Il vecchio bretone si diede un gran
pugno sulla fronte.
«Siamo in un bel pasticcio,» gridò. «Se
Jor è venuto fin qui per avvertirci di qualche pericolo, noi non dobbiamo più
perdere tempo, e bisogna obbedirgli. Dov'è Macchia di Sangue?»
«Senza dubbio nella batteria a lavorare
di scalpo.» rispose Piccolo Flocco.
«Ai canotti subito.» soggiunse il mastro
avventandosi ad uno dei boccaporti dei brigantino. «Macchia di Sangue, miei
bravi Mandani... risalite sull'istante, ritorniamo all'accampamento... è il
vostro sackem bianco che ve l'ordina. Un grave pericolo ci minaccia tutti.»
Grida gutturali di richiamo fecero eco
alle parole di Testa di Pietra, propagando il comando.
Cominciarono ad uscire dai boccaporti
gl'indiani, con le facce alterate, gli occhi torvi, sporchi di sangue. Alcuni
stringevano fra i denti una o due capigliature e sostenevano sulle spalle
sacchi ed involti di roba predata, o stringevano in pugno delle armi tolte ai
nemici vinti.
Il sottocapo, Macchia di Sangue, aveva
il volto insanguinato, probabilmente per un colpo di calcio datogli con un
archibugio. ma aveva la cintura adorna di tre capigliature tolte via da teste
inglesi con una abilità degna di un chirurgo specialista.
«Per tutti i campanili della
Bretagna!...» borbottò il mastro. «Son famosi guerrieri i miei sudditi. Credo
che dei poveri marinai di questo brigantino non ne sia rimasto uno sano e
salvo.»
«All'infuori di quelli che sono fuggiti
col marchese prima del nostro arrivo.»
«Taci. Piccolo Flocco, ché se ripenso a
quel furfante di lord mi vien la voglia di prendere a pugni tutti i campanili
della terra.»
«Non vorrei essere il campanaro, io,
allora...»
«Non ne resterebbe in piedi uno solo.»
«Bum!... Trombone!...»
«Mozzo del Pouliguen, tu mi burli... ora
mi manca il tempo, ma più tardi ti tirerò le orecchie.»
«Ah sì, tu abusi del tuo potere di
sackem!...»
«Ti farò attaccare al palo della
tortura, se occorre.»
«Uh, che paura!...»
Mentre quei diavoli d'uomini, in mezzo a
tanti rischi, si compiacevano di scherzare come se fossero sulla tolda di una
fregata in porto, i Mandani si affrettavano a scendere nei canotti che
circondavano la nave.
Il mastro stimolava tutti, con dei gesti
energici e con le sue famose esclamazioni, a far presto.
Quando il ponte del brigantino fu
sgombro, egli e i suoi due compagni presero posto nel canotto in cui li
attendeva quella birba di segretario.
«Ci siamo tutti?» gridò il bretone.
«Salvo quelli che sono morti,» rispose
Piccolo Flocco.
«Si sa, la guerra ha le sue dure
necessità. Avanti... forza con le pagaie, e cerchiamo di incontrare, in questa
dannata oscurità, il bravo canadese. Ohé, Jor, dove siete? Urlate un po' come
una scimmia rossa, onde la vostra voce ci serva...da stella polare!...»
La flottiglia dei Mandani si era messa
in moto guadagnando alquanto il largo, e filando rapida verso la foce del
fiume.
Il canadese aveva udito Testa di Pietra
chiamarlo e fargli quella bizzarra raccomandazione.
«Son qui,» rispose con tutta la sua voce.
«Fate dirigere a questa volta il vostro canotto e prendetemi a bordo con voi.»
«Veniamo, Jor... Attenzione!...»
Nell'oscurità che continuava a regnare,
non era facile orientarsi e manovrare in modo da evitare delle collisioni.
Ma Testa di Pietra era, oltreché un
bravo cannoniere, un marinaio consumato, e diresse la manovra del suo canotto
in guisa che poco dopo si trovava senza inconvenienti bordo a bordo con
l'imbarcazione che portava Jor.
Il canadese non stette ad attendere
l'invito per saltare a fianco del bretone.
«E dunque,» gli disse il vecchio mastro
scotendolo rudemente per le spalle, «siete di ritorno... Avete rintracciato
Riberac?»
«No.»
«Per il borgo di Batz!... Che è avvenuto
di lui?» chiese il vecchio bretone con accento preoccupato.
«È un mistero...»
«Ecco una merce che io detesto. Amo le
cose chiare io.»
«Mah... avete ragione, mastro.»
«Allora non avendo trovate le tracce del
trafficante, voi siete ritornato all'accampamento con Wolf.»
«No.»
«Come no?»
«Ci sono ritornato solo.»
«E Wolf?»
«Scomparso.»
Hulrik, il quale aveva ascoltato il
rapido colloquio. udendo quella risposta, ebbe un'esclamazione d'angoscia.
«Mio pofero fratello sparito...»
gemette. «Oh mio Dio, quale discrazia?...»
«Sta' tranquillo, ché lo ritroveremo.»
rispose Testa di Pietra. «Per tutti i campanili della Bretagna, non si divora
mica un assiano come se fosse un salsicciotto di Boston...»
«È fero, io sperare in puon mastro Testa
di Pietra.»
«Il quale è, come tu sai, sackem di una
tribù di famosi guerrieri.»
«Mastro, ho paura che la vostra carica
di capo tribù con tutti i vantaggi relativi...» soggiunse Jor.
«Compreso quello d'aver una dozzina e
più di mogli...» interruppe Piccolo Flocco che non poteva star mai zitto, né
smettere di burlarsi del suo vecchio amico, ad onta delle minacce ricevute.
«Riposi sopra una specie di mina,»
continuò il canadese mentre il bretone aggiustava un grosso pugno sulla schiena
del gabbiere.
«Io non vi comprendo,» disse poi Testa
di Pietra. «Capisco solo che un doppio pericolo ci minaccia. Da una parte la
flotta del generale Burgoyne, dall'altra quello che voi...»
Un nuovo colpo di cannone rimbombò sul
lago, tagliando la parola al mastro.
«Gambe, ragazzi,» disse il vecchio
marinaio. «Per ora non si tratta che di segnali... di colpi in bianco. Se
sapessero o s'immaginassero che siamo qui noi in una flottiglia di canotti,
sentireste che grandini infuocate!...»
Le imbarcazioni indiane continuavano ad
avanzare rapidamente verso la foce del fiume.
I Mandani non facevano più udire il loro
canto di guerra e parevano tutti oppressi dal presentimento di una sventura.
«Jor,» soggiunse il mastro bruscamente,
«che è avvenuto durante il vostro viaggio alla ricerca di Riberac?»
«Ve lo dico in breve, amico mio,»
rispose il canadese. «Come sapete, io e Wolf siamo partiti insieme
dall'accampamento indiano, e non abbiamo tardato molto a trovare le tracce di
Riberac. Son vecchio d'esperienza in queste faccende e me ne intendo.»
«Per centomila fregate sventrate, lo so
che voi canadesi siete famosi.»
«Bene; trovate le orme del trafficante
ci siamo messi a seguirle, battendo la stessa strada. Noi ci allontanavamo di
continuo dalle rive del lago, addentrandoci nei boschi, i quali però mi sono
familiari come l'interno delle mie tasche. Avevo tuttavia la sensazione di
qualche cosa di misterioso nascosto fra lo spessore di quella vegetazione,
intorno a noi. Era una specie di presentimento sinistro che mi pesava in cuore.
A un tratto le tracce del passaggio di Riberac si confusero con altre di una
truppa d'uomini che giudicai essere indiani. Evidentemente il trafficante aveva
incontrato gli Irochesi, forse qualche loro drappello di esploratori, e s'era
unito ad esso. Osservando meglio le orme, constatai però che assieme a quelle
di Riberac v'erano anche le orme di un altro uomo bianco. Proseguendo nelle mie
ricerche scoprii un segno che mi diede da pensare. Era un pezzo di tela bianca
inglese, come nessun indiano suole usarne, lacerata in una striscia e macchiata
di sangue. Giudicai che essa aveva dovuto certamente servire da benda per
coprire qualche ferita.»
«E che il ferito l'aveva buttata poi via
nel cambiarla: ciò è evidente,» osservò il mastro.
«Vi sembra?»
«Senza dubbio.»
«Io la mostrai a Wolf, il quale fece una
smorfia.»
«Eh, eh!»
«Ma sapete per quale ragione?»
«Per il borgo di Batz, non sono mica
indovino io.»
«Perché egli avrebbe preferito trovare
un buon prosciutto e una bottiglia di birra.»
«Son ghiotti, gli assiani, e dannati
divoratori,» disse Testa di Pietra ridendo.
«È fero, assiani star ghiotti
manciatori,» rispose Hulrik, «ma anche puoni compagni fedeli.»
«Ah non dico di no, amico mio: tu e tuo
fratello Wolf avreste meritato di nascere nel borgo di Batz.»
«O in quello del Pouliguen,» brontolò
Piccolo Flocco.
«Per tutti i salsicciotti di mastro
Taverna... essi sarebbero dei mozzi chiacchieroni come sei tu.»
«Ma se è un'ora che non apro il becco,»
disse il gabbiere.
«Tienilo dunque chiuso per un altro
poco, per lasciare che Jor finisca il suo racconto.»
«Ecco fatto.»
E così dicendo, Piccolo Flocco si regalò
un colpo di mano sulla bocca, come per serrarla.
«Mi posi ad esaminare quello straccio,»
continuò allora il canadese «e m'avvidi ben presto che era un pezzo di
fazzoletto. In un angolo si scorgeva ancora una lettera dell'alfabeto, assai
male ricamata, come si usa per la biancheria della gente ordinaria.»
«E quella lettera era?»
«Una <D>.»
Testa di Pietra fece udire un sordo
brontolio.
«Pare che voi diate molta importanza a
una semplice <D>. Non vi capisco, mio caro,» soggiunse poi.
«Bah, capirete dopo.»
«Continuate allora.»
«Io ebbi subito il sospetto della
verità, dinanzi a quella scoperta, e lo comunicai a Wolf, il quale mi si mostrò
alquanto preoccupato. Comunque fosse, eravamo in ballo e bisognava ballare...
vale a dire ritrovare Riberac vivo o morto. Ripigliammo il nostro cammino,
seguendo le numerose tracce che avevamo sotto gli occhi, quando fra i grandi
alberi della foresta echeggiò un canto breve che a qualunque altro orecchio
sarebbe parso d'un uccello, ma che al mio, troppo esercitato dal lungo uso, si
rivelò tosto come un segnale. <In guardia, Wolf.> sussurrai al mio compagno,
<siamo spiati.> <Io non federe nessuno,> mi rispose l'assiano.
<Non fa nulla; io sento per istinto che qui, intorno a noi, stanno i nemici
nascosti.> <E son proprio nemici?> mi chiese Wolf. <Non se ne può
dubitare. Riberac è con essi: se egli non ci ha traditi, vuol dire che è loro
prigioniero e quindi, poiché deve trattarsi degli Irochesi, che non è riuscito
ad indurli a fumare il calumet della pace coi Mandani. Se fosse altrimenti, il
trafficante, accortosi di noi, si sarebbe già fatto vivo>. Avevo appena
terminato di parlare, che comparvero di dietro ai tronchi degli alberi più
grossi delle facce dipinte coi colori di guerra, mentre una specie di spettro
umano sorgeva davanti ai nostri occhi. E sapete a chi rassomigliava quel
fantasma?»
«A chi?»
«A mastro Davis, il meticcio canadese
datovi per guida dal generale Washington.»
«Per centomila campanili
sgangherati!...» urlò, dando un balzo, Testa di Pietra. «Era dunque risuscitato
quel furfante?»
«O piuttosto non era morto.»
«Che tutti gli scorpioni di mastro
Taverna lo possano attanagliare!... Sfuggire al lago infuriato, alle punte
degli scogli, dopo aver ricevuto una buona palla di pistola, ecco una dannata
fortuna che capita solo ai bricconi di quello stampo là.»
«Davis aveva la fronte fasciata ed era
pallido e truce,» proseguì a narrare il canadese. «Vedendoci insieme, Wolf e
me, aveva per certo sentito scoppiare in cuore la rabbia della vendetta. Io
vidi la situazione disperata. Capii che l'unica via da scegliere ormai era
quella di correre a mettervi sull'avviso e dissi al mio compagno:
<Fuggiamo. È necessario che almeno
uno di noi giunga vivo all'accampamento. La foresta è invasa dagli Irochesi, i
quali marciano sul sentiero della guerra>. <Prendiamo il largo,
allora.> <Raccomandatevi alle gambe che avete buone, amico Wolf.>
<Sì.> <A proposito... sapete la strada? Almeno quella percorsa?>
L'assiano si grattò in testa con aria costernata. <Bene,> gli dissi io,
<non vi turbate, amico mio; prendete quella direzione e correte diritto a
qualunque costo, giungerete all'accampamento dei nostri.> E tracciai in aria
un rapido gesto. <Ed ora via, più velocemente che è possibile, senza
preoccuparvi di me. Io ho pratica dei luoghi e spero d'ingannare gl'indiani.>
Wolf non si fece ripetere la raccomandazione e si diede alla fuga nella
direzione che gli avevo indicata. Alla mia volta io battei in ritirata.
Vedendoci scappare, Davis, il quale senza dubbio aveva esitato a farci assalire
pel sospetto che la nostra presenza nascondesse un'insidia, forse un'imboscata
dei Mandani, cacciò una bestemmia e mi prese di mira con l'archibugio che, non
so se ve l'ho detto, teneva in mano. Io udii la detonazione e la palla passò
sibilando accanto a me. Ero salvo da quel primo segno di ostilità, e tale
constatazione mi mise le ali ai piedi. Intesi però scoppiare dietro alle mie
spalle dei formidabili clamori, e capii che gl'lrochesi si mettevano ad
inseguirci. Ben presto io e Wolf ci perdemmo di vista, e dell'assiano non seppi
più nulla. Non avendolo trovato all'accampamento, temo ch'egli si sia smarrito
nella foresta sconfinata o abbia avuto la disgrazia di cadere nelle mani degli
Irochesi.»
«Pofero fratello mio!...» gemette
Hulrik.
«È vero però che potrebbe essere giunto
all'accampamento durante il tempo che noi ne manchiamo.»
«Ma voi, Jor, come avete fatto a
salvarvi dall'inseguimento degli indiani nostri nemici?» chiese Piccolo Flocco.
«Oh bella, lavorando di gambe,» rispose
Testa di Pietra. «Credi forse, mozzo del Pouliguen, che il nostro bravo
canadese sia un poltronaccio del tuo stampo?»
«I mozzi del Pouliguen, signor sackem
dei Mandani. sono più lesti di tutte le teste dure della Bretagna,» rispose il
gabbiere con la voce beffarda.
«No; mastro Testa di Pietra,» soggiunse
il canadese subitamente, «non mi sono messo in salvo con l'aiuto delle sole mie
gambe. È vero. Io corro come un cervo o come un alce, ma fra gli Irochesi vi
sono dei diavoli che galoppano come il vento, e resistono alla corsa più d'un
cavallo. I più celebri sono Piè Veloce, Alce Giovane, Gambe di Cervo, Alce
Rosso, Vento dei Boschi, Fulmine che viene, ed altri che è inutile enumerare,
sebbene abbiano tutti nomi caratteristici denotanti la loro qualità di
corridori famosi. Quei demoni, i quali sono anche formidabili guerrieri, mi
inseguivano da vicino più degli altri, e mi avrebbero certo raggiunto, se
improvvisamente un fenomeno straordinario, per me inesplicabile, non li avesse
arrestati. Attraversavamo allora una estensione di betulle nane, coperte di
neve, e io cominciavo a sentir la stanchezza opprimermi, mancarmi il fiato, una
certa paura entrarmi in cuore, per l'impossibilità di difendermi validamente e
con vantaggio, quando una voce profonda e forte, che pareva scendere dal cielo,
gridò: <Io sono il Grande Spirito, al quale tutti gl'indiani devono
obbedienza. Tornino indietro i guerrieri irochesi e chiamino a raccolta la loro
tribù, poiché molti sono i pericoli che la minacciano. Bisogna lasciar andare
il pericolo minore per volgersi a far fronte a quello maggiore. Bisogna lasciar
fuggire la preda più piccola per conquistare quella più grande. Hugh!...
Hunh!... Il Grande Spirito ha parlato>. Immediatamente i miei inseguitori si
arrestarono e, dopo essersi guardati attorno con molto stupore, evidentemente
si convinsero trattarsi della loro divinità che si svelava ad essi nel mistero,
per metterli in guardia, e si prosternarono sulla neve, esclamando: <Il
Grande Spirito ha parlato ai suoi figli indiani!... Ed essi obbediranno alla
sua voce potente!> Vi confesso, amici miei, ch'io credo poco alle divinità
indiane e ai loro miracoli. Il fenomeno però non si poteva negare, tanto più
che si verificava per me in un buon punto, salvandomi addirittura da una morte
certa. Il fatto mi rianimò, mi diede nuove forze e mi spinse maggiormente alla
fuga. E corsi, sapete, oh se corsi!... Non sentivo più dietro di me quei
dannati Irochesi, ma temevo di vederli apparire di nuovo. Eppoi volevo giungere
presto qui per avvertirvi della scoperta fatta.»
«Già... la resurrezione di Davis,»
brontolò Testa di Pietra.
«State sicuro, mastro, che quel demonio
farà di tutto per ritrovarvi e catturarvi prima che possiate giungere al forte
di Ticonderoga.»
«È vero, gli stanno a cuore le lettere.»
«E la vendetta.»
«Per la barba della mia vecchia pipa,
gliene faremo vedere di belle al signor Davis, è vero, Piccolo Flocco?»
«Lo spero bene.»
«Davis è un uomo che non perdona,»
continuò il canadese, «e che non dimentica... e d'altra parte la ferita che gli
avete inferta, caro mastro, sarà sempre lì a ricordargli il bretone e i suoi
amici. Sono certo che in questo momento tutti gli Irochesi si preparano ad
assalire i vostri Mandani, poiché la vostra elevazione a loro sackem deve
essere già nota alle altre tribù indiane. Per questo ho voluto correre in
traccia di voi.»
«E avete fatto benone.»
«Poiché, oltre all'ostilità di
partigiani, vi è l'odio della spia del marchese Halifax.»
«Ah, per il borgo di Batz, tutte le
volte che mi si nomina il rivale del mio bravo capitano, il sangue mi dà un
tuffo.»
Attraverso la nebbia che gravava sul
lago rimbombarono di nuovo alcuni colpi di cannone.
«Nespole!...» brontolò il canadese,
parendogli di sentire nell'aria spessa il rumore dei proiettili. «Ci
cannoneggiano.»
«Sono le navi inglesi che cercano di
orientarsi,» soggiunse Testa di Pietra. «Ma non riuscirà loro facile il farlo
con questo buio.»
E così dicendo emise un sospirone.
«Che avete, mastro?» gli chiese Jor.
«Penso che se fosse ancora viva e salda
in gambe la mia brava Tuonante noi potremmo lanciarla in mezzo alle navi
inglesi e far con esse un'ottima marmellata per i pesci del Champlain.»
«E invece,» soggiunse Piccolo Flocco.
«non abbiamo che dei fragili canotti coi quali non potremmo fare troppo
cammino. È meglio perciò non pensare più alla nostra povera e tanto amata
Tuonante, a cui abbiamo già recitato il de profundis.»
«Ma esiste però ancora il suo
comandante, il valoroso baronetto Mac-Lellan,» riprese il vecchio bretone in
tono energico, «e con lui son vivi e sani sempre i marinai superstiti. E noi
daremo quel nome caro ad una corvetta che rassomigli a quella defunta, scelta
fra le navi della squadra americana, e resusciteremo con essa le glorie dei
terribili corsari delle Bermude.»
«In questo bicchier d'acqua che risponde
al nome di lago Champlain?» disse il giovane gabbiere, incorreggibile nel far
continuamente arrabbiare il suo mastro.
«Qui e altrove, ragazzaccio impertinente,» urlò Testa di Pietra
picchiando un gran pugno sulla frisata del canotto, sì che l'imbarcazione
oscillò di più, «qui e altrove, purché i cuori siano sempre quelli d'un tempo,
ed esistano ancora nemici della libertà da combattere, inglesi soprattutto,
poiché io ho una straordinaria antipatia per quei manici di scopa. Ehi, amici,
siamo giunti, mi sembra.»
Infatti la flottiglia dei Mandani era
arrivata presso l'accampamento, del quale si vedevano brillare tra le tenebre i
fuochi accesi qua e là.
I canotti furono spinti nella insenatura
piccola, ma ben riparata dall'alta fila di scogliere, la quale serviva ad essi
da porto di rifugio, e i guerrieri indiani sbarcarono allineandosi tosto sotto
gli ordini del vice sackem Macchia di Sangue, che aveva più pratica del luogo
di Testa di Pietra e dei suoi compagni.
Nessun clamore sospetto giunse ai loro
orecchi dal campo mandano. Sembrava che tutto vi fosse calmo e tranquillo.
Testa di Pietra, Piccolo Flocco e gli
altri cominciarono perciò a credere che Jor avesse esagerato nei suoi timori, e
che li avesse strappati invano dal saccheggio del brigantino, quando lo sparo
di un'arma da fuoco echeggiò lontano, dal centro della foresta di betulle nane che
si estendeva lungo il fiume, fino alle sponde del Champlain.
«Corpo di un campanile di Bretagna!...»
esclamò Testa di Pietra. «Ecco una notte movimentata: da una parte i cannoni
del generale Burgoyne, dall'altra i catenacci degli Irochesi; non è certo la
musica che ci manca, se abbiamo voglia di ballare. E dunque in marcia, andiamo
a fare un giro di furlana, se così è destinato!...»
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