CAPITOLO
XXI
Attraverso
le foreste
Era tanto lo spavento e la sorpresa causati dal crepitìo
della stufa che ruinava e dalla improvvisa comparsa del terribile pirata e del
suo compagno, che questi, prima ancora che i soldati potessero riaversi, por
mano alle armi e inseguirli, facendo salti da tigri, precipitandosi da un lato
all'altro del sentiero e cacciandosi dietro gli alberi e i cespugli per evitare
le palle, avevano di già varcato le palizzate del parco e si erano messi fuori
di portata.
Avevano
ritrovato le loro gambe da cervi e senza badare agli squilli di tromba che
segnalavano la loro fuga e alle detonazioni inutili si gettarono sul primo
sentiero che si parò loro innanzi, passando rapidi in mezzo ai cespugli, alle
piante e agli alberi sradicati dall'uragano, varcando ruscelli e stagni,
intenti a far perdere le tracce con frequenti ascensioni sui rami e manovre da
scimie sui rotang che tenevano luogo di liane, e a mettere una notevole
distanza fra essi e il nemico che doveva essersi lanciato dietro.
La tromba che risuonava sempre fragorosamente nel
parco e le detonazioni che si seguivano a rapidi intervalli, bastavano per dare
le ali ai piedi. Quei segnali dovevano essere intesi dai cacciatori, e poteva
darsi che più tardi avessero alle spalle il grosso della truppa: bisognava
guadagnar tempo finché ne rimaneva.
La fantastica
corsa durò un'ora senza che l'uno né l'altro parlasse di arrestarsi, sempre
internandosi nel più fitto dei boschi dove i passaggi diventavano difficili,
poi rallentarono la fuga, dopo di aver percorso una distanza che Sandokan non
stimò inferiore a quattro miglia. Un cavallo stesso non ne avrebbe fatto di
più, e cominciarono allora a prendere quelle precauzioni che esige una fuga in
mezzo al nemico che poteva improvvisamente sorgere dietro a ogni cespuglio, a
ogni albero o in mezzo alle erbe, abbastanza alte per nasconderlo.
Ripigliarono
fiato per un minuto, senza scambiar una parola per non consumare le forze così
preziose in quei pericolosi momenti, poi gettate le carabine ad armacollo che
diventavano di grave impaccio, si misero a trottare cercando di fare il menomo
rumore possibile, cacciandosi fra tronchi d'albero così uniti dove sarebbe
penata a passare una tigre, e continuando le evoluzioni aeree che diventavano
ogni istante più indispensabili.
Man mano che
si allontanavano dal parco, la foresta ripigliava la foltezza che caratterizza
le foreste tropicali, dove riesce sommamente difficile trovare un sentiero e
meno ancora radure, che scompaiono in breve tempo sotto l'invasione dei
vegetali.
Dappertutto
alberi e alberi riuniti, mescolati confusamente, gli uni alti, lisci, enormi,
gli altri nodosi, contorti, bassi, che univano reciprocamente i loro rami e
intrecciavano le frondi. Dappertutto fitti cespugli, incassati, stretti, fra
quei bizzarri colonnati, dappertutto radici che potevansi scambiare a prima
vista con giganteschi boa-constrictor, che sbarravano la via rasente
terra, che s'incrociavano in mille guise, alcune descrivendo archi che un
geometra non vi avrebbe trovato di che dire sulla loro esattezza, altre
descrivendo spirali o serpentine o angoli, e in mezzo alle quali vagavano
formiche verdi o nere di sproporzionata grandezza e con mandibole di ferro.
Una vera rete
poi allacciava stretta stretta e cespugli e alberi e radici, formata da rotang
calamus appartenenti alla famiglia delle palme, che si prolungano per più
di cento metri, da gambir uncaria altri arrampicanti sproporzionati e
preziosissimi, e da piper nigrum allo stato selvatico sulle cime dei
quali urlavano battaglioni di feroci scimiotti.
I due pirati,
in mezzo a quella fitta foresta che poteva chiamarsi ancora vergine, dovettero
abbandonare la marcia a piedi per cominciare la marcia aerea. Aggrappandosi a
tutti quei fili di rete, cominciarono la scalata con una sveltezza e agilità da
invidiare le scimie, raggiungendo le più alte cime degli alberi, scendendo e
poi tornando a risalire, moltiplicando così gli ostacoli per gli inseguitori,
che certamente non sarebbero stati capaci di trovarli in quella porzione di
foresta così intricata.
Percorsi un
cinque o seicento passi, dopo di aver venti volte arrischiato di cadere da
altezze che mettevano le vertigini, si arrestarono affranti in mezzo ai rami di
un buà màmplam, le cui frutta, quantunque detestabili pei palati europei
a causa del loro forte sapore di resina, potevano servir a loro di cibo, e che
colle fibre di rotang saldamente intrecciate potevano a loro servire di
amache comodissime e fresche.
- Di' ora -
disse Sandokan quando si fu accomodato - che gli Inglesi ci vengano a trovare.
Sfido tutti i loro dannati cani a venirci scovare.
- Sfido io! - esclamò il Portoghese al quale pareva
ancora un sogno di essere riuscito a svignarsela dal parco. - Sai, fratello
mio, che noi siamo proprio fortunati? Trovarci in una stufa con una giacca
rossa, venire scoperti e prendere il volo sotto il tiro di mezza dozzina di
carabine, tutto ciò ha dell'incomprensibile. Ma dunque, hanno proprio tanta
paura della Tigre?
- Bisogna
crederlo e se vuoi, Yanez, un po' troppo paura per eguagliarmi a uno spirito
che succia sangue e che tiene relazioni collo spirito del male - disse Sandokan
che rideva ancora sui discorsi degli Inglesi. - Non avrei mai creduto di
mettere tanto spavento colla mia sola comparsa a degli uomini bianchi. Orsù, io
son decisamente la Tigre, fino a che rimarrò solo e non manco di fortuna.
Quando penso che mi hanno precipitato da una fenestra perché mi fratturassi le
gambe, che sono sfuggito alle loro moschettate e che mi sono cacciato in una
stufa per prendere il largo quando si preparavano ad assediarmi, incomincio a
credere d'essere uno spirito.
- E io sarò
il primo a crederlo, Sandokan, come lo credono le giacche rosse, che si
sono lasciate sfuggire una sì bella occasione per guadagnare le mille sterline.
Una bella somma, in fede mia, che non si ha torto di spendere per catturare un
uomo della tua fatta, che si reca ad abboccamenti malgrado una cinquantina di
carabine messe là per ispiarlo. Tu hai giuocato una magica carta, amico mio,
coll'abilità di un giuocatore provetto. A proposito, che ne sarà mai della tua
giovanetta? Vedi, colla tua audacia, hai accresciuti i timori da parte di essi
e specialmente del lord che non si lascierà cogliere alla sprovveduta, e che
circonderà ben bene di baionette la villa, se non gli salta in capo la
malaugurata idea di prendere alla sua volta il largo e di fuggirsene a
Vittoria.
- Lo credi
tu, Yanez? - domandò il pirata che si fece cupo in volto e che rompeva
convulsivamente i ramoscelli.
- Sicuro,
potrebbe darsi che il valente uomo per precauzione vada a nascondere la
graziosa nepote nel centro della colonia, sotto i cannoni del fortino e dei
piroscafi. La cosa diverrebbe estremamente seria e cento volte più pericolosa.
- Pericolosa?
Sia, giacché tu lo vuoi, ma non estremamente seria, poiché andrei a rapirla
anche a Sarawak sotto i soldati di James Brooke. Ascoltami, Yanez, io sono
tanto risoluto, che affronterei le forze riunite di Labuan, Sarawak e Varauni
purché farla mia, e senza esitare un sol istante.
«Nessun
ostacolo sarà tanto grande da arrestare la passione che arde nel mio cuore. Se
occorre, arrischierò non solo le sorti di Mompracem ma anche la vita dei miei
pirati.
- È cosa
vecchia, amico mio, e la malattia non si vincerà che colla giovanetta. Ma hai
calcolato, Sandokan, che noi a Labuan non abbiamo che quaranta uomini o
sessanta se vuoi che mi tenga assai largo, e che a Mompracem non ve ne resta
che un centinaio al più? Con simili forze non si sfida la potenza di Sarawak.
- Oggi, ma
domani, da qui una settimana, un mese, due anche, si potrebbe sfidarla. Nella
Malesia vi sono cento e cento tribù piratesche che proseguono il lavoro
sanguinoso e distruttore da secoli; vi sono più di cinquemila tigri che
conoscono la fama della Tigre della Malesia e che mi seguirebbero assieme a
tutti i Dayacchi di Borneo, purché alzassi la voce promettendo oro agli uni e
teste da sospendere come trofei alle loro capanne agli altri.
- Lo so,
Sandokan, e la malattia che ti rode sarebbe capace di farti tentare anche
questo mezzo terribile, e tentarne di maggiori. Del resto vedremo come andranno
le cose prima, e se il lord penserà a prendere il largo. Sono supposizioni mie
quelle che esposi e nulla di più. Se è vero che la giovanetta possiede
quell'energia di cui mi hai parlato, non so se si lascierà sì facilmente portar
via, sapendo che tu vegli e che aspetti l'arrivo dei tuoi uomini per liberarla.
- Sì, essa
possiede tanta energia da pareggiarsi su questo punto forse alla Tigre della
Malesia. Sono sicuro che, se fosse libera, tenterebbe la fuga e si caccerebbe
nelle foreste malgrado le tigri e gl'indigeni. Oh!... Ma non vi starà a lungo
fra le unghie di quel sinistro vecchio, che vorrebbe gettarla fra le braccia
del dannato William. No, per Allah! Non vi rimarrà a lungo.
- Sogni tu,
di già, di dare bravamente la scalata alla fenestra?
- E perché
no? - disse con violenza Sandokan rizzandosi a metà sull'oscillante amaca.
- Uhm! - fe'
il Portoghese. - Credi tu che i nostri tigrotti sieno lì ad aspettarti? Non
dimenticare che siamo in piena foresta.
- Andremo a trovarli
al fiumicello.
- Tu corri
come un piroscafo, Sandokan. Non hai pensato che il nemico ci cerca e che
potrebbe sorprenderci?
- Bah! Due
colpi di carabina saranno sufficienti per metterli in fuga. Io me ne rido di questo
nemico. Vorrei un po' vedere se sarebbe capace di trovarci. Gl'Inglesi, Yanez,
non sono fatti per cercare le piste, né per girare su terre che non conoscono
che sulle loro carte scarabocchiate, che chiamano geografiche. Un uomo dei
boschi può passare sotto il loro naso, dondolarsi sopra le loro teste e
scomparire senza che loro l'abbiano a vedere.
- Mi fido
molto poco, Sandokan, delle tue parole.
- Hai torto.
Ne vuoi una prova?
- Una prova?
Che vorresti far tu?
- Passare in
mezzo alle loro carabine e raggiungere i prahos senza che se ne
accorgano.
- Tu ti cacci
in un ginepraio. Hai troppa fretta per tentare l'attacco della villa, che si
dovrebbe fare senza troppo rumore e con un mondo di precauzioni.
- Non ho
fretta, ma seguo il destino che mi guida. Io leggo nel libro dell'avvenire.
- E credi tu
di veder del chiaro nel libro dell'avvenire? - chiese Yanez, crollando il capo
come uomo che creda assai poco.
- No, al di
là del chiaro vedo oscuro, vedo delle tenebre fitte, fitte, più nere di quelle
che io abbia mai veduto in vita mia, ma nel fondo vedo una stella, Yanez, vedo
un punto luminoso che brilla più vivo che mai.
- Ti crederò.
- Ne dubiti?
- Chi sa.
Forse credo del tutto.
- Ebbene
vieni allora, andiamo a passare in mezzo alle carabine delle giacche rosse.
- Tu vuoi
commettere qualche pazzia. Restiamo in questo nostro nido giacché abbiamo avuto
la fortuna di trovarlo e lascia che le giacche rosse si allontanino.
- Non
commetterò pazzie; vieni, Yanez! Prima che il sole sia del tutto tramontato noi
giungeremo sulle rive del fiumicello. Non si ode rumore alcuno, la foresta è
fitta, abbiamo le nostre armi e sappiamo strisciare come serpenti. Di chi puoi
aver paura?
Il
Portoghese, quantunque avesse le sue paure, curioso da una parte di sapere
qualche cosa sui prahos si arrese. Dissetatisi col succo buà màmplam
che sapeva maledettamente di resina, s'aggrapparono ai rotang e ai gambir
uncaria che serravano l'albero e si calarono fino a terra.
Il bello era
uscire da quella foresta e guadagnare il fiumicello. Sandokan stesso si trovava
smarrito e non sapeva qual via prendere.
- Io credo
che noi ci troviamo in bell'impiccio, Sandokan - disse Yanez che non era capace
di vedere nemmeno il sole per potersi orientare. - Da qual parte si andrà?
- Ti
confesso, che mi trovo smarrito - rispose Sandokan. - Ma presto o tardi
usciremo di qua e troveremo il fiume. Ecco qua un passaggio che una volta deve
essere stato un sentiero. Le piante lo hanno coperto e sono sì unite da non
lasciar passare un piccolo babirussa, ma passeremo con un po' di pazienza.
Orsù, andiamo avanti, e bada bene di non schiacciare la coda di qualche
serpente e di prepararti a fare delle ascensioni meravigliose.
- Avanti
allora!
I due pirati
si cacciarono come due serpenti in mezzo alle piante, cercando seguire il
sentiero tagliato ogni istante da lunghe liane rampicanti e da immense
ragnatele dal grosso filo setoso, procedendo ora coll'occhio rivolto a terra
per non incespicare nelle radici o per non calpestare incautamente qualche
velenoso rettile e ora rivolto sugli alberi per non ricevere sulla testa
qualche frutto pericoloso, e movendo con precauzione i rami e le foglie per non
destar all'armi. Ben presto ripresero le salite sui rotang o sui gambir,
mettendo in fuga o irritando i semnopithecus maurus, scimie dal pelame
nero e dalla coda lunga, chiamate comunemente in Malesia bigit, le
quali, facendo ridicole smorfie e salti con una destrezza meravigliosa, vedendo
turbati i loro recessi, si vendicavano scagliando frutta e ramoscelli sui due
intrusi.
Camminando
così a casaccio, mettendo in fuga colle loro ardite manovre di clown nubi di
uccelli che aveano piantato in mezzo a quei fitti alberi i loro nidi sicuri che
nessun essere umano sarebbe giunto sin là e calpestando qualche serpentello o
qualche dozzina di sanguisughe dei boschi, i due pirati poterono uscire da
quell'imbroglio dopo qualche ora e raggiungere un torrentello che pareva
segnare la fine di quella gigantesca macchia. Al di là estendevasi una radura
verdeggiante, solcata da fiorellini di vari colori, circondata da boschi ma
meno fitti, dove si poteva camminare più rapidamente
e forse con meno pericolo. Fecero una sosta
dissetandosi nelle fresche acque e discutendo sulla via da tenersi.
Sandokan non
tardò a orizzontarsi dopo di aver osservato attentamente i dintorni dei quali
conservava un vago ricordo.
- Io devo
esser passato di qui - disse egli ritornando presso il Portoghese che, sdraiato
sulla riva del torrente, si occupava a masticare dei buà màmplam di
miglior sapore dei precedenti. - Ecco qua un'impronta che si adatta a
meraviglia alle mie scarpe lasciata su questo terreno umidiccio, ed ecco là sul
tronco di quel mango selvatico le traccie di una scalata che devono esser state
fatte da me. Sarebbe forse il luogo ove ho atterrato il sergente Willis?
- Mi sembra
che questi luoghi ti sieno famigliari, Sandokan. Bada bene a non condurmi in
bocca al leone.
Il pirata
anziché rispondere si mise a frugare fra le macchie; vide un ramo rotto a
terra, poi traccie distinte e delle macchie di sangue ancora visibili sulle
erba e sulle radici. Continuò le indagini e non andò a lungo che trovò dei
brandelli di stoffa bianca che riconobbe subito per suoi. Egli li mostrò al
Portoghese.
- Che diavolo
hai trovato tu, fratello mio, che vai osservando tanto quelle striscie come
fossi diventato un mercante?
- Le robe
mie, Yanez, che hanno servito a legare il povero sergente che hai così bene
spacciato sulla porta della villa. Vedi, ecco qua un ramo rotto che mi aveva
servito d'appoggio, là delle traccie di sangue che è mio, uscitomi dalla mano
appena ferita dalla palla di lui. Il povero uomo se fosse qui se ne
ricorderebbe bene anche lui.
- Un luogo
propizio per le imboscate, adunque? - disse il Portoghese che si guardò
istintivamente all'intorno.
- Forse, ma non ci arresteremo - rispose Sandokan. -
Io sì che conosco la via che ho percorso vestito da sergente inglese, una bella
truccatura, Yanez, che mi ha aiutato a meraviglia per trarmi d'impiccio facendo
viaggiare tutti i soldati nei luoghi ove era impossibile trovarmi; vieni con me
che io ti guiderò, se non al fiumicello, almeno alla capanna di Giro Batoë.
- Andiamo, ma
non aver furia, Sandokan. Scandagliamo il terreno prima.
Dopo aver
ascoltato attentamente e di essersi assicurati che fra le grida dei semnopithecus
maurus, le grida dei pappagalli e lo stormir delle foglie agitate dal
venticello non udivasi né grida. di cacciatori, né detonazioni di moschetti,
attraversato con un salto il torrente, tornarono a cacciarsi sotto gli alberi
che andavano diradandosi sensibilmente.
Malgrado che il sole calasse rapido all'occidente e
l'oscurità andasse facendosi sempre più fitta nei boschi, Sandokan un'ora dopo
giunse ad una piccola spianata in fondo della quale rizzavasi qualche cosa di
nero, che aveva una forma accuminata ben differente dai cespugli che la
dominavano.
- Che è? -
chiese Yanez sorpreso.
- La capanna di Giro Batoë - rispose Sandokan.
Fece venti
passi, poi si arrestò bruscamente armando la carabina. Aveva visto un'ombra
rizzarsi improvvisamente fra le macchie e scivolare rapida all'interno della
capanna. Per quanto fosse buio, riconobbe in quell'ombra una creatura umana.
- Fermati,
Yanez - diss'egli. - Ho veduto un uomo entrare nella capanna.
- Che sia un
Inglese?
- È passato
troppo rapidamente perché io lo avessi ben a distinguere. Mi aveva però più
l'aria di un indigeno o per lo meno di un orang-utang che d'Inglese.
- Che
facciamo adunque? Per conto mio, direi di prendere il largo prima che abbiano a
capitarci malanni.
- Io penso invece di tirar innanzi, Yanez - disse
Sandokan. - Giro Batoë mi aveva detto esservi degli indigeni nelle vicinanze
della sua capanna. Prendi la carabina e andiamo un po' a vedere.
I due pirati
si avvicinarono cautamente a quella baracca di foglie e di bambù e
s'arrestarono dinanzi la porta spingendo entro lo sguardo. Quasi nel medesimo
istante un uomo si precipitò in mezzo a loro gettando un urlo di pazza gioia.
- Mio
capitano! Signor Yanez! - e il malese Giro Batoë in persona cadde alle loro
ginocchia.
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