CAPITOLO
VIII
La
guarigione
Marianna dei
conti Guillonk era nata sotto il bel cielo d'Italia da padre inglese e da madre
napoletana. Perduti ancor fanciullina i genitori, ed erede di una cospicua
sostanza, era stata raccolta da lord James suo zio, uno dei più intrepidi lupi
di mare della flotta britannica, un vero marinaio d'antica schiatta, ruvido,
quasi direi brutale, incapace di provare affezione per chicchessia e quindi
incapace di provare affezione per l'orfana.
Questo lupo
di mare, imbarazzato di trovarsi fra le braccia una nepote, e non fidandosi
d'altra parte d'abbandonarla a mani straniere, per nulla disposto allora a
piantar radici in terra, l'aveva per così dire rapita dalle spiaggie napoletane
portandola seco sui mari. Per più di sei anni l'aveva abituata alla dura vita
marinaresca, per più di sei anni l'avea menata a ramingar pel mondo da un porto
all'altro, da un'isola a un'altra, da un continente a un altro, fino a che un
bel dì, per un inesplicabil capriccio, si era fermato a Labuan dove aveva
piantato casa.
Una volta
collocata la fanciulla, datale per compagna una napoletana, l'aveva abbandonata
completamente a sé stessa, affaccendandosi a cacciare da mane a sera nelle
foreste dell'isola o a tentare spedizioni contro i pirati che si era giurato di
sterminare.
Mai che il
lupo avesse rivolto una dolce parola all'orfana, mai che avesse dimostrato per
lei qualche affetto. Si contentava di non contrariare i gusti di lei, pur
sempre tenendola in certo qual modo prigioniera fra quelle foreste, come fosse
geloso che le fuggisse.
Marianna a
tal modo era cresciuta come una specie di selvaggia fra quei boschi, segregata
dal mondo civile, contraccambiando, nel fondo dell'anima, l'indifferenza del
rozzo lupo di mare.
Si era
rinchiusa in quel piccolo mondo cinto d'alberi e recinto di fiori che coltivava
con passione, e benché avesse per lungo tempo rimpianto le pittoresche rive del
Tirreno, aveva finito a poco a poco coll'abituarsi a quella vita austera, ma
che non mancava di poesia, coltivandosi da sé, in una maniera tutta sua.
Amava
circondarsi di fiori perché in certo qual modo le rammentavano quelli della sua
patria, amava l'immensità perché sapeva trovarvi la poesia del suo paese, amava
il mare perché le ricordava quello delle spiaggie napoletane, amava la musica
perché le sembrava la voce dei suoi compatrioti. Era cresciuta coraggiosa ed
energica quanto dolce e sensibile. Scorrazzava intrepida, quale Diana
cacciatrice, le foreste, affrontando arditamente il cignale, sfidando la tigre
stessa che ritiravasi dinanzi la canna dell'infallibile sua carabina,
inseguendo leggera come un capriolo il babirussa. Attraversava da sola tutte le
foreste, senza temere il selvaggio imboscato, pel solo scopo di spingersi fino
al mare per vederlo calmo o irritato e gorgheggiare sulle sue rive al tramontar
del sole, o per destare gli echi dei boschi col dolce suono della chitarra o
della mandola, o per guizzare come una naiade nelle baie, per nulla impaurita
della presenza dei pesci-cani.
Se era
intrepida altrettanto era buona e dolce, pietosa. Si recava presso i selvaggi accampati
nelle paludi per recare loro soccorsi. Aiutava gli uni e gli altri, curava i
feriti o gli ammalati, in maniera che tutti quelli dei dintorni la riguardavano
come un buon genio e l'ammiravano come fosse una donna soprannaturale. Tutti
accorrevano da lei, dalla Perla di Labuan come la chiamavano, sicuri che non li
avrebbe respinti, e sarebbe forse bastata una sua parola, un cenno, per
sollevare quei bruti, e avventarli contro i suoi compatrioti. S'era in certo
qual modo formato un piccolo regno, dove imperava padrona assoluta, s'era
formato un piccolo mondo che lei dirigeva a capriccio.
Marianna era
giunta così in sui diciassett'anni crescendo libera e doppiamente libera dopo
la morte della sua compagna napoletana, che aveva amato come una seconda madre
e lungamente pianta, come si può piangere l'ultimo ricordo che rammenti la
patria lontana e che in sul più bello si spenga.
Era cresciuta
fra quelle grandi foreste che amava forse come quelle degli Appennini o del
Vesuvio, su quelle spiagge ben differenti ma che riguardava come quelle
incantate del Tirreno, cresciuta solitaria, orfana, senza un affetto, senza una
carezza, senza una dolce parola.
Non aveva mai
provato fino allora le emozioni sublimi dell'amore, in mezzo ai suoi boschi non
aveva mai udito il suo cuoricino palpitare affannosamente, battere in una nuova
maniera; ma dopo che aveva veduto il pirata, ché non sognava né sospettava in
lui la sanguinaria Tigre della Malesia, dopo di aver mirato quell'ardita figura
di selvaggio, che aveva la nobiltà di un sultano e la galanteria di un
cavaliero d'Europa, dopo di aver mirato quel fiero volto che aveva del
guerriero e dell'eroe, e quegli occhi scintillanti dai quali trapelava il
coraggio indomito di una natura eccezionale, lei, la fragile e cara fanciulla,
aveva provato un inesplicabile turbamento, una emozione insolita, aveva sentito
un fuoco strano invaderla, fuoco che scorrevale più rapido per le vene, man
mano destavansi le ardenti passioni della sua natura meridionale.
Dopo di aver
favellato con lui, di averlo affascinato coll'incantesimo della sua voce, col
suo sorriso, col suo sguardo, era stata alla sua volta affascinata, e invano
cercava spezzare questo fascino che la turbava, fascino che minacciava
inghiottirla, invano cercava allontanare quegli occhi scolpiti sul suo cuore
che bruciavano come carboni ardenti, e invano cercava stordirsi seppellendosi
fra i suoi fiori, ma senza più trovare quella calma, quella serenità che
provava prima di aver veduto il pirata.
Se Sandokan
però aveva ammaliato lei, lei aveva pure ammaliato Sandokan. Entrambi lo
dovevano comprendere, poiché entrambi provavano le medesime emozioni, i
medesimi battiti, la medesima fiamma; i loro pensieri se avessero potuto
confidarseli li avrebbero trovati stessi, eguali come i loro sentimenti.
All'indomani
Marianna era ancora dal pirata assieme al lord, il quale trovava dilettevole la
compagnia del ferito, che riguardava sempre come uno dei più arditi guerrieri
della Malesia, che parlava di guerra, di marina, che raccontava le sue sanguinose
spedizioni contro i pirati delle coste, o le grandi caccie intraprese
nell'interno della penisola.
La giovinetta
prestava pur essa orecchio a quei fantastici racconti ammirando sempre più quel
preteso Malese che ai suoi occhi prendeva la figura di un eroe degno degli eroi
d'Omero, racconti che però il pirata dinanzi alla giovanetta andava modificando
a poco a poco fino a scendere a parlare di futili o di belle cose, che non si
avrebbe mai creduto che uscissero dalle labbra della terribile Tigre della
Malesia.
Bisognava
udirlo allora, quando la sua voce tonante e metallica cangiava tono per
diventare dolce, affascinante. Bisognava udirlo, quando dimenticando le sue
pugne e le sue stragi parlava colla giovanetta di alberi, di fiori, di caccie,
di feste e persino di mode e di vesti!
Era una
commedia, ma una commedia che egli stesso prendeva per realtà, e nella quale
sentivasi trasportato in un nuovo mondo, nella quale provava strane emozioni,
nella quale il suo cuore batteva precipitosamente e sentivasi preso da una
strana febbre. Non provava allora le sofferenze attutite, scemate
dall'armoniosa voce della lady che egli trovava mille volte superiore a quella
del cannone e persino i ricordi della sua isola si cancellavano, sfumavano
dimenticati fra i racconti della giovinetta che gli parlava della sua terra
natia, del bel cielo d'Italia, dell'azzurro Tirreno, delle incantevoli sue
coste e delle superbe sue città. Lui, il terribile e sanguinario pirata
comprendeva infine che un legame più forte dell'amicizia lo univa a lei,
comprendeva infine che questo legame fino come la seta andava ogni dì
ingrossando, comprendeva infine che ormai una corrente di reciproca simpatia si
era stabilita fra i loro cuori e che infine si amavano!
I giorni così
volavano rapidi per entrambi come baleni e la guarigione del pirata volava
aiutata potentemente dalla forza dell'amore, amore che sempre ingigantiva,
mille volte raddoppiato dall'ardente natura del selvaggio. E infatti venti
giorni dopo, il ferito poté abbandonare senza fatica il letto e presentarsi
dinanzi a lord James nel momento che questi entrava.
- Oh! mio
degno amico, voi in piedi! - esclamò il lord vedendoselo dinanzi.
- Vi
meravigliate, milord? - chiese Sandokan sorridendo. - Mi pare essere rimasto a
letto fin troppo.
- Gli uomini
di guerra, checché se ne dica, sono formati d'acciaio. Come vi sentite?
- Ma
benissimo, milord! Mi sento forte come una colonna di ferro. A proposito, i
miei più caldi ringraziamenti, milord, tanto a voi che alla vostra cara nepote.
A simili persone bisogna essere riconoscenti anche non volendolo.
- Via, non
parliamo di ringraziamenti. Fra gente di guerra non si usa.
- Al
contrario, milord, e vi confesso che senza di voi, per quanto fossi stato
forte, a quest'ora sarei morto da un bel pezzo. La mia riconoscenza non cesserà
mai, tenetelo ben in mente, milord, mai!... Andiamo, farò il contraccambio di
questa ospitalità quando voi verrete a Schaja. Sarete il re delle nostre feste.
Il lord si
mise a ridere, stringendo la mano che Sandokan francamente gli porgeva.
- Verrò -
disse il lupo di mare, - ve ne do la mia parola, e se caso mai avrete bisogno
di un aiuto per prendere la rivincita contro i pirati di Mompracem, pensate a
me.
La fronte di
Sandokan si abbuiò. Egli si avvicinò vieppiù all'Inglese.
- Guardate
qui - disse con istrana voce. - La ferita si è chiusa, ma rimane un segno
bianco: la cicatrice. È un segno che non si cancellerà più mai: un segno che in
ogni ora, in ogni tempo mi rammenterà dei miei feritori. Quando ritornerò nella
mia patria, a me allora la vendetta. Vedrò fuoco e sangue!...
Se l'Inglese
avesse potuto comprendere il vero significato di quelle parole avrebbe
rabbrividito. Ma egli tutto ignorava, non sospettava né poteva sospettare che
chi parlava in tale guisa fosse la Tigre della Malesia che giurava di guazzare
nel sangue inglese.
- Vedete -
continuò Sandokan sul medesimo tono. - È la prima volta che subii una disfatta,
e quegli uomini che han fatto mordere la polvere alla Tigre, la pagheranno ben
cara.
- Fate conto
di tornare in breve a Schaja? - chiese il lord. - Non abbiate fretta, amico
mio, ché la vendetta più lunga è e più diventa matura. I pirati sono là,
annidati nella loro formidabile isola, mille miglia lontani dall'idea di
volerla abbandonare. Avrete sempre tempo di vendicarvi. Rimarrete fra noi fino
a completa guarigione e mia nepote s'incaricherà di non farvi annoiare, ora che
ha una profonda ammirazione per voi.
Sandokan lo
guardò con sguardo balenante. Per lui, rimanere ancora su quella terra che
forse cominciava ad amare, rimanere ancora presso quella fanciulla che aveva
saputo affascinarlo, accanto a Marianna era la vita. Non chiedeva di più,
dimenticava Mompracem.
Che importava
a lui che i suoi tigrotti lo aspettassero, quando poteva vedere quella
fanciulla divina? Che importava, se non assaporava sangue, quando assaporava la
felicità di trovarsi presso lei? Che importava se non udiva il tuonare dei
cannoni, quando la voce di lei era più dolce del ruggito dei fumanti bronzi?
Che importava infine rischiare di essere scoperto, forse preso, forse ucciso,
quando sentiva il cuore battere d'amore, quando respirava la medesima aria che
respirava lei, quando si sentiva amare? Lui, la Tigre, tutto avrebbe
sacrificato per provare ancora quelle emozioni sino allora mai provate a
Mompracem.
-
Ascoltatemi, lord James - disse il pirata con emozione. - Questi luoghi, dove
ho passato dei momenti di suprema felicità, per me sono sacri. Accetto
l'ospitalità che voi mi offrite, e se mai un giorno, non dimenticate queste
parole che potrebbero avverarsi, se mai un giorno avessimo a trovarci sul campo
di battaglia, non già amici, ma nemici e ben fieri nemici colle armi in pugno,
saprò sempre serbare la mia riconoscenza.
Sandokan si
tacque incrociando le braccia sul petto, col volto animato da una strana
collera. Il lord lo guardò stupefatto per alcuni istanti, senza riuscire a
trovar parola, poi avvicinandosi bruscamente al pirata impassibile:
- Non vorrei
credere che fosse il delirio che vi facesse parlare - diss'egli. - Che mai
andate parlando di nemici e di pugne, se le relazioni fra la mia e la vostra
patria sono cordialissime? Andiamo, amico mio, io credo che non tramerete
certamente qualche insurrezione pericolosa nelle nostre colonie malesi.
- Non potete
comprendermi, milord. Ho detto anche troppo; tronchiamo questo discorso che
potrebbe diventare imbarazzante e mettermi al punto di dover mentire.
-
Tronchiamolo, giacché lo volete - disse lord James. - Ne avrò la spiegazione
quel dì che noi ci troveremo sui campi di battaglia. E ora, amico mio, restate
senza timori. Troverete in me un uomo leale più un amicone che vi terrà
allegro, sperando di trovare il contraccambio a Schaja. Mi permettete ora una
domanda?
- Cento, milord,
se lo volete - rispose Sandokan che cominciava però a tenersi in guardia.
- Il vostro prahos,
quale rotta teneva?
- Rotta per
Varauni. Avevo da concludere un trattato con quel sultano. L'Inglese lo guardò
un momento in silenzio come commentasse la risposta, poi continuò:
- Ho una nave
ai miei ordini, mio prode amico. Quando sarete annoiato di abitare in questo
brano di terra, se me lo permetterete vi condurrò io a Varauni, dovendomi
recare in quei paraggi. Credete che la mia presenza possa esservi di qualche
utilità?
La fronte di
Sandokan tornò ad oscurarsi. Era imbarazzato a rispondere non sapendo cosa
avrebbe potuto fare a Varauni, dove aveva invece tutto da temere. Non chiedeva,
una volta guarito, che di tornare a Mompracem, alla sua terribile isola. Pure
non esitò a rispondere.
- Forse la
vostra presenza mi sarebbe di grande utilità - disse egli, poi un lampo gli
balenò in mente. - Andiamo, milord, non nascondetemi che la vostra presenza a
Varauni ha un significato.
- Infatti -
rispose l'Inglese accarezzandosi il mento, - ha un importante significato. I
pirati di Mompracem, amico mio, scorrazzano troppo arditamente questi mari.
Crescono di audacia e di numero, e a dirla fra noi, minacciano seriamente le
sorti della nostra colonia. Non abbiamo sufficienti forze per assaltare
direttamente il loro covo e chiediamo il potente aiuto del sultano di Borneo.
- Ah! - fe'
Sandokan quasi sardonicamente, ma in modo che il lupo di mare non potesse
accorgersene. - Questi pirati, di cui io ho fatto disgraziatamente la prova
della loro audacia, sono veramente forti? Sarebbe mai vero, che Labuan avesse
paura?
- Non si ha
paura di Mompracem, ma di quel bravaccio che si appella la Tigre della Malesia.
È un uomo che ha del sangue nelle vene, un uomo che mette i brividi a tutti i
popoli delle coste. Non può essere un uomo quello là, ma uno spirito malefico
uscito dall'inferno; è un essere pieno di risorse e di coraggio.
- Vi crederò,
lord James, ma quando andrò a Varauni non dimenticherò di raccomandarlo
particolarmente al sultano. Lo faremo scomparire e io sarò della partita con
tutti i miei prahos. La palla di moschetto l'ho sempre nel petto.
- Ecco ciò
che io voleva, amico mio. Quando saremo a Varauni parleremo di più: là
concerteremo il nostro attacco contro l'isola maledetta della Tigre Malese.
Il lord
trasse l'orologio e guardò le ore, mentre Sandokan lo fissava con occhi di
fuoco.
- Sono le
quattro - disse il lord. - Devo recarmi presso alcuni amici onde concertare
qualche bella partita di caccia per la domane. Voi che mi avete detto di essere
forte come una colonna di ferro, potete fare un giro nel parco, dove sarà
probabile che abbiate a trovare Marianna.
Sandokan
sentì un fremito percorrergli le ossa. Una vampa gli salì in volto e sentì il
cuore battere in maniera da credere che volesse spezzarsi. Era quello che aveva
sognato, potersi trovare con lei, da solo a solo, per confessarle forse la
gigantesca passione che lo divorava.
-
Arrivederci, mio bravo amico - disse il lord uscendo.
Il pirata non
aspettò nemmeno che la porta si chiudesse del tutto. In un balzo fu dinanzi ai
vetri della fenestra percorrendo con un solo sguardo da cima al fondo l'intero
parco.
Là, in mezzo
ai fiori, all'ombra dei grandi alberi, accarezzata dal profumato soffio
tropicale, vide lady Marianna seduta o meglio abbandonata su di un tronco di
albero sradicato, muta, pensierosa, colle dita sulle corde della mandola.
Gli parve una
celeste visione: tutto il sangue gli affluì in volto e rimase lì, immobile,
come trasognato, cogli occhi fissi sulla giovanetta rattenendo persino il
respiro. D'un tratto dette vivamente indietro come se un abisso si fosse aperto
dinanzi.
Il suo volto
s'oscurò improvvisamente prendendo una espressione truce, feroce. Un gran
scoppio di riso satanico uscì dalle labbra: sentì per un istante che
ridiventava la Tigre della Malesia.
- E che! -
esclamò egli con una voce che più nulla aveva d'umano. - Non sarei forse più io
il pirata di Mompracem? Sono cangiato adunque io, per sentirmi attratto verso
una fanciulla? Io!... Io!... Che non ho mai provato che gli stimoli del
guerriero e della belva!... Io, che porto il nome di Tigre della Malesia!...
Dimentico forse che la mia selvaggia Mompracem e che tutti i miei tigrotti
m'aspettano per ricominciare le leggendarie imprese di Sandokan? Io,
dimenticherei forse che questa fanciulla che mi affascina, è figlia di quella
schiatta maledetta alla quale ho giurato odio e odio? Dimentico io che le forze
umane di Varauni e di Labuan si preparano per ischiacciarmi?... Via questa
visione, via questi fremiti che non sono degni della Tigre. Spegniamo questo
vulcano che arde nel mio cuore e facciamo sorgere cento e cento barriere
insuperabili fra me e quella visione che mi mette il fuoco nelle vene, fra me e
quella sirena che mi seduce, che mi affascina! Su, su, Tigre! fa udire il tuo
ruggito, divora la riconoscenza che io devo a lei che ha alleviato i miei
dolori e a lui che mi ha curato. Su, va, fuggi da questi luoghi, ritorna a quel
mare che senza volerlo ti spinse su queste coste, ritorna ad essere Sandokan,
il sanguinario e temuto pirata della terribile Mompracem!...
Sandokan così
parlando si era rizzato dinanzi ai vetri coi pugni chiusi, tutto fremente,
tutto fuoco. Gli parve essere diventato un gigante, gli parve vergogna d'aver
un sol istante amato, e gli parve di udire le urla dei suoi tigrotti che lo
chiamavano alla pugna e di fiutare odor di polvere. Volle dare indietro, volle
fuggire, ma non fu capace di muovere un passo. Egli rimase là, inchiodato
dinanzi la fenestra come che una forza sovrumana ve lo tenesse cogli occhi che
parevano schizzare dalle orbite, fissi sulla giovanetta: il pirata, la Tigre,
tornò a diventare uomo e per di più amante!
- Marianna!
Marianna!... - esclamò egli e alla invocazione di quel nome tutta la sua ira
per quella figlia d'Inghilterra svanì. Si era allontanato passo passo dalla
fenestra nell'istante che era ridiventato l'antico pirata di Mompracem; egli
tornò ad avvicinarsi cozzando il capo contro i vetri.
Le sue mani
si portarono involontariamente sul bottone: esitò un momento senza fiatare,
senza staccare gli occhi dalla giovanetta che non sospettava nemmeno di essere
spiata, poi con rapido gesto, ma senza far rumore, aprì la fenestra e si sporse
all'infuori.
Un buffo d'aria
tiepida e profumata penetrò nella stanza. Respirando quegli effluvi provenienti
dai fiori di lei, sentì inebbriarsi, sentì ridestarsi più forte che mai quella
passione un momento prima soffocata, si sentì suo malgrado vinto.
Le sue labbra
lanciarono avidamente un bacio nell'immensità dello spazio e i suoi occhi
cercarono scorgere il bel volto di Marianna semi-nascosto fra le ombre dei
grandi alberi.
Il pirata
l'ammirò in silenzio, fremente, anelante, trasognato. La febbre lo assaliva, si
sentiva il fuoco scorrere per le vene e guizzare in tutte le parti del corpo e
fiammeggiare nel cuore; gli pareva che nubi di fuoco scorressero dinanzi ai
suoi occhi, in mezzo alle quali brillava la divina figura di Marianna.
Una pazza
idea s'impadronì di lui. Misurò l'altezza che lo separava dal giardino, come la
tigre misura lo slancio per avventarsi sulla preda, e quantunque superasse i
dodici piedi, guadagnò il davanzale e saltò fra le aiuole.
- Bisogna che
la veda ancora una volta, una sola - mormorò egli quasi fuori di sé. - Voglio
godere ancora quella felicità che io provavo presso di lei... vederla ancora,
poi me ne andrò. Fuggirò senza dirle una parola, come un ladro che ha paura di
essere preso... me ne ritornerò al luogo donde sono partito, alla mia Mompracem...
nella mia isola fra i miei pirati. Se rimanessi la febbre mi abbrucierebbe...
non sarei più io la Tigre, non sarei più libero... Orsù, ancora una volta, poi
seppellirò quel nome a me tanto caro e quei ricordi, e ritornerò Sandokan.
Il pirata,
senza fare più rumore di un serpente si mise a strisciare verso lei che volgeva
il capo. Si avanzava con gli occhi infuocati fissi su lei, aspirava colla
voluttà di un orientale le emanazioni dei fiori che parevano l'alito di lei, si
inebbriava in mezzo a quelle piante, in mezzo a quelle aiuole.
Era allora a
dieci passi dalla giovanetta, nascosto dietro a un albero, quando la vide
muoversi, agitarsi, alzare il volto verso il cielo, poi nascondersi il volto
fra le mani.
Ella rimase
per qualche tempo così, come assorta in dolorosi pensieri, poi le sue mani si
portarono sulle corde della mandola, e la sua voce vibrante, dolce,
carezzevole, improntata di una viva tristezza risuonò sotto le grandi volte di
verzura destando gli echi delle foreste, aleggiando al disopra dei fiori che
parevan piegare gli steli.
Il pirata,
nell'udirla, credette essere in preda a un sogno. Tutti i suoi progetti di fuga
sfumarono come per incanto, e rimase come inchiodato dietro l'albero, spiando i
più lievi movimenti, porgendo attento ascolto a quella voce che scuoteva le sue
fibre, che lo trasportava in un nuovo mondo.
- Resterò! -
esclamò egli. - Resterò! Dovessi sacrificare il mio nome e la mia potenza!...
Poi, senza
aspettar altro, delirante, si mise a fuggire attraverso i viali con passo rapido.
Giunse sotto
la fenestra e con un balzo guadagnò il davanzale. Aveva paura di non sapersi
più padroneggiare, aveva paura di fuggire abbandonando quei luoghi che
cominciava ad amare.
Era appena
entrato che lord James capitò. Era più sorridente del solito.
- Amico mio,
sapete cacciare la tigre? - domandò egli al pirata.
- La tigre! -
esclamò Sandokan come non comprendesse il significato di quella domanda.
- E che, non
usate cacciare la tigre voi, nella Malacca?
- Sì... sì, è
la mia passione - rispose il pirata.
- Benone,
amico mio. Domani caccieremo la tigre!
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