CAPITOLO
XVIII
Il
pirata e la giovanetta
La notte era
oscura e sempre tempestosa. Il vento ruggiva sotto le oscure boscaglie,
torcendo in mille guise i rami, strappando le foglie, piegando o sradicando gli
alberi e la folgore guizzava fra le nubi accompagnata da formidabili tuoni. Era
una vera notte d'inferno, propizia per tentare un audace colpo di mano sulla
villa, se gli uomini dei prahos vi fossero stati.
I due pirati
battevano rapidamente in ritirata senza curarsi della pioggia, della folgore
che scendeva dal cielo ogni minuto, e degli alberi che potevano fiaccarli nella
loro strepitosa caduta. Preso il sentiero che li aveva poco prima guidati alle
palizzate del parco, si allontanavano con passo silenzioso e quasi furtivo,
senza scambiarsi una parola, ma coll'occhio in guardia e le mani sulle
carabine, dirigendosi all'ovest.
Non volevano
allontanarsi troppo da quei luoghi per vegliare attentamente sulla giovanetta e
sugli Inglesi, ma volevano tuttavia porre una certa distanza fra sé stessi e la
villa per isventare qualsiasi inseguimento e per non correre rischio di essere
scoperti.
Il pirata
camminava innanzi guardandosi dai rami che cadevano a ogni istante spezzati dal
vento che continuava a ruggire tremendamente, dalle frutta che precipitavano al
suolo rimbalzando e spaccandosi e dagli alberi che scossi furiosamente
minacciavano di cadere. Il Portoghese lo seguiva stropicciandosi allegramente
le mani, guardandosi attorno attentamente per non vedersi capitare
all'improvviso addosso qualche giacca rossa imboscata. Questi era
felice, quegli era cupo, quantunque gli avvenimenti della notte fossero stati
tutt'altro che disgraziati, come avevano creduto che potesse essere.
Il povero
ammalato si ritirava colla morte nel cuore, contando i passi che
l'allontanavano dalla sua cara Perla, come li aveva contati prima, quando si
avvicinava pieno di speranza, di timore, di passione e di gelosia. Gli pareva
che, ritirandosi, un lembo nel cuore gli si staccasse.
Era evidente che la Perla era ancora alla villa, che
il baronetto non l'aveva rapita, poiché quelle sentinelle appostate attorno
all'abitazione non vi sarebbero state se la giovanetta fosse stata portata via.
Ma sapere che lei era ancora là, non bastava pel povero innamorato, che aveva
sognato di vederla, di parlare e, più ancora, che aveva sognato di rapirla. Era
poco per quell'uomo che amava alla follia, per quel selvaggio che per vederla
aveva sfidato tanti e tanti pericoli, avventurandosi in quei luoghi dove da
ogni cespuglio poteva partire una palla e freddarlo, e che per farla sua aveva
giurato di sacrificare il suo nome, la sua gloria e, se ce ne fosse stato
bisogno, anche l'ultimo dei suoi compagni, l'ultimo dei suoi cari tigrotti, che
riguardava come suoi fratelli, più ancora, come suoi figli.
- Oh! -
esclamò egli. - Potessi almeno questa notte vederla, potessi almeno questa
notte stringerla fra le mie braccia e rapirla, rapirla dalle mani dei maledetti
che la tengono prigioniera!
Egli mandò
fuori un profondo sospiro che pareva un rauco suono. Il Portoghese che gli
veniva dietro l'udì.
- Che! Che
hai fratellino mio da sospirare? - chiese egli sorpreso. - Per mille spingarde!
Tu puoi essere contento di questa notte.
- Non del
tutto, Yanez - rispose il pirata. - Sperava di poterla, dopo tanti giorni,
rivedere.
- Tu esageri,
Sandokan; non sono ancor quattro o cinque giorni che l'hai lasciata. E poi, che
vale vederla questa notte quando domani saprà che tu ronzi nei dintorni vegliando,
e che domani a notte darai la scalata. Allora fratello mio, potrai parlare a
tuo agio, e fors'anche strappar quella maledetta inferriata.
- Ma come
vorresti tu che io salga, quando vi sono delle giacche rosse in agguato?
E poi credi tu, Yanez, che il lord non istia in guardia? Dal momento che degli
uomini vegliano, è segno che hanno paura di noi, e chi sa, forse hanno saputo
qualche cosa della spedizione.
- Oh! Oh!
Ecco che la faccenda diventa seria, fratello mio, e che tu ragioni meglio di me
quantunque tu sii pericolosamente ammalato. È evidente che sospettano una
nostra visita su queste coste, però ho molte speranze per credere che tu darai
la scalata senza troppi impicci. Vedi, Sandokan, la notte ventura non sarà
certamente migliore di questa.
«L'elettricità
si dice che addormenti, e che il vento faccia ben presto russare o chiudere gli
occhi, un magnifico espediente per rendere ciechi e sordi gli uomini di
guardia. Noi siamo gente che non va soggetta a simili debolezze, e ne
approfitteremo a meraviglia. Varcate le palizzate, striscieremo come serpenti e
ci accosteremo alle giacche rosse: dieci dita attorno alla gola, un
bavaglio onde non abbiano a urlare, una corda per renderli impotenti, e poi
all'opera. Darai la scalata senza essere disturbato; tu parlerai e io veglierò.
Lo vedrai, fratellino mio.
- Sei ora tu,
Yanez, che corri troppo - disse Sandokan che si provò a sorridere a quelle
magnifiche idee del bravo Portoghese. - Se lei domani non uscisse nel parco? Se
lei ignorasse che noi siamo qui?
- Uhm! - fe'
il Portoghese, socchiudendo gli occhi. - La partita sarebbe perduta, Sandokan;
a proposito, giacché parli di fiaschi, mi viene in capo un'altra idea.
- Quale? - domandò Sandokan arrestandosi nel momento
che un albero schiantato precipitava a terra.
- Bada bene
dove poni il piede e osserva i mariuoli della foresta, Sandokan. Potrebbero
schiacciarti, né più né meno di un babirussa. Una vera fortuna per le giacche
rosse e in ispecie pel baronetto William.
- Taci,
Yanez, taci! - esclamò Sandokan che sentì la gelosia mordergli atrocemente il
cuore.
- Bene, non
parliamone; tu diventi la Tigre, quando odi quel nome. Parliamo d'altro, se
vuoi, della mia idea per esempio. Sai, Sandokan, che io ho paura che gl'Inglesi
abbiano trovato la nostra carta e che questa notte ci tendano un agguato? Non
ti sembra cosa possibile?
- Potrebbe
darsi - disse seccamente il pirata. – È chiaro, che se gl'Inglesi troveranno la
carta, circonderanno il parco per prenderci dentro. Ma vorresti tu per questo
rinunciare di recarti laggiù alla villa? Oh! Io vi andrò, fossi sicuro che
cento giacche rosse mi aspettano colle carabine montate.
- E io verrò
con te, Sandokan, te lo assicuro, purché non abbi a commettere imprudenze e
galoppare come ier notte che pareva che tu fossi diventato pazzo.
- Ah! Tu
verrai adunque?
- Cospetto! È
roba vecchia. Ma se tu ti metti a urlare e diventi pazzo, ti avviso che volto
le spalle e lascio che tu vada a farti ammazzare solo.
Il pirata
sorrise.
- Sarò
prudente - diss'egli. - Purché abbia però a vederla e a parlarle.
- La vedrai e
le parlerai. Lascia che ti conduca io, e ogni cosa andrà bene.
Avevano
percorso allora un miglio e più, ora seguendo un sentiero, ora un altro, e ora
cacciandosi in mezzo ai boschi per far perdere le loro traccie nel caso che
agli Inglesi saltasse il ticchio di seguirle. Sandokan, stimando essere la
distanza più che sufficiente per non venire scoperti, si arrestò.
Tagliate tre
o quattro gigantesche foglie d'arecche e sovrappostele a due bastoni messi
orizzontalmente, in maniera da formare un tetto, vi si cacciarono tutti e due
sotto coricandosi in mezzo a folte erbe a mala pena umide.
- Odi questo
fragore? - chiese Sandokan dopo qualche istante di silenzio.
- Sì - rispose
il Portoghese. - Deve essere una raffica che sta per capitare.
- No, è il
mare, Yanez. Orsù, con simile tempo non è possibile che i prahos possano
approdare: dormiamo. Chi sa che domani Giro Batoë e Paranoa non sieno al fiumicello.
I due pirati
accomodatisi alla meglio, chiusero gli occhi e mentre gli elementi si
scatenavano al di fuori curvando tutte le foreste, si addomentarono, non
ostante la umidità che li irrigidiva.
La notte non
fu senza dubbio buona con tutto quel diavolìo, con quei ruggiti ognor più
formidabili del vento, quei crepitii degli alberi schiantati ruinanti al suolo,
quel gemere dei rami contorti e quella pioggia che non cessava dal cadere,
trapelando anche fra le foglie della misera tettoia. Tuttavia i due pirati
dormirono della grossa e si svegliarono a ora assai tarda, verso il mezzodì,
nel momento in cui la tempesta, dopo di aver raggiunto la massima intensità,
cominciava a scemare.
- Andiamo,
Yanez - disse Sandokan dopo di aver rinnovato per precauzione la carica della
carabina. - Abbiamo dormito abbastanza e il fiumicello non deve essere troppo
vicino.
- Credi tu
adunque che il prahos di Paranoa abbia approdato? - chiese Yanez.
- Non ho
speranze; la tempesta infuriò tutta la notte. Chi sa dove il povero legno fu
trascinato. Tuttavia andiamo al fiumicello.
- Il povero Paranoa senza dubbio è ancora lontano, e
forse sta lottando coll'uragano. È difficile poter approdare a qualche costa
con simile tempo.
- Lo so, Yanez.
- Sentiamo,
Sandokan, e se non tornasse mai più? Se si fosse annegato? Corpo di una
spingarda! Sai che le cose cominciano a volgere alla peggio e che la stella di
Mompracem comincia a tramontare?
- Sì,
comincia a tramontare e sarò io che, per Marianna, la farò scomparire per
sempre.
- E non ti
sgomenti?
- Sgomentarmi?
Ah! se tu sapessi, Yanez, quale strazio io provo, quando penso che verrà il dì
in cui la mia fama perirà, quando penso che il mio nido rimarrà deserto, la mia
isola diverrà muta e che non rivedrò più mai questi mari che chiamavo miei!...
Io, la Tigre, il pirata, non rivederli più mai questi mari!...
«Oh! Questo più
mai mi si arresta alla gola come una palla di cannone e mi strazia
atrocemente il cuore!... Eppure la tremenda parola uscirà quando la giovanetta
comanderà alla Tigre.
- Se tu non
fossi gravemente ammalato, ti direi: vieni, Sandokan, fuggiamo da questi
luoghi, andiamo a piantar radici su di un'altra isola dove non possa giungere
il nome di Marianna.
- Mai! Mai!
Yanez! - esclamò il pirata. - Cada Mompracem, s'oscuri la mia gloria, si
disperda il mio nome, mi si strappi e il mio mare e l'ultimo dei miei tigrotti,
ma dimenticare lei, abbandonarla, mai!
- Lo so, che
tu sei stregato, che tu sei innamorato morto, che è impossibile fartela
dimenticare quella donna. Orsù, non parliamone più, dove è il fiumicello?
- Deve essere
laggiù.
- Tiriamo
innanzi allora, e cerchiamo di tenerci in mente la via che percorriamo. Vi ha
della distanza da qui alla villa, e questa notte, colle tenebre, si potrebbe
smarrirsi.
- Non aver
paura, Yanez. Saprei trovare la via che mena alla villa a occhi chiusi. Vi ha
una stella che brilla sulla palazzina: la mia.
La foresta
andava a poco a poco diradandosi, lasciando il posto a piccole radure in mezzo
alle quali sorgevano avanzi di capanne d'indigeni. Il pirata riconobbe quasi subito
quei luoghi, quantunque li avesse percorsi correndo e delirante, e allungò il
passo fino a che giunse alla piccola palude. Si arrestò un momento cercando un
passaggio, e l'attraversò conducendo il compagno sul medesimo luogo dove
avevano approdato i prahos nella prima spedizione alla malaugurata
isola.
Vi si
vedevano ancora le traccie lasciatevi dal secondo prahos, quando
respinto e semi-spezzato era venuto a rifugiarsi per subire le riparazioni. Qua
e là si vedevano ancora bombe, moschetti spezzati, scimitarre e scuri infrante,
cordaggi, lembi di tela, rimasugli d'attrezzi e pezzi di murate.
Sandokan,
gettato un cupo sguardo a quegli avanzi, che gli rammentavano la sua prima
sconfitta, si spinse fino al fiumicello. Guardò verso la foce, ma era deserta;
solo il mare si frangeva sui banchi e sulle scogliere lottando contro la
corrente.
L'avevano preveduto. La tempesta che continuava a
infuriare dal sud non doveva aver permesso al povero legno disalberato di
trovarsi in quel luogo. Forse, se non era naufragato, a quell'ora poteva essere
ancora rifugiato o alla baia di Kimais o nelle cale dell'isoletta Pulo Tiga.
- Poveri
compagni - disse Yanez con sincera commozione. - Forse essi rimpiangono il
momento di non aver naufragato a Labuan. Se la maledetta tempesta cessasse o
girasse al nord!
- Credi tu
che giungerebbero in tempo per riunirsi ai prahos di Giro Batoé? -
domandò Sandokan.
- Non ne ho
speranza, fratello mio; arriveranno sempre tardi, se non saranno di già annegati;
e tu, Sandokan, hai calcolato su Giro Batoé? Ne sono certo che ormai avrà preso
il mare, ma non so quando potrà approdare con simil tempesta. Io temo che abbia
a trovarsi ben impacciato. Una suposizione: se non giungesse più?
- Se non
giungesse più! - esclamò Sandokan che provò un brivido al solo pensarlo.
- Potrebbe
darsi. Due prahos non veleggiano troppo bene colla tempesta e le
collisioni non sono difficili accadere quando gli elementi sono in collera. Se
essi naufragassero?
- Taci,
Yanez, io non lo crederei mai! - rispose il pirata che sentì grosse gocce di
sudore imperlargli la fronte.
- Ma infine,
si potrebbe ammetterlo. Non siamo già noi i padroni degli elementi. Che faresti
tu, Sandokan?
- Io? Ebbene,
Yanez, in tal caso la rapirò senza i loro aiuti!
Il Portoghese
crollò il capo, ma non lo contrariò. Sapeva che sarebbe stato più facile
arrestare con una palla un piroscafo che arrestare la passione di lui. Egli
cangiò discorso e accennando il fiumicello:
- È qui,
Sandokan, che tu hai approdato, quando venisti per la prima volta a Labuan?
- Sì, qui -
rispose il pirata, che aggrottò la fronte. - Allora ero la Tigre, non avevo
visioni dinanzi agli occhi, non avevo passioni nel cuore, non avevo catene
attorno le braccia. Mi hanno battuto, ci siamo difesi ma ben terribilmente
difesi contro l'incrociatore che ci sfidava. Mi hanno ferito, e quella palla,
che conservo ancora nel mio petto come un ricordo di essi, mi ha condotto tra
le braccia della giovanetta. Ho ben ragione di dire che quella palla ucciderà
per sempre la Tigre!
- Rimpiangi
adunque quella sconfitta e quella palla, Sandokan? - domandò il Portoghese.
- No, Yanez,
no! - rispose Sandokan con voce rauca. - Non la rimpiangerò mai!
Il pirata
discese fino alla riva seguito dal compagno, e dopo di aver contemplato per
qualche tempo la corrente e la circostante foresta come per rammentarsi degli
avvenimenti di quella giornata, si diresse verso il mare poco distante
additando al Portoghese alcuni alberi violentemente schiantati e forati dove vi
si vedevano ancora le tracce delle palle di cannone del piroscafo.
- Egli tirava
alla foresta - disse Sandokan che diventava più cupo man mano si avvicinava
alla spiaggia.
Si arrestò un
istante colle braccia tese verso il luogo dove era avvenuta la tremenda pugna
fra il prahos e l'incrociatore, percorse tre o quattro volte con passo
agitato la costa avvicinandosi ai banchi e alle scogliere contro le quali
muggiva e rimuggiva il mare e finì col sedersi sul tronco di un albero
atterrato, colla testa stretta fra le mani e gli occhi fissi su quelle acque
irritate, quasi volesse cercare ancora un vestigio dei due legni affondati dal
fuoco dell'incrociatore o qualche traccia del suo valoroso equipaggio forse di
già completamente divorato dagli squali.
Il Portoghese
lo lasciò assorto nelle sue meditazioni e andò frugando fra le scogliere
cercando qualche ostrica gigante di Singapura. Non andò molto che ne trovò una
simile a quella trovata da Sandokan quand'era ferito, e la riportò alla
spiaggia dopo di aver corso venti volte il pericolo di essere portato via dai
colpi di mare.
Accendere il
fuoco ed aprirla, fu per lui l'affare di un momento.
- Orsù,
fratello mio, lascia i prahos sott'acqua e i morti in bocca ai pesci -
diss'egli. - Vieni a dare un colpo di dente a questa tenera polpa e un altro a
questi durion che hanno una polpa che pare crema. Ai morti vi penserai
più tardi.
- Hai
ragione, Yanez - rispose Sandokan sforzandosi, ma invano, a sorridere.
Il pasto fu
fatto in silenzio e rapidamente a pochi passi dal mare, dopo di che seppellito
il rimanente dei viveri, per preservarli dal dente degli animali o da quello
degli indigeni, si rimisero in cammino sotto le foreste dirigendosi alla villa.
Potevano
essere le cinque di sera. Il tempo era più che sufficiente per arrivare
all'appuntamento, ma volevano trovarsi prima che l'oscurità fosse perfetta per
prendere certe misure di precauzione giudicate indispensabili.
Sapevano di
giuocare una carta pericolosa, dove una inavvertenza poteva venire corrisposta
a buoni colpi di carabina, e si sa che le palle non rispettano nemmeno
gl'innamorati, come non rispettano i coraggiosi.
Giunsero nei
dintorni della villa, avanzando con l'occhio e l'orecchio in guardia, spiando
prudentemente i cespugli che potevano nascondere qualche giacca rossa, porgendo
attento ascolto a tutti i rumori della foresta, allo stormire delle foglie,
allo spezzarsi dei rami, agli urli delle belve. Essi s'imboscarono a duecento
passi dalle palizzate nel mezzo di una folta macchia, aspettando la notte.
Dal luogo ove
si trovavano, era facile vedere ciò che poteva succedere nel parco e nella
palazzina. Sandokan poté distinguere il lord a una delle fenestre assieme ad un
ufficiale inglese, e gli parve anche veder lady Marianna col volto appoggiato
alle sbarre di ferro, ma non si mosse e frenò l'impazienza e i timori che
l'assalivano. Il Portoghese dal canto suo, arrampicandosi come una scimia su di
un albero tenendosi nascosto nel fogliame, vide altre sei o sette giacche
rosse passeggiare nel parco e accanto al padiglione una sentinella armata
di fucile con baionetta inastata.
- I maledetti
hanno paura - mormorò egli all'orecchio di Sandokan dopo di essere disceso. -
Vegliano bene.
- Non monta, Yanez, chi sa che tutti quei soldati non
sieno che semplici invitati?
Infatti
qualche tempo dopo, prima che l'oscurità fosse completa, il Portoghese
dall'alto dell'osservatorio vide un drappello di sedici o diciotto soldati
abbandonare la villa. Cercò guardare ove si dirigessero, ma non poté
indovinarlo. Essi scomparvero sotto la foresta dopo di aver fatto un ultimo
saluto al lord che si affrettò a rientrare.
L'oscurità si
accrebbe qualche ora dopo tanto di impedire di scorgere gli alberi a venti
passi lontano. Verso la mezzanotte, i due pirati, che si erano tenuti nascosti
sotto la macchia contando minuto per minuto, si alzarono.
- Andiamo! -
disse Sandokan che non sapeva più dominarsi. - Andiamo, Yanez, che sono tutto
fuoco!
- Hai notato
tu la sentinella che si tiene presso il padiglione? - domandò il Portoghese
arrestandolo.
- Sì, l'ho
notata, ma la spaccieremo. Io ho le mie corde, tu hai il bavaglio. Vieni,
Yanez, ho la febbre; il delirio mi prende.
Attraversarono
i duecento passi e giunsero alle palizzate del parco come la notte precedente.
Il Portoghese le varcò pel primo; guardò sotto gli alberi e fra le aiuole
porgendo orecchio al fischiar del vento che scuoteva il fogliame, poi
rassicurato che nessuno vegliava lì vicino, si lasciò cadere dall'altro lato.
Sandokan lo raggiunse subito dopo, e si nascosero sotto la fitta tenebria degli
alberi cacciandosi fra i cespugli.
- Il nemico
dorme - disse il Portoghese all'orecchio di lui, che si frenava a gran pena.
- Vedi nessun
lume, vedi nessuna ombra alla fenestra di lei? Io sono diventato cieco.
- Fa troppo
oscuro per veder qualche cosa. Andiamo, Sandokan, silenzio e prudenza innanzi a
tutto.
Si misero a
camminare senza movere le foglie, a passi furtivi, tenendosi nascosti dietro ai
tronchi d'albero e ai cespugli, strisciando fra le aiuole, facendo meno rumore
di un serpente. Essi giunsero così fino a cento passi dal padiglione dove se ne
stava la sentinella mezza addormentata sulla sua carabina.
D'un tratto
Sandokan si arrestò e vacillò come un bue sotto la mazza del beccaio. Aveva
veduto una forma bianca appoggiata alle sbarre di ferro di una fenestra e che
tendeva le mani verso di lui. Tutto il sangue gli affluì alla testa.
- Marianna!
Marianna! - mormorò il pirata giungendo le mani verso la forma bianca che
pareva un'ombra.
Egli, l'uomo
che aveva sfidato cento volte la morte, che era vissuto fra il sangue e le
stragi, in quel momento supremo ebbe paura ma questa durò un lampo. Si rizzò
coll'energia della tigre, gettando un sordo ruggito che era un appello alle sue
forze, e cacciandosi in mezzo ai cespugli senza muoverli, coll'occhio in
fiamme, i capelli irti sul capo, colla febbre addosso, il fuoco nell'anima,
strisciò verso il padiglione sempre seguito da Yanez che non fiatava.
Egli sorse
alle spalle della sentinella semi-addormentata come uno spettro e in un baleno
l'atterrò chiudendogli la bocca con una mano, mentre coll'altra gli serrava la
gola con tal forza che nessun gemito uscì dalle labbra. Il Portoghese era là.
Sei pollici di lama nel cuore e la sentinella passò dalla vita alla morte senza
emettere un sospiro.
Il pirata gettò
un urlo di gioia soffocato e si lanciò verso la palazzina. Trovò una fune a
nodi sotto le sue mani e mentre che il Portoghese si appostava accanto al
cadavere, si mise a salire con tutta la rapidità infusagli dalla passione. Egli
giunse al balcone senza quasi sapere il come e sentì due braccia che sporgendo
fra le sbarre lo circondarono sorreggendolo. Gli si rimescolò tutto il sangue.
- Sei tu
Sandokan? - chiese una voce che lo scosse fino al fondo dell'anima.
- Marianna!
Marianna! - mormorò egli, coprendo di baci le mani della giovanetta. -
Finalmente ti vedo! Tu sarai mia, non è vero?
- Tua,
Sandokan, in vita e in morte - mormorò la giovanetta, ebbra d'amore. - Non mi
aveva adunque ingannato il mio cuore, quando batteva di speranza e mi diceva
che tu saresti venuto. Ah! Sandokan, quanto ho sofferto!
- E io, amor
mio, credi tu che non abbia sofferto? Sento ancora il cuore che mi sanguina, la
gelosia che mi rode, sento la febbre che mi divora. Marianna! Dal giorno che
sono fuggito inseguito come una belva dai tuoi, cacciato di foresta in foresta,
moschettato, sciabolato, ho tanto sofferto laggiù nella mia isola selvaggia,
che mi domando ancora se quelle sofferenze furono un sogno. Credo di aver
compiuto miracoli per isfuggire ai miserabili che volevan bere il mio sangue, e
per ritornare alla mia Mompracem. Quando ho udito per la bocca di un
prigioniero che tuo zio ti vendeva al baronetto, sono partito senza indugiar un
istante. Ho affrontato la tempesta, ho affrontato gl'incrociatori, ho corso
mille pericoli, ma che importa quando sono giunto qui e che ti vedo?
- Sandokan!
Sandokan! - mormorò la giovanetta incrociando le mani attorno al collo del
pirata.
- Ascolta,
Perla di Labuan - disse Sandokan stringendola contro le sbarre di ferro che
avrebbe voluto svellere a onta della loro grossezza. - Tu sei prigioniera nelle
mani di loro, ma io ti libererò dovessi porre Labuan a ferro e a fuoco. Non ho
che mio fratello, il Portoghese, il buon Yanez, oggi, ma domani i miei uomini
approderanno: quaranta tigri che al mio grido si getteranno sulla casa e io ti
porterò meco ove tu vorrai.
La giovanetta
ebbe paura. Lo guardò con ispavento accostando il suo volto a quello di lui.
Due lagrime, due perle, caddero sulle labbra del pirata che sentì il cuore
sanguinargli a quel contatto.
- Non
piangere, Marianna, io vorrei ricambiare quelle lagrime con goccie del mio
sangue. Non aver paura, amor mio, ti libererò e berrò il sangue dei miserabili
che ti hanno rinchiusa fra queste sbarre di ferro.
- Ho paura,
Sandokan. Perché venire su queste coste dove ti si spia, dove ogni cespuglio
nasconde un nemico, dove si veglia giorno e notte? Io fremo tutta a pensare a
tanta audacia e tutto per me!
- Per te,
Marianna, io vorrei fare cento volte di più di ciò che feci. Che importa a me
se il nemico anela il mio sangue, che importa a me se egli mi spia o mi
ferisce, quando ti ho veduta, quando ti ho stretta fra le mia braccia, quando
mi sono inebbriato dei tuoi sospiri? Posso io aver paura quando tu mi aspetti e
mi ami poiché giurasti d'amarmi? Dillo, Marianna, posso aver paura?... Anima
divina! Avrei sfidato cento volte la morte per trovarmi qui, questa sera,
sospeso ad una fune, diviso da sbarre di ferro, ma fra le tue braccia!...
- E se ti
sorprendessero? Dio mio, che sarebbe mai di me se avessero ad ucciderti!
- Oh! Non
parlare così, non dire queste parole Marianna! - esclamò Sandokan. - Vi ha
qualcuno che mi protegge.
- Chi?
- Che ne so
io? Dio, Maometto o il diavolo, so che qualcuno veglia sulla Tigre della
Malesia. E poi, che importa se questa invulnerabilità venisse meno e mi
assassinassero, quando morrei stretto fra le tue braccia? Guarda, quando saliva
questa fune, sulla cui cima m'aspettava la Perla di Labuan, mi pareva salire in
paradiso.
La giovanetta
si sforzò a sorridere.
- Non illudermi,
Sandokan. Tutti in questa villa hanno sete del tuo sangue.
- Lo so, ma
nol berranno, te lo giuro Marianna. Non aver paura, che la sentinella è morta e
che Yanez, il mio buon fratello, veglia sotto i miei piedi. Lasciami che io
goda questi momenti di sublime felicità che mi inebbriano e de' quali ho tanto
bisogno dopo tante sofferenze. Ah! Se tu sapessi, Marianna, quanto io ti amo!
Non puoi mai e poi mai immaginarlo. Sento di diventare pazzo dalla gioia, al
pensare che tu fra poco sarai mia, e che mi seguirai sull'isola della felicità,
sull'isola incantata, dove potremo amarci senza paure, senza ansie, senza
pericoli.
- Gli è
adunque vero, mio prode amico, che tu abbandonerai la tua Mompracem, che tu
abbandonerai il mare che tu chiamavi sangue delle tue vene e tutto ciò per me?
- disse la giovanetta. - È vero adunque che tu dimenticherai la fama che tanto
ti fece brillar fra i pirati della Malesia? È vero adunque che tu ti lascierai
incatenare senza un lamento, senza un sospiro?
Qualche cosa
che pareva un singulto uscì dalle labbra del pirata.
- Sì,
creatura celeste, sì abbandonerò tutto, mi lascierò incatenare senza lamenti,
senza rimpianti - disse il pirata con veemenza furiosa. - Sì, noi andremo
lontani a godere la felicità che nella mia isola sarebbe impossibile trovare;
sì, noi andremo su di un'altra terra, dove non udrò più né il fragor dei
cannoni né le urla dei miei tigrotti, né più mai il nome della Tigre della
Malesia!... Quel caro nome che un dì andavo orgoglioso di possedere, quel caro
nome che era la mia gloria, la mia potenza, la mia vita!...
Il pirata
chinò la testa sul petto e forse qualche stilla cadde dai suoi occhi. Un
fischio debole, ma abbastanza distinto gli fe' rialzare la testa. Era il
fischio d'allarme di Yanez.
- L'hai
udito, Marianna? - mormorò egli. - L'ora tremenda della separazione è giunta;
mio fratello ha mandato il segnale. Dei pericoli vagano fra le ombre della
notte.
La giovanetta
lo strinse contro i ferri della fenestra. Due lagrime caddero sul maschio volto
del pirata che accostò le labbra a quelle di lei. Il rumore di un bacio risuonò
fra le tenebre.
- Sandokan,
adorato Sandokan! - esclamò la giovanetta mentre i singhiozzi sollevavano il
suo petto.
- Marianna!
- Se non ci
vedessimo più mai?
- Non dirlo,
non dirlo, Marianna. Dimmi, amor mio, che vuoi che faccia; per te mi sento
capace di fare l'impossibile. Vuoi che io rimanga, io rimarrò, vuoi che tenti
infrangere questi ferri che ti tengono prigioniera, io lo tenterò, vuoi che io
dia fuoco alla villa per tentare di rapirti, io lo darò. Parla, la tua bellezza
mi rende pazzo. Mi sentirei capace di espugnare da solo a solo la fortezza!...
- No,
Sandokan, nol farai. Va, noi corriamo pericolo: va, e quando tu sarai tanto
forte da poter lottare coi miserabili che mi tengono prigioniera, verrai a
liberarmi e io sarò tua, tua per sempre... Ah! ecco il terribile momento!...
- Ma tu,
anima divina, vuoi rimaner sola in balìa di essi? No, Marianna, io rimarrò qua
a difenderti!
La giovanetta
l'attirò ancora una volta a sé, bagnandolo delle sue lagrime. Il pirata sentì
un groppo che forse era un singhiozzo montargli alla gola. Il fischio del
Portoghese giunse agli orecchi dei due amanti.
- Lo odi tu,
Sandokan? Vi ha qualche pericolo, va, parti, mio nobile amico; io te lo
comando.
Il pirata
stava per ubbidire, quando un terribile grido risuonò nella stanza. Due mani di
ferro strapparono la giovanetta dalla fenestra facendola cadere sulle
ginocchia.
-
Miserabili!... - urlò una voce furiosa che Sandokan riconobbe per quella del
lord.
- Marianna!
Marianna! - gridò egli tentando risalire all'inferriata.
Non ebbe il
tempo. La corda fu recisa e il pirata abbandonato a sé stesso precipitò
roteando nel vuoto!
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