CAPITOLO
III
L'incrociatore
Abbandonato
il disalberato e sdruscito legno mercantile, i due prahos pirateschi, con
due uomini di meno, ripresero la corsa verso Labuan, l'isola della Perla, che
Sandokan ormai voleva ad ogni costo vedere.
Il vento
dell'ovest era inoltre propizio per portarsi al nord-est e giungere
all'indomani allo spuntar del sole e forse la stessa notte all'isola. Bisognava
però agire con estrema prudenza poiché, per quanto fossero forti e risoluti,
potevano incontrare più di un incrociatore che sbarrasse la via o almeno
inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno di Borneo, la cui capitale
non distava gran tratto, benché si prestasse volentieri alla pirateria e
mantenesse prahos pirateschi per proprio conto, poteva, fosse solo per
attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare la sua flotta e lanciarla
contro Sandokan. Tutti sapevano che quelli di Borneo erano gelosi di quelli di
Mompracem che si erano fatti una sì formidabile nomea.
I due prahos
presero arditamente la pericolosa via senza esitare. Sandokan, fatti ripulire i
ponti, raggiustare gli attrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare
il pranzo del mezzodì, accese la pipa che somigliava a un narghilé turco
e andò a sedersi sul medesimo cannone, dove il povero Ragno di Mare si era così
generosamente sacrificato per lui.
Egli rimase
mezz'ora senza dir parola, immobile, concentrato, assaporando la calma dopo la
pugna, seguendo con occhio distratto le mosse del suo equipaggio che terminava
di raggiustare le ultime gomene danneggiate dalla mitraglia. D'improvviso si
scosse e piantando gli occhi su Patau, gli fe' cenno d'avvicinarsi.
Una profonda
ruga solcava l'ampia sua fronte e fumava con maggior furia di prima. Egli
guardò per alcuni minuti e in silenzio il Malese, che non ardiva fiatare
sospettando qualche rabbuffo.
- Dov'eri nel
momento dell'abbordaggio? - chiese egli alfine con voce calma e grave ma che
tradiva un lampo di collera.
- Al vostro
fianco - rispose il Malese.
- Hai veduto
cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parla meglio. Chi l'uccise?
Il Malese
rabbrividì fino alla punta dei capelli e se fosse stato bianco sarebbe
diventato pallido come un morto. Se si fosse trattato di precipitarsi
all'abbordaggio dove la mitraglia mordeva e sibilava se ne sarebbe infischiato
della paura, fosse pure stato sicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a
Sandokan, cui bastava uno sguardo per inchiodare su due piedi i più
ricalcitranti, egli sì, tremava.
- Ebbene? -
domandò qualche istante dopo Sandokan senza abbandonare il suo posto, né la
canna della gran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese che tremava
come avesse la febbre.
- Una palla
di cannone - arrischiò Patau e dette indietro mentre l'equipaggio sogghignava
contento che quel Malese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado così
invidiato per essere precipitato chi sa dove da una sola parola del terribile
padrone.
Non si amava
a bordo Patau perché derubava silenziosamente i camerati valendosi della sua
autorità, e senza che alcuno osasse farne parola al capitano. Si aveva paura di
entrambi, ma ben differentemente.
Sandokan alla
risposta del Malese aveva fatto un legger movimento, ma fu tutto. Egli
continuò:
- Il tuo
posto era accanto a me giacché non ti avevo affidato il timone. Quando noi
giungeremo a Mompracem, ti farai fucilare! Vattene!
Non si poteva
scherzare con un simile uomo, né arrischiare parola. Commettere una
vigliaccheria a bordo sarebbe stato un far ruggire la Tigre. Il Malese senza
batter ciglio, conservando quella fierezza in lui abituale, si allontanò come
se si trattasse di un nonnulla. Sandokan lo richiamò.
- Potrebbe
darsi che si avesse a incontrare l'incrociatore - diss'egli. - Mi occorre un
uomo: tu puoi essere quello giacché ti ho spacciato per Mompracem; morire
combattendo è un favore che io solo accordo ai coraggiosi. Alla prima cannonata,
arresterai la palla col tuo petto.
- Grazie,
capitano! - esclamò il Malese e contento della sentenza del suo formidabile
capo, di cui nessuno avrebbe osato mettere in dubbio l'infallibilità, se ne
andò al timone.
- Sabau! -
gridò egli guardando sempre il mare e come parlasse a sé stesso.
Un altro
Malese di bassa statura, ma di membra gagliarde, dalla faccia quadra anziché
no, ossuta, dal naso schiacciato e grosso, dagli occhi piccoli ma brillanti,
dalla bocca grande con le labbra grosse, la tinta fosca e vestito con un solo
paio di corti calzoni rossi, si fece innanzi dondolandosi comicamente.
- Tu non sei
stato il primo a saltare sul prahos dopo di me? - domandò Sandokan.
- Infatti, mi
sono trovato sul ponte alle prese con uno di quei mascalzoni - rispose egli.
- Bene,
quando la palla di cannone sfonderà il petto del tuo compatriota, subentrerai
nel comando.
La giustizia
era finita per quell'uomo singolare che si faceva chiamare la Tigre. Egli
abbandonò il cannone, diede uno sguardo alle due grandi vele gonfie sotto il
vento dell'ovest, un altro all'altro prahos che seguiva la via del primo
rigorosamente dritta e si mise a passeggiare da prua a poppa colla fronte
serena ed un sorriso bonario.
Durante la
giornata i due legni pirateschi continuarono a veleggiare in quella parte di
mare compresa fra Mompracem e le Romades all'ovest, la costa di Borneo all'est
e nord-est, e Labuan colle Tre Isole al nord, senza trovare il minimo impaccio
e senza scorgere alcuna di quelle vele che di solito si mostrano sì numerose in
quei paraggi, recandosi o partendo dalla capitale del regno di Varauni.
Già da
parecchi anni la fama di Sandokan si era sparsa su quei ristretti mari, e
solamente i grossi vascelli con numerosi equipaggi o prahos armati da
guerra arrischiavano la traversata diretta. I più si tenevano sotto la costa,
sicuri di poter sbarcare e di salvare almeno le vite se non il carico o
approfittando di qualche giornata burrascosa o di qualche notte oscura per
prendere il largo. Sandokan non ignorava più quelle astuzie, diventate ormai
tanto vecchie da essere conosciute anche sulle spiaggie di Mompracem, e sarebbe
bastato passare una notte in vista della costa per essere sicuri al mattino di
far ritorno con un carico completo delle più preziose merci del paese, cosa che
non mancava mai però di fare a rischio di cadere in un'imboscata, quando
trattavasi di spedizioni di minerale giallo.
La notte
cadde con quella rapidità che è propria delle regioni equatoriali dove il sole,
anziché tramontare, si tuffa. Tutti i lumi vennero spenti a bordo dopo la cena,
non amando essere scoperti e di vedere a loro agio, le vele in parte
terzarolate per premunirsi dagli improvvisi colpi di vento che non mancano in
quei capricciosi mari, e le sentinelle scelte fra gli uomini più intrepidi e
dalla vista più acuta, che sapevano scorgere, per quanto le tenebre fossero
fitte, una nave due miglia lontano. Alle otto i due equipaggi si ritirarono in
massa e senza far rumore guadagnando le loro amache oscillanti, senza perdere
tempo a spogliarsi delle poche vesti, pronti a prendere posto ai cannoni e ai
moschetti al primo all'arme, la qual cosa non di rado avveniva, sia per
respingere un attacco di qualche notturno leone che spingeva la sua audacia
fino a irritare la Tigre, sia per piombare su qualche inoffensivo legno e
rischiararlo a colpi di cannone.
Sandokan
rimase sul ponte assieme agli uomini di guardia, assiso a poppa tenendo una
delle ribolle, collo sguardo che balzava dalla bussola al mare, porgendo
ascolto al lieve russar degli addormentati e al frangersi dell'onda sulla prua
del legno. Si avrebbe detto che quell'uomo cercasse di raccogliere qualche
rumore estraneo a quello del mare. Chi sa? un lontano colpo di cannone, che
poteva tuonare in direzione di Mompracem, o che cercasse colla potenza del suo
occhio da tigre di attirare la preda fuggente e di scoprirla; chi sa? forse il
fumante cacciatore.
Gli uomini di
guardia confusi fra gli attrezzi, seduti o ritti, parevano condividere i
pensieri del loro capo. Gli occhi loro, che rilucevano come carboni nella
profonda oscurità, balzavano dalle vele al mare scrutandolo nei più lontani
orizzonti, cercando avidamente una preda sempre sospirata o un pericolo. Poco
montava che si dovesse sfidare colpi di cannone e colpi di scure, con gran
pericolo della pelle; bastava loro veder della preda, menar le mani
insanguinate su cento e cento vittime, tuffarle in nuovo sangue, ubbriacarsi al
fumo della polvere e veder morti e morti mutilati, guazzar sui bagnati ponti.
Ma nessuna
vela si mostrava nel cerchio abbracciato da quei potenti occhi, fuorché le
tenebre sovrastanti ai flutti color di inchiostro che rimuggivano sordamente
come uscissero da un abisso e che venivano a cozzare sulla prua del prahos
frangendovisi sopra e lasciando solo allor intravveder un leggero scintillio,
che si cangiava sulla scia in un gorgogliamento luminoso perfettamente visibile
in quella oscurità.
Alla
mezzanotte il vento, sino allora debole, sembrò svegliarsi colla comparsa della
luna, che faceva capolino fra le nubi. I due prahos parvero rialzarsi
sotto quella nuova spinta e accelerarono la corsa verso l'est poggiando di
qualche quarto al nord, dirigendosi verso le Tre Isole, che non dovevano esser
gran fatto distanti. E invero poco dopo, rischiarate dalla luna, che tornava a
mostrarsi in uno squarcio dei negri vapori, furono vedute tutte e tre benché vi
sia fra loro una rispettabile distanza.
Parevano
uscire dal mare come improvvisamente, di un color fosco, di una struttura più
bizzarra che pittoresca in quell'ora, vere sentinelle avanzate di Labuan e di
Borneo, che potrebbero far solida barriera alla baia di Varauni dalla quale non
distano molto.
Sandokan
appena che poté vederle abbandonò la ribolla a uno de' suoi uomini e discese
nella sua piccola cabina. La vista di quelle isole faceva quasi a lui credere
di esser a Labuan che voleva dire lontano dal fumante incrociatore che alla
mattina navigava presso le coste meridionali di Mompracem, e quindi libero da
un improvviso attacco da parte sua che avrebbe potuto riuscire disastroso.
La cabina di
Sandokan era ben ristretta a bordo di quel prahos; non mancava però di
una certa eleganza non dissimile da quella della sua abitazione, e che non
toglieva che vi dormisse a suo agio. Era un caos di piccoli mobili gli uni più
graziosi degli altri, ma gli uni più avariati degli altri, un miscuglio di sete
e di tappeti che l'ingombravano, che la soffocavano addirittura sotto le
pesanti pieghe e in mezzo alle quali vedevansi armi mescolate a bottiglie e
tazze con bombe.
Sandokan,
senza levarsi un nulla del vestito, si stese in mezzo ai tappeti e non tardò ad
addormentarsi come un uomo della sua tempra, cui un cuor di ferro soffoca le
urla delle vittime cadute sotto l'acciaio dell'assassino e i cui occhi non
vedono né le ombre né il sangue.
Tutta la
notte i due prahos veleggiarono in pieno mare, sempre in vista delle Tre
Isole, correndo bordate per la lenta raffica, che a poco a poco collo spuntar
del giorno girava all'est. Ma per quanto il vento divenisse contrario non
impediva che i due rapidi legni guadagnassero via, aiutati di tratto in tratto
dai remi manovrati da robuste braccia che li avean conosciuti fin dalla più
tenera età.
Al primo
raggio di sole, che invase bruscamente il mare scacciandone la cupa tenebra,
sette od otto miglia lontano fu veduta Labuan. Quasi nel medesimo istante
Sandokan comparve sul ponte.
- Patau! -
esclamò egli con quel tono che non ammetteva replica né ritardo per quanto
minimi fossero.
Il Malese
abbandonando il remo in un sol salto gli fu vicino, sempre col medesimo volto
fra l'ilare e il furbesco, come un uomo che ha ormai dimenticato la palla di
cannone.
- Comandante!
- rispose egli facendosi innanzi francamente.
- La tua
palla? - domandò Sandokan con strano sogghigno.
- È sul petto
- rispose il Malese, - la prima che parte sarà mia.
- Bene,
conosci tu una baia dove non si possa essere molestati da quei cani dell'Australia?
- La conosco.
- Bene,
dirigi i prahos.
Ad un ordine
del Malese i due legni da preda virarono di bordo dirigendosi verso il sud
dell'isola.
Labuan è un
lembo di terra che dista appena otto leghe da Borneo e che ha una circonferenza
di circa venticinque miglia.
Si eleva a 24
metri sul livello del mare; semplici alture tengono luogo di catene di monti,
numerosi corsi d'acqua tengono luogo di fiumi, ma i più durante la stagione
calda lasciano il letto completamente asciutto. Ha però magnifiche foreste che
potrebbero somministrare eccellenti legnami da costruzione, una graziosa
vallata con pascoli al nord-est dove finisce in una tranquilla baia. Vedute
pittoresche rendono piacevole il soggiorno su quel lembo di terra, che ogni
giorno acquista più importanza grazie le scoperte di vene di carbon fossile che
si trovano in gran numero, specialmente nelle vicinanze dei fiumi.
Gl'indigeni
non sono numerosi e sono tanto stupidi, che illusi dalla presenza degli
stranieri e da regali di due soldi, si sottomisero al velenoso giogo inglese
che lentamente ma sicuramente andrà decimandoli per isbarazzarsi di esseri che
potrebbero un giorno dar noia alla giovane colonia.
Fu nel 1846,
24 dicembre, che il capitano Rodney Mundy comparve pel primo a bordo dell'Iris
e che ne prese bellamente possesso, dopo di avere spaventati i nativi facendo
tuonare le sue artiglierie, come volesse mostrare a quegli esseri semplici la potenza
del leopardo inglese. Ed essi, dopo le danze d'onore e una festa si sottomisero
senza alzar una sola arma in difesa della terra natia.
Da quel tempo
gli Inglesi vi avevano fondato la cittadella di Vittoria e si affrettavano a
lanciare in mare vapori di ferro per reprimere la pirateria flagello di quei
disgraziati mari. Sandokan non lo ignorava, no, ed era anzi per questo che
voleva prendere terra nel fondo di qualche canale, di qualche seno al sicuro da
improvvisi attacchi per poter poi agire a suo bell'agio.
I due prahos,
dopo di aver fiancheggiato per breve tratto la costa coperta da fitti alberi,
in mezzo ai quali torreggiava qualche tek, navigando lentamente e con
estrema prudenza per non dar sospetto a qualche colono che battesse i dintorni,
si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiume, che alla foce avevasi
scavato poco a poco un seno semi-nascosto da piante palustri.
Le âncore
furono gettate con buona riuscita su di un fondo sabbioso, le vele ammainate
senza far rumore come lo dovevano due visitatori che volevano mantenersi
incogniti, e i prahos spinti verso la riva destra, nascondendoli del
tutto sotto l'ombra dei grandi alberi e dei canneti, che fiancheggiavano una
piccola palude di due o trecento metri di estensione. Un incrociatore che avesse
battuto la costa, non sarebbe riuscito a scoprire quei due legni pirateschi che
si tenevano imboscati come le tigri nel delta del Gange che spiano, sotto le
grandi foglie acquatiche, la preda.
Sandokan e
Patau sbarcarono, mentre che il restante dell'equipaggio rimaneva a bordo
rigorosamente consegnato. Bisognava agire più che prudentemente per affrettare
i piani del formidabile capo, che già contava non solo di veder la Perla, ma di
mettere a ferro e fuoco se non tutta almeno una parte dell'isola.
Armati
entrambi di carabine indiane e di scuri, i due pirati s'internarono senza dir
verbo sotto la foresta, che lasciava qua e là qualche varco, tracciato talvolta
dalla mano umana ma il più dalla naturale disposizione delle piante, che si
rizzavano in mille guise differenti, ora ritte, ora inclinate e talvolta
contorte come giganteschi serpenti.
Sandokan
guidò il Malese per un duecento passi sotto la foresta, come conoscesse di già
il cammino, poi si arrestò ai piedi di un durion colossale le cui frutta
pericolose per le cadute che il più delle volte riescono mortali per l'incauto
che vi passa sotto, si agitavano leggermente sotto uno stormo di tucani dal
becco colossale, che parevano affaccendarsi nella costruzione dei loro strani
nidi.
- Ascolta,
Patau - diss'egli. - La vicinanza di nemici, che godono fama di possedere
potenti navi e potenti congegni di distruzione, non ti nasconderò che mi
inquieta per Mompracem, la mal difesa isola che non saprebbe resistere dinanzi
ai loro cannoni, e che è d'uopo ci rimanga. L'intenzione di queste giacche
rosse dacché si sono stabilite su questi malaugurati mari, è evidente che
mira a portare un colpo fatale alla pirateria; fuggono la nostra presenza, ma
spiano e cercano di tagliarci la ritirata invadendo i nostri selvaggi covi.
- Lo so -
rispose il Malese. - Mompracem è troppo vicina a Labuan, offre troppe mire per
quei ladri di terre, e un dì o l'altro non mi meraviglierei che una intera
flotta si presentasse dinanzi al villaggio e cominciasse una danza infernale a
suon di cannone.
- È ciò che
vado pensando anch'io da vario tempo. Vedi, la presenza di questo incrociatore,
che fuma silenziosamente su queste onde, non mi rassicura punto riguardo alle
sue intenzioni che puzzano di polvere cento miglia lontano. È d'uopo che uno di
noi, Mompracem o Labuan, abbia a cedere le armi al più forte. Spenta la
pirateria, la Malesia sarà morta.
- Se io
rimanessi in vita - disse Patau senza commuoversi, - agirei prontamente. La
colonia va crescendo di giorno in giorno, grazie alla scoperta del carbone che
attira maledettamente tutte le navi da guerra dei dintorni; oggi è un pugno di
uomini che l'abitano, domani saranno due, da qua un anno cento. Le difficoltà
allora saranno cento volte raddoppiate, le mosse difficili sotto l'occhio degli
incrociatori e poco a poco la pirateria cadrà.
Sandokan
rimase colle braccia incrociate a mirare il Malese, come per commentar le sue
parole che trovava più che giuste, poi ripigliò la via senza smascherare
l'audace progetto che lo rodeva.
Patau lo
seguì, cacciandosi come il padrone sotto cespugli spinosi dove vi era pericolo
di lasciarvi mezze vesti, tendendo l'orecchio per raccoglier ogni estraneo
rumore e coll'occhio in guardia sulle piante vicine, dove poteva darsi che
qualche tigre se ne stesse imboscata aspettando la preda al varco o che qualche
serpe si dondolasse da qualche ramo pronto ad avviluppare il primo venuto e
stritolarlo tra le vischiose anella con una di quelle strette cui non resistono
forze umane. Per mezz'ora quei due uomini proseguirono il difficile cammino
senza scambiare una sola parola, poi Sandokan tornò ad arrestarsi facendo cenno
al compagno di tacersi. Aveva udito lontano un abbaiar di cani che sembravano
seguire qualche pesta di selvaggina e che andavano rapidamente avvicinandosi,
ed a cui talvolta univasi uno squillo di tromba.
- Vi sono
degli uomini che cacciano - disse Sandokan dopo di avere ascoltato
attentamente. - Si vede che questi dannati Inglesi non perdono tempo. Sono
sicuro che cacciano le ultime tigri sfuggite alle armi degli indigeni; ovunque
è distruzione dove passa l'avvelenato loro soffio.
- Ma dove
andiamo ? - chiese Patau che non comprendeva lo scopo della passeggiata.
- Dove vuoi
che andiamo, se non si va in cerca della Perla?
- Ma questi
uomini? Io credo che mostrarci sia pericoloso.
- Potrebbe
darsi, Patau. Ma a noi occorrono notizie per sapere dove si trova questa Perla
e come vanno le faccende della colonia. Tiriamo innanzi. I due pirati, anziché
battere prudentemente in ritirata, si riposero in cammino dirigendosi verso il
luogo dove udivasi squillare la tromba e abbaiare i cani.
A poco a poco
gli alberi poco prima strettamente uniti, cominciarono diradarsi dando luogo a
praticelli e a radure cespugliose in mezzo alle quali s'innalzavano gran numero
di piante di pepe, che avviticchiandosi ai rami degli arenga e degli artocarpus,
formavano grandi reti vegetali e festoni ricadenti, dove garrivano leggiadri
uccelletti e svolazzavano battaglioni di lucertole volanti.
I latrati dei
cani si udivano allora tanto vicini che i due pirati, temendo essere scoperti,
si nascosero dietro ad un aloé la base del cui tronco spariva fra
gigantesche erbe.
Quasi subito
apparve un indigeno in calzoncini bianchi, tenendo a guinzaglio un grosso
mastino che ringhiava fiutando la terra.
- Ecco il mio
uomo - disse Sandokan all'orecchio di Patau. - Non farti vedere, Malese mio;
non all'armiamo questo stupido schiavo delle giacche rosse, questo
schifoso rettile, questo miserabile più codardo di tutti i popoli della
Malesia.
Gettò al Malese
la carabina e si cacciò fra i cespugli circostanti senza far rumore e in
maniera di abbordare il selvaggio di fronte. Alla sua improvvisa comparsa il
bracconiere si arrestò tra il sospettoso e lo spaventato.
- Che vai
cacciando, sulle mie terre? - domandò brutalmente Sandokan piantandosi dinanzi
a lui e vibrando un potente calcio al mastino che gli abbaiava contro.
- La tigre -
rispose l'indigeno.
- Chi è
questo furfante che si permette di calpestare i miei campi?
- Lord
Haawen.
- Ah! - fe'
Sandokan ghignando. - Una giacca rossa. La colonia comincia adunque ad
avere certi signori che si permettono di cacciare sulle terre altrui?
- Non sono di
loro le terre? Gli antichi padroni sono morti.
Sandokan
tornò a sogghignare ma con quel sogghigno crudele che faceva rabbrividire e
parve che volesse fulminare il selvaggio colla potenza dei suoi occhi.
- Ah! -
esclamò il pirata. - Tu rimpiangi adunque l'istante in cui l'Iris si
mostrò su queste coste e che i tuoi accolsero danzando?
- Forse.
Sandokan si
passò la mano sulla fronte e stette per qualche istante in silenzio come
pensasse. Poi guardando fisso fisso il selvaggio:
- Odimi bene,
maledetto schiavo - gli disse. - Sai tu che la colonia fu condannata ad essere
distrutta da un uomo potente, la cui sua comparsa basterebbe per incutere
spavento?
- No,
stenterei d'altronde a crederlo.
- Nemmeno se
quest'uomo si chiamasse...
Egli
s'arrestò bruscamente mordendosi le labbra.
- Chi?...
- Silenzio -
disse il pirata ponendosi un dito sulle labbra. - Silenzio! Dimmi ora, hai mai
udito parlare della Perla di Labuan?
- E chi, in
Labuan, non ne avrebbe udito parlare?
- Chi è?
- Un genio
benefico, che nulla ha di comune colle giubbe rosse.
- La conosci
tu, questa Perla?
- Sì, l'ho
veduta.
- Dove abita?
- A un miglio
da questo luogo - rispose il selvaggio.
- Potrei
vederla io?
- Sì, lo
potreste.
- Indicami il
modo.
- Basterà che
vi nascondiate dietro qualche albero del parco. Tutte le mattine va a
passeggiare al chiosco chinese.
Una vampa inesplicabile
salì in volto al pirata. Trasse un pugno d'oro e lo diede al selvaggio che lo
guardò istupidito.
- Grazie,
amico - gli disse. - E ora va... va, e non volgerti più mai indietro.
Il selvaggio
se ne andò correndo. Sandokan aspettò che fosse abbastanza lontano da non
vederlo più, poi ritornò presso il Malese che lo aspettava impazientemente.
- Ebbene? -
chiese Patau.
- Tutto va
bene, tigrotto - rispose Sandokan. - Domani vedremo la Perla.
- E le giacche
rosse?
- Sono più
forti di prima.
- Ah! - esclamò
il Malese sospirando. - I bei giorni sono finiti.
- Crederesti
tu che la Tigre avesse paura? Cento leoni sarebbero pochi per incatenare la
gran Tigre. Ritorniamo, Malese.
Sandokan
raccolse la carabina e si diresse verso la costa seguito da Patau. Non avevano
ancor percorso cento metri, che un colpo di cannone rombò verso l'alto mare.
La Tigre
della Malesia cacciò fuori un ruggito come di belva ferita, poi precipitossi
verso la foresta agitando come un forsennato la carabina.
- Vieni,
Patau! Vieni! - gridò egli, facendo salti da tigre. - Vedo del sangue!
I due pirati
in cinque minuti attraversarono il lembo della foresta e giunsero al
fiumicello. Nel medesimo tempo un secondo colpo di cannone rombò sul mare, e in
mezzo a un denso fumo che volteggiava nell'aria assieme a scintille, fu veduto
il fumante incrociatore che moveva a tutto vapore verso la costa, sbarrando la
ritirata ai legni da preda!
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