si udivano
muggire le conche di guerra delle bande insorte.
Hang-Tu, con
una violenta strappata, aveva fermato il cavallo, guardando con inquietudine
verso l'estremità della valletta.
— Che gli spagnuoli si muovano? —
chiese.
— Lo credo, — rispose Romero, che
si era pure arrestato. — Questi squilli comandano l'apertura del fuoco.
Aveva appena cessato di parlare
che si udirono rimbombare in alto, con immenso fragore, due cannonate, poi
subito dopo una terza dalla parte di Zapatè.
— Giungeremo troppo tardi!… —
esclamò Hang, con rabbia.
— O non vi potremo nemmeno
giungere, colle poche forze di cui disponiamo, — disse Romero.
— Perché?…
— Guarda lassù. Non vedi le
schiere spagnuole avanzarsi attraverso i boschi, in masse considerevoli?… Tutta
la prima brigata del generale Lachambre muove all'attacco e forse la seconda ha
già guadato il fiume e si avanza per tagliare la ritirata agl'insorti.
— Non importa, Romero;
caricheremo a fondo e passerà chi potrà.
Poi rizzandosi sulle staffe e
snudando la catana, urlò:
— Avanti chi non teme la morte!…
La colonna si era slanciata al
galoppo addentrandosi nella stretta valle, la quale terminava in un'aspra
salita che doveva sboccare nei pressi di S. Nicola. Cercavano di affrettarsi,
ma la natura del suolo, il quale era ingombro di macigni enormi, di gruppi di
alberi e di cespugli, la costringeva di frequente a rompersi o a rallentare.
Alcuni cavalieri, sia che possedessero cattivi animali o che si sentissero poco
tentati di appressarsi alle forti colonne spagnuole, cominciavano a rimanere
indietro per poi dileguarsi al momento opportuno.
Intanto verso S. Nicola l'attacco
era cominciato con grande vigore e con molto slancio da parte delle due brigate
del generale Lachambre, il vincitore di Salitran.
Il cannone rombava
incessantemente e la moschetteria crepitava dovunque. Al di sopra degli alberi
si vedevano alzarsi nubi di fumo bianco, mentre al di sotto si udivano le
trombe a squillare la carica e i soldati a gridare.
— Viva il Re!… Viva la Reggente!…
Pareva che le bande insorte,
trincerate nel borgo, si difendessero disperatamente, poiché anche lassù il
fuoco di moschetteria si manteneva vivissimo, quantunque alcune case incendiate
da qualche granata, ardessero come zolfanelli.
Romero e Hang nondimeno s'avanzavano
sempre, benché si fossero accorti che la loro colonna andava assottigliandosi
rapidamente. Sperava ancora di giungere inosservati alle spalle delle truppe
spagnuole, di aprirsi il passo con una carica furiosa e di entrare al galoppo
in S. Nicola.
Il loro piano doveva però in
breve fallire. Alcuni spagnuoli che salivano pure la valletta attraverso i
boschi, accortisi della presenza di quel gruppo di cavalieri, avevano dato
l'allarme e, presa posizione in mezzo ad alcune rupi, avevano cominciato a far
fuoco.
Hang-Tu e
Romero, visto che i loro uomini esitavano a spingersi innanzi, si gettarono nei
boschi di fronte per sottrarsi a quelle scariche, ma s'avvidero ben presto che
anche da quel lato correvano il pericolo di venire, se non distrutti, almeno
decimati.
Altri soldati che occupavano le
alture della valletta, avevano pure aperto il fuoco ed avendo veduto che non
riuscivano a danneggiarli, avevano cominciato a rotolare attraverso gli alberi
macigni enormi, i quali scendevano con grande fracasso, balzando e rimbalzando
e schiantando, nella loro corsa, non poche piante.
Alcuni chinesi e tagali,
spaventati, avevano abbandonata la partita battendo precipitosamente in
ritirata.
— Hang, — disse Romero, — stiamo
per venire schiacciati entro questa valle.
— Ma lassù si combatte ancora, —
rispose il chinese.
— Ma credi tu…
La frase gli fu troncata da una
serie di spaventevoli detonazioni, che rombavano dalla parte di S. Nicola.
Erano scoppiate delle mine od era saltato il deposito delle munizioni degli
insorti?…
Hang-Tu stava
per ridiscendere verso la valle, quando si udirono a echeggiare, verso
l'estremità, delle grida confuse ma che parevano emesse da centinaia di
persone, seguite subito da un terribile fuoco di moschetteria.
Romero e tutta la colonna si
erano slanciati dietro al chinese e videro scendere nella valle, a precipizio,
parecchie centinaia d'uomini mescolati, in una orribile confusione a numerosi
gruppi di cavalli lanciati al galoppo.
Bastò loro un solo sguardo per
comprendere di che cosa si trattava. Erano le bande insorte di S. Nicola che
fuggivano all'impazzata, incalzate vigorosamente dalla prima brigata del
generale Lachambre, la quale doveva avere già superate e conquistate le
trincee.
Quell'onda di fuggiaschi, in
pochi istanti, giunse addosso alla colonna. Era composta di meticci, di tagali,
di chinesi, di malesi, di uomini e di donne, ma tutti invasi da un pànico
irrefrenabile. Hang-Tu e Romero si erano slanciati in mezzo
agli insorti per arrestarli, ma la loro voce non si udiva più fra quell'urlìo
formidabile e gli spari che rimbombavano nella stretta valle, destando tutti
gli echi.
— Fermatevi!… — tuonavano. —
Volgete la fronte al nemico!… Noi siamo i capi dell'insurrezione!…
Nessuno badava a loro. Tutti
fuggivano, gareggiando di velocità, gettando le armi e le munizioni per essere
più leggeri, urtandosi, spingendosi e calpestando coloro che cadevano. I
cavalli che si trovavano in mezzo a loro, in gran parte privi dei loro cavalieri,
accrescevano la confusione ed il numero delle vittime.
Le bande passarono come un fiume
impetuoso dinanzi alla colonna e si dileguarono in mezzo ai boschi, lasciandosi
dietro una lunga fila di morti e di moribondi orribilmente calpestati. Una gran
parte dei tagali e dei chinesi, anzi i più, che si trovavano con Hang e con
Romero, invasi pure da quel pànico, li avevano seguiti, malgrado le grida e le
minacce dei capi.
Era finita. Le truppe spagnuole,
ancora una volta vittoriose, avevano abbattuta la bandiera della libertà che
ondeggiava sulle trincee di S. Nicola, ed erano rimaste assolute padrone del
campo.
L'insurrezione era stata domata
sulle rive dello Zapatè, senza speranza che potesse risorgere.
Hang-Tu e
Romero, vedendo che ormai tutto era perduto e che ogni resistenza sarebbe stata
vana, si erano pure ripiegati verso l'uscita della valletta, per rivarcare il
fiume prima che le brigate del valoroso ed audace generale tagliassero la
ritirata.
La loro colonna era quasi del
tutto sfumata. Attorno a loro non erano rimasti che sei meticci, tre tagali, un
chinese e la valorosa Than-Kiù.
Percorsero al galoppo la
valletta, salutati da parecchie scariche che gettarono a terra un meticcio ed
un tagalo e si diressero frettolosamente verso il fiume, sperando colà di
trovare alcune bande di fuggiaschi, ma rimasero delusi.
I difensori di S. Nicola, invece
di attraversare lo Zapatè per tentare di guadagnare Cavite, la sola località
ove ancora si combatteva con fortuna da parte degl'insorti, si erano dispersi
fra le foreste e le montagne. Cercare di raggiungerli per riordinare la
resistenza, non vi era neppure da pensare. Sarebbero state necessarie parecchie
settimane ed in quel frattempo le vittoriose bande spagnuole avrebbero avuto il
tempo per batterle e ribatterle.
— Non vi è nulla da tentare qui,
— disse Romero ad Hang-Tu. — Lo Zapatè e Pamplona sono
perduti per sempre.
— Lo temo, — rispose il chinese,
con un sospiro. — Hang-Tu legge talvolta nell'avvenire.
— E lo ha veduto fosco?
— Sì, Romero.
— L'insurrezione però non è
ancora spenta, Hang. Cavite, Bulacan, Bacoor, Malabon, Rosario, Noveleta e
Santa Cruz sono ancora in mano dei patriotti e resistono sempre.
— Ma le truppe della vecchia
Spagna — rispose Hang, — sono agguerrite e valorose, Romero. Anch'io, al
principio dell'insurrezione aveva una grande fiducia nelle nostre bande, ma lo
vedi in che modo esse combattono? Contiamo troppe sconfitte e ben poche
vittorie. Orsù: in acqua o gli spagnuoli ci piomberanno ancora alle spalle. Al
di là del fiume non avremo più da temere, ora che anche la seconda brigata si
trova a S. Nicola.
Spinsero i cavalli nel fiume ed
avendo trovato un guado, raggiunsero felicemente la riva opposta, tagliando l'impetuosa
corrente quasi in linea retta.
Hang-Tu,
volendo frapporre fra la sua minuscola banda e le truppe spagnuole una distanza
considerevole, tale da non poter venire sorpresa, quantunque fossero tutti
stanchi, continuò la marcia gettandosi verso le montagne che formano la vallata
del fiume.
Voleva raggiungere un posto
elevato e affatto deserto per concedere alcuni giorni di riposo a Romero, prima
di tentare la pericolosa e lunga marcia verso Cavite.
Nel pomeriggio, avendo trovato un
luogo adatto per accampare, dava il segnale della fermata.
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