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VIVA LA LIBERTÀ!
Venti ore dopo gli avvenimenti
narrati, verso le sei pomeridiane, quando la brezza della sera cominciava a far
uscire la popolazione dalle case di Manilla, un uomo indossante il costume
tagalo, col capo riparato da uno di quegli ampi cappelli di paglia di riso in
forma di fungo usati dai chinesi e che gli nascondeva buona parte del viso, si
arrestava dinanzi al vecchio palazzo del maggiore d'Alcazar.
Dopo d'aver guardato attentamente
le persiane verdi calate dinanzi alle finestre e d'aver sbirciate le due vie
che sbucavano ai lati del piccolo piazzale, come se avesse temuto d'esser
visto, salì i tre gradini ed entrò risolutamente nel palazzo.
Un domestico tagalo, che
sonnecchiava su di una panca di marmo, udendo i passi di quell'uomo, s'alzò
stirandosi le braccia e gli chiese fra uno sbadiglio e l'altro che cercava.
— Teresita d'Alcazar, — rispose
lo sconosciuto.
— La mia padrona.
— Sì.
— Avete qualche lettera per lei?…
— No, ma devo parlarle di cose
molto gravi.
— Da parte di chi?…
— Ciò non ti deve interessare, — disse
seccamente quell'uomo, facendo un gesto d'impazienza.
— Non sapendo chi voi siate né
chi vi manda, rifiuterà di ricevervi, — disse il domestico.
— Forse hai ragione. Le dirai
questo nome: Hang-Tu.
Il tagalo, curioso come tutti quelli
della sua razza avrebbe voluto sapere di più, ma uno sguardo minaccioso del
chinese lo costrinse ad andarsene.
Pochi istanti dopo scendeva a
precipizio le scale, dicendo:
— La mia padrona vi attende.
— Ti seguo, — rispose il chinese.
— Lo sapevo che non mi avrebbe fatto aspettare.
Salì un maestoso scalone di marmo
e fu introdotto in un salotto elegantemente ammobiliato e profumato da grandi
mazzi di gelsomini e di rose, sorretti da vasi del Giappone e della China di
dimensioni gigantesche.
Fra la penombra prodotta dalle
persiane e dalle fitte tende che pendevano dinanzi alla finestra, gli occhi di
Hang-Tu distinsero subito Teresita, la quale si teneva
ritta in mezzo al salotto, vestita di un semplice accappatoio bianco, che le
faceva spiccare doppiamente la bruna carnagione e le lunghe trecce della
capigliatura corvina.
Vedendolo entrare, la giovanetta,
che doveva essere già in preda ad una viva agitazione, gli era mossa
rapidamente incontro, dicendogli con voce rotta:
— Voi… qui! Gran Dio!… Cosa è
avvenuto… di lui?… Parlate… parlate… vi prego, Hang-Tu…
Il chinese era rimasto muto, ma i
suoi occhi, ripieni di tristezza ed i suoi lineamenti alterati, parlavan per
lui.
Teresita, vedendolo in quello
stato, aveva mandato un grido.
— Voi venite a recarmi una
terribile notizia, è vero?… — esclamò la giovanetta, con disperazione. — Io
tremo… me lo hanno forse ucciso?…
Uno scroscio di pianto le aveva
soffocato la voce. Hang-Tu aveva fatto un passo innanzi come
per sorreggerla, ma la giovane spagnuola si era raddrizzata, dicendo:
— Parlate!… Voglio saper tutto!…
— Non è morto, — rispose
Hang-Tu, con voce sorda, — ma domani forse non sarà più
vivo.
— Che cosa volete dire, gran
Dio?…
— Che il vostro Romero si trova
nelle mani dei vostri compatriotti e che se voi non lo salvate, domani all'alba
verrà fucilato assieme ai capi dell'insurrezione presi a Noveleta, a Cavite ed
a Rosario.
Teresita aveva mandato un grido
straziante:
— Me lo uccidono!…
Poi si era slanciata verso la
porta gridando:
— Padre mio!… devi salvarlo!…
Il maggiore d'Alcazar, che doveva
trovarsi nel suo gabinetto da lavoro, udendo quel grido e quelle parole, era entrato
precipitosamente nel salotto credendo forse che Teresita corresse qualche
pericolo.
Vedendo
Hang-Tu, si era arrestato, come fulminato.
— Mi conoscete, maggiore
d'Alcazar? — chiese Hang, facendosi innanzi.
— Voi… — balbettò lo spagnuolo
impallidendo.
— Padre mio!… — gridò Teresita,
gettandosi fra di loro: — Me lo uccidono!…
— Ma chi?… — chiese il maggiore.
— Romero!…
— E chi lo ucciderà!…
— I vostri soldati, — disse
Hang-Tu.
— I miei…
— Soldati, vi ho detto. Romero
Ruiz, quello che vi ha strappato alla morte, quello che ama vostra figlia, si
trova qui, nelle carceri di Manilla. In mano dei vostri compatriotti.
— Lui!… — esclamò il maggiore,
con doloroso stupore. — Ma chi lo ha fatto prigioniero?…
Invece di rispondere,
Hang-Tu gli si era avvicinato colle braccia strettamente
incrociate sul petto e fissandolo con uno sguardo minaccioso, gli disse con
voce amara:
— Ed ora, vediamo la vostra
generosità. L'uomo che vi ha strappato alla morte si trova nelle mani dei
vostri compatriotti: pagate il vostro debito, maggiore d'Alcazar.
Udendo quelle parole, una rapida
commozione aveva alterato il volto dello spagnuolo.
— Romero prigioniero!… — esclamò.
— Disgraziato!
— Padre mio!… — gridò Teresita,
piangendo. — Tu forse puoi strapparlo alla morte.
Il maggiore d'Alcazar allontanò
dolcemente la giovanetta che gli si era aggrappata al collo, poi tendendo una
mano verso Hang-Tu, disse con voce solenne:
— Giuro dinanzi a Dio, che io
tenterò ogni mezzo per strapparlo alla morte: sperate!…
— Grazie, — disse
Hang-Tu il cui volto abbuiato si rischiarava.
— Non ringraziatemi ora, poiché
tutto dipende dalle circostanze e fors'anche dal caso. Voi dovrete però
raccontarmi tutto e molte altre cose che desideravo sapere da voi.
— Parlate.
Il maggiore si volse verso
Teresita:
— Lasciaci soli, figlia mia, — le
disse.
— Sì, ma tu lo salverai, è vero
padre mio?
— Lo spero.
Poi prese
Hang-Tu per una mano e lo condusse nel suo studio chiudendo
la porta.
— Ditemi, — disse, facendo cenno
al chinese di sedersi. — Romero Ruiz ama mia figlia o quella fanciulla che io
ho veduto con lui?… Dalla vostra risposta, forse dipende la sua vita.
— Ama vostra figlia, — rispose
Hang-Tu, con un profondo sospiro. — Dicendovi questo, io
distruggo il più bel sogno da me per tanto tempo accarezzato ed infrango
l'anima della fanciulla che mi ha strappato dalle labbra la vostra grazia, ma
Hang-Tu è leale e non sa mentire.
Poi dopo alcuni istanti di
silenzio, gli narrò brevemente chi era Than-Kiù, quanto
aveva amato Romero, i disagi affrontati pel valoroso capo dell'insurrezione, l'inutilità
di tanti sacrifici e l'ultima pagina del terribile dramma di Malabon.
— Romero ha pagato il suo debito
verso l'amico, verso il fratello d'armi e verso Than-Kiù —
concluse il chinese con voce estremamente commossa. — Ora spetta a voi pagare
il vostro debito verso di lui.
— Lo pagherò e più di quanto
possiate credere, — rispose il maggiore alzandosi. — L'insurrezione ormai sta
per finire e Romero non è più un nemico, ma un vinto sfortunato che tutti gli
spagnuoli hanno potuto ammirare e stimare. Sarà un terribile colpo per vostra
sorella, Hang-Tu, ma solo concedendo a Romero la mano di
Teresita io potrò forse salvarlo poiché, con tale matrimonio, lo strapperei
all'insurrezione.
— Than-Kiù si
rassegnerà, — disse Hang, con fermezza. — Salvate colui che io ho amato come
fosse mio fratello, più ancora, come fosse un figlio e non vi chiedo di più.
— Seguitemi. Assieme a me voi
nulla avrete da temere. Vi si crederà un mio domestico e nessuno potrebbe
sospettare in voi il capo degli uomini gialli.
Si cinse la sciabola, si mise il
berretto, poi senza attraversare il salotto fece passare
Hang-Tu alcune stanze sontuosamente ammobiliate e discese
lo scalone.
Il tagalo che aveva introdotto il
chinese, si trovava ancora seduto presso il portone.
— Va' ad annunziare al
governatore la mia visita, — gli disse d'Alcazar. — Io ti seguo.
Le tenebre erano già calate da
qualche ora e la popolazione, dopo d'aver respirato un po' di brezza notturna,
cominciava a ritirarsi, sicché le vie erano diventate già quasi deserte. Il
maggiore d'Alcazar condusse nondimeno Hang-Tu attraverso le
vie meno frequentate, onde non potesse venire riconosciuto, e non fu se non
dopo un lungo giro che giunsero dinanzi all'imponente palazzo del
vice-re.
Il tagalo già mandato innanzi, li
attendeva presso la sentinella.
— Siete aspettato, padrone, —
disse al maggiore.
— Voi mi attenderete qui, — disse
lo spagnuolo ad Hang-Tu. — Sperate.
Poi entrò rapidamente nel
palazzo.
Il chinese s'era seduto, o meglio
s'era lasciato cadere su di un sedile di pietra, prendendosi il capo fra le
mani. Pareva che meditasse profondamente.
Trascorse un'ora, poi un'altra,
ma senza che egli se ne accorgesse, né senza che facesse un gesto. Ad un tratto
s'alzò di scatto sentendosi battere su una spalla.
Vedendosi dinanzi il maggiore
d'Alcazar, sussultò.
— Ebbene? — gli chiese con voce
quasi spenta.
— Ho ottenuto la sua grazia, —
rispose lo spagnuolo.
— Ah!…
— Ma ad una condizione.
— Quale?…
— Sarà forse terribile per vostra
sorella.
— Parlate.
— Romero sarà salvo, ma questa
notte istessa egli partirà da Manilla sotto la mia sorveglianza, e non potrà
mai più porre piede su nessuna isola delle Filippine. A mezzanotte una
cannoniera ci attenderà presso il ponte del Passig.
— Potrò io rivederlo prima che
parta?… — chiese Hang-Tu con voce rotta.
— Sì e… anche
Than-Kiù, se lo vorrà.
— E dove lo condurrete?…
— Lontano dalle colonie
spagnuole, in una mia possessione che tengo a Tornate e che costituirà la dote
di mia figlia.
— Partite con Teresita?…
— Si,
Hang-Tu. Si amano… siano felici.
— Grazie per lui, — rispose il
chinese.
Poi aggiunse con uno strano
accento:
— Hang-Tu non
vedrà tramontare il sole di domani. Qui morranno gli ultimi campioni della
libertà!…
Quindi s'allontanò a passi
rapidi, per sottrarsi a maggiori spiegazioni.
Camminava come un pazzo, senza
sapere dove andasse, in preda ad un dolore che doveva diventare più acuto, di
momento in momento.
Attraversò senza quasi
accorgersene il ponte del Passig, scese lungo la riva di Binondo, s'inoltrò
nelle strette viuzze del sobborgo del Tondo, poi rifece la via percorsa,
arrestandosi dinanzi ad una elegante casetta di puro stile chinese. Aveva
veduto una grande ombra salire il fiume ed arrestarsi dinanzi all'ultima arcate
del ponte.
Aprì una porta, salì una
gradinata ed entrò in una stanzetta illuminata da una lanterna di talco, che
spandeva sotto di sé una pallida luce.
Una donna, una giovanetta, stava
seduta presso un tavolo di lacca, col viso nascosto fra le mani.
Hang-Tu le si avvicinò, le gettò sulle spalle un mantello
di seta azzurra a fiorami giallo dorati che stava su di una sedia, poi,
prendendola per una mano, le disse con dolcezza:
— Vieni, sorella. Egli è salvo,
ma tu l'hai perduto per sempre! La donna bianca ha infranto la mia e la tua
vita.
— Ti seguo fratello, — disse il povero
Fiore delle Perle, con rassegnazione.
Abbandonarono la casa e si
diressero verso il ponte del Passig, dove si vedevano scintillare, fra le
tenebre, i fanali di posizione di una cannoniera.
Quando giunsero presso la riva,
videro un gruppo formato da tre persone che pareva li attendesse. Erano il
maggiore d'Alcazar, Romero e Teresita, la quale aveva il viso mezzo nascosto da
una mantiglia di seta bianca.
Romero, staccatosi dal gruppo, si
era precipitato verso Hang. I due valorosi si abbracciarono, rimanendo così
stretti per parecchi istanti. Pareva che la commozione impedisse loro di
articolare una sola parola.
Teresita intanto si era
avvicinata a Than-Kiù la quale si era arrestata, come se le
forze fossero per mancarle. Anche la Perla di Manilla pareva estremamente
commossa.
— Grazie fanciulla, — le disse,
stringendosela al seno. — La Perla di Manilla non scorderà mai il Fiore delle
Perle e spera di rivederla un giorno felice.
Than-Kiù
aveva risposto con un sordo singhiozzo.
La cannoniera aveva lanciato
allora il fischio della partenza ed i marinai erano scesi sulla gettata, per
essere pronti a levare il pontile.
— Addio, fratello, — disse
Romero, baciando Hang-Tu. — Io ti aspetto a Tornate presto.
Ormai la libertà delle isole da noi tanto vagheggiata è finita e forse per
sempre.
— Forse, fratello, — rispose
Hang-Tu. — Va' e sii felice.
— E…
Than-Kiù?…
— È rassegnata. Così voleva il
destino.
Romero si era staccato dal
chinese e si era avvicinato alla fanciulla.
— Perdonami,
Than-Kiù, — le disse, — se io ho distrutto il più bel sogno
della tua giovinezza.
— Nulla ho da perdonarti, mio
signore, — rispose il Fiore delle Perle, con un filo di voce.
Poi prendendolo vivamente per una
mano e indicandogli la volta stellare, disse:
— Guarda, mio signore: la mia
stella tramonta in mare e quella della donna bianca brilla sopra il tuo capo e
più fulgida che mai e noi… crediamo agli astri. Va', mio signore e sii felice…
La voce le si era spenta in un
singhiozzo. Il maggiore d'Alcazar e Hang-Tu troncarono
quella scena dolorosa, traendo Romero sul ponte della cannoniera, dove già si
trovava Teresita.
— Addio, — gli disse un'ultima
volta il chinese. — Non scordarti del tuo fratello d'armi che ti ha
immensamente amato.
Spinse a bordo il pontile e balzò
sulla calata, dove si arrestò colle braccia incrociate e gli occhi fissi su Romero,
mentre ai suoi piedi Than-Kiù singhiozzava, col viso
nascosto fra le mani.
La cannoniera aveva virato di
bordo e scendeva rapidamente il fiume, portando lontano quella coppia felice.
Hang-Tu,
sempre immobile, guardava la nera massa che spariva nelle tenebre. Quando i
fanali scomparvero dietro la lanterna chinò il capo sul petto e si sedette
accanto a Than-Kiù mormorando:
— Io ti ho amato tanto, Romero,
ma tu non hai amato mia sorella.
Fu l'unico rimprovero sfuggito
dalle labbra di quell'uomo dall'animo così grande e generoso.
Poi si rinchiuse in un cupo
silenzio né più parlò, ma quando i primi bagliori dell'alba si alzarono in
cielo, il viso di Hang-Tu apparve bagnato, come se il fiero
uomo avesse lungamente pianto.
Una scarica che echeggiò dalla
parte di Binondo lo strappò da quella immobilità, che durava da parecchie ore.
S'alzò con uno scatto selvaggio e
cogli occhi in fiamme.
— Than-Kiù, —
disse, alzando sua sorella. — Vuoi vivere o morire?
— La vita del Fiore delle Perle è
spezzata per sempre, — disse la povera giovane.
— Vieni, adunque!… — Là si
fucilano i capi dell'insurrezione ed il sangue dei martiri non va perduto!…
Prese Than-Kiù
per una mano e si diresse rapidamente, sulla piazza del sobborgo, già ingombra
d'una fitta massa di popolo e di soldati.
Le esecuzioni dei capi insorti
caduti prigionieri a Cavite, a Noveleta, a Bynacayan ed a Rosario, erano
cominciate.
Hang-Tu
afferrò fra le robuste braccia la sorella, s'aprì impetuosamente il passo fra
la folla stupita e si slanciò in mezzo al quadrato formato dai soldati,
tuonando:
— Io sono
Hang-Tu, il capo degli uomini gialli e delle società
segrete! Fuoco sul mio petto! Viva la libertà!
In quell'istante un drappello di
soldati, vedendo che l'ufficiale che lo comandava, abbassava la sciabola, fece
fuoco contro sei capi insorti che il consiglio di guerra aveva condannati alla
fucilazione.
Hang-Tu,
colpito dalla scarica, era caduto fulminato sui cadaveri dei compagni, seco
trascinando, nella caduta, la sorella.
Ma Than-Kiù
non era stata colpita mortalmente. La bella testolina del Fiore delle Perle, il
cui volto si era fatto livido, s'alzò fra i cadaveri e le sue labbra si
schiusero mormorando:
— Romero!…
Poi cadde svenuta sul petto
sanguinante del fiero chinese.
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