25 - LE ULTIME CARTUCCE DI
DON RAMIREZ
Il Diao, che ha le sue sorgenti fra la linea di montagne che
scendono lungo le coste occidentali, non è un grande corso d'acqua. Se è largo
presso la foce, ben presto si restringe e finisce per non essere più
navigabile. Le scialuppe di Don José potevano però contare su due giorni almeno
di navigazione, senza incontrare seri ostacoli, mentre molti, senza dubbio,
doveva averne incontrati Ramirez, costretto ad aprirsi il passo attraverso le
boscaglie. Oltrepassata felicemente la barra, formata da una lunga fila di
scogli e di banchi di sabbia, le cinque imbarcazioni cominciarono a risalire il
fiume, badando a tenersi nel mezzo, per evitare qualche spiacevole sorpresa. A
mezzogiorno, dopo sette ore di faticosa manovra, il capitano concesse a quei
bravi selvaggi due ore di riposo. Il calore torrido metteva a dura prova gli
americani.
- Corpo di trentamila pipe! - esclamò il bosmano che, prima di
riprendere la corsa era passato sulla baleniera dove si trovavano don José, don
Pedro e Mina. - Se si continua così arriveremo nel paese dei krahoa
perfettamente arrostiti.
- Ramirez non si troverà meglio di noi, - disse don José.
- Che ci preceda di molto?
- Deve avere almeno due giorni di vantaggio.
- Allora arriverà prima di noi e s'impadronirà del tesoro.
- Che non saprà dove mettere, ora che non ha più una nave che
lo riconduca in America, - osservò don Pedro.
- Se lo godrà qui il suo tesoro, - soggiunse il bosmano.
- Ma tu dimentichi, vecchio mio, che qui l'oro vale meno delle
magnagne e degli ignami. Questi isolani ignorano il suo valore e considerano le
pepite come dei ciottoli.
- Fortunato popolo!... Ah!... Carrai!
- Che cosa c'è ancora? - chiese don José.
- Ed Emanuel?
- Sarà partito con lui. Quel furfantello vorrà la sua parte
del tesoro. L'avete visto, señorita?
- È rimasto con me fino al momento della partenza della
carovana, - rispose la giovane,
- Sai, sorella, che abbiamo trovato, durante l'inseguimento,
dei suoi scritti tracciati su un pezzo di corteccia?
- Li lasciava per voi, - rispose Mina.
- Si è dunque pentito quel mariolo? - chiese don José.
- Si era incaricato di proteggermi e di farmi fuggire alla
prima occasione.
- Che brutta protezione, - disse Reton.
- Eppure non ho avuto da lagnarmi di lui.
- E perché ti ha abbandonato? - domandò don Pedro.
- Perché don Ramirez si era accorto di non potersi più fidare
di lui. Già, una notte, Emanuel aveva cercato di farmi scappare e, forse ci
sarebbe riuscito, senza la sorveglianza dei nuku.
- Il diavolo si è fatto eremita, - disse Reton. - Come mai
dopo aver tentato di perderci in tutti i modi possibili, ora tenta di
favorirci? Che si sia guastato con don Ramirez?
- Certo, - rispose Mina, - perché si trattavano molto freddamente
e ho sorpreso più volte Emanuel mormorare parole di minaccia contro il capitano
dell'Esmeralda.
- Che fior di mascalzone è quel ragazzaccio! Se vive,
diventerà il più famoso briccone dell'America del Sud. Prima però di lasciare
quest'isola farò i conti con lui: non sempre il tardo pentimento porta il
perdono.
- Non siate cattivo, Reton, - disse Mina. - È ancora un
ragazzo e può diventare un giorno un galantuomo.
- Uhm!... - fece il bosmano. - Vedremo, señorita.
Quella seconda corsa delle scialuppe, più faticosa di quella
del mattino, durò fino alle otto della sera poi la flottiglia si fermò sulle
rive di un isolotto, che sorgeva quasi in mezzo al fiume, non fidandosi il
capitano di accamparsi nella foresta, poiché don Ramirez poteva aver lasciato
dei nuku dietro di sé per sorvegliare le mosse degli inseguitori. Quella prima
notte passata sul Diao trascorse tranquilla, e tutti poterono riposare
comodamente. Prima che il sole fosse comparso, le imbarcazioni si rimisero in
viaggio, con la baleniera, che era montata dagli uomini bianchi, alla testa. I
kahoa, ben riposati e soprattutto ben pasciuti, poiché avevano intaccato
notevolmente le provviste, per rimettersi dai lunghi digiuni sofferti,
arrancavano con grande lena per vincere la corrente che scendeva piuttosto
rapida. Le due rive avevano cominciato già a restringersi e i grandi alberi,
che crescevano da una parte e dall'altra, quasi intrecciavano i loro rami al di
sopra delle acque, mantenendo una frescura deliziosa, apprezzata soprattutto da
Reton, che temeva i colpi di sole. Prima di mezzogiorno, il capitano, che
voleva conservare i suoi sudditi in forza, aspettandosi da un momento all'altro
qualche attacco da parte dei nuku o dei marinai di Ramirez, e un po'
rassicurato dal profondo silenzio che regnava sotto quelle immense foreste,
fece fare un'altra fermata presso la riva destra, non essendovi più isolotti in
vista. Sicuro di avere un notevolissimo vantaggio sulla colonna guidata da
Ramirez, aveva deciso di riprendere la marcia verso sera, anche per accordare a
Mina un lungo riposo, quando un avvenimento inaspettato lo costrinse a
ripartire precipitosamente. Avevano appena terminata la colazione, quando
Matemate, che aveva perlustrato i dintorni in compagnia del fratello, si
accostò al capitano, che stava fumando la pipa, in compagnia di Reton,
chiedendogli:
- Hai udito, capo bianco?
- Che cosa? - chiese don José, alzandosi prontamente.
- Ascolta bene.
Il capitano e Reton tesero gli orecchi, ma non sentirono altro
che i gorgoglii del fiume e il grido di un kagù, che si ripeteva a intervalli
regolari.
- Ho gli orecchi buoni, eppure non sento nulla che possa
allarmarti, - disse don José, dopo avere ascoltato per qualche minuto. - Non
avrai paura di quell'uccello, suppongo?
- Sarà poi veramente un kagù? - chiese Matemate, la cui fronte
si era aggrottata.
- Che cosa vuoi dire?
- Che questo grido non è naturale, quantunque sia molto bene
imitato.
- Tu sospetti che sia un segnale allora?
- Sì, capo bianco. C'è qualcuno che risponde sulla riva
opposta, - rispose il kanako.
- Cosa vuoi concludere?
- Che il cattivo uomo bianco ha lasciato dei nuku lungo le
rive del fiume, per sorvegliarci.
- Che cosa ci consigli allora di fare, Matemate?
- Partire senza ritardo.
- Sono ancora lontani i villaggi dei krahoa?
- Vi giungeremo domani sera, se i kahoa non cedono alla
fatica.
- Daremo loro doppia razione di viveri e dell'acquavite. Ne
abbiamo imbarcato un barile, è vero, Reton?
- Sì, capitano, - rispose il lupo di mare.
- Partiamo, prima che i nuku ci preparino qualche sorpresa.
I kahoa, che dovevano già essersi accorti che qualche pericolo
li minacciava, avendo anche loro udito quei segnali misteriosi, erano già
pronti a riprendere i remi, sentendosi più sicuri in mezzo al fiume che sotto le
ombre della foresta. Le imbarcazioni furono lanciate in acqua, ognuno riprese e
il suo posto e la spedizione prese il largo, sempre preceduta dalla scialuppa
alla quale spettava l'incarico di spazzar via i nemici.
- Tenete pronte le armi, - disse il capitano a Mina e a don
Pedro. - E tu, Reton, incaricati del cannoncino. Un tempo eri un buon
artigliere.
- E spero di esserlo ancora, comandante, - rispose il bosmano.
- Vedrete, se i nuku si presenteranno, come li farò saltare sotto i colpi di
mitraglia.
- E aprite bene gli occhi soprattutto. Ramirez può aver
lasciato qualcuno dei suoi uomini su questo fiume e una palla di fucile è
sempre più sicura e più pericolosa di una freccia.
Le grida del kagù non si erano più sentite. Altre dieci miglia
erano state percorse e l'intenso calore cominciava a diminuire, quando agli
orecchi degli uomini che montavano la baleniera arrivarono dei colpi sordi,
come se degli alberi precipitassero nel fiume. Don José aveva fatto fermare
subito l'imbarcazione, per lasciar tempo alla scialuppa di Matemate di
raggiungerlo.
- Questa volta sono io che ti domando se senti, - disse il
capitano al kanako. - Hai percorso spesso questo fiume?
- Molte volte, capo bianco.
- Da cosa provengono dunque questi colpi? C'è forse qualche
cascata più avanti?
- No, - rispose Matemate.
- Eppure questi tonfi...
- Sono alberi precipitati nel fiume, capo bianco.
- Per fabbricare dei canotti?
Il kanako indugiò alquanto prima di rispondere.
- Non è possibile, - disse poi. - Posso ingannarmi, eppure
sono convinto che i nuku ci preparano qualche sorpresa.
- Buttando degli alberi nel Diao?
- Se ostruissero il fiume?
- Caramba! - esclamò don José, colpito da quella risposta. -
Non avevo pensato a questo.
- Forse che non ci sono due rive qui? - disse Reton.
- E se quelle rive fossero occupate dai nuku? - rispose il
kanako. - Le piante sono folte laggiù e le imboscate sono sempre pericolose.
- Orsù, - disse il capitano, dopo un quarto d'ora di attesa. -
Non possiamo rimanere qui eternamente, ora che il tesoro è così vicino.
Qualsiasi cosa debba succedere andiamo avanti. Al tuo pezzo, Reton e mitraglia
a tuo piacimento. Noi ti aiuteremo meglio che potremo.
Le cinque scialuppe si scostarono, per mettersi l'una dietro
l'altra e ripresero a risalire il Diao, avanzando però prudentemente e
procurando di tenersi a uguale distanza dalle due rive. Tutti avevano impugnate
le armi, aspettando qualche attacco. Reton si era collocato dietro al piccolo
pezzo, che occupava tutta la prora della baleniera, mentre il capitano e don Pedro
disponevano i loro fucili lungo i bordi. Ne avevano quattordici, avendo
raccolto anche quelli dei marinai che i kahoa avevano massacrati sul ponte
dell'Esmeralda, numero sufficiente per dare una dura lezione ai nuku e ai loro
alleati. I tonfi intanto continuavano, diventando più distinti, man mano che le
scialuppe avanzavano. Quantunque le continue curve che il fiume descriveva
impedissero ai naviganti di accertarsi veramente di che cosa si trattasse,
ormai più nessuno dubitava che i loro nemici lavorassero per ostruire il corso
d'acqua. Superata finalmente un'altra curva, la baleniera si trovò davanti a
una immensa massa di tronchi d'albero, che occupavano il fiume da una sponda
all'altra.
- Matemate non si era ingannato, - disse il capitano.
- Corpo d'un pescecane! - esclamò Reton. - Don Ramirez consuma
le sue ultime cartucce per fermarci di nuovo. Io spero che non saremo così
sciocchi da cadere sotto quest'ultimo colpo o ritornare indietro.
- Matemate, - disse don José. - Quando abbiamo oltrepassato l'ultimo
isolotto?
- Tre ore fa.
- È troppo lontano.
- E poi, - aggiunse don Pedro, - rimarremmo bloccati un'altra
volta, perché quei demoni di selvaggi continueranno a rovesciare nel fiume
altri alberi.
Il giovane aveva ragione, poiché al di là di quella barricata
galleggiante, alberi enormi continuavano a piombare nel fiume con un fracasso
infernale.
- Approdiamo e tiriamo le scialuppe a terra, - disse il
capitano.- Non c'è altro da fare per ora. Cercheremo di snidare quei maledetti
boscaioli a colpi di fucile e di cannone.
La barricata galleggiante non era che a due o trecento metri
quindi non c'era tempo da perdere, Le cinque scialuppe virarono rapidamente di
bordo e si diressero verso la riva destra, dove s'apriva una cala che serviva di
foce a un piccolo corso d'acqua. Reton aveva già puntato il cannoncino carico a
mitraglia, nell'ipotesi che i boscaioli, ai quali non doveva essere sfuggita la
presenza delle scialuppe si preparassero a impedire lo sbarco. Fu una
precauzione inutile, poiché nessun antropofago si mostrò in mezzo alle piante
che coprivano la riva. Scesero a terra e si affrettarono a mettere a secco le
scialuppe, che non volevano assolutamente perdere. Matemate e Koturé, alla
testa di due dozzine di guerrieri, avevano fatto una rapida perlustrazione nei
dintorni, senza trovare alcuna traccia dei nemici. L'enorme barricata era già
giunta all'altezza della cala, occupando quasi tutta la larghezza del fiume.
Guai se le scialuppe si fossero trovate sulla sua rotta! Non avrebbero potuto
resistere a un simile urto.
- Aspettiamo che i boscaioli si stanchino, - disse il
capitano. - Intanto formiamo un piccolo campo trincerato. Anche i nuku sono di
carne e di ossa come noi, e non resisteranno a lungo a un così faticoso lavoro.
E tu, Reton, fa sbarcare il cannone che può essere più utile qui che sulla
scialuppa.
- Spazzerò tutta la foresta, - rispose il bosmano.
Fu però costretto a farsi aiutare da don Pedro, poiché i
kahoa, dopo che avevano sentito tuonare quel tubo di bronzo a bordo dell'Esmeralda,
avevano provato una impressione così profonda da non osare nemmeno di
guardarlo. Non si fecero però pregare per costruire un buon recinto, capace di
resistere a un improvviso assalto degli uomini di Ramirez. Lavoravano anzi con
tale rapidità che mezz'ora dopo l'accampamento era pronto. I nuku intanto non
cessavano di far cadere alberi. La prima barricata galleggiante era appena
passata, che già una seconda non meno gigantesca, scendeva il Diao.
- Finiranno per stancarsi o per rovinare lo loro scuri, -
ripeteva il capitano. - Ciò non può durare. Anche se fossero dei titani, non
potrebbero resistere più di una giornata.
Attesero un paio d'ore, aspettandosi sempre di momento in
momento, qualche furioso assalto, poi vedendo che i nuku non si decidevano a
mostrarsi e che gli alberi non cessavano di piombare nel fiume, decisero di
andarli a scovare. Un ritardo di ventiquattro ore poteva costare la perdita del
tesoro e i naufraghi dell'Andalusia avevano già perso anche troppo tempo. Fu
formata una colonna di esploratori, composta di cinquanta uomini, scelti fra i
migliori guerrieri della tribù, e fu lanciata attraverso le foreste, sotto la
direzione di Reton e di Matemate, con l'incarico di provocare i nuku e di
attirarli verso l'accampamento per mitragliarli. Il bosmano, che si vantava di
essere un grande condottiero, non esitò un momento a lanciarsi in cerca degli
alleati di Ramirez, giurando che avrebbe fatto un massacro. Il capitano e don
Pedro erano rimasti al campo per vegliare su Mina e sulle scialuppe che non
volevano perdere. Era appena trascorsa mezz'ora, da che gli esploratori erano
partiti, quando li videro ritornare correndo. Quel diavolo di Reton, malgrado i
suoi anni precedeva i guerrieri, correndo più di una lepre.
- Ci sono alle spalle, - disse, precipitandosi nel campo.
- I nuku? - chiesero don José e don Pedro.
- Sì, e in gran numero.
- E siete scappati? - disse don José.
- Non avevo con me il cannoncino. Se questi imbecilli
l'avessero trascinato con loro, a quest'ora non ci sarebbe più un solo nuku in
tutta la Nuova Caledonia, - rispose Reton, che ansava come una foca appena
uscita dall'acqua. - Quei furfanti sono dei guerrieri terribili, capitano.
- Il pezzo è a tua disposizione. Mi aspetto da te dei veri
prodigi.
Urla spaventose echeggiavano intanto sotto gli alberi,
accompagnate da qualche colpo di fuoco. I nuku correvano all'assalto del campo,
con impeto furioso, guidati probabilmente da qualche marinaio dell'Esmeralda. I
kahoa avevano impugnate le armi e aspettavano l'attacco dietro la cinta, decisi
a mostrare al capo bianco il loro valore.
- Eccoli! - gridò in quel momento Reton. - All'armi! Coraggio,
kahoa! Il capo bianco vi guarda!
Dalla boscaglia uscivano correndo torme di guerrieri,
spaventosamente dipinti di rosso, di nero e di bianco, armati di lance, di
scuri e di archi. Tre o quattro uomini bianchi li guidavano incoraggiandoli con
urla acutissime e sparando a casaccio dei colpi di fucile, con la speranza di
spaventare i kahoa. Il vecchio lupo di mare, che desiderava prendersi una
rivincita, diede subito fuoco al pezzo di artiglieria, mentre don Pedro e la
coraggiosa Mina scaricavano le loro carabine, noncuranti delle frecce che già
cominciavano a cadere in buon numero dentro il campo. Quel colpo di tuono
produsse un effetto disastroso sui nuku. Si fermarono un momento, guardando con
terrore la nuvola di fumo che ondeggiava sopra il piccolo pezzo d'artiglieria,
poi invasi dal terrore, scapparono attraverso la boscaglia, nonostante le
bestemmie e le imprecazioni dei loro condottieri. I marinai di Ramirez,
vedendosi abbandonati, non avevano tardato a seguirli, prima che Reton avesse
avuto il tempo di ricaricare il pezzo.
- Avete visto come si fa a disperdere gli antropofaghi? -
gridò il bosmano con aria trionfante.
I kahoa, si erano slanciati dietro ai fuggiaschi che battevano
in ritirata, per impedire loro di ritornare verso la riva e continuare
l'ingombro del fiume. I nuku, troppo spaventati, non cercavano ormai più di
opporre resistenza. Non pensavano che a mettersi in salvo, per non sentire più
il tuono spaventoso. Dopo una lunga corsa durata una mezz'ora, i kahoa
ritornarono al campo. Verso l'alto corso del fiume gli alberi non cadevano più
e la via appariva libera. Era il momento buono per approfittarne.
- Prima che ritornino e ricomincino, partiamo, - disse il
capitano. - Non oseranno, per ora, uscire dalla boscaglia.
Le scialuppe furono rimesse in acqua, il piccolo pezzo
d'artiglieria fu imbarcato e la spedizione approfittando di quel momento di
calma, riprese velocemente la navigazione. Speravano tutti di raggiungere la
sorgente, omai vicinissima, prima che i nuku si fossero rimessi dalla sconfitta
subita; ma s'ingannavano, poiché ben presto dalle due rive del fiume
cominciarono a piovere frecce. I nuku furiosi di essersi lasciati battere,
tornavano alla riscossa. Nascosti in mezzo ai cespugli seguivano le scialuppe,
saettandole.
- Ah, bricconi! - gridò Reton. - Sono testardi come i muli
della Cordigliera. Ma sono ancora qui io per scaldarvi le gambe e raffreddarvi
le teste. Ho ancora una ventina di cariche e queste basteranno per calmarvi,
per sempre.
Aveva ricominciato a sparare, aiutato dal capitano, da don
Pedro e anche da Mina. I nuku scappavano da tutte le parti, specialmente quando
udivano la voce del cannone, ma poi ritornavano con una ostinazione che faceva
infuriare il bosmano. Quella lotta ostinata durò fino al tramonto, con grande
spreco di munizioni; poi i nuku, scoraggiati forse dal risultato negativo dei
loro attacchi e per le grosse perdite subite, scomparvero nei boschi, senza
lasciarsi più vedere.
- Per centomila pipe fracassate! - esclamò Reton, dopo avere
sparato un'ultima inutile cannonata. Se durava ancora un po' rimanevo senza
munizioni. Che domani mattina ricomincino?
- Sarà troppo tardi, - rispose il capitano. - Matemate mi ha
detto che siamo già sul territorio dei krahoa.
- Nel paese del fiume d'oro! Lo vedremo e anche lo palperemo
finalmente quel favoloso tesoro.
- Se Ramirez non se l'è già portato via, - disse don Pedro.
- Lo inseguiremo e lo costringeremo a vuotare le tasche, -
dichiarò Reton. - O la borsa o la vita, gli grideremo sul muso e, se non
obbedirà, mitraglieremo anche lui mil diables!
- Interroghiamo prima di tutto Matemate, - disse il capitano.
Il fondo comincia a mancare e la scialuppa non andrà molto avanti.
- Ci accampiamo?- chiese don Pedro.
- Saremo obbligati a fermarci in qualche posto. L'acqua
scarseggia, segno evidente che non siamo molto lontani dalla sorgente del Diao.
- Saremo sicuri da un attacco dei nuku?
- Formeremo un altro campo trincerato.
La scialuppa piegò verso la riva destra e la spedizione prese
terra sul margine dell'interminabile foresta in un luogo dove crescevano solo
pochi alberi, Matemate si era avvicinato al capitano, dicendogli:
- Siamo sulle nostre terre. I villaggi dei krahoa sono lassù,
lungo le falde di quella collina che sorge al di là della foresta.
- Me l'ero immaginato, - rispose don José. - Non arriva il
fiume fino ai villaggi?
- No, capo bianco, - rispose il kanako. - Lasciamo qui le
scialuppe, nascondiamole nella foresta e mettiamoci in marcia senza perdere
tempo. Prima dell'alba saremo nel più grosso villaggio, ed entreremo nella
caverna, dove il vecchio uomo bianco ha fatto nascondere il tesoro per i suoi
figli.
- Ce lo consegneranno?
- Il giovane bianco non possiede più il simbolo?
- Sempre.
- Allora basta.
- E se il capitano della nave che abbiamo conquistata fosse
già arrivato e si fosse impadronito del tesoro? Anche lui possiede il simbolo
dei notù.
- E io non sono forse più l'amico dei figli del vecchio capo
bianco? - disse Matemate. - Quando Matemate, che è figlio di un grande
guerriero da tutti rispettato, parlerà e Koturé, mio fratello, confermerà le
parole, i krahoa uccideranno e mangeranno il tuo nemico e tutti quelli che si
troveranno con lui. Il vecchio capo bianco è morto e non proibirà più ai suoi
sudditi, di mangiare carne umana. Prima che i nuku ritornino, partiamo. Se
distruggeranno le scialuppe i miei compatrioti ti daranno quante piroghe
vorrai.
- E se i nuku ci tendessero una imboscata in mezzo alle
foreste?
- Porta con te il grosso tubo che tuona e torneranno a
scappare, rispose il kanako.
- Se mi assicuri che i tuoi hanno delle barche, io non ho
alcuna difficoltà a lasciare qui le mie.
- Il Diao è dei krahoa, - disse Matemate - e un popolo che
vive sulle rive di un fiume ha sempre delle piroghe. Partiamo subito uomo
bianco. Il tuo nemico può essere già arrivato e aver messo le mani sul tesoro
che spetta ai figli del vecchio capo e non a lui.
- Tu conosci la strada?
- Io ti condurrò al grosso villaggio e anche nella caverna,
con gli occhi chiusi. Vieni, capo bianco!
Il capitano fece trarre a terra le scialuppe e le fece
nascondere in mezzo ai hauris. Il piccolo cannone era stato già levato e
collocato su un palanchino fatto costruire da Reton, il quale ormai non voleva
più separarsi dal suo pezzo che aveva compiuto tante meraviglie. Se fosse stato
possibile se lo sarebbe messo in tasca.
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