Al grido e alle parole di richiamo, che
mastro Testa di Pietra aveva lanciato con una voce di vero tuono, Piccolo
Flocco, Hulrik e Jor che stavano ormai per slanciarsi nel vivo della mischia e
scaricare le loro carabine contro gl'Irochesi, s'arrestarono un momento, poi si
diedero a correre dietro il vecchio bretone.
A dire il vero, essi non avevano
ravvisato punto, fra i nemici, il traditore Davis, poiché il riflesso della
neve non rompeva l'oscurità in modo da permettere ad occhi ordinari di veder
bene le persone e le cose, ma Testa di Pietra aveva due pupille capaci di
gareggiare con quelle di un felino e per di più aveva scoperto Davis proprio
nell'istante in cui questi attraversava una zona illuminata dal riverbero d'uno
dei fuochi accesi nell'accampamento.
A sua volta Davis vide il vecchio mastro
della povera Tuonante muovergli risolutamente contro e rallentò il passo.
Egli stringeva nella sinistra una
carabina evidentemente scarica, poiché fumava ancora, e con la destra impugnava
una scure. Una forte schiera di Irochesi armati d'archibugi, d'archi o di
lance, lo seguivano dando la caccia ai Mandani che, sbaragliati, battevano in
ritirata.
I fuggiaschi però vedendo il loro sackem
col canadese e i due europei avanzarsi animosi, si vergognarono della loro fuga
e d'improvviso si riunirono dietro quegli uomini che parevano non aver paura
nemmeno del diavolo e di tutti i suoi seguaci.
Ad
un tratto Testa di Pietra si fermò con le gambe ben piantate e puntando dinanzi
a sé la carabina di cui si era armato.
«A noi due ora, mastro Davis,» urlò
pigliando di mira il traditore. «Tu hai la pelle dura, ma non tanto, spero, da
sfuggire una terza volta alla morte che ti sei meritata.» E senza esitare
sparò.
Piccolo Flocco, Hulrik e Jor sapevano il
bretone un tiratore quasi infallibile.
«Stavolta il furfante è bell'e
spacciato,» disse il giovane gabbiere.
«Ja, ja...» esclamò l'assiano. «Mastro
Davis star uomo morto.»
«V'ingannate, amici miei,» soggiunse
quasi subito Jor, mentre Testa di Pietra proferiva una delle sue pittoresche
bestemmie.
«Come, come?» gridò Piccolo Flocco.
«Eccolo là, ancor ritto e salvo,» disse il
canadese.
«Davis?»
«In persona.»
«È dunque il demonio in carne e ossa?»
«Lo temo proprio.»
«Ah sì? Ora la vedremo.»
E, così dicendo, Piccolo Flocco puntò la
sua carabina contro lo spione degli inglesi e fece fuoco.
Fosse il tremito del furore al quale il
giovinotto era in preda o una misteriosa fortuna protettrice, sta il fatto che
anche il colpo di Piccolo Flocco sbagliò il segno, andando a spaccare il cranio
di un irochese che non s'aspettava certo quel triste regalo.
Una fragorosa risata fece eco allo
sparo.
«Voi tirate come dei mozzi,» disse la
voce sardonica di Davis. «Sprecate pure così le vostre ultime palle... Io vi
tengo ora in mia mano, poiché i miei alleati Irochesi vi circondano e sono
vincitori su tutta la linea.»
«Tu canti troppo, galletto
spennacchiato,» rispose Testa di Pietra, il quale, voltosi all'assiano e a Jor,
soggiunse subito: «Sotto voi due, ora... fategli chiudere il becco per sempre.»
Il canadese e Hulrik si accinsero in
tutta coscienza ad esaudire il desiderio del bretone, prendendo di mira Davis
con le loro carabine, quando si verificò un fatto curioso.
Senza
che i nostri se ne avvedessero, o, almeno, vi facessero molta attenzione, da
qualche minuto gli Irochesi che seguivano Davis avevano modificato alquanto il
loro contegno, dando dei segni di esitazione, e quasi di paura.
Non li doveva spaventare però un
pericolo ordinario, ma qualche fenomeno strano.
Davis tuttavia s'accorse del cangiamento che avveniva tra i suoi, e
rapidamente si volse a guardare ciò che lo causava.
Una violenta esclamazione gli sfuggì
d'un tratto dalle labbra.
«Per centomila diavoli!...» gridò. «Cosa
sono quelle due masse nere che s'avanzano?»
Infatti due esseri informi, mostruosi,
nerastri, si facevano largo tra gl'indiani, correndo a sbalzi sulla neve in
direzione di Davis e trascinando ciascuno un oggetto che a tratti, urtando in
qualche ostacolo duro, mandava un suono prolungato, profondo, vibrante.
Appena quelle due masse semoventi ebbero
raggiunto Davis, s'arrestarono e si sollevarono ritte sulla neve, emettendo
delle voci rauche, ferine.
La scena si era svolta quasi
contemporaneamente all'azione di Jor e di Hulrik e con tanta rapidità che il
traditore non aveva trovato, nella sua meraviglia, la forza di muoversi, di
fuggire, di approntarsi alla difesa. Il suo sguardo si fissò con un misto di
terrore e d'incredulità sui due incomodi vicini piombatigli a fianco così
inaspettatamente, e allora vide bene di che cosa si trattava.
«Degli orsi!...» balbettò alzando con
atto più macchinale che cosciente la scure ond'era armato. «Degli orsi, e per
di più recanti al collo dei tamburi. Per le corna di Belzebù, io credo proprio
di sognare.»
Si trattava infatti dei superstiti
compagni di Nicò, i quali, disturbati senza dubbio nel loro riposo dai clamori
della battaglia, erano venuti a pigliar parte a quella sanguinosa festa.
I due allievi di Aquila Bianca non
avevano probabilmente nessuna intenzione ostile contro Davis, poiché si
mantenevano abbastanza tranquilli. Parevano attendere qualche comando.
Ma il traditore non s'accorse di quelle
disposizioni pacifiche e, credendo in pericolo la propria vita, calò sull'orso
che gli era più vicino un terribile colpo di scure. L'arma tagliò al povero
animale un'orecchia, lo ferì ad una spalla e si conficcò nel tamburo che la
bestia teneva appeso al collo, sfondandolo.
L'orso gettò un urlo rauco di spasimo e
di ferocia e, tutto grondante sangue, marciò contro il suo avversario agitando
un poco le zampe poderose minacciosamente aperte.
«Bene, gli orsacchiotti!...» disse Testa
di Pietra che si era accorto di quanto avveniva. «Jor, Hulrik, risparmiate i
vostri colpi per miglior occasione. Penseranno i compagni di Nicò a spacciare
quel furfante una buona volta.»
«E tu volevi mangiarli quei bravi
bestioni,» soggiunse Piccolo Flocco, anch'egli interessandosi alla scena emozionante.
L'orso ferito, gettando sempre urli
spaventosi, tingendo la neve del suo sangue, aveva aggredito Davis con rabbia
tremenda e cercava ora d'afferrarlo tra le zampe e di morderlo con le fauci
anelanti, rosse come il fuoco, irte di denti aguzzi e solidissimi.
Davis però non era uomo da smarrirsi
troppo in un pericolo anche di eccezionale gravità.
Con uno strappo vigoroso riuscì a
liberare la scure, che non aveva punto abbandonata, dal tamburo; e, vedendo che
anche l'altro orso, accortosi dell'azione del compagno, dava segni minacciosi e
s'avanzava per assalirlo, menò un nuovo e più tremendo colpo di scure sulla
testa dell'orso ferito, gridando in pari tempo:
«A me, Irochesi... sareste forse delle
villissime squaw, anziché dei prodi guerrieri degni di godere in eterno le
gioie che il Grande Spirito riserba, nelle sue praterie, ai suoi figli
migliori?»
Un generale clamore di voci concitate si
levò fra gl'indiani che erano rimasti spettatori esitanti. Vi fu un rumore
frenetico di armi ed alcuni fra i più animosi si inoltrarono, movendo in
soccorso di Davis.
«Corpo di una corvetta sventrata!...»
urlò Testa di Pietra accorgendosi di quella manovra. «Il furfante è capace di
scampare anche dalle grinfie dei compagni di Nicò.»
«Cospetto... s'è liberato dal più
accanito dei suoi avversari,» disse Jor. «Vedete, mastro?»
Infatti l'orso con cui Davis era alle
prese, colpito in un punto vitale dalla scure maneggiata espertamente, aveva
finito con l'abbandonare la preda, girando su se stesso come un vecchio
marinaio ubriaco di gin.
«La fortuna di quel traditore mi rende
furioso,» riprese il bretone mordendosi il pugno.
«È troppo sfacciata,» disse Piccolo
Flocco.
«No,» soggiunse l'assiano, «secondo orso
montare abbordaggio Davis.»
Ad onta del furore che lo turbava, Testa
di Pietra non poté trattenere uno scoppio di risa udendo uscire dalle labbra di
Hulrik quella frase marinaresca, proferita con la voce più grave.
«Pel borgo di Batz!...» esclamò. «Questo
bravo assiano, non potendo essere marinaio di fatto, s'illude di esserlo... con
le parole.»
«Io amare molto Testa di Pietra,» disse
Hulrik.
«Tante grazie, amico.»
«Perché Testa di Pietra star grande
marinaio.»
«Peuh, non c'è male... si fa quel che si
può, noi bretoni.»
«Uh, frate Modesto!...» garrì Piccolo
Flocco contento di aver il modo di lanciare un frizzo al suo vecchio mastro.
«Taci, mozzo del Pouliguen!... Farò di
Hulrik un gabbiere coi fiocchi.»
«Io essere molto contento di difentare
gappiere... Io studiare molto parole di mastro Testa di Pietra.»
«E per allenarti... le applichi agli
orsi del Canada. Ma guardate... eccoli alle prese fra loro, i due avversari.»
«Con che violenza l'orso si è buttato
addosso a Davis!»
«Lo possa sbranare!...»
«Speriamolo.»
«Deve essere duro; però, come un pezzo
di murata.»
«Ma i denti del compagno di Nicò devono
essere anche più duri, non temere, Piccolo Flocco.»
«Sembra ch'esso voglia vendicare la
sconfitta del fratello. Si direbbe che segua un suo ragionamento.»
«Bene, l'orso ha afferrato Davis fra le
zampe.»
«Se lo stringe contro il vasto petto...
e con che forza!...»
«Lo stritola senz'altro.»
«Pel traditore è finita.»
«Egli non commetterà più altri delitti
in questo mondo.»
«E nell'altro?...»
«Bah, avrà a che fare con Satana... E
quel messere deve essere un cattivo padrone.»
In effetti la situazione di Davis era
terribile, poiché l'orso, inferocito dalla vista del compagno morente, si era
gettato sopra all'uomo, con violenza inaudita. L'aggredito fu pronto ad
assestare alla belva un gran colpo di scure, ma la colse male e non le produsse
che una leggera ferita, la quale servì soltanto a renderla più furibonda e più
pericolosa.
Frattanto, attorno a questa scena, che
si svolgeva molto più rapidamente di quel che appaia dalla nostra narrazione,
ne seguiva un'altra assai più vasta e sanguinosa: quella della battaglia fra i
Mandani e gli Irochesi.
La lotta s'era intensificata su tutti i
punti del campo, tra urla feroci, colpi d'armi, gemiti e lamenti.
Il sangue correva a rigagnoli sul
lenzuolo di neve ghiacciata che copriva il suolo; morti e feriti giacevano
dovunque.
Qualche guerriero, dopo aver atterrato
il suo avversario e averlo finito con un ultimo colpo di tomahawh, inebriato
dalla sua vittoria, dalla vista del sangue, dall'esaltazione selvaggia della
battaglia, s'accaniva sul cadavere, scotennandolo, aprendogli il petto per
estrarne il cuore fumante e levarlo in alto come un trofeo.
Spesso però la morte, vibratagli da un
nemico sopraggiunto all'improvviso, lo coglieva in quel gesto atroce; e allora
subiva a sua volta l'oltraggio fatto al suo vinto avversario, come una
vendetta, una legge del taglione.
Altri s'afferravano in una tremenda
zuffa a corpo a corpo, si crivellavano scambievolmente di ferite, cadevano a
terra così uniti, vi si rotolavano in una rabbia bestiale ed esalavano
l'estremo respiro senza più lasciarsi.
E tutto serviva da arma: il calcio dei
fucili, il manico delle scuri o delle lance spezzate, i denti, le unghie, le
corde per strangolare.
I pellerossa mettevano nei loro
combattimenti tale e tanta ferocia che uno di simili spettacoli doveva riuscire
spaventevole e ripugnante anche allo sguardo più indifferente.
Occupati nel seguire la sorte di Davis,
i nostri amici non avevano fino allora badato troppo allo svolgersi della battaglia,
né osservato bene da quale parte accennasse a volgersi in modo decisivo la
vittoria.
Pareva ed essi che l'unico vantaggio
ottenuto dagli Irochesi fosse l'entrata di Davis e dei suoi nel campo, quindi
si preoccupavano soltanto di respingere il traditore e coloro che lo seguivano,
opponendo loro quei Mandani che, volti prima in fuga, s'erano andati
raccogliendo e riordinando dietro di essi, mentre i due orsi si mettevano
contro Davis.
Ma decisamente la fortuna sembrava
essersi ripromessa di far arrabbiare Testa di Pietra proteggendo nel modo più
visibile il suo detestato avversario.
Mentre infatti Davis stava per essere
sopraffatto dall'orso, contro cui ogni suo sforzo appariva ormai vano, un
irochese più valoroso degli altri si slanciò sopra la belva, puntando
saldamente la sua lancia, e le conficcò il lungo ferro nella gola.
L'animale, ferito a morte, chiuse le
fauci, addentando il legno dell'arma fino a stritolarlo, allargò le zampe e
barcollò senza lasciare udire altro che un gorgoglio penosissimo.
Davis approfittò del momento buono per
fare un salto indietro, gettando al suo salvatore un «grazie!» e un'occhiata
che fu più eloquente della parola.
Si era creduto bell'e spacciato ormai, e
chi l'avesse potuto osservare da vicino gli avrebbe scoperto sul volto,
contratto dal terrore e dalla disperazione, i colori della morte.
«Son salvo!...» urlò in un impeto di
gioia. «Son salvo!...»
«Non ancora, miserabile!...» gli rispose
con voce soffocata dal furore Testa di Pietra. «Alle carabine, Jor, Hulrik,
fuoco su quel maledetto!...»
Il canadese e l'assiano avevano già
portato le loro armi alla spalla e prendevano la mira. Spararono.
«All'inferno, mariolo!...» esclamò Testa
di Pietra con un gesto energico. «È venuta anche la tua ora, mastro Davis.»
Le due carabine avevano prodotto due
nuvolette di fumo che si erano per un attimo riunite in una sola. Ma un colpo
di vento la dissipò subito.
Stavolta il mastro della Tuonante restò
muto come una statua di bronzo.
Perché?
Invece di vedere Davis rotolarsi nella
neve tra gli spasimi dell'agonia, lo scorse ancora ritto e salvo, che faceva
udire il suo riso satanico.
Anche Jor e Hulrik erano rimasti
silenziosi e immobili per lo stupore e il disappunto di aver mancato il segno
proprio essi che erano tiratori infallibili.
«Salvo, ancora salvo!...» mormorò Testa
di Pietra, avvilito. «Quel dannato là deve avere stretto qualche patto col
diavolo!...»
«Eppure io ho veduto qualcuno cadere,»
disse Jor.
«Sarà stato l'orso.»
«No.»
«Allora... To', è vero, i vostri
proiettili hanno colto l'irochese che aveva salvato Davis dalle fauci
dell'ultimo compagno di Nicò. Il disgraziato indiano ci ha rimesso la pelle.»
«È stata la gratitudine di Davis,»
soggiunse Piccolo Flocco. «Io osservavo il traditore: vedendo le vostre
carabine puntarsi su di lui, si è abilmente spostato verso l'irochese,
facendosene scudo.»
«E dimenticando che gli doveva la vita.»
«Furfante!...» disse il canadese.
«Ci ritroveremo, canaglia,» urlò Testa
di Pietra.
«Più presto di quanto desideriate,
mastro,» rispose Davis. «Voi siete in mio potere, finalmente.»
«T'inganni, traditore.»
«Osservatevi attorno, Testa di Pietra...
i vostri amici mandani sono in rotta.»
«Tu menti.»
«Ah, ah... non avete occhi, dunque?»
Testa di Pietra e i suoi tre amici
volsero lo sguardo in giro e videro infatti i Mandani cedere terreno e, in alcuni
punti, fuggire addirittura disordinatamente.
«Corpo d'un campanile diroccato!...»
esclamò il vecchio lupo di mare. «Questa notte non ne va bene una.»
«La tua carica di sackem è in pericolo,»
soggiunse beffardamente Piccolo Flocco, che si sarebbe burlato anche di madama
morte se costei gli si fosse presentata sotto forme visibili.
«Bah, le ho già dato un bell'addio,
mariolo,» ribattè il bretone.
«Pensiamo piuttosto a difenderci,» disse
Jor che aveva corrugata la fronte.
«Ho paura che sia troppo tardi,» rispose
Testa di Pietra.
«Allora diamocela a gambe...»
«A gambe?»
«E subito, amici, perché credo che non
vorrete lasciarvi ammazzare qui dagl'Irochesi.»
«Fuggire... dare ai Mandani, di cui sono
sempre il sackem, e ai loro nemici, lo spettacolo della mia fuga? In verità,
no; questi selvaggi mal dipinti si farebbero un troppo brutto concetto della
marina in generale e di quella bretone in particolare. Sapete cosa faccio?
Carico di tabacco la mia storica pipa, l'accendo e aspetto gli avvenimenti
fumando tranquillamente.»
«Ma voi siete pazzo!»
«Quando gl'Irochesi mi avranno aperto il
cranio con un colpo di tomahawh, chiedete loro il permesso di visitare il mio
cervello. Vi assicuro che lo troverete sano come... un pesce.»
«In ritirata, mastro.»
«Non voglio far ridere alle mie spalle
quel briccone di Davis.»
«In nome del cielo...»
«È inutile: battetevela voi, amici: io
resto. Sono il sackem dei Mandani e devo dare un buon esempio ai miei sudditi,
giacché ho accettato la prima dignità della tribù.»
«Io non ti abbandonerò, Testa di
Pietra,» gridò con entusiasmo Piccolo Flocco. «Se sarà destino, morremo
insieme. come insieme siamo vissuti.»
«E io folere difentare gappiere di
mastro Testa di Pietra.» soggiunse Hulrik, «disposto anche andare in altro
mondo, lontano, lontano... magari nei mari dell'inferno.»
«Mi salverò dunque io solo?» disse il
canadese. «Non son così attaccato alla vita per serbarmela al prezzo di una
viltà. Rimango anch'io.»
Frattanto Davis si era avanzato con i
suoi indiani indicando i quattro uomini bianchi e gridando:
«Prendeteli vivi... È necessario.»
La sconfitta dei Mandani pareva
completa.
Macchia di Sangue doveva essere morto o
gravemente ferito, poiché nel posto dove egli aveva impegnato il combattimento
non si vedeva più che un mucchio di corpi umani insanguinati.
Anche le perdite da parte degli Irochesi
erano senza dubbio sensibili, ma essi trionfavano e avevano ormai invaso il
campo urlando di gioia selvaggia e inseguendo ferocemente i fuggiaschi.
La partita sembrava dunque perduta per i
nostri amici, quando simile ad un'eco misterioso, s'udì una voce forte
proferire queste parole:
«Hulrik, fratello mio... a me, a me!...
Veniamo!...»
Testa di Pietra e gli altri tre udirono
e trasalirono, dimenticando per un attimo i nemici, che stavano loro addosso.
per tendere gli orecchi, in un'ansia acuta.
«Wolf!...» esclamò l'assiano con un
accento di gioia vivissima.
«Se è solo, ci sarà di poco aiuto,»
disse l'incorreggibile gabbiere.
«Ha gridato anche: <Veniamo!>»
osservò Jor.
«Io non so di grammatica,» borbottò il
mastro della Tuonante «ma credo che sia un verbo plurale, quello.»
Come una specie di conferma alle
osservazioni del vecchio cannoniere, echeggiò d'improvviso una scarica di
fucileria.
Grida formidabili scoppiarono tra le
file degli Irochesi. Evidentemente la scarica era stata diretta contro di essi.
In quel momento gl'indiani di Davis
piombarono sopra i quattro uomini bianchi per afferrarli e ridurli
all'impotenza.
Con un magnifico volteggiare delle
carabine adoperate come mazze i nostri amici respinsero gli audaci.
Alcune teste furono spezzate, delle
mascelle fracassate, dei nasi rotti.
«Ah, ah,» rise il vecchio mastro,
«questi brutti musi credono d'aver a che fare con dei poveri terrazzani. Faremo
veder noi in che modo sa comportarsi la marina anche in terra, corpo di tutti i
campanili della...»
Ammutolì di colpo, quasi gli fosse
cascata la lingua.
In
quell'istante una voce che lo aveva straordinariamente sconvolto, aveva
gridato:
«Ohé, Testa di Pietra, mio bravo
mastro... tira fuori i tuoi campanili!...»
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