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LA CACCIA AL «PADEWAKAN»
Il «Padewakan», sfuggito
miracolosamente alla crociera della flottiglia spagnuola, aveva messa
arditamente la prora al nord-est, per passare attraverso alla
seconda che vigilava dinanzi a Malabon.
Hang-Kai,
sapendo che il secondo pericolo era ben più grave del primo e più difficile da
evitarsi, trattandosi di sfidarlo invece di sfuggirlo, aveva dato gli ordini
necessari onde il veliero si trovasse in grado di difendersi nel caso che fosse
assalito.
Da uomo esperto, aveva fatto
gettare dinanzi alle due spingarde ammassi di cordami, botti ripiene di
ferraccio che servivano di zavorra e tutti i pennoni di ricambio, formando una
specie di barricata per la difesa degli artiglieri, poi aveva fatti portare in
coperta e caricare un centinaio di fucili, per fulminare colla maggior velocità
possibile gli assalitori.
Aveva inoltre fatto aprire una
cassa di bombe da gettarsi a mano, che era destinata ai difensori di Cavite,
facendone portare alcune in coperta.
Egli sperava con tali proiettili
di tener lontane le torpediniere, delle quali aveva molta paura, dopo d'aver
corso il pericolo, di saltare in aria colla sua piccola nave.
— Ora sono tranquillo, — disse
Hang-Tu. — Se qualche cannoniera troppo curiosa vorrà
fermarci, spero di poterle respingere e di darle la risposta che si merita.
— Ma resisterà, il tuo padewakan,
alle palle di quei grossi cannoni? – domandò il chinese. — Io ne dubito.
— Mi basteranno pochi minuti per
condurvi a terra, — rispose il marinaio. — Che dopo mandino a picco il mio
veliero, non m'importa, poiché io non tornerò più al villaggio che abbiamo
lasciato.
— Rimarrai a Malabon?…
— A Cavite non potrei più andare
ed io non son uomo da rimanere inoperoso, mentre tutti gl'insorti si battono.
— È vero, — disse
Hang-Tu.
— Ah!…
— Che cos'hai?…
— Scorgo di già i fanali delle
navi ancorate alla foce del Passig. Se questo vento non scema, fra mezz'ora
passeremo dinanzi a Manilla.
Romero, che gli stava presso,
appoggiata alla murata, udendo quelle parole aveva trasalito; poi si era
raddrizzato fissando ardentemente gli occhi verso quei lumicini che indicavano
la vicinanza della capitale, mentre un lungo sospiro gli sfuggiva dalle labbra.
Than-Kiù che
si trovava a due passi da lui, seduta su di un gruppo di cordami e che non lo
aveva perduto d'occhio un solo istante, si era accorta della mossa del
meticcio.
Si alzò bruscamente, seguendo lo
sguardo di Romero, poi gli si avvicinò senza far rumore.
Il meticcio continuava a guardare
verso la foce del Passig, come se fosse attratto da una curiosità
irresistibile. Si sarebbe detto che egli sperava di veder comparire da quella
parte la donna amata e che non aveva riveduto dopo la sua partenza pei campi
dell'insurrezione.
Than-Kiù gli
si era avvicinata tanto da toccarlo, ma pareva che Romero non si fosse accorto.
— È laggiù che brilla la stella
della donna bianca, — gli disse improvvisamente la giovane chinese. — La vedi,
mio signore?… È sempre splendida.
Romero non si era mosso, né aveva
risposto. Forse nulla aveva udito.
— Mi hai compreso, mio signore?
—rispose Than-Kiù, dopo alcuni istanti di silenzio. —
Guarda come luccica sopra Manilla, mentre la mia stella sta per tramontare in
mare.
Romero guardò la giovanetta. Una
viva commozione gli si scorgeva sui maschi ed energici lineamenti. La vicinanza
di Manilla doveva aver scatenata la passione, che invano aveva cercato fino
allora di soffocare.
— Tu soffri, — disse
Than-Kiù, alla quale nulla era sfuggito. — Sia maledetta la
donna bianca che tormenta il cuore del mio signore!
— Non parlare di lei, mia
fanciulla, — disse Romero, con voce soffocata.
— Ma tu soffri.
— Che importa?
— Ed è sempre la donna bianca che
ti fa diventare triste.
— Sì, — mormorò Romero, con un
soffio di voce.
— E tu non dimenticherai mai
quella donna che ti strazia il cuore?… Io, al tuo posto, l'avrei odiata.
— Non si odia chi si ama,
Than-Kiù.
— Ah!… È vero, — disse la
giovane, con tristezza. — Tu l'ami sempre!
In quell'istante, una voce
partita da prora, echeggiò.
— Bada al largo!… Ci si dà la
caccia!…
Hang-Tu ed
Hang-Kai avevano abbandonata precipitosamente la murata e
si erano lanciati verso poppa, in preda ad una certa inquietudine.
Un malese che si era inerpicato
sul pennone di trinchetto, aveva lanciato quel grido d'allarme.
— Che cosa vedi! — chiese
Hang-Kai.
— Una cannoniera che ci segue, —
rispose il malese. — Ha spento or ora i suoi fanali, ma vedo le scorie che
escono dalla ciminiera.
— Marcia su noi?…
— Sì.
— A quale distanza? — chiese
Hang-Tu.
— A meno d'un miglio.
Hang-Kai ed
il chinese si erano lestamente arrampicati sulle griselle, raggiungendo il
pennone, nulla avendo potuto scorgere dalla tolda in causa della poca
elevazione del veliero.
Il malese indicò loro una massa
nera che si dirigeva verso il padewakan, e sopra la quale s'alzavano delle
scorie che scintillavano distintamente fra la profonda oscurità.
— Sì, — disse
Hang-Kai, — quella cannoniera si prepara a darci la caccia,
ma spero di giungere a Malabon prima di essa.
— Abbordiamola, — disse il
chinese. — Le armi non ci mancano.
— E ci manderanno a picco, —
rispose il marinaio. — Se noi ci trovassimo sotto la costa oserei impegnare la
lotta, ma qui in pieno mare, sarebbe una pazzia. Con due o tre colpi di cannone
possono sfasciare il mio legno.
— Che cosa conti di fare
adunque?…
— Di continuare la mia rotta
spiegando più tela che potremo.
— Sia, — disse
Hang-Tu.
Si erano affrettati a scendere e
dopo d'aver informato Romero del pericolo, avevano fatto spiegare due altre
vele sopra i pennoni di maestra e di trinchetto per accrescere la velocità del
piccolo legno.
La cannoniera segnalata, che si
avanzava coi fanali spenti, per sorprenderlo e catturarlo, si era lanciata
dietro al fuggiasco forzando la macchina, ma pareva che fosse una mediocre
camminatrice, poiché non guadagnava molto.
Nondimeno
Hang-Kai, Hang-Tu e Romero avevano
prese tutte le disposizioni per difendersi estremamente. Tutti gli uomini erano
stati chiamati in coperta e disposti dietro alle murate mentre i migliori
artiglieri avevano caricate frettolosamente le due spingarde.
A mille metri, la cannoniera, il
cui equipaggio doveva ormai essersi accorto che aveva da fare con un veliero
montato da insorti, sparò una cannonata a polvere per intimare ai fuggiaschi di
mettersi in panna8 e lasciarsi visitare, ma
Hang-Kai si guardò bene dall'obbedire.
Non ricevendo alcuna risposta e
vedendo che il piccolo veliero non si arrestava, sparò una seconda cannonata; e
questa volta i fuggiaschi udirono in aria il sibilio acuto della palla.
— Fra poco comincerà a
grandinare, — disse Hang-Kai, la cui fronte si oscurava.
— Abbordiamolo, — consigliò
Hang-Tu. — Siamo in trenta ed io rispondo dei miei uomini.
— Credo che sia il partito
migliore, — disse Romero, che aveva già armato il suo fucile. — Ordinariamente
le cannoniere sono montate da equipaggi poco numerosi.
— Ma a me preme di non esporre la
vita dei due migliori capi dell'insurrezione, in un combattimento che non sarà
d'alcuna utilità per la nostra causa, — rispose Hang-Kai,
con voce grave. — Finché ho la speranza di poter sfuggire all'attacco di quella
cannoniera, non mi arresterò.
— Ma possono colarci a fondo.
— Non ancora,
Hang-Tu. La notte è oscura e tu sai che le palle non hanno
occhi e che gli artiglieri non hanno la vista dei gatti. To'!… Guarda!…
Una terza cannonata era
echeggiata, ma anche questa volta la palla era passata sopra il padewakan,
senza causare alcuna avaria. Stante l'oscurità e la poca elevazione del
veliero, gli spagnuoli erano costretti a far fuoco a casaccio ed avevano ben
poche probabilità di affondare i fuggiaschi prima dell'alba, se non riuscivano
a diminuire la distanza.
Il padewakan non rispondeva, non
essendo le sue spingarde di tale portata da misurarsi col grosso pezzo della
cannoniera e poi aveva tutto l'interesse di non indicare la sua rotta esatta.
Continuava a fuggire per poter giungere a Malabon prima dello spuntare del
sole.
Le cannonate intanto continuavano
e le palle cominciavano a cadere ben vicine. Già due volte avevano fatto
spruzzare l'acqua a pochi metri dalla poppa ed una anche traversate le due
gigantesche vele, smussando l'estremità inferiore del pennone di trinchetto.
Hang-Kai ed i
suoi compagni non si preoccupavano delle palle, ma invece molto delle
detonazioni, le quali potevano attirare l'attenzione di qualche altra nave
spagnuola che facilmente doveva trovarsi in quelle acque.
Alle due del mattino la posizione
non era di molto variata. Due altre palle avevano colpito il piccolo veliero,
una sopra coperta fracassando parte della murata di babordo ed uccidendo due
malesi, e un'altra aveva attraversato il ponte, troncando alcuni cavi delle
manovre, ma la carena era rimasta intatta e ciò bastava.
La cannoniera però aveva
guadagnato due o trecento passi ed alcune palle di fucile erano già giunte sul
veliero, forando le vele in più luoghi.
Hang-Tu
insisteva sempre per darle battaglia, ma Hang-Kai resisteva
ostinatamente. Il marinaio sapeva ormai che Malabon non era lontana e sperava
ancora di giungervi prima che la nave venisse gravemente danneggiata.
Alle due e mezzo un malese che
era stato mandato sul pennone di trinchetto, segnalava alcuni punti luminosi
che brillavano verso il nord-est.
— Malabon!… — esclamò
Hang-Kai, mandando un grido di gioia. — Fra venti minuti
noi staremo a terra.
Gli spagnuoli, come se avessero
compreso che la preda stava per sfuggire a loro, raddoppiavano le cannonate e
con qualche successo, quantunque il cielo non accennasse ancora a rischiararsi.
Le palle cadevano attorno al
veliero e qualcuna attraversò il ponte fracassando qualche malese.
Hang-Tu, temendo per la giovane chinese, l'aveva costretta
a ripararsi nella piccola camera di prora.
Hang-Kai,
messosi alla barra, guidava il veliero di sua mano, avendo piena conoscenza
della costa verso la quale muoveva.
I lumi di Malabon erano ormai
diventati perfettamente visibili. Ancora un quarto d'ora e tutti erano salvi.
Ad un tratto però, furono veduti
alcuni fanali rossi, bianchi e verdi che pareva si muovessero dinanzi alla
costa. Hang-Kai era impallidito.
— Fulmini!… — urlò. — La costa è
bloccata!…
A cinque o seicento metri si
vedevano masse nere solcare il mare e pareva si dirigessero verso la cannoniera,
la quale continuava a far fuoco.
Hang-Tu e
Romero si erano lanciati verso prora.
— Abbiamo delle navi dinanzi a
noi!… — esclamò il chinese.
— Forziamo il blocco, — rispose
Romero. — Forse non siamo ancora stati scoperti. Hang-Kai,
fila diritto e manda il padewakan addosso la costa: noi saremo pronti a far
fuoco.
La flottiglia spagnuola pareva
che non si fosse ancora accorta dell'avvicinarsi del piccolo veliero, poiché
invece di muovergli incontro per tagliargli la via, si dirigeva verso la
cannoniera. Con un po' d'audacia, gl'insorti potevano passare.
— Che nessuno mandi un grido, —
disse Romero, — e che nessuno faccia fuoco prima del mio comando.
Hang-Kai,
vedendo che le cannoniere accennavano a prendere il largo per tema di arenarsi
sui numerosi banchi che si estendono dinanzi alla costa, avevano diretto il
padewakan verso il canale di Malabon entro il quale sperava di rifugiarsi prima
che la flottiglia si fosse accorta dell'inganno.
Già si era impegnato in mezzo ai
banchi, manovrando fra di essi con meravigliosa sicurezza, quando si udì a
gridare:
— Fuoco di bordata!…
Cinque colpi di cannone
rintronarono, formando quasi una sola detonazione. Un uragano di mitraglia
spazzò il ponte del veliero rasandolo come un pontone, mentre un obice
fracassava parte della poppa.
I malesi ed i meticci della
piccola banda, sbarazzatisi delle vele che erano cadute in coperta assieme agli
alberi, ai pennoni ed alle manovre, scaricarono le spingarde ed i fucili, facendo
però più fracasso che danno.
Il padewakan affondava
rapidamente, ma ormai era nel canale, entro cui le cannoniere non potevano
seguirlo, specialmente con quell'oscurità.
— In acqua il canotto!… — gridò
Hang-Kai.
Una piccola barca che stava in
coperta fu subito calata. Hang-Tu, Romero e
Than-Kiù e quattro uomini che erano stati feriti da quella
pioggia di mitraglia vi balzarono dentro, arrancando verso terra, mentre tutti
gli altri si gettavano a nuoto.
Una cannoniera che si era spinta
fino all'entrata del canale, vedendo il piccolo veliero galleggiare ancora, le
tirò contro un'ultima palla, una granata, la quale scoppiando diede fuoco alla
cassa delle munizioni.
Il povero padewakan, già sdrucito
e mezzo affondato, volò in pezzi con un lungo rimbombo, lanciando i suoi
rottami fino sui banchi più vicini, poi il suo scafo mutilato, scomparve sotto
le acque.
— Ancora un istante di ritardo e
saltavamo in aria anche noi, — disse Hang-Tu, che arrancava
con lena disperata.
La costa non era che a pochi
passi ed alcuni insorti, attirati da quegli spari e dallo scoppio erano accorsi
sulla spiaggia, credendo che gli spagnuoli fossero sbarcati.
— Chi vive!… — gridarono, puntando
le armi verso il canotto.
— Hang-Tu
capo delle società segrete e Romero Ruiz capo supremo delle bande della
provincia di Cavite, — rispose il chinese con voce tonante.
Le armi furono abbassate e tutti
si slanciarono giù dalla spiaggia.
— I capi dell'insurrezione siano
i benvenuti, disse il comandante del drappello, aiutandoli a sbarcare. — I
difensori di Malabon saranno orgogliosi di riceverli.
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