CAPITOLO
IX
La
caccia alla tigre
Durante tutta
la sera Sandokan non si era fatto vedere, né da lei, né dal lord, accusando di
provare un po' di sfinimento e una violenta emicrania, il che non gli avrebbe
impedito alla domani di trovarsi fra i primi a cacciare la tigre. Non era che
una scusa per trovarsi solo; non vi erano emicranie di sorta per lui che non le
aveva mai provate, né sfinimenti; sentivasi più forte che mai. Voleva esser
solo, per prepararsi per la caccia cui egli riguardava ben sotto altro scopo.
Era turbato dopo gli avvenimenti della giornata, che gli avevano aperto un
nuovo avvenire, che l'avevano spinto su di una nuova via, che avevano cangiato
la Tigre della Malesia, forse prossima a lasciare per sempre quei mari che
aveva bagnati di tanto sangue.
Aveva il
fuoco nelle vene, non sapeva dominarsi più. Arrischiava l'ultima carta prima di
precipitarsi perdutamente in mezzo a una nuova avventura, che per lui era la
vita.
Egli girò e
rigirò attorno la stanza come una belva rinchiusa nella sua gabbia, cercando
allontanare quella visione che lo seguiva passo passo nell'ombra, che gli
sussurrava nuove parole, che lo affascinava suo malgrado: poi si arrestò, come
poche ore prima, dinanzi alla fenestra che guardava sul giardino come in preda
a un sogno, e guardò senza sapere il perché al di fuori.
- Guarda -
mormorò egli cercando rompere le tenebre che avvolgevano il parco. - Guarda!
Qua la felicità, qua una vita nuova, qua lei e laggiù Mompracem, una vita
d'avventuriere, una tempesta di ferro, del sangue, i miei uomini, il
Portoghese! Quale di queste due vie? Tutto il mio sangue bolle, quando penso a
quella fanciulla che non ho mai veduto nei miei sogni; il fuoco mi serpeggia
nelle vene, entro le quali scorre piombo fuso! Si direbbe ch'io l'amo, che
l'antepongo alla mia vita di uomo sanguinario. Il mio cuore rugge al sol
pensiero che è figlia delle giacche rosse, ma sanguina al pensiero che
io dovessi dimenticarla! Prima era il terror dei mari, prima non aveva mai
provato emozioni, non aveva gustato che sangue e sangue... e ora, non gusto che
lei, non respiro che l'alito di lei, non provo che emozioni per lei. Il mio
mondo è lei!...
Il pirata aprì
la fenestra, aspirò l'aria fresca della notte. La notte era magnifica,
stellata, una notte tropicale; egli sentì il sangue rimescolarsi, turbinargli,
il cuore fiammeggiare. Con un balzo precipitò nel giardino ancor prima che
potesse rendersi conto di quella mossa.
Rimase
incerto, ascoltando lo stormir delle fronde e il sibilar del sangue negli
orecchi.
- Se io
fuggissi? - si chiese egli. - Se io frapponessi fra me e quella visione divina
la foresta, poi il mare, poi... poi dell'odio, perché ha del sangue di loro!
Ritornerei libero laggiù... senza nulla rimpiangere... senza farle conoscere
che io l'amo di già, ancor prima che lei abbia ad amarmi!
Sandokan fece
alcuni passi come avesse preso una risoluzione movendo verso le mura del parco,
poi s'arrestò come lo spavento l'avesse inchiodato al suolo. Gettò uno sguardo
attorno, vide i grandi alberi che parevano messi là per spiarlo, vide quei
fiori il cui profumo lo inebbriava, vide il tronco atterrato dove poco prima
era seduta lei, vide su di esso la mandola poi qualche cosa di bianco. Fece un
passo, due, poi dieci dirigendosi verso quel luogo col passo furtivo di un
ladro.
- Era là -
mormorò egli con voce commossa. - Era là, quella giovanetta affascinante, era
là che cantava ed io ero laggiù a udirla, ebbro, trasognato!... Se io non la
vedessi mai più?... Se io non la udissi mai più?... Se fuggissi?...
Egli girò
nuovamente attorno lo sguardo e lo fermò sulla mandola, presso la quale vide un
oggetto bianco. Egli si avvicinò come spintovi da una forza sopranaturale,
senz'essere capace di staccare da esso gli occhi, e l'afferrò con mano
convulsa.
Era un fiore,
una rosa dei boschi che la giovanetta s'era dimenticata. Il pirata l'ammirò a
lungo come si ammira una cosa sacra, fiutò più volte il delicato profumo che
esalava, la portò alle labbra, la baciò con appassionato trasporto. Stette un
minuto, due, forse tre, così col fiore attaccato alle ardenti labbra, poi lo
nascose nel petto e marciò dritto alle palizzate.
- Andiamo -
rantolò egli. - Tutto sarà finito.
Egli si
arrestò nel momento che stava per pigliare lo slancio e varcarle. Un singulto
gli serrò la gola, un tremore lo prese. Egli nascose il volto fra le mani
mugolando come una belva.
- Ma no! Ma
no!... - esclamò egli. - Non posso varcare questa cinta, non posso allontarmi
da questi luoghi, nol posso, no, nol posso. Che s'inabissi Mompracem e i
pirati, io resterò!...
Egli si era
allora messo a correre pel parco volgendo le spalle alle palizzate, quasi
avesse paura di dover varcarle, e come avesse paura di pentirsi di quelle
parole uscitegli dalle labbra, che erano per lui una sentenza.
Rientrò nella
stanza due ore dopo, trafelato per la corsa, affranto, tutto in sudore, più
cupo che mai. Quando, dopo di aver a lungo esitato, si trovò ancora in quella
stanza dalla quale era fuggito coll'intenzione di non rivederla mai più, un
profondo singhiozzo gli uscì dalle frementi labbra.
- Ah! -
esclamò egli con tono di rimpianto. - La Tigre della Malesia tramonta!...
Egli passò la
notte senza sapere il come, senz'essere capace di chiudere occhio. Solo verso
il mattino poté addormentarsi, ma fu un dormire di poche ore, poiché fu
improvvisamente svegliato da un nitrire di cavalli, da un abbaiar di cani e da
un vociare d'uomini.
Si vestì in
un lampo, aprì la fenestra con precauzione per non essere visto, e guardò.
Sei o sette
cavalieri, armati di fucili, di pistole e di coltelli a doppio taglio, erano
entrati nel parco accompagnati da un branco di grossi cani. Sei, a giudicarli
dalle vesti e dal fare, erano coloni dei dintorni, il settimo era un bello ed
elegante ufficiale di marina, dal portamento altero e aristocratico. Sandokan
guardò quest'ultimo con particolare attenzione, e senza sapere il perché, provò
una puntura al cuore, provò un sentimento quasi direi di gelosia e d'invidia.
La sua fronte
nell'ammirarlo s'aggrottò a più riprese e le labbra si sporsero sdegnosamente.
Ma non aprì bocca e rientrò proprio nel momento che il lord bussava alla porta
gridando:
- In piedi,
amico mio, in piedi che i cacciatori sono arrivati. Non bisogna dormire quando
si vuol scovare la tigre.
Sandokan si
affrettò ad aprire.
- Ah! siete
voi, milord? - diss'egli con voce calma.
- E chi
potrebbe essere mai? Su, spicciatevi che i cavalli sono pronti, i cani abbaiano
impazienti di mordere il pelo della belva, e i battitori sono in campagna. Il
sole fra pochi minuti si leverà.
- Sono
pronto, milord. E vostra nepote rimarrà alla villa sola? - chiese Sandokan
arrestandosi nel momento che stava per varcare la porta della stanza.
- Che dite
mai? Ha nelle vene del sangue di due razze. Non ha paura di una tigre, dovesse
pur esser la più terribile della Malesia. In fede mia, che non se ne
consolerebbe mai più che la si avesse a lasciar sola nel momento che tutti gli
altri cacciano nelle sue foreste; di più, vi dirò, che arde dal desiderio di
vedere un Malese a cacciar una belva sì pericolosa.
- Lei ha
detto ciò! - esclamò Sandokan che non credeva o che non voleva credere.
- Sì amico
mio, e starà in voi a far vedere come caccia un Malese.
- E lo vedrà
milord. Se vi ha una tigre, sarà mia e la pelliccia sarà sua. Sandokan aveva
pronunciato quelle parole con tutto il fuoco suggeritogli dalla passione. Tigre
della Malesia contro tigre di Labuan! Dovevano cadere l'una o l'altra. Avrebbe
ben saputo lui guadagnar la partita sotto gli occhi di Marianna. Egli alzò il
capo con un gesto altero; ricominciava a essere Sandokan.
- Andiamo,
milord, sono con voi. Ardo dal desiderio di trovarmi di fronte a questa tigre.
- Lo crederò
- rispose l'Inglese. - I Malesi godono fama di essere valenti cacciatori, e mia
nepote avrà agio di potersene assicurare coi propri occhi. Sarà contentissima
poi di avere la pelliccia.
Uscirono e
attraversate tre o quattro stanze entrarono in un elegante salotto, tappezzato di
ogni sorta di armi, dove Sandokan aveva solo da scegliere. Fu colà che trovò
Marianna in completo abbigliamento da cacciatrice. Pareva Diana, più bella che
mai, fresca come una rosa dei boschi e nell'attitudine fiera di una cacciatrice
provetta.
Nel vederla,
Sandokan sentì il fuoco serpeggiargli nelle vene. Egli mosse verso di lei con
passo sollecito e strinse fremendo la mano che la giovinetta gli tendeva, e che
avrebbe voluto coprire di baci.
- Voi qui? -
disse ella sorridendo e arrossendosi in una volta. - La ferita è adunque
cicatrizzata?
-
Perfettamente, milady - rispose Sandokan. - Oh! credetelo, la vostra presenza,
la vostra voce, le vostre affettuose cure di cui serberò memoria anche quando
ritornerò nella mia patria, hanno fatto più che tutti gli empiastri dei medici.
Vedete? io mi sento più forte di prima.
- E voi dite
di serbarne memoria anche quando sarete laggiù, nel vostro paese? - domandò la
giovanetta la cui voce tremula scese fino al fondo del cuore di lui.
- Sì... mi
capite, milady. Non mi dimenticherò mai, mai!...
Fra loro due
regnò un breve silenzio intanto che il lord esaminava delle carabine, poi il
pirata cangiando tono e avvicinandosi alla giovanetta che lo contemplava con
tristezza:
- È vero
adunque che verrete a cacciare la tigre con noi, nella foresta?
- Certamente
- rispose con vivacità ella. - Non sono io adunque una cacciatrice? Mio zio ve
lo disse.
- Avete mai
veduto cacciare il terribile animale da un Malese?
- Mai, ed
ecco ciò che aspetto di vedere. Si dice che quelli della vostra razza siano
così valenti.
- Sì, sì,
valenti - rispose Sandokan, che in quell'istante avrebbe lottato con cento
tigri.
- Che
adoperano meglio il kriss che la carabina. Oh! io vorrei vedere tutto
ciò.
Sandokan
trasse il suo kriss dalla cui impugnatura scattò un lampo. Egli lo
mostrò alla giovanetta che sembrava atterrita alla vista di quell'arma sulla
cui lama scorgevansi tracce di sangue.
- Vedete -
disse egli sorridendo, - quest'arma è il nostro più fedele amico, al quale noi
dedichiamo una specie di culto superstizioso. Con essa io ammazzerò la tigre o
io non sarò più un Malese!
- No, no;
potrebbe capitarvi sventura! - esclamò la giovanetta con tale accento che il
pirata ne fremé.
- Voi avete
esternato il desiderio di possedere la pelle della tigre. L'avrete e da me!
Il lord aveva
finita la scelta delle armi e tornava verso di essi.
- Oh! il
magnifico kriss! - esclamò egli vedendo quello che impugnava Sandokan.
- In fede
mia, milord, è una arma ammirabile e di una tempra eccezionale. Non fallì mai,
e meno oggi fallirà la tigre. Io inchioderò la belva come la inchiodava alla
Malacca.
- Con tutto
ciò non rifiuterete una eccellente carabina, che ha abbattuto più di un colosso
delle foreste indiane, un'arma che sarà infallibile come il vostro kriss.
- Certamente,
milord. Potrebbe darsi che una palla di carabina diventasse indispensabile.
Sandokan si
gettò a bandoliera l'arma, l'Inglese ne prese un'altra simile cacciandosi nelle
tasche un paio di corte pistole e Marianna staccò una piccola carabina indiana
incrostata d'argento e di madreperla, sospendendosi per di più un elegante
pugnaletto dal manico dorato alla cintura.
I cavalli
impazienti scalpitavano nel parco, i cani abbaiavano e i battitori si mettevano
allora in campagna. Gl'invitati chiamavano il lord salendo nei piani superiori.
- Andiamo, i
miei compagni ci aspettano. Non sarebbe giusto farci aspettare.
Uscirono. Nel
momento che entravano in un secondo salotto Marianna che era divenuta
pensierosa, si avvicinò al pirata, che le veniva dietro.
- Non commettete
imprudenze colla tigre - diss'ella con voce supplichevole. - Morto voi, e per
cagione mia, non me ne consolerei più!
- Milady... -
mormorò Sandokan con voce soffocata.
- Mi avete
compreso. Non voglio la pelle della tigre; essa mi farebbe paura.
- Non siete
voi che parlate... non potete aver paura di una pelle... voi che venite a
cacciare con noi il terribile animale. Milady, non mettetemi al punto di dover
mancare alla mia parola.
- E se ve
l'ordinassi?... Non vorrei vedervi ferito una seconda volta per cagion mia.
- Non fatelo,
milady! - esclamò Sandokan che non si padroneggiava più. - Sarei capace di
violare la vostra proibizione. Lasciatemi. Là dove la vostra palla fallirà, il
mio kriss ucciderà.
Sarebbe stata
follia voler arrestare quell'uomo che la passione dominava. La giovanetta non
parlò più, ma lo guardò con due occhi nei quali trapelava un dolce rimprovero.
Sandokan la comprese, ma non volle far vista di comprendere; aveva promesso e
la pelle della tigre doveva infallibilmente essere sua.
La comitiva
li aspettava nel salone. Il lord, dopo di averli salutati e dopo che essi
complimentarono la bella cacciatrice, presentò ad essi Sandokan, che si trasse
d'impaccio colla maggior disinvoltura del mondo. Quantunque avesse tutto da
temere da parte degli ufficiali di marina, che potevano averlo riconosciuto
durante il terribile combattimento fra il piroscafo e il prahos, non
tremò, né si smarrì. A ogni modo, nessuno sospettò in lui il terribile pirata e
complimentarono il Malese di Schaja.
Non mancava
che partire. Scesero nel parco dove i cavalli li aspettavano trattenuti da
palafrenieri e dove i bracchi di alta statura e dalle mascelle di ferro
abbaiavano tirando il guinzaglio.
- Andiamo,
signori - disse il lord mentre aiutava sua nepote a salire in sella di un
piccolo cavallo bianco. - La caccia comincia, la tigre si tiene nei dintorni
fuggendo dinanzi ai battitori. Non sarà che colpa nostra, se lasciamo fuggire
un sì superbo capo di selvaggina. Pensate che mia nepote è della partita e che
brama la sua pelle; mi raccomando a voi.
- Non ci
sfuggirà - disse l'elegante ufficiale di marina verso il quale Sandokan provava
un sentimento di gelosia. - Se la mia palla non fallirà avrò l'onore di
presentare la pelliccia a lady Marianna.
- E io avrò
l'onore di pugnalare la tigre ancor prima che la pelle sia stata guasta da una
palla - disse Sandokan guardando fissamente il giovanotto. - Nella Malacca non
si usa rovinare la pelliccia con del piombo.
- A vostro
piacimento - rispose il lord, - guardate però di non farvi ammazzare. La tigre
è un animale che non ischerza.
Il segnale
della partenza fu dato e la cavalcata uscì dal parco in gruppo serrato.
Sandokan, che montava un magnifico cavallo sauro colla spigliatezza di un
cavaliere consumato, si era spinto alla destra della giovanetta, mentre il lord
si teneva alla sua sinistra. Il pirata, calmo ma fiero, determinato a tutto per
pugnalare la tigre ad onta delle raccomandazioni della giovanetta, non
aspettava che l'istante di porsi all'opera. Aveva appesa la carabina
all'arcione e stringeva il kriss.
La foresta
appena fuori dal recinto erasi fatta fitta ma permetteva ai cavalli di avanzare
e di galoppare tenendo dietro ai battitori e ai bracconieri che li precedevano
di cinquecento passi.
Si doveva
circondare la foresta che aveva un'estensione di quasi due miglia, appena che
fosse segnalata la tigre per togliere ogni scampo di fuga e restringersi fino a
imprigionarla nel suo covo o fra qualche gruppo di alberi. Doveva essere là che
si doveva affrontarla, e siccome ognuno non ignorava la resistenza che simili
belve oppongono, si voleva essere riuniti per aiutarsi a vicenda. Era là che
l'ufficiale e Sandokan, l'uno col fucile e l'altro col kriss dovevano
disputarsi la vittoria tenuta fra le unghie del terribile animale.
La cavalcata
percorse un cinque o seicento passi, arrestandosi tratto tratto per non
precedere i battitori che avanzavano prudentemente, e per trovare un passaggio
fra i fitti cespugli spinosi e fra i grandi alberi. Stava per dividersi in due
colonne per meglio tirar innanzi, quando si udì improvvisamente lo squillo
della tromba di John il capo bracconiere.
I cavalieri
si affrettarono a quel segnale ad armare le carabine.
- Animo,
signori, la tigre è stata segnalata - gridò il lord. - Ognuno al suo posto.
Il drappello
si divise quasi subito prendendo differenti vie per accerchiar subito la
foresta. Sandokan si gettò a destra dove lo precedevano mezzi cavalieri,
Marianna si gettò a sinistra non senza prima aver gettato uno sguardo
supplichevole al pirata, che rispose con un cenno della mano. In pochi minuti
ognuno si trovò separato da centinaia e centinaia di metri, gli uni slanciati
fuori dalla foresta, gli altri dietro i cani che abbaiavano sulla pista, e i
più coraggiosi slanciati dietro i battitori, che segnalata la presenza della
tigre si affrettavano a lasciar il varco ai cacciatori.
- A me, ora,
a me! - esclamò Sandokan quando si vide solo. - È tempo di mostrare a
quell'ufficiale che vanta la palla della sua carabina, chi io mi sia. Tigre
della Malesia contro la tigre di Labuan!
Lo squillo di
tromba erasi udito mezzo miglio lontano verso il centro della foresta. Non
esitò un solo istante e cacciati gli sproni nel ventre del cavallo, coll'occhio
in fiamme e il kriss fra le labbra partì alla carriera. Attraversò un
lembo di foresta che tendeva diventare più intricata che mai, una vera rete di durion,
di rotang, di cavoli palmisti, di banani, dove vi era tutta la
probabilità di rompersi il collo. L'attraversò senza arrestare il suo cavallo
che sembrava avere le ali ai piedi, tendendo l'orecchio all'abbaiar dei cani
che seguivano le orme ora ritrovandole fra le erbe ed ora smarrendole. A lui
occorreva trovare la tigre, investendola con quello slancio e quella forza in
lui abituale, pugnalarla pur perdendo un lembo di carne prima che quel cane
d'Inglese avesse a toccarla con la sua palla, e riportare la spoglia
insanguinata a Marianna.
Passò dinanzi
a sei o sette battitori che correvano in preda allo spavento gettando i bastoni
e ponendo mano alle scuri. Egli rattenne violentemente il cavallo che piegò i
garretti gettando un nitrito.
- Dove
fuggite? - domandò egli arrestando uno dei fuggiaschi.
- La tigre!
La tigre! - esclamò egli tentando svincolarsi da quella morsa che stritolavagli
il polso.
- In qual
direzione? Spicciati, negro d'inferno, che mi occorre la pelle! - esclamò
Sandokan.
- Laggiù, in
mezzo a quel gruppo di alberi, presso quel fossato.
Il pirata
lasciò andare il battitore che fuggì dietro ai compagni, raccolse le briglie,
impugnò il kriss e spinse risolutamente il cavallo verso il luogo
additato. Giunto alla macchia formata da una ventina di rotang
fiancheggiati da fitti cespugli spinosi, in mezzo ai quali abbaiavano tre o
quattro bracchi col naso a terra, il corsiero cominciò a impennarsi e recalcitrare.
Un forte odore di selvaggina appestava l'aria, odore particolare alle tigri,
che si mantiene anche qualche tempo dopo che sono passate.
Sandokan
balzò d'arcione, legò il cavallo che continuava a sferrare calci e nitrire,
armò la carabina e dopo aver girato lo sguardo sui rami degli alberi per
assicurarsi che non gli piombasse addosso a tradimento il terribile animale, si
fece strada fra i cespugli.
Quasi subito,
con quell'occhio infallibile d'un cacciatore provetto come era lui, scorse le
tracce della tigre impresse sul terreno umidiccio. Seguì cautamente le orme
accompagnato dai cani, smovendo i rami colla canna della carabina e s'arrestò
dinanzi a un piccolo stagno la cui acqua era stata appena smossa.
- La tigre è passata
di qua - mormorò egli sommessamente. - Non deve essere lontana. Ha fatto
smarrire la traccia saltando di ramo in ramo. Astuzie troppo vecchie, mia cara!
Tornò al
cavallo, risalì in sella e lo spinse innanzi. Non aveva percorso cento metri
che udì la detonazione di una carabina accompagnata da un'esclamazione, che lo
fece trasalire.
Diresse il
cavallo verso il luogo ov'era partito il colpo, e in mezzo a una piccola radura
vide la milady coll'arma ancor fumante in mano. In un baleno le fu vicino.
- Ah! -
esclamò egli frenando a malapena la gioia che traboccava dal suo cuore. - Siete
voi milady?
- E chi
potrebbe mai essere se non io? - rispose la giovanetta, non dissimulando la sua
sorpresa.
- Siete stata
voi a tirare quel colpo di fucile? I miei complimenti per la vostra audacia.
- Non mi
adulate - disse Marianna arrossendo. - Del resto, mi sembrò che la tigre non
fosse stata nemmeno toccata.
- Voi
rimpiangete il vostro colpo, o meglio la pelle della tigre. Ebbene, milady, non
la rimpiangerete a lungo. Dovessi perdere ambe le braccia, io ve la darò.
Sandokan nel
dire queste parole, vi aveva messo tanto fuoco che la giovanetta ebbe paura.
- No!...
No!... - esclamò ella vivamente. - Non commettete pazzie per un capriccio che
esternai nel momento in cui non misurava l'estensione del pericolo. Sapete, che
se io avessi a vedervi nuovamente ferito, e per causa mia, ne avrei rimorso?
Sandokan nel
mentre lei parlava, si era avvicinato ancor più. Si sentiva preso da una strana
febbre, il sangue gli affluiva tutto in viso. Gli parve sognare: egli dimenticò
per un istante la tigre.
- Milady -
diss'egli con vivacità, - che importerebbe se io avessi a perdere un braccio,
quando una volta ferito tornassi a provare quelle care cure che provai, quando
una palla di moschetto mi condusse tra queste foreste, dove voi siete regina?
Che m'importerebbe d'esser mutilato, quando avessi agio di udire ancora la
vostra divina voce, quando respirassi la medesima aria che respirate voi,
quando calcassi il suolo calcato dal vostro piedino, quando potessi ancora
inebbriarmi dei vostri sguardi, dei vostri sorrisi?... Laggiù nelle mie
selvagge foreste non proverei più queste gioie che hanno commosso il cuor della
Tigre... Sentite, milady, io fremo tutto, e il cuore lo sento sanguinare, al pensare
che verrà il dì in cui un abisso sarà scavato fra noi, un abisso che mi
toglierà per sempre la vostra vista.
Egli prese le
mani della giovinetta. La sua voce si commosse stranamente.
- Milady,
milady!... - esclamò egli con iscoppio improvviso. - Guardate, uditemi! La
prima volta che vi ho veduto, ho sentito il mio cuore fremere, battere, e io
che non aveva mai provato le dolci emozioni dell'amore, quel dì le provai!...
Quando udii la vostra voce, sentii il sangue bollirmi, quando respirai il
profumo delle vostre labbra, mi sentii inebbriare, e quando ripenso che verrà
il dì della separazione, mi sento mordere atrocemente il cuore da un lampo di
gelosia, da un lampo di pazzo amore!...
La giovanetta
dinanzi a quell'appassionata ed improvvisa confessione, rimase muta, presa suo
malgrado, da profonda ammirazione per quell'uomo, che ai suoi occhi prendeva la
figura di un eroe. Si sentì commossa.
Il pirata si
era avvicinato ancor più. L'ardente suo alito si confondeva con quello di lei,
il suo volto toccava quasi quello di lei. Egli proseguì con un tono che
scendeva nel cuore dell'orfana come la più dolce musica del mondo e che
attingeva nello sfogo della passione.
- Oh! non
irritatevi, milady, se vi confesso che la follia m'ha preso, che la mia testa
si è smarrita, se io, quantunque figlio di una razza di colore, mi sentii preso
d'ammirazione per voi e che sperai che voi mi avreste amato!...Lasciate che ve
lo dica, che questo amore ha vinto l'inaccessibile cuor della Tigre, il terror
di questi mari; lasciate che ve lo dica, che non sogno che voi, che non vedo
che voi, che dimenticherei patria, amici e parenti per voi; lasciate che ve lo
dica, che per voi mi sentirei tanto forte da pugnare da solo contro mille giacche
rosse!...
«Milady,
volete esser mia? Farò di voi la regina di questi mari, la regina della
Malesia. A un vostro cenno, cento uomini, cento tigri, cui non valgono né
cannoni, né eserciti sorgeranno al mio grido, struggeranno città, massacreranno
i difensori, detronizzeranno e rajah e sultani, per preparare un regno a voi.
Dite tutto ciò che l'ambizione vi suggerirà e voi l'avrete. Ho uomini, ho navi,
ho cannoni, ho oro, sono forte, sono potente. Per voi, nulla mi sarebbe
impossibile!...
Marianna lo
guardò sorpresa, affascinata da quel turbinìo di promesse, da quegli occhi di
fuoco che la fissavano stranamente, da quella voce che trovava nel suo cuore un
eco delizioso. Rimase per qualche istante muta, senz'essere capace di ritirare
le mani che il pirata stringeva con frenesia.
- Ma chi
siete adunque voi? - chiese ella alfine con un tono di voce che fe' trasalire
il pirata.
- Chi io mi
sono?... - esclamò Sandokan. - Non chiedetemelo, milady, non chiedetemelo!
Fra loro
successe un breve silenzio. Sandokan cinse con ambe le braccia la giovanetta e
l'attirò a sé, quasi volesse levarla di sella,
-
Ascoltatemi, milady - diss'egli con cupa voce. - Vi sono delle nubi rosse
attorno al mio nome e delle fitte tenebre che nessuno ardirebbe sollevare; vi
ha del terrore, del terribile attorno a me. Porto un nome che mette spavento,
che è più potente di quello del sultano di Borneo; posseggo tanta forza da far
tremare Labuan stessa!...
- E un uomo
così potente è sceso fino ad amare una povera orfana, una derelitta...
- Non
proseguite, milady, non proseguite! - l'interruppe Sandokan con violenza. -
Queste parole sono un delitto. Vi ho veduto, fui affascinato, ho sentito di
amarvi. Ditemi una parola, lasciate cadere dalle vostre divine labbra una
confessione, dite anche voi che mi amate e farete di me il più felice degli uomini
che vi colmerà di gioie, che deporrà ai vostri piedi un regno.
- È adunque
proprio vero che voi mi amate? - chiese ella con voce soffocata.
- E lo
dubitereste, milady? Vi amo tanto che vorrei morire così al vostro fianco, e
colle vostre mani strette fra le mie. Uditemi, milady: se credete che io non
sia degno di alzare gli occhi fino a voi, se credete che io figlio della
Malesia, io selvaggio che porto un nome lugubre quanto terribile, non possa
aspirare alla vostra mano, mettetemi alla prova. Mi sentirei tanto forte da
sollevare il mondo intero per voi. Parlate, io obbedirò come uno schiavo,
subirò ciò che voi m'imporrete senza un lamento, senza un sospiro. Volete che
io diventi re per darvi un trono? Lo diventerò. Volete che io, che vi amo di
già alla follia, ritorni nella mia patria? Vi ritornerò perché voi me l'avrete
ordinato. Volete che io mi ammazzi dinanzi a voi? Mi ammazzerò perché voi
l'avrete voluto. Parlate: ho la febbre, sento che la mia testa si smarrisce,
sento che il sangue mi arde il cuore e le vene. Parlate, milady, parlate!
- E voi
farete tutto ciò per colei che si chiama Marianna, per l'orfana?
- Sì milady,
lo farei, oggi, domani, sempre!
Vi era un
tale accento di verità in quelle parole, vi era un tal fuoco che la giovanetta trasalì
tutta. Le sue mani si abbandonarono in quelle di lui che le portò alle labbra.
Si sentì affascinata.
- Amatemi -
sospirò ella. - E quando tornerete laggiù, non dimenticatemi troppo presto.
Il pirata
gettò un urlo giammai uscito da gola umana. Nel medesimo istante risuonò una
detonazione a duecento passi lontana, seguita da altre due tirate a egual
distanza.
- La tigre! -
esclamò la giovanetta.
- Sarà vostra
- gridò il pirata e col pugnale nella dritta, gli occhi sfavillanti d'ardire,
delirante, cacciò gli sproni nel ventre del cavallo che partì alla carriera
seguito dalla giovanetta che sentivasi attirata verso quell'uomo che metteva a
repentaglio la sua vita per mantenere una parola.
A duecento
passi lontano vi erano i cacciatori riuniti, in mezzo ai quali si scorgeva
l'elegante ufficiale di marina che si avanzava verso un gruppo d'alberi colla
carabina in mano. Colà abbaiavano sei o sette bracchi ai quali rispondevano i
ruggiti della tigre messa alle strette.
Sandokan si
gettò d'arcione e corse verso di essi. La giovanetta lo seguiva sulla cavalla
bianca con cuor sospeso, pallida, impaurita, ma fiera di veder lui che si
preparava a pagare il debito.
- La tigre!
La tigre! - gridò il lord che caricava la carabina.
- È mia! È
mia! - gridò Sandokan che raddoppiò di velocità.
Pareva una
seconda tigre che sbucasse fra i cespugli. Egli capitò come un lampo fra i
cacciatori, col kriss sollevato, la cui impugnatura percossa dai raggi
del sole, mandava baleni.
- Whu-Pulau!
- gridò la giovanetta che si sentì venir meno.
- La pelle
della tigre! Voglio la pelle della tigre! - urlò Sandokan.
L'ufficiale
di marina lo precedeva di pochi passi. Lo videro abbassare la canna della
carabina prendendo di mira la terribile belva, la quale aggrappata a un
colossale ramo di un albero della canfora colle pupille contratte, gettava
formidabili miagolamenti simili a ruggiti, agitando la coda da destra a manca,
e sollevando la corteccia colle unghie. Pareva pronta a piombare sulla vittima
da essa scelta. Pareva che fosse lì lì per slanciarsi.
Il colpo
partì, ma il fumo non era ancor dissipato che la tigre, senza essere toccata,
attraversava lo spazio cozzando contro il cacciatore che fu atterrato
dall'urto. S'udì un grido di spavento a cui fece eco uno scoppio di risa
sinistre emesso dalla Tigre della Malesia.
Egli, armato
del suo terribile kriss, con un balzo di dieci piedi si era gettato
dinanzi alla belva che stava per ripigliare lo slancio gettandosi sul
semicerchio dei cacciatori. Le due tigri s'incontrarono di fronte, entrambe
ruggenti, entrambe terribili. Fu un lampo.
Il pirata le
si scagliò addosso rovesciandola con forza sovrumana, e prima ancora che la
belva sorpresa da tanta audacia potesse dilaniarlo coi denti e cogli artigli,
l'afferrò per la gola stringendo con tal forza da soffocare i ruggiti. Coi
piedi ne inchiodò al suolo le zampe.
- Guarda!...
Guarda chi io mi sono! - gridò Sandokan fremente.
La lama
serpeggiante del kriss guidata da un braccio d'acciaio si sprofondò fino
all'impugnatura nel cuore della tigre, che cadde ruggendo per non più
rialzarsi.
Un urrah
fragoroso accolse quella caduta. Il pirata illeso, gettato uno sguardo di sfida
sprezzante sul giovane ufficiale di marina, si avvicinò alla giovanetta ancor
muta di terrore e con un gesto di cui sarebbe andato altero un rajah:
- Milady! -
le disse. - La pelle della tigre è vostra!...
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