16 - IL RITORNO DI RAMIREZ
Mentre i naufraghi si sentivano invadere da una cupa
disperazione, ritenendosi ormai perduti, un gruppo di uomini che indossavano
dei costumi marinareschi, usciva dalle boscaglie che circondavano il principale
villaggio della tribù dei Keti, avviandosi rapidamente verso le prime capanne
dove si erano radunati, sentendo quella scarica, alcune dozzine di guerrieri.
Guidava quei dieci o dodici marinai un uomo di statura bassa, robusto e
muscoloso, con la pelle abbronzata e il viso incorniciato da una folta barba
nera, che cominciava però a mostrare qualche filo bianco. Era un vero tipo
d'avventuriero dai lineamenti energici, gli occhi nerissimi e pieni di fuoco e
le mosse feline, quantunque dovesse aver varcato la quarantina.
- Alt! - comandò con voce decisa, caricando una bellissima
carabina a due colpi e puntando le canne verso i selvaggi, che, dopo una breve
discussione si erano decisi a muovergli incontro senza manifestare intenzioni
ostili. - Vediamo che cosa hanno fatto questi sudici mangiatori di carne umana.
Teneteli d'occhio e non lasciate i fucili. Non c'è da fidarsi di queste
canaglie.
Il drappello si era fermato mettendosi, su una doppia fila,
dietro il capo.
- Orsù, scimmioni, - riprese l'uomo barbuto, guardando
severamente gli antropofaghi che si erano pure fermati a breve distanza. -
Parli Nargo soltanto.
Un vecchio guerriero, che aveva un numero straordinario di
cicatrici mescolate ad artistici tatuaggi era avanzato con una certa titubanza.
- È proprio vero? - aveva chiesto l'uomo bianco.
- Sì, gran capo. I tuoi nemici sono rinchiusi nella caverna
del lagoon.
- Ne sei ben sicuro, Nargo? Mi pare impossibile che siano
stati così stupidi. Eppure quel don José Ulloa godeva fama di essere un gran
marinaio. Che cosa può averli indotti a venire qui?
- Noi non abbiamo ancora mangiato il vecchio uomo bianco che
ci avevi regalato.
- Ah, furfante di bosmano! - esclamò un giovane marinaio della
scorta. - Ha sempre fortuna quell'uomo.
- Chiudi il becco, Emanuel, - disse il capo con voce
imperiosa. Io non voglio che i miei uomini parlino senza mio ordine.
- Sì, capitano Ramirez.
- Ora ho capito tutto, soggiunse il capo, che non era altri
che il comandante dell'Esmeralda. - Sono venuti a portarti via il vecchio, mio
povero Nargo. Il messo che mi hai mandato, mi ha detto che nella caverna
c'erano tre uomini bianchi e anche dei guerrieri nuku. Perché non vi siete presa
la rivincita mangiandoli tutti? Ah questi selvaggi finiranno per diventare dei
cretini?
- Questi uomini hanno le armi che tuonano, capo bianco, -
rispose l'antropofago.
La fronte di Ramirez si aggrottò.
- Questo mi secca, - disse poi. - Io credevo che avessero
perso le loro armi fra le rhizophore. Quella gente comincia a darmi un po'
troppo pensiero. Che non si rassegnino a lasciarmi raccogliere tranquillamente
quel dannato tesoro? Eppure finirà nelle mie mani qualsiasi cosa tentino o
facciano.
Il pirata stette un momento silenzioso, come se qualche
pensiero molesto lo avesse assalito, e poi, dopo essersi cacciato rabbiosamente
in bocca un pezzo di sigaro, chiese a Nargo:
- E sono ancora là dentro?
- Sì, capo bianco.
- E non avete tentato nulla per prenderli?
- Tu sai, capo bianco, che abbiamo troppa paura delle canne
che tuonano.
- Siete degli imbecilli. In quattrocento aver paura di una
dozzina di uomini perché fra loro ci sono degli uomini bianchi! Voi non sapete
far altro che arrostire membra umane e mangiarle. Sono almeno ben chiusi?
- Abbiamo barricate le due uscite, - rispose l'antropofago.
- È già qualcosa, - disse Ramirez parlando fra sé. - Che
diventi anch'io uno stupido? E la fanciulla! Quell'adorabile Señorita! Canta,
canta, Nargo, Bisogna che sappia tutto, prima di agire. Non c'è una giovane
donna insieme a quegli uomini bianchi? - Non l'ho vista.
- Emanuel!
- Capitano! - rispose il giovane marinaio.
- Dove possono aver lasciata la señorita Mina? Tu mi avevi
detto che si era salvata.
- Quando questi selvaggi hanno preso me e Reton, essa era
ancora con suo fratello e con il capitano José.
- Che i Nuku l'abbiano mangiata? Mi rincrescerebbe troppo! Una
così splendida creatura che ho sognata tante volte! Furie d'inferno! Voglio
sapere che cosa è successo di quella fanciulla. Non era fatta per i denti di
questi selvaggi! Per i miei sì, senza però divorarla... Nargo, tu devi sapere
qualcosa di quella giovane donna.
- Ne ho sentito parlare, - disse il vecchio antropofago - anzi
uno dei miei guerrieri mi aveva detto di averla vista non più tardi di ieri fra
i Krahoa.
- Sono mangiatori di carne umana anche loro? - chiese Ramirez
con una certa apprensione.
- Sì, capo, - rispose Nargo.
- Allora è in pericolo!
- Non credo che si trovi fra i Nuku come prigioniera.
Per la seconda volta Ramirez era rimasto silenzioso come se
cercasse la soluzione di qualche difficile quesito.
- Emanuel! - esclamò a un tratto. - Ecco quello che mi farà
prendere, senza sparare un colpo di fucile, due piccioni con una fava. E io che
mi rompevo la testa! Qualche volta sono un vero asino.
Il giovane marinaio, sentendo pronunciare il suo nome si era
fatto avanti dicendo:
- Eccomi, capitano.
- Tu che sei più astuto di una scimmia quantunque quasi appena
nato, devi rendermi un altro prezioso servizio, che io aggiungerò, non temere,
a tutti gli altri quando sarà arrivato il momento di ricompensarti.
- Io non domando di meglio che di lavorare capitano. Comincio
ad annoiarmi fra questi kanaki, ora che voi li avete resi docili come agnelli.
- Che diffidi di te la señorita Mina?
- Mi ha avuto sempre in buonissima considerazione.
- Una fortuna che non tocca a tutti i furfanti della tua
specie, - disse Ramirez con un sorriso ironico. - Ha mai avuto qualche sospetto
su di te?
- Mai.
- Allora non ne avrà neanche oggi, suppongo.
- Nessuno sarà andato a dirle che io ho fatto quello che
solamente io e voi sappiamo.
- Se ti mandassi a fare una passeggiata fra i Nuku?
- E se mi mangiano?
- Tu sei un imbecille, - rispose Ramirez. - Se è vero che la
señorita ti ha mostrata della simpatia non ti lascerà certo scannare da quei
selvaggi. Prima però di esporti a un tale pericolo, Nargo manderà degli
esploratori per accertarsi se possiamo contare sulla protezione di quella
fanciulla.
- E che cosa dovrò andarle a dire?
- Che suo fratello ha liberato Reton, che i Krahoa sono in
fuga e che è attesa qui: una cosa ben facile, come vedi. Io poi penserò a
prepararle un tranello. Quando saranno tutti nelle mie mani, vedremo se
oseranno ancora disputarmi il tesoro... E che? Avrò attraversato il Pacifico
senza raccogliere niente? Miei cari, non conoscete ancora quanto valga e di che
cosa sia capace un Ramirez... Sarà un affare veramente d'oro e mi prenderò per
soprammercato, una bella sposina.
Il capitano così parlando si era messo a passeggiare davanti
ai suoi uomini masticando di quando in quando rabbiosamente il pezzo di sigaro
e aggrottando la fronte; poi si fermò davanti a Nargo, che lo guardava con un certo
stupore.
- Sono là dunque, nella caverna, - disse.
- Sì, capo.
- Senza alcuna probabilità di scapparmi.
- Le uscite sono chiuse.
- Andiamo un po' a vederli e trattiamo il primo affare. Se
cadranno nel laccio come merlotti, tanto meglio. Portami dunque là, Nargo.
I due drappelli si fusero e preceduti dal capo bianco e dal
caledone s'avviarono verso la collina nelle cui viscere s'apriva la gigantesca
caverna. Una piccola colonna di guerrieri krahoa vigilava davanti all'apertura
principale che era stata in certo qual modo murata con enormi blocchi di roccia
e con tronchi d'albero, per impedire agli assediati di tentare una sortita.
Vedendo arrivare il capo bianco, tutti si erano curvati fino a terra, ciò che
dimostrava in quale grande considerazione era ormai tenuto quel brigante, dopo
le grandi dispense di barili di liquori e di regali.
- Di lì non usciranno mai più - disse, dopo aver dato uno
sguardo alla barricata. Poi volgendosi verso i suo uomini, aggiunse: - Metà di
voi montino la guardia e fate fuoco se qualcuno cerca di forzare il passo.
Si mise a salire la collinetta sempre preceduto da Nargo e si
fermò davanti a un crepaccio aperto nella roccia, presso cui si trovavano altri
selvaggi che stavano facendo raccolta di pietre per scagliarle nella caverna.
- Si vedono? - chiese a Nargo,che si era steso al suolo, per
non farsi scorgere dagli assediati.
- Ci sono tutti, - rispose il selvaggio - uomini bianchi e
Krahoa.
- Che cosa fanno?
- Saccheggiano le nostre provviste di popoi.
- Ah! triplice imbecille! - gridò Ramirez furioso. - Tu le hai
lasciate là dentro!
- Non abbiamo avuto il tempo di portarle via, capo. Ci hanno
assaliti di sorpresa uccidendo lo stregone.
- Un buffone di meno che cominciava a guardarmi di traverso
perché ho ucciso il vostro capo. Già la festa gliela avrei fatta fare io un
giorno o l'altro. E siete scappati davanti a un pugno d'uomini! Bei guerrieri
che siete! Fammi largo! Vedo bene che tremi per la paura di prenderti un colpo
di fucile.
Prese il selvaggio per le gambe e lo trasse violentemente
indietro appioppandogli un poderoso calcio, poi a sua volta si curvò sul foro
spingendo lo sguardo dentro la caverna.
- Caramba! - borbottò. - Non mi sembrano troppo inquieti
quegli uomini e pare che l'appetito non gli manchi. Fanno colazione tranquillamente
col popoi di questi stupidi antropofagi.
Infatti gli assediati, malgrado la loro triste situazione,
stavano seduti intorno a una di quelle buche colme di polpa d'alberi del pane e
almeno apparentemente, sembravano calmi e mangiavano con appetito. Ramirez
aveva allungata una mano verso la carabina che aveva deposta a breve distanza
dalla fessura, però lasciò ricadere subito l'arma che aveva già afferrata,
mormorando:
- Sarebbe un assassinio troppo vile e poi, non mi mancherà
l'occasione.
Fece con le mani portavoce e gridò:
- Ohè, signori, si fa colazione senza di me, dunque?
Don José e don Pedro, sentendo quelle parole, erano balzati in
piedi con i fucili in mano, guardando verso la volta.
- Ramirez! - esclamò il fratello di Mina. - Riconosco la sua
voce!
- È proprio la sua, per tutte le pipe rotte del mondo! - gridò
Reton menando le mani come per tempestare di colpi il capitano dell'Esmeralda.
Don José aveva alzata la carabina, ben deciso a fulminare il
miserabile, ma questi era stato pronto a ritirarsi per non farsi colpire. La
sua voce però, che si spandeva benissimo per l'ampia caverna, tornò a farsi
udire.
- È con il capitano dell'Andalusia che ho l'onore di parlare?
- domandò ironicamente.
- Sì, pezzo di brigante, - aveva risposto subito don José, che
non era meno furioso di Reton.
- Sono così poco cortesi gli uomini dell'Andalusia verso i
camerati del mare? Io mi vanto di essere più gentile!
- Vi burlate di noi dunque, miserabile?
- Eh! Eh! - gridò Ramirez. - Ha la lingua molto lunga il
capitano dell'Andalusia quando è lontano!
- Scendete o entrate e vedrete, don Ramirez, come don José de
Ulloa vi ripeterà sul viso che siete un avanzo di galera, - tuonò il capitano.
- Non mi incomodo per simili inezie, - rispose Ramirez,
ridendo sgangheratamente. - La mia pelle non cede che davanti alle palle e non
sente le carezze di una ingiuria.
- Buffone! - urlò don Pedro.
- Alto là, signorino. Io ero venuto quassù per parlarvi da
buon gentiluomo.
- Da corda! - vociò Reton.
- Taci tu, vecchia cornacchia, - rispose Ramirez. - Se questi
imbecilli ti avessero mangiato, la tua lingua si troverebbe a quest'ora nelle
budella del mio caro amico Nargo. È al signor Pedro de Belgrano che io voglio
parlare per ora.
- Quello che volete dirmi me lo riferirete quando mi avrete
restituito il tesoro della Montagna Azzurra, che forse avrete già preso,
sapendo che era mio, ladro!
- Caramba! Questi uomini sono peggiori dei cani rabbiosi! Che
non sia possibile intenderci come buoni e vecchi amici? Eppure se volete uscire
dalla vostra prigione dovrete ben trattare e pagare le condizioni della resa.
Non sono un cattivo diplomatico io! Domandatelo ai Krahoa: il loro capo mi
seccava e io l'ho mandato all'altro mondo a riposare!
- E osate dircelo! - gridò don Josè, che non finiva di cercare
la testa del bandito per spaccargliela con una palla.
- Che cosa conta un selvaggio più o meno nel mondo? - rispose
Ramirez. - Queste cose, d'altronde, non vi riguardano affatto.
- E quali condizioni volete imporci per lasciarci libera
l'uscita? - chiese don Pedro.
- Oh, una cosa piccolissima! Si dice che io sia ancora un
bell'uomo, sono ricchissimo perché fra poco sarò in possesso del favoloso
tesoro della Montagna Azzurra, proprietario e comandante di una nave, quindi un
buon partito, come si suol dire, degno di aspirare alla mano di chiunque bella
cilena.
- Continuate.
- Eh, diavolo! non penserete, signor Pedro de Belgrano, che
debba urlare come una bestia feroce per farmi capire da voi, trovandomi fuori e
non potendo, per prudenza, avvicinarmi troppo al buco. Lasciate che prenda un
po' di respiro, per tutti i diavoli dell'inferno! Credete che non mi sia
accorto che quell'eccellente capitano dell'Andalusia aspetta il momento per
farmi scoppiare la zucca?
- E se ti colgo, maledetto, ti garantisco che andrai a tener
compagnia al capo dei Krahoa, - rispose don Josè.
Don Ramirez non credette opportuno di dare peso alla minaccia,
poiché, dopo un momento di silenzio, riprese:
- Volete uscire? Ecco le mie condizioni: rinuncia al possesso
del tesoro che già voi da soli non potreste mai recuperare e la mano della
señorita Mina de Belgrano.
Tre urla di furore accolsero quelle parole.
- Mascalzone!
- Furfante!
- Pescecane schifoso!
Don Josè, don Pedro e perfino Reton erano scattati furibondi.
- Non accettate, don Pedro de Belgrano? - rispose il bandito,
imperturbabile.
- Mai, brigante! Preferisco uccidere mia sorella!
- È la vostra ultima parola, señor?
- Sì, - rispose il giovane.
- Ebbene, marcite dentro questa caverna! Io avrò egualmente
l'uno e l'altra.
Ciò detto il comandante della Esmeralda si alzò, pallido,
furioso e scese la collina mentre attraverso il foro salivano bestemmie e
insolenze.
- Me la pagherete! - brontolava, digrignando i denti. - Se
credete di tenermi testa, vi ingannate. Ho troppi fucili e troppi selvaggi a
mia disposizione e anche una nave e anche il segnale di riconoscimento dei
Krahoa. Stupidi! Avreste potuto salvarvi e riavere dalla mia generosità un po' di
quell'oro.
Scese al villaggio sempre brontolando e facendo gesti di
collera ed entrò in una vasta capanna sulla quale, insieme a un buon numero di
crani umani che formavano delle piccole piramidi, sventolava una vecchia
bandiera cilena. Doveva essere stata un tempo la dimora del povero capo della
tribù essendo la più bella e anche la meglio fabbricata, e il pirata se l'era
presa senza alcuno scrupolo dopo di averne cacciati i parenti del defunto.
Attraverso la porta e nei vicini recinti dove scorrazzavano maialetti
selvatici, si vedevano servi e donne affaccendate a preparare popoi e ad
arrostire pesci e colossali ignami. Ramirez, che era sempre di pessimo umore e
che amava mostrarsi prepotente, fece la sua entrata con un'abbondante
distribuzione di pugni e di calci, facendo scappare gli uomini e strillare le
donne; poi sedette davanti a una rozza tavola mentre Nargo, che lo aveva
seguito come un cane fedele, gli si metteva accanto in attesa di ordini. La
collera del bandito, a malapena frenata fino allora scoppiò tremenda.
- I tuoi guerrieri sono dei vili! - urlò a Nargo. - Invece di
scappare come maiali selvatici avrebbero dovuto scannare quegli uomini bianchi
e i loro alleati. Se io non avessi ancora bisogno di voi vi farei divorare
tutti dai Nuku.
- E perché non li fai uccidere dai tuoi guerrieri? - tentò di
rispondere il caledone. - Almeno ci regaleresti della carne.
- Perché tu sei un asino che non capisce nulla! A me non
conviene che muoiano. Se li avessero scannati i tuoi guerrieri sarebbe
tutt'altra cosa e non avrei perso tutto questo tempo. A quest'ora avrei
raggiunta la nave e sarei in vista dei Krahoa. Quanto potranno resistere quei
prigionieri?
- Finché avranno del popoi.
- È grossa la provvista?
- Basterà per molto tempo, se riescono a scoprire le buche,
ciò che non sarà difficile perché hanno con loro dei Kahoa, - rispose il nuku.
- Ecco un bell'affare! - grugnì Ramirez, scaricando due
formidabili pugni sulla tavola. - Il mare si era messo bene dalla mia parte poi
li ha risparmiati! Mondo cane! Che non debba aver fortuna in tutta questa
faccenda? E la señorita? Voglio sapere prima che cosa fa presso i Nuku.
Si rivolse verso il nuku che lo guardava con un certo
spavento.
- Hai delle spie abili? - gli chiese.
- Sì, gli esploratori non mancano mai nelle nostre tribù.
- Ne manderai subito alcuni nei villaggi dei Nuku affinché
s'informino se la fanciulla bianca si trova là come prigioniera.
- Sarai obbedito.
- Ora chiudi la capanna e lasciami riposare. Se succede
qualche cosa mi farai avvertire.
- Divorò in fretta un pesce arrostito, accompagnandolo con un
biscotto, vuotò a metà una bottiglia piena di aguardiente, quindi si gettò su
un letto di foglie secche non senza aver prima fatti fuggire a legnate i topi
che vi si nascondevano. Il suo sonno durò fino al pomeriggio, e forse si
sarebbe prolungato ancora, se Nargo non l'avesse interrotto per annunciargli il
ritorno dei corrieri partiti sette ore prima per i villaggi nemici. Per la
prima volta nella sua vita, il bandito si era svegliato senza bestemmiare.
- Ventre di foca! - esclamò, balzando in piedi. - Che gambe
hanno i tuoi guerrieri! Ora capisco perché sfuggono sempre ai nemici. Ti faccio
i miei complimenti.
- Sì, hanno fatto molto presto, - rispose il selvaggio che non
aveva capito il sarcasmo.
- Sfido io! Avevano paura di venire presi e mangiati. Ebbene,
che cosa hanno saputo?
- Che la donna bianca è stata adottata dai Nuku.
- Perché? - chiese Ramirez con stupore.
- Non lo so.
Il bandito stette qualche momento silenzioso, tracannò due
lunghe sorsate d'aguardiente, poi disse, tirandosi nervosamente la lunga barba
nera:
- Il talismano dei Krahoa: soltanto quello può averla
sottratta alla morte. Che misteriosa potenza ha quel pezzo di corteccia.
Fortunatamente l'ho anch'io... Ehi, selvaggio scimunito, va' a chiamarmi quel
giovane marinaio che hai catturato insieme a quell'altro.
Non erano passati due minuti che Emanuel entrava nella
capanna. Il giovane era un po' alticcio, poiché i villaggi dei Krahoa, dopo
l'arrivo di Ramirez, erano diventati tanti piccoli paesi della cuccagna, dove
selvaggi e marinai non facevano altro che mangiare e bere a crepapelle, poiché
arrivavano dalla nave continue carovane cariche d'ogni sorta di provviste.
L'ex-mozzo dell'Andalusia era però ancora in condizione di
poter comprendere il suo nuovo padrone.
- Puoi andare, senza alcun timore, a cercare la señorita gli
disse Ramirez. - Se è vero, come mi hai detto, di esserle stato sempre
simpatico, non ti lascerà certo divorare. Le dirai che suo fratello e il capitano
sono prigionieri dentro una caverna e che se non parte subito in loro aiuto
saranno presto presi e divorati.
- Io non so dove siano quei selvaggi, - osservò il mozzo.
- Anche tu corri il pericolo di diventare un cretino, dopo
avermi dato tante prove della tua furberia e della tua infernale malizia.
Nargo, che conosce benissimo la lingua dei Nuku, ti accompagnerà. In quanto a
me preparerò una bella imboscata alla graziosa señorita e alla sua scorta.
Nessuna tribù resisterà alle scariche di quattordici eccellenti carabine.
Emanuel si guardò bene dal fare altre osservazioni e lasciò
senz'altro la capanna, preceduto da Nargo, che già sapeva di doverlo scortare e
di servirgli da interprete.
- Ecco che gli affari cominciano a camminare un po' meglio, -
disse il capitano dell'Esmeralda, quando si trovò solo. - Vedremo se la
señorita resisterà davanti a un così splendido avvenire. Un trono e milioni a
sazietà! Nessuna donna del Cile rifiuterebbe una simile fortuna. E poi, se
vorrà salva la vita, dovrà piegarsi per forza!
A un tratto impallidì, poi un'ondata di sangue gli montò alla
testa.
- E se resistesse? - si chiese. - Sangue di Belzebù!...
L'antico negriero non ha un'anima dolce. Lo hanno saputo gli schiavi
recalcitranti che facevo scorticare prima di gettarli in bocca ai pescecani!...
Mi danno del brigante! Eh, non si sono ingannati, ma io me ne infischio e avrò
tutto quello che desidero!...
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