8 - IL DISASTRO
L'uragano avanzava a rapidi passi per dare l'ultimo colpo ai
disgraziati naufraghi, i quali null'altro avevano da opporre all'assalto brutale
delle onde, che poche tavole malamente e frettolosamente messe insieme. A
ponente, in direzione della Nuova Caledonia, il tuono continuava a brontolare
con un crescendo inquietante e lampeggiava quasi senza tregua. Era di là che
veniva la tempesta, dalla regione di quei terribili tifoni che avevano già
perduta l'Andalusia. La zattera si era rimessa in marcia, filando verso
nord-ovest, ora lentamente ora velocissima. Reton aveva
orientato alla meglio la vela, aiutato da Emanuele e da don Pedro, poi
aveva ripreso il suo posto al timone. Era però così debole a causa dei lunghi
digiuni, che dubitava di poter maneggiare a lungo quel remo. Mina si era
rifugiata sotto la tenda, don Josè non aveva lasciato il suo posto: sembrava
che non potesse più rendersi esattamente conto della gravità della situazione o
che non volesse più nulla tentare per la salvezza comune. Probabilmente
aspettava la morte, giudicando ormai assolutamente inutile ogni lotta. Verso le
dieci la prima raffica piombò addosso alla zattera, scotendola bruscamente e
facendo piegare l'albero.
- Ecco il ballo, - disse Reton. - Sarà l'ultimo?
- Credete che tutto sia finito, bosmano? - chiese don Pedro,
che era caduto in ginocchio.
Il vecchio lupo di mare scosse il capo senza rispondere.
- Ditemelo, Reton, - insistette il giovane. - Non è per me che
ve lo domando, ma per Mina.
- Siamo nelle mani di Dio, ecco tutto quello che posso
rispondere, don Pedro, - rispose il bosmano. - Non mi è possibile sapere a
quale triste sorte siamo destinati.
Una seconda raffica, più violenta della prima, passò sopra la
zattera, perdendosi poi all'orizzonte. Un momento dopo una grossa ondata
investiva il galleggiante, sollevandolo quasi verticalmente e inondandolo. La
tenda che serviva di rifugio a Mina fu portata via di colpo e fu un vero
miracolo se la fanciulla non seguì la stessa sorte. A quel terribile balzo,
agli scricchiolii del legname e all'urto fragoroso dei barili e delle botti che
si urtavano l'un l'altro, il capitano aveva alzata la testa.
- L'uragano! - esclamò. - Sarà la fine dei nostri patimenti.
Tuttavia il suo primo pensiero fu quello di assicurare
all'albero il barile contenente la provvista d'acqua e di coprirlo con una tela
incatramata. Guai se quella preziosa riserva se ne fosse andata! Ne rimaneva
pochissima e corrotta dal caldo, pure per alcuni giorni ancora poteva bastare.
Stava per trascinarsi verso la poppa dove si era rifugiata anche Mina, essendo
quella parte difesa da una specie di murata, quando verso prora si udì alzarsi una
voce che chiedeva angosciosamente da bere, seguita poco dopo da altre che
domandavano acqua e da lunghi gemiti.
- Oh, i disgraziati! - esclamò il capitano, fermandosi. -
Muoiono!… A me, Reton! Dell'acqua, dell'acqua!
Il bosmano si era fatto avanti traballando, poiché anche il
povero vecchio non aveva più forze.
- Chi è che muore? - chiese.
- I nostri uomini: avevo detto loro che quei pesci erano
velenosi. Disgraziati! Disgraziati! E ci mancheranno proprio ora che avremmo
avuto bisogno delle loro braccia per far fronte all'uragano!
- Che cosa vorreste fare per loro! Lasciate che il mare se li
porti via, la morte l'hanno cercato loro.
- Porta dell'acqua.
- La consumeremo senza nessuna utilità.
Fra lo scrosciare delle onde, che si infrangevano contro i
bordi della zattera, le grida di «Acqua! Acqua!» si facevano sempre più
strazianti. Quando il capitano arrivò a prora, vide i marinai che si
contorcevano spaventosamente, ululando come belve feroci.
- Brucio! Brucio! - gridavano alcuni.
- Aiuto! Soccorso! - urlavano altri.
Di quando in quando qualcuno di quei miserabili con uno sforzo
supremo si alzava, ma poi ripiombava sulle tavole della zattera, agitando le
braccia e le gambe.
- Che cosa volete fare di questi moribondi? - chiese il
bosmano. - Non resta che trascinarli verso il centro della zattera, purché i
cavalloni non li spazzino via.
- Ne avremo la forza?
- Chiamiamo anche don Pedro.
Aiutati dal giovane, che era accorso prontamente alla loro
chiamata, afferrarono il primo che capitò loro sottomano, trascinandolo presso
l'albero. Il disgraziato urlava come se lo scorticassero vivo e sembrava che
non sentisse più la voce del comandante, né quella del bosmano. Cinque o sei
moribondi furono così trasportati, essendosi ai salvatori unito anche Emanuel,
il quale, a quanto sembrava, era il solo dei ribelli che si fosse ben guardato
dal cibarsi di quei pesci. Stavano per trascinare un altro, quando una terza
raffica investì la zattera facendola girare su se stessa e strappando parecchi
barili di sostegno, poi sopraggiunse la grande ondata, che spazzò
impetuosamente la coperta. Il capitano e i suoi compagni avevano appena avuto
il tempo di gettarsi bocconi e di aggrapparsi alle funi, mentre Mina
abbracciava strettamente l'albero. Quando il cavallone fu passato e il galleggiante
riprese il suo appoggio, sulla prora non rimaneva più nessuno. Quattro ribelli
erano già stati portati via.
- Sono tutti scomparsi! - disse Reton.
- Oh! povera gente! - esclamò Mina, con un singhiozzo.
- Erano come morti, - disse il capitano, con un sospiro. - Non
potevano scampare al veleno.
- E questi che rantolano ai nostri piedi?
- Sono egualmente perduti. Non pensiamo a loro, ma a noi. La
morte sarebbe per loro una liberazione. L'hanno voluta: io li avevo avvertiti…
Reton, cercami una fune e leghiamoci tutti intorno all'albero. L'uragano avanza
e non so se potremo resistere. Giù la vela!
Mentre il bosmano avanzava attraverso le tavole per cercare la
fune, don Pedro con due colpi di coltello tagliò le scotte della vela. Un'altra
raffica poco dopo se la portò via.
- Leghiamo quanti barili possiamo trovare, continuò il
capitano che aveva ritrovata la sua abituale energia. - Aiutatemi, don Pedro, e
anche tu, Emanuel, se ti preme la vita. Non sono sicuro che la zattera possa
resistere. Affrettiamoci prima che l'onda arrivi.
Avevano appena radunati e legati i galleggianti sui quali
contavano per salvarsi, nel caso che la zattera venisse sfasciata dalle onde,
quando nuovi cavalloni si rovesciarono su di loro. Per alcuni istanti credettero
di trovarsi sott'acqua, tanta era la furia delle ondate, poi seguì una nuova
calma. Si guardarono: erano soli in mezzo alla tempesta. Buona parte della
zattera, verso prora, si era sfasciata e anche gli ultimi ribelli erano stati
trascinati via dall'irrompere furioso delle acque.
- Un altro colpo di mare come questo e la nostra zattera se ne
andrà! - esclamò il capitano. - Ha resistito anche troppo! Se le tavole si
scioglieranno, cercate di aggrapparvi ai barili, amici. Ci sono molte funi
intorno.
- E soprattutto badate di non perdere le armi, - osservò il
bosmano. - Quelle valgono più dei viveri e dei barili, in questa maledetta
regione.
- Comincio ad avere paura, capitano, - disse Mina, che si
teneva disperatamente aggrappata all'albero.
- Penserò io a voi, señorita, - rispose don Josè.
Sopravvenne ancora un po' di calma e il bosmano ne approfittò
per spingersi verso la prora ad assicurare la tavole che si trovavano tuttora
legate alle funi. Emanuel lo aveva seguito per aiutarlo nella difficile
impresa. Avevano appena raggiunto l'orlo e si accingevano a radunare il
legname, quando un lampo accecante illuminò l'orizzonte in direzione di
ponente. Nello stesso momento il capitano e don Pedro udirono i due marinai
urlare:
- Terra! Terra!
Don Josè si era staccato dall'albero accorrendo a prora.
- Dove, terra? - chiese con voce commossa.
- Verso ponente, - rispose il bosmano.
- Sei ben sicuro di averla veduta?
- Come vedo voi, capitano.
- Sì, Sì, era una montagna, confermò Emanuel.
- Anzi, erano due, - aggiunse il bosmano. - Sono comparse in
mezzo a quel gran lampo.
- A quale distanza? Potresti dirmelo?
- Dalle otto alle dieci miglia, capitano, - rispose Reton.
- Allora dobbiamo essere vicinissimi alla costa. Le montagne
della terra dei Kanaki non si elevano che all'interno.
- E il vento gira a levante, signore. Ci scaraventerà sulle
scogliere.
- Preferisco un naufragio sulla costa piuttosto che un tuffo
al largo. Scappate! L'oceano torna ad agitarsi.
Con pochi colpi di coltello tagliarono le funi che
trattenevano le travi, poi ripiegarono verso l'albero il quale, essendo ben
assicurato con numerosi paterazzi, prometteva di resistere lungamente alla
furia del vento. Le raffiche ricominciavano e non più da ponente, ma da
levante. Giungevano le une dietro alle altre, con intervalli brevissimi,
sibilando furiosamente, spingendo davanti alla zattera vere montagne d'acqua. I
naufraghi, stretti alle corde gettate intorno all'albero, guardavano con
terrore le onde che si accavallavano e che sembrava dovessero, da un momento
all'altro, inghiottirli. Don Josè si era messo davanti a Mina e con il suo
corpo da gigante le faceva da scudo. Il bosmano riparava don Pedro. I cavalloni
si succedevano ai cavalloni. Irrompevano con assalti mostruosi sul
galleggiante, subissandolo e portando via le casse e i barili. Anche la
provvista d'acqua, l'unica risorsa di quei disgraziati, se n'era andata.
- Coraggio, - ripeteva don Josè, quando l'ondata e la raffica
erano passate. - La costa sta davanti a noi e il vento ci spinge.
Le due montagne che il bosmano ed Emanuel avevano scorte poco
prima, di quando in quando apparivano fra la luce intensissima dei lampi. Erano
due coni altissimi: che potevano sorgere soltanto su una grande terra e non su
un semplice isolotto. Quella terra era senza dubbio la Nuova Caledonia, avendo
la zattera tenuta sempre la rotta verso ponente. Disgraziatamente la furia del
mare aumentava, minacciando di sfasciare completamente quell'ammasso di
legname. Le tavole sotto gli incessanti e brutali assalti, si disgiungevano, le
funi si allentavano e le travi che formavano l'ossatura si piegavano verso gli
angoli. Inutilmente il capitano, il bosmano ed Emanuel, nei brevi istanti di
tregua che concedeva loro l'uragano, avevano cercato di rinforzare i legami.
Appena abbandonano l'albero erano costretti a rifugiarvisi contro, per
resistere alla furia dei cavalloni. Questa lotta fra la vita e la morte durava
già da un paio d'ore, quando il capitano, che era il più alto di tutti, stese
un braccio verso ponente gridando:
- Terra… là… abbasso… la costa… la costa… Tenetevi saldi…
pochi minuti ancora… ci è…
Non poté finire. Una forte ondata si era rovesciata sulla
zattera con un fragore infernale, mentre la raffica passava sopra con mille
ruggiti. I cinque naufraghi furono inabissati e sbattuti violentemente l'uno
contro l'altro. Mina, quantunque il capitano la tenesse stretta contro
l'albero, per poco non fu strappata dalla fune, essendosi per un momento
abbandonata. Quella furia d'acqua durò circa un minuto, soffocando e accecando
i naufraghi, poi l'enorme cavallone riprese la sua corsa verso la costa con un
rombo assordante. Appena poterono emergere da quella tromba d'acqua, il
capitano e Reton si guardarono intorno con ansietà. Durante il rumoreggiare
delle acque avevano udito degli schianti e avevano sentito allargarsi sotto i
piedi le tavole del ponte. Mezza zattera s'era sfasciata. Non rimanevano che
poche tavole intorno all'albero e lo scheletro che era stato formato con i
pennoni di trinchetto e di parrocchetto.
- Un altro urto come questo e non rimarrà più nulla del nostro
galleggiante, - disse don Josè.
- Fortunatamente la costa non è lontana che trecento metri, -
rispose Reton.
- Ci saranno dei frangenti, bosmano, - osservò Emanuel. -
L'ondata ci ridurrà in una vera marmellata.
- Sì, dei frangenti, - disse il capitano, che aveva
approfittato della luce di un lampo. - La costa è più lontana. Maledette isole
che sono tutte cinte di scogliere!
- Potremo ugualmente approdare? - chiese don Pedro.
- Verremo scaraventati sui frangenti.
- E ammazzati sul colpo?
- Non correte tanto. Se la zattera resiste ancora un po', ci
riparerà dall'urto. Monta l'onda, Reton?
- Avanza, capitano.
- Checché debba accadere non abbandonate l'albero. Chi lascia
la fune è perduto. Tenetevi stretta, señorita… Ci siamo… Saldi tutti… stringete
forte!…
Un cavallone enorme si abbatté sulla zattera, la sollevò come
una piuma, poi la scaraventò avanti a sé con un impeto incredibile. Si udì uno
schianto che si confuse subito fra gli ululati e i muggiti delle acque, poi
l'onda dopo aver varcato la linea dei frangenti, si ritrasse con un cupo rombo
paragonabile allo scoppio simultaneo di cento pezzi di cannone. Su una
scogliera pendevano i resti della zattera: tavole, travi, barili
semifracassati, cordami. Nondimeno un albero si ergeva ancora e intorno a
quello si stringeva un gruppo di esseri umani. Una voce fioca, fra il rombo dei
tuoni, si fece finalmente udire:
- Ci siamo tutti?
- Sì, - rispose un'altra.
- Nessun ferito?
- Nessuno.
- Ringraziate Dio! Le nostre pene sono finite.
Successe un breve silenzio, che fu rotto nuovamente da un
fragore assordante di tuoni, poi la voce riprese:
- Siamo abbastanza alti e l'onda difficilmente ci raggiungerà.
Lasciate la fune e l'albero.
Il gruppo umano si sciolse, lasciò i rottami e s'inerpicò fino
alla cima di una roccia che emergeva dal mare un centinaio di metri. Nessuno
mancava dei cinque naufraghi dell'Andalusia o meglio degli ultimi superstiti
del disgraziato veliero.
- Señorita - disse don Josè, quando tutti ebbero raggiunto la
cima. - La terribile prova è passata. Ormai non abbiamo più nulla da temere,
poiché la costa della terra dei kanaki non è che cinquecento metri da noi. Come
vedete, don Pedro, il tesoro della Montagna Azzurra non ha portato sfortuna a
tutti. Se i miei disgraziati marinai mi avessero obbedito sarebbero tutti qui.
Pace alle loro anime!
- La morte l'hanno voluta, - osservò Reton. - Il diavolo se li
prenda!
- Non correremo il pericolo di venir trascinati via da qualche
altra ondata? - chiese don Pedro.
- È impossibile che un'onda arrivi fin quassù.
- Vorrei dormire: non ho più forze.
- E nemmeno io mi reggo più, - disse Mina, che si appoggiava
al fratello.
- Riposatevi pure, miei cari amici, - rispose il capitano, con
voce commossa. - Avete resistito anche troppo a tanti patimenti. Anch'io che
sono abituato a tutto, mi sento tanto stanco. Fatiche, terribili commozioni e
digiuni: potete vantarvi di possedere una fibra meravigliosa… Reton, non ti
chiedo che due minuti, prima di riposarti.
- Che cosa c'è da fare, capitano? - chiese il lupo di mare.
- Và, insieme a Emanuel, a raccogliere le armi e le munizioni
che si trovano al di là di quella punta rocciosa. Sono troppo preziose sulla
terra dei Kanaki per perderle.
- Diavolo! Si tratta di difendere le nostre costolette e le
nostre magre bistecche, - disse il bosmano sorridendo. - La mia carne sarà
coriacea più di quella di un mulo, tuttavia non ci tengo che vada a finire su
qualche graticola.
Chiamò Emanuel, che stava per addormentarsi, e scesero
entrambi la scogliera, arrivando felicemente presso i rottami della zattera.
Malgrado l'urto formidabile, la parte centrale del galleggiante aveva ancora
resistito ed era rimasta come appiccicata a una punta rocciosa. Trattenuti
ancora dalle funi, pendevano travi, barili e avanzi di tele. Reton ed Emanuel
non ebbero da cercare a lungo. La cassa contenente le armi e le munizioni, che
era stata assicurata all'albero, era stata scaraventata al di là della punta
rocciosa, sfasciandosi dentro una specie d'incavo. Conteneva ancora sei
carabine, un paio d'asce, tre navaje e una quantità considerevole di polvere e
di piombo minuto e grosso. Portarono il prezioso carico presso il rifugio
scelto dal capitano, poi si lasciarono cadere a terra l'uno accanto all'altro,
senza avere la forza di scambiarsi una parola, tanta era la loro debolezza. Don
Pedro e Mina dormivano già, sotto una punta rocciosa che formava un piccolo
riparo. La burrasca intanto infuriava ancora. I colpi di vento si succedevano
quasi senza tregua, con un orribile accompagnamento di sibili e di ruggiti e le
onde si scagliavano con crescente furore, contro le scogliere. Quando il
capitano si svegliò, l'alba non era ancora sorta, però la burrasca stava per
placarsi. Sua prima cura, dopo essersi assicurato che nessuno dei suoi compagni
mancava, fu di guardare verso la costa. Non si era ingannato a giudicarne la
distanza la terra dei Kanaki si elevava a circa mezzo chilometro dalla
scogliera, tutta verdeggiante di rhizophore. Più lontano si ergevano le due
montagne scorte dal mastro e da Emanuel.
- Siamo lontani o vicini alla baia di Bualabea? - si chiese il
capitano, che era diventato pensieroso.
- Sia maledetto quel miserabile che mi ha guastato il sestante
e il cronometro!
Uno sbadiglio gli fece voltare il capo. Il bosmano si era pure
svegliato e respirava a pieni polmoni l'aria fresca e satura di sale del
mattino.
- Tu invecchi, Reton, - gli disse il capitano. - Dormi troppo.
- È vero, don Josè. - rispose il lupo di mare. - Erano però
molte notti che raddoppiavo i miei quarti di guardia. È sempre davanti a noi la
costa?
- Non è scappata, Reton
- E i kanaki se ne vedono?
- Neppure la loro ombra per il momento. D'altronde preferisco
che si tengano lontani.
- Come potremo raggiungere quella costa?
- Non abbiamo forse gli avanzi della zattera?
- Non sono rimaste che poche tavole, capitano.
- Basteranno per sorreggere Mina. Noi siamo tutti nuotatori.
- Guardatevi dagli squali. Mi hanno detto che abbondano lungo
le spiagge delle isole polinesiane.
- Sapremo difenderci dai loro attacchi, vecchio Reton. Hai
ancora un po' di forza nelle tue gambe?
- Qualcosa è rimasto.
- Scendi la scogliera e và va' a
fare raccolta di molluschi. Non ne devono mancare.
- Preferirei una bistecca.
- Più tardi avremo anche quella.
Il lupo di mare, quantunque si sentisse estremamente debole,
si lasciò scivolare lungo la scogliera, aggrappandosi alle merlature delle
madrepore e raggiunse il greto, che le onde coprivano di spuma. Le conchiglie
non mancavano lungo la stretta spiaggia. La tempesta sollevando il fondo, ne
aveva spinte un gran numero verso la scogliera. Reton, che conosceva quei
paraggi, cercava però qualcosa di più sostanzioso e non si pentì delle sue
ricerche, poiché, dopo aver percorso una trentina di metri, riuscì a scoprire,
dentro due punte rocciose, una di quelle meravigliose tridacne pallido azzurre,
del diametro d'un buon metro, sufficiente a saziare la fame anche di dieci
persone. Sollevò a stento l'enorme massa, se la caricò sulle spalle e
traballando sotto il peso risalì la scogliera dove il capitano stava discutendo
con don Pedro, Emanuel e Mina, i quali si erano svegliati.
- Ecco la colazione! - esclamò, gettando a terra il gigantesco
mollusco. - Se possiamo avere un po' di fuoco faremo un pasto deliziosissimo.
- Vedo delle alghe secche, - disse Emanuel. - Possono bastare.
- Và, a raccoglierle, mozo cocido.
Il ragazzo andò a prendere alcune bracciate di alghe, e le
accese, gettando sulle fiamme crepitanti la tridacne. Un profumo squisito si
sparse subito nell'aria, mentre i due gusci s'aprivano con un lungo stridio,
mostrando una massa biancastra che si sollevava sotto il calore della fiamma.
- Felici isolani, che per vivere non hanno altro da fare che
curvarsi per raccogliere! - esclamò don Pedro che aspirava avidamente il
profumo appetitoso.
- Eppure non si contentano di ciò che fornisce la natura, che
è stata così prodiga con loro, - disse il capitano. - Hanno pesci in quantità,
alberi del pane che crescono quasi senza coltura, ignami colossali che sono
preferibili alle più squisite patate, eppure si divorano fra di loro con
ferocia inaudita.
- E perché si divorano? - chiese Mina. - Per vendicarsi dei
loro nemici, forse?
- No, señorita, - rispose don Josè. - Mangiano i loro simili
perché trovano la loro carne gustosa quanto quella dei maialetti selvatici.
- La colazione è pronta! - gridò in quel momento Emanuel, che
stava togliendo dal fuoco la splendida conchiglia.
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