I quattro plantigradi erano infatti
improvvisamente ricomparsi e si aggiravano intorno al fuoco mandando urla di
furore. seccati di aver incontrato quell'ostacolo per loro troppo difficile da
superare.
Si alzavano sulle zampe posteriori per
meglio guardare dentro la spaccatura del pino, poi, presi da una violentissima
collera, si rotolavano in mezzo alla neve, insensibili affatto al freddo
acutissimo e alle raffiche, raddoppiando le urla.
«Senza il falò quelle canaglie sarebbero
già qui,» disse Testa di Pietra il quale tormentava col dito il grilletto della
carabina. «È l'indiano che li ha ricondotti. Non mi ero ingannato.»
«Proviamo a sonare i tamburi» chiese
Piccolo Flocco.
«Lascia in pace le pelli d'asino. Credo
che ormai non ci gioveranno più a nulla.»
«Allora accoppiamoli a colpi di
carabina.»
«Adagio, mio caro: sono sempre quattro.»
«Eppure bisognerà che ci sbarazziamo di
loro.» disse Jor. «Noi non potremo riposarci un'ora con quelle bestie sempre
alle spalle.»
«Non abbiamo che sei colpi da sparare,
poiché io non conto sul moschettone dell'indiano che ora tiene il signor
Oxford.» disse Riberac. «Ne ammazzeremo uno, due forse, e gli altri ci saranno
addosso prima di averci lasciato il tempo di ricaricare.»
«C'è il falò.»
«Ma potranno aggirarlo facilmente, Jor,»
rispose il trafficante. «Se l'indiano li spingesse sarebbero già dentro il
rifugio.»
«È quello che pensavo anch'io,» disse il
vecchio bretone. «Il falò non è tanto vasto e potrebbero benissimo girarlo da
una parte o dall'altra. Tuttavia dobbiamo deciderci. Ne ho fin sopra i capelli
di questi bestioni.»
«Aspettiamo l'alba,» disse Riberac. «Se
si accontentano di rotolarsi in mezzo alla neve lasciamoli fare.»
«Pare che si siano stancati di quel
divertimento,» disse Piccolo Flocco. «Ecco che si sono raddrizzati e che si
preparano a sfidare anche il fumo. Ho udito, fra le urla del vento, un sibilo
acuto, un segnale dell'indiano certamente.»
«Se quella canaglia si mostrasse!...»
gridò Testa di Pietra furibondo. «Io credo che abbia vissuto troppo e che vada
cercando la morte. Teniamoci pronti.»
I quattro bestioni si erano accostati al
braciere, sempre avanzandosi sulle zampe posteriori, per poter avere maggior
slancio, e si erano messi ad aggirarlo verso destra mentre i fischi di Aquila
Bianca si succedevano sempre più acuti.
«Signor Riberac,» disse Jor, «mi pare
che questo sia il momento d'impegnarci a fondo. È troppo lontana l'alba per aspettarla.»
«Ora ne convengo anch'io,» rispose il
trafficante. «Dopo aver scaricate le carabine attaccheremo con le asce. Signor
Oxford, possiamo contare sul vostro moschettone?»
«Vedremo se sparerà,» disse il
segretario. «Ha il calcio pesantissimo e a qualche cosa mi servirà.»
Gli orsi si precipitavano urlando.
I sette uomini in un lampo furono fuori
e spararono quasi a bruciapelo.
Un altro bestione cadde, ma tre
rimanevano ancora in piedi, quantunque più o meno feriti, e dovevano essere
perciò più pericolosi.
I plantigradi, esclusi i bianchi e i
grigi, non assalgono quasi mai; però, se toccati da qualche colpo d'arma da
fuoco, non esitano a gettarsi a corpo perduto sugli avversari, consci
d'altronde della loro forza e della robustezza delle loro unghie.
I sette uomini, che avevano le armi
scariche e che lì per lì non potevano ricaricarle, avevano ripiegato
confusamente verso il rifugio; però, giunti là, misero mano alle asce.
Testa di Pietra fu pronto a scagliarsi
contro il primo assalitore, il quale perdeva già sangue in abbondanza da una
ferita toccatagli in pieno muso, e lo assaltò come se dovesse montare
all'assalto d'una nave.
Con un terribile colpo della sua scure
gli mozzò nettamente una zampa, strappandogli un urlo spaventevole, poi si
gettò sul secondo.
Piccolo Flocco, Jor, il trafficante e i
due tedeschi si erano pure slanciati contro gli orsi.
Il signor Oxford, non avendo ascia,
raccoglieva rami incandescenti che scagliava addosso ai bestioni facendo
piovere su di loro una vera pioggia di scintille, badando di non offendere i
suoi nuovi amici.
Un altro orso, spaventosamente mutilato,
senza orecchi e con una mascella pendente, cadde per non risollevarsi più. Wolf
era stato pronto a spaccargli il cranio.
Gli altri tre, compreso il monco, dopo
aver tentato invano di stringere fra le poderose zampe gli avversari, malgrado
i fischi stridenti dell'indiano, spaventati anche dalla pioggia di scintille,
si decisero finalmente a sgombrare il campo, lasciando sulla neve larghe
macchie di sangue.
«Due di meno,» disse il vecchio bretone
asciugando la sua ascia su un ammasso di foglie accumulate dal vento. «Nicò I e
Nicò II. Che l'indiano non sia convinto che noi non siamo uomini da scappare
davanti ai suoi animali? Signor Riberac, che sia proprio un urone?»
«Mai più,» rispose il trafficante. «Gli
Uroni combattono a viso aperto mentre quel miserabile non osa affrontarci
direttamente. È un indiano qualunque, scacciato dalla sua tribù, più mandano o
algonchino che urone, diventato un pericoloso bandito.»
«Che sia una spia degl'inglesi?»
«E chi potrebbe dirlo? Può anche darsi.»
«Se andassimo a scovarlo?»
«Con questo vento e quest'oscurità?
Pensate che forse i suoi orsi sono ancora in grado di affrontarci, quantunque
siano stati abbastanza maltrattati da noi.»
«I nostri fucili ben poco servirebbero
dentro la macchia che cela l'indiano,» disse Jor. «Il signor Riberac ha
ragione: aspettiamo l'alba prima di prendere una decisione. Metterci in marcia
con questo uragano che schianta rami e anche alberi, sarebbe una follia.
Giacché abbiamo scoperto un altro rifugio godiamocelo, almeno per questa
notte.»
Raccolsero pigne, rami e foglie,
alimentarono il falò, sprigionando altissime fiamme, e tornarono verso lo
squarcio della gigantesca pianta, ricaricando subito le armi.
Fra gli ululati del vento si udivano le
urla selvagge dei tre orsi. Le povere bestie non dovevano trovarsi troppo bene
dopo tanti colpi d'ascia e tanti proiettili ricevuti in pieno corpo.
Testa di Pietra aveva riaccesa la sua
famosa pipa e si era seduto accanto al signor Riberac, il quale aveva invece
acceso il suo ultimo sigaro di Virginia.
Gli altri si erano seduti dietro di loro
e ascoltavano, non senza ansietà, le continue urla delle tre belve rifugiatesi
probabilmente dentro la macchia che serviva di asilo ad Aquila Bianca.
«Che peccato non aver qui un po' delle
pellicce che gl'inglesi vi hanno distrutte,» disse Testa di Pietra che già,
come si sa, non poteva lasciare mai in riposo la lingua.
«Ne faremo senza,» rispose
filosoficamente il trafficante. «Ma la storia del marchese d'Halifax e del
baronetto non è finita, è vero?»
«No, è stata interrotta a metà.»
«Proseguite allora, mastro.»
«Taglierò corto. Noi eravamo rimasti
assediati in Boston, poiché ormai non si potevano più attraversare le trincee
americane le cui artiglierie vomitavano bombe giorno e notte sulla disgraziata
città. Avevamo presa al marchese la bionda miss, ma un brutto giorno noi fummo
scoperti. Il marchese era guarito e non ebbe che un pensiero solo: quello di
far impiccare il fratello.»
«Possibile tanta infamia!...»
«Il carnefice di Boston, da me corrotto,
lo salvò vuotando abilmente la corda che doveva servire a strozzarlo, sicché si
spezzò sotto il peso del baronetto. In quel momento gli americani montavano
coraggiosamente all'assalto, sicché poté essere salvato, ma il marchese, nel
frattempo, si era impadronito della miss e l'aveva trascinata a bordo della sua
fregata, che si trovava in mezzo alle innumerevoli navi dell'ammiraglio Howe.
Quando gl'inglesi si arresero, col diritto d'imbarcarsi senza le artiglierie
piazzate sui forti, noi ci affrettammo a raggiungere la Tuonante sempre
ancorata sulla Mistica. Volteggiammo subito verso le Bermude dove trovammo
quattro navi corsare armate da gentiluomini francesi e che battevano bandiera
americana, e con quegli aiuti ci mettemmo in caccia della fregata del
marchese.»
«E non l'avete raggiunta ed arrembata?»
«Raggiunta
sì, ma non arrembata, poiché, quando ci credevamo sicuri di espugnare
facilmente il vascello inglese, due palle incatenate ci spezzarono l'albero
maestro, immobilizzandoci in piena volata. Mary di Wentwort era un'altra volta
perduta per il disgraziato baronetto. Appena riparati i guasti intraprendemmo
una lunga crociera per cercare la fregata, che si sapeva essersi diretta verso
il settentrione, mentre quasi tutte le navi di Howe, che erano scese verso il
sud, naufragavano miseramente fra le isole antillane. Fu una crociera lunga e
terribile che durò molte settimane, ma un giorno riuscimmo finalmente a sapere
che il marchese, con la fanciulla, si era rifugiato nella fortezza di Sandy-Hok. Il matrimonio, malgrado le
repulse della miss, era già stato deciso e doveva avvenire nei sotterranei
della cappella di San Giacomo. Aiutati da amici fedeli, invademmo una caverna
che comunicava con l'immensa chiesa, e quando il sacerdote si preparava a
celebrare la cerimonia, irrompemmo furiosi, impegnando un terribile
combattimento con marinai e ufficiali inglesi.»
«Sicché non avvenne.»
«No, perché Mary di Wentwort è oggi la
moglie del baronetto Mac-Lellan. Il lord però aveva approfittato della
confusione per portarsi via ancora la giovinetta e rifugiarsi a bordo della sua
fregata. Sperava forse di prendere il largo prima del nostro arrivo, però non
gliene lasciammo il tempo. Avevamo con noi quattro navi corsare e bene armate.
La fregata fu subito abbordata prima ancora che potesse accorrere in suo aiuto
la guarnigione di Sandy-Hok, e i due fratelli si attaccarono per la seconda
volta a colpi di spada.»
«E la peggio l'avrà avuta il marchese,
suppongo.»
«Sì, ebbe un'altra stoccata, ma forse il
baronetto, assai più valente nel maneggio delle armi, non volle andare
decisamente a fondo e anche quella volta la pelle dura del marchese si
rimarginò. Washington intanto aveva preso New York, battendo completamente
gl'inglesi e obbligandoli ad una completa ritirata. Veleggiammo subito verso
quella città e, pochi giorni dopo, la bionda miss diventava la baronessa
Mac-Lellan.»
«Il corsaro è stato troppo generoso,»
disse il trafficante. «Avrebbe dovuto impiccare suo fratello a qualche antenna.
Almeno non sarebbe più guarito. E perché si trova ora qui, su questo lago,
mentre suo fratello si trova a New York?»
«Lo sapete voi? Potrebbe dirlo solamente
il signor Oxford.»
«E ve lo dirò io,» disse il segretario
il quale aveva ascoltato tutto.
«Perché è sicuro d'incontrarsi qui con
suo fratello e di ucciderlo.»
«Il mio capitano lasciare New York!...»
esclamò Testa di Pietra. «Non avrebbe mandato me con Piccolo Flocco.»
«Allora Washington e il baronetto
ignoravano forse ancora la potenza della flottiglia inglese che si prepara a
muovere su Ticonderoga. Ci vorrà un grande uomo di mare che assuma il comando
delle fuste e dei brigantini americani, e vedrete che il capitano della
Tuonante non tarderà ad accorrere.»
«Conducendo con sé sua moglie?»
«Lo credo,» rispose il segretario. «Non
si fiderebbe a lasciarla a New York. Ci sono troppi traditori comprati dall'oro
inglese. Io ne so qualche cosa.»
«Lo credo,» rispose Testa di Pietra.
«Qui il mio capitano!... Ah, come sarei contento di rivederlo!... E allora
bisogna che compia assolutamente la missione che mi ha affidata prima del suo
arrivo.»
«Aspettate che possiamo avere una
qualche scialuppa,» disse Riberac. «Se gl'Irochesi sono già scesi verso il lago
noi potremo averne da loro quante ne vorremo. Caribou Bianco non è Aquila
Bianca.»
«Intanto i giorni passano e le navi
inglesi invaderanno il Champlain.»
«Tacete!... Tacete!...» gridò Jor. «Una
tribù indiana sta attraversando la foresta. Spegniamo subito il fuoco. Invece
di Irochesi possono essere Mandani o Algonchini, guerrieri troppo feroci per
risparmiarci.»
Balzarono tutti in piedi e rovesciarono
sul falò ammassi di neve, soffocandolo completamente.
Le ultime scintille erano volate via e
una profonda oscurità aveva avvolto il gran pino, quando si udì, nella macchia
dove si erano rifugiati gli ultimi orsi, echeggiare la poderosa voce di Aquila
Bianca.
«L'inno di guerra dei Mandani!...»
esclamò Riberac. «L'ho già udito.»
«Sì, sì, dei Mandani,» confermò Jor.
«Udite!... Udite!... Ve lo tradurrò io conoscendo benissimo tutti i dialetti
dei pellerossa canadesi. Aquila Bianca non era un irochese come pretendeva.»
«Ah!... La doppia canaglia...» esclamò
il vecchio bretone.
L'indiano, certamente per attirare
l'attenzione dei suoi compatrioti i quali, sfidando l'uragano di neve,
scendevano pure verso il lago, con voce possente aveva cominciato:
«Luoghi ai quali il sole dà la sua luce
ed ai quali dà la sua fiaccola notturna dai pallidi raggi!... Luoghi che vedete
crescere le erbe, scorrere le acque, rumoreggiare i torrenti e rombare le
cateratte, ascoltate tutti. Sappiate che noi muoviamo a combattere e che la
scure di guerra è stata dissotterrata. Uomini, siamo noi che andiamo a trovare
i nostri nemici che fuggiranno come vili squaw (donne) dinanzi ai nostri
tremendi colpi. Sì, come una femminuccia paurosa dà indietro e trema al
cospetto di un serpente, i miei occhi scintillano sotto i cespugli, i nostri
nemici, atterriti solamente dal nostro inno di guerra, fuggiranno come
cerbiatte e più vili di esse. Fuggirà nei boschi, tremante a ogni rumor di
foglia cadente, lascerà per via i suoi abiti e i suoi tomahawh, e quando tornerà,
se tornerà ancora vivo ai suoi villaggi, la vergogna e lo sprezzo
l'opprimeranno. Ovvero possa egli, in mezzo alle nevi e ai venti gelidi, quando
i boschi nudi e sterili non danno più nessun frutto, morir di fame. Muoiano i
nostri nemici che sfuggiranno alla battaglia con ventre gonfio di erbe, lontani
dai loro wigwam (tende) senza amici, senza conforti, maledicendo il giorno che
si sono messi sul sentiero della guerra contro noi più valorosi. Le nostre asce
rimarranno nei loro villaggi, trofeo manifesto e nobile del nostro coraggio. Se
si avrà l'ardimento di riportarcele, cento capigliature strappate e dipinte a
vari colori orneranno le nostre tende e cento prigionieri saranno attaccati al
palo della tortura per soffrire i più atroci tormenti. Ma noi partiamo!...
Ah!... Chi di noi ritornerà? Poveri fanciulli, dolci spose, addio!... Per voi,
per voi soli ci è cara la vita. ma cessate di piangere. La battaglia ci attende
e forse ci rivedrete presto. Bravi guerrieri, pensate a vendicare la nostra
tribù dalle offese patite e vendicare i capi se per disgrazia. guidandovi
all'attacco, cadranno. Soffocate, fate cessare il grido terribile del nostro
sangue versato, alzando sui nostri nemici le nostre possenti asce. Inondate del
loro sangue i boschi testimoni della nostra vittoria, onde non possano dire ai
loro fratelli che noi non abbiamo distrutto.»
La potente voce di Aquila Bianca era
cessata.
In lontananza un'altra voce, non meno
robusta. aveva risposto:
«I Mandani sono sul sentiero della
guerra: vengono e son pronti alla battaglia.»
«Signori,» disse Jor, il quale era
diventato pallidissimo, «fuggiamo subito. Aquila Bianca sa che noi siamo qui e
ci farà prendere subito.»
«E dove fuggire?» chiese Testa di
Pietra.
«Verso il lago,» rispose il canadese.
«Se gl'Irochesi sono già giunti ci metteremo sotto la loro protezione.»
«Dannato paese... Che non si possa
riposarci almeno sei ore?»
«Scappiamo,» disse Riberac. «I Mandani
si avvicinano rapidamente.»
«Prenderemo almeno con noi qualche
bottiglia ed un paio di prosciutti,» disse Piccolo Flocco.
Non c'era bisogno di quella
raccomandazione poiché i due tedeschi, che ci tenevano ai pasti più o meno
regolari, si erano già caricati di lingue di bisonte e di salsicciotti, e anche
il segretario del marchese si era cacciato, nelle sue ampie tasche, un paio di
bottiglie.
I sette uomini, che vedevano avvicinarsi
rapidamente il pericolo, lasciarono il gigantesco pino e si slanciarono a corsa
disperata attraverso la macchia, senza badare agli ululati del vento e alla
neve che non cessava un solo momento di cadere.
Riberac aveva preso il comando del
piccolo drappello conoscendo i dintorni del lago meglio di Jor.
Già avevano attraversato felicemente tre
o quattro macchie di aceri, quando la voce di Aquila Bianca si fece udire:
«Su, miei piccini, addosso.»
Il furfante si era accorto della fuga
dei canadesi e correva dietro di loro seguito da due orsi, i soli che gli erano
rimasti, poiché qualche altro doveva essere morto in mezzo alle betulle con
qualche palla conficcata forse nel cranio.
«Che gli uomini bianchi si fermino!...»
urlò agitando furiosamente l'ascia. «I miei compatrioti giungono correndo più
agili dei moose e, se non obbedite, vi attaccheranno al palo della tortura!...»
Un colpo di carabina echeggiò.
Testa di Pietra, fermatosi un momento
per mirarlo, lo aveva colpito facendolo stramazzare in mezzo alla neve, fra i
suoi due orsi.
«Muori, cane!...» gridò il terribile
marinaio. «Avevi vissuto troppo.»
«Sei certo poi di averlo ucciso?» chiese
Piccolo Flocco.
«So che l'ho fermato e che le sue bestie
si sono accovacciate presso di lui. A me, per il momento basta. Se lo avrò
solamente ferito e se guarirà mi prenderò la sua pelle in altra occasione.
Gambe!... Gambe!... I Mandani ci danno la caccia e, se ci prendono, non avranno
nessuna misericordia di noi.»
E ripresero la corsa fra la tempesta di
neve, facendo appello a tutte le loro forze.
In lontananza si erano uditi alcuni
colpi di fucile, seguiti da grida acutissime che sembravano lanciate da
un'immensa muta di cani.
Si è sempre scritto che gl'indiani,
quando intonano il loro inno di guerra, urlano tremendamente.
No, abbaiano quasi come i cani e quell'inno non ha assolutamente nulla
di spaventoso.
«Gambe!... Gambe!...» non cessava di
dire il vecchio bretone, il quale possedeva ancora un'agilità straordinaria.
«La mia capigliatura è grigia, eppure ci tengo ad averla.»
Per un'ora corsero disperatamente,
spronati dalla paura di vedersi rovinare alle spalle quell'orda di barbari
sanguinari, poi si fermarono per prendere fiato e bere un sorso di gin onde
combattere il freddo intenso che regnava sotto la foresta.
Pareva che anche i Mandani si fossero
fermati o avessero smarrita la via, poiché la neve doveva aver coperte subito
le orme dei fuggiaschi.
«Signor Riberac,» chiese Testa di Pietra
che sbuffava come una foca «siamo ancora lontani dal lago?»
Il trafficante stava per rispondere
quando si udirono verso il Champlain parecchie cannonate. Una nave, sbattuta
dalla tempesta, doveva invocare disperatamente aiuto.
«Il brigantino!...» esclamò Piccolo
Flocco.
«Sì, sono i suoi piccoli pezzi da dodici
che tuonano,» disse Testa di Pietra. «Ah!... Se potessimo giungere in tempo per
assistere al naufragio della nave e acciuffare quel maledetto marchese!...»
«Troppo tardi,» disse Jor il quale si
era bruscamente fermato. «I Mandani son stati più lesti di noi.»
«E più lesto ancora dei pellerossa mi
pare che vi sia stato un altro, patre,» disse Wolf.
«Chi?»
«Il trafficante che ci precedeva è
scomparso.»
«Non lo vedi più?»
«L'ho feduto correre come un bisonte.»
disse invece Hulrik.
«No, come un lupo,» disse il segretario
del marchese.
«Che ci abbia abbandonati per salvare la
sua capigliatura? O che sia andato in cerca degl'Irochesi? Che ne dici tu,
Jor?»
«Io lo credo,» rispose il canadese. «Lui
conosce le rive del lago meglio di me e dei Mandani, e non dispero affatto di
rivederlo.»
«E tu dici che siamo presi?»
«I pellerossa, più lesti di noi, ci
hanno quasi accerchiato. Vedete le loro linee nere spiccare sul candore della
neve?»
«Morte e dannazione!...» urlò il vecchio
bretone. «Che io sia proprio destinato a lasciare qui la mia capigliatura?»
«E le nostre non le conti?» chiese
Piccolo Flocco, il quale non perdeva mai il suo buonumore.
«Jor, che cosa facciamo? Diamo
battaglia?»
Il canadese scrollò le spalle, poi
disse:
«Se sono più di cinquecento e con armi
da fuoco.»
«Non potevano tardare qualche mezz'ora
ancora a giungere?»
«Non avevano i calli ai piedi,» disse Piccolo
Flocco.
«Non scherzare, furfante.»
«Che cosa vuoi fare? Lasceremo nelle
mani di quei barbari le nostre capigliature.»
«Lasciarmi scotennare!... Ah, no!... Non
voglio ritornare un giorno a Batz senza un po' di pelo sulla mia testa dura.»
«Veramente non desidero nemmeno io di
mostrarmi sulle calate di Pontiguen con la testa spelata.»
«Altro che spelatura,» disse Jor, il
quale appariva assai preoccupato.
«Vediamo,» disse il vecchio bretone,
mentre verso il lago continuavano i colpi di cannone. «Non conosci nessun capo
mandano, tu?»
«Molti Irochesi e Algonchini, ma non
Mandani,» rispose il canadese, il cui viso si oscurava sempre più.
«E sono terribili quei guerrieri?»
«Odiano l'uomo bianco perché ha
distrutto le immense mandrie dei bisonti. Guardate come hanno compiuto bene
l'accerchiamento. Siamo chiusi da tutte le parti.»
«Fortunato trafficante!... Lui almeno ha
avuto il tempo di mettersi in salvo.»
Dei fitti ranghi di guerrieri, con
rapidità fulminea, scorrendo sulla neve molle con le loro racchette, avevano
chiuso come dentro un circolo i sei disgraziati, impedendo loro ogni ritirata.
Indossavano vestiti di pelli, adorni di
una moltitudine, di penne di aquile e di tacchini selvatici, che davano loro un
aspetto pauroso. Per di più, legate chissà in quale modo, portavano delle corna
di bisonte sulla testa.
«Ah i brutti ceffi!...» disse Testa di
Pietra. «Ed hanno il muso dipinto, se non m'inganno.»
«La toeletta di guerra,» rispose Jor.
In quel momento un uomo di statura
altissima, come lo sono tutti i selvaggi canadesi, si staccò dai ranghi e si
avanzò verso gli uomini bianchi, agitando furiosamente una scure di guerra.
«Ah!...» disse in un francese abbastanza
comprensibile. «Voi siete gli uccisori di Aquila Bianca!...»
«È morto finalmente quel furfante?»
rispose Testa di Pietra. «E gli orsi come stanno? Spero che lo avranno seguito
nelle praterie celesti per rallegrare il grande Manitou.»
L'indiano, un sackem a giudicare dal suo
armamento formidabile e dalle tre penne d'aquila che si rizzavano dietro le due
corna di bisonte, si era avvicinato rapidamente. Era armato d'un fucile,
dell'ascia, del coltello per scotennare ed imbracciava per di più, a sinistra,
un largo scudo di pelle di bisonte, ben solido, per parare i colpi d'arma
bianca.
«Io sono Orso delle Caverne,» gridò, «e
comando a più di cinquecento guerrieri. Sono un sackem famoso che ho già
strappate più di venti capigliature.»
«Pochine, per essere così famoso,» disse
Testa di Pietra, movendogli risolutamente incontro. «Io invece, a colpi di
cannone, ho ammazzato più di cinquecento inglesi.»
«Hugah!... Un grande guerriero, dunque.»
«Che non ha mai avuto paura di nessun
pellerossa in un corpo a corpo.»
«Mio fratello bianco non si è però mai
provato contro di me.»
«Io non ho avuto, fino a questo momento,
l'onore di conoscere Orso delle Caverne.»
«Tu sei un valoroso.»
«Lo credo,» rispose Testa di Pietra. «Ho
espugnate tante navi, <grossi uccelli volanti>, come li chiamate voi, e
nessuno è stato capace mai di colpirmi.»
«Hugh!...»
«Haug!... Se è vero che sei un grande
sackem vieni a misurarti con me, pezzo di pelle mal cotta.»
«Io sono pronto e se tu vincerai, ora
che Aquila Bianca è morto e che doveva surrogarmi nel comando, la mia tribù ti
riconoscerà per sackem e ti obbedirà.»
«Anche se ho la pelle del colore del pan
bigio appena biscottato?»
«Non importa. D'altronde io sono sicuro
di dare, innanzi alla mia tribù, un'altra prova del mio valore.»
«E, se ti ammazzassi, i tuoi guerrieri
non ci attaccheranno poi al palo della tortura?»
«Il grande Manitou m'ha udito, i miei
guerrieri m'hanno pure udito, il Grande Spirito che regna nelle praterie
celesti mi ha pure ascoltato. Se è vero che tu sei da tanto da sfidare il
sackem dei Mandani, avanzati. I miei guerrieri staranno a guardarci.»
«Aspetta un po' che ti accomodo io,
anche se hai lo scudo di pelle di bufalo,» disse Testa di Pietra. «Del tuo
fucile me ne rido. È un catenaccio che probabilmente non farà fuoco,
coll'umidità di questa notte. Verremo come all'abbordaggio.»
«Sei pazzo, camerata!...» esclamò
Piccolo Flocco.
«Bisogna bene in qualche modo salvarci,» rispose il vecchio bretone. «Mi
offre di diventare capo della sua tribù se lo ammazzo. Diventato sackem, vorrei
un po' vedere chi sarebbe tanto audace da porre le mani su di noi. Se morirò
nella lotta ed un giorno tu tornerai a New York e più tardi in Bretagna,
racconterai come è morto il vecchio orso marino.»
Si aprì la casacca, si tolse due lettere
coperte di grossi sigilli di ceralacca verde e li porse al giovine marinaio.
«Per Saint-Clair ed Arnold, se tu potrai
giungere a Ticonderoga.»
«Mastro, pensa a quello che fai,» disse
Piccolo Flocco, il quale appariva in preda a una vivissima commozione.
«Credi che abbia paura io di
quell'indiano? Orso delle Caverne contro Orso Marino. Vedremo chi sarà il più
forte.»
«Jor,» disse Piccolo Flocco, «non si
potrebbe evitare questa lotta?»
«Se il mastro si rifiutasse, tutti i
guerrieri ci piomberebbero addosso e nessuno di noi uscirebbe vivo dalle mani
di quei terribili torturatori,» rispose il canadese, il quale sembrava pure
assai commosso. «Se il sackem avesse sfidato me, per salvarvi tutti, non avrei
esitato. Qui si tratta di vita o di morte.»
«Ed è stato meglio che abbia pensato a
me l'Orso,» disse Testa di Pietra. «Ascia contro ascia!... Sarà un duello
terribile, ma io non dispero di vincere. Restate fermi e lasciate che me la
cavi come meglio potrò.»
Il sackem aspettava impazientemente,
insensibile al freddo e noncurante della neve e delle raffiche furiose del vento,
appoggiato al suo vecchio fucile.
«Amici, addio,» disse Testa di Pietra.
«Ora vedrete uno spettacolo forse mai veduto prima d'ora.»
E mosse risolutamente contro l'indiano,
agitando l'ascia.
«Getta il fucile,» gli disse. «Il mio potrebbe
ammazzarti sul colpo.»
«Io ho sfidato mio fratello bianco a
misurarsi con me colle armi bianche e non con quelle che tuonano,» disse Orso
delle Caverne. «So bene che avrei avuto subito la peggio, possedendo io un
vecchio archibugio.»
«E va bene, mio caro. E se ti ucciderò
prenderò il tuo posto e diventerò il sackem delle tua tribù.»
«L'ho detto.»
«E se io cadessi col cranio fracassato,
che cosa farai dei miei compagni?»
«Deciderà il consiglio dei vecchi
saggi.»
«Ho capito: bisogna che ti uccida per
salvarli. Sono pronto.»
Gettò la carabina e si avanzò terribile
contro il sackem, il quale lo aspettava a piè fermo, impugnando un tomahawh che
non era né più pesante né più lungo dell'ascia del suo avversario, col manico
tutto scolpito ed adorno all'estremità d'un ciuffo di capelli umani strappati
probabilmente a qualche disgraziato canadese sorpreso nelle foreste.
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