CAPITOLO
XXVIII
Il
bombardamento di Mompracem
All'indomani
il delirio si era impadronito dei pirati. Non erano più uomini, erano titani
che lavoravano con energia sovrumana per fortificare la loro isola minacciata,
titani che s'affannavano attorno alle batterie e alle trincee, che battevano
furiosamente le rupi per istaccarne scheggione da far barricate, che scavavano
fossati, che rotolavan botti ricolme di sassi, che portavan sacchi zeppi di
terra, che mettevano in batteria cannoni, mortai e spingarde, che preparavano
mine per ogni dove, che empivano gabbioni di rottami e che abbattevano alberi
per elevare palizzate lungo la costa, che affilavano armi e che fondevano palle
e bombe a migliaia.
La regina di
Mompracem, bella e scintillante d'oro e di perle come la sera precedente era là
per animarli. Incoraggiava gli uni, con un sorriso che li faceva delirare
vieppiù, stimolava gli altri colla voce, saliva intrepida sulle batterie a
puntare ella stessa assieme a Ladgia i cannoni e portava con quelle sue manine
delicate le bombe dando l'esempio a tutti.
Sandokan vi era
pure, e lavorava con un'attività febbrile che pareva pazzia. Altro che titano!
La Tigre della Malesia movevasi rapida come un lampo accorrendo ovunque,
facendo il lavoro che dieci uomini non sarebbero stati capaci di fare,
demolendo i fianchi delle rupi, sollevando pietroni enormi e trascinando da
solo e cannoni colossali e alberi spropositati. Faceva l'impossibile, e non
meno di lui faceva il Portoghese le cui forze si erano centuplicate.
Nessuno
perdeva un sol istante di tempo che era preziosissimo. La cannoniera fumava
sempre al medesimo luogo spiando i loro lavori e ciò bastava per mettere il
fuoco nelle loro vene, ben sapendo che aspettava l'arrivo di nuove navi per
cominciare l'attacco.
Verso il
mezzodì giunse al villaggio una metà dei pirati che avevano condotti i prahos
sulla costa occidentale, e le notizie che essi portarono non furono
inquietanti. Una cannoniera spagnola era stata veduta al sud dell'isola in
rotta a quanto pareva per le Romades, ma non si era arrischiata a gettarsi sui
loro legni; in quanto alle coste occidentali erano perfettamente sgombre da
qualsiasi nemico, e in caso di ritirata si poteva prendere il largo senza
grandi pericoli.
- Tuttavia -
disse uno di essi a Sandokan che l'interrogava - vi sono traccie evidenti della
comparsa degl'Inglesi. Gl'indigeni me ne hanno parlato, e pare che sieno
sbarcati più di una volta tentando aver relazioni con essi.
- E
gl'indigeni che pensano delle giacche rosse? - domandò Sandokan. - Hanno
avuto abboccamenti con essi?
- È difficile
saperlo da quei dannati rettili, capitano. Mi hanno assicurato che li odiano,
che non vogliono saperne di visi bianchi, e udendo come essi tentino un colpo
di mano sull'isola, il Nano mi parlava di portarci aiuti.
- Non
fidiamoci troppo di loro - disse il Portoghese entrando in discorso. - Sono
traditori belli e buoni, quei furfanti.
- Tuttavia
una trentina d'indigeni potrebbero esserci di grande aiuto - mormorò Sandokan.
- Non siamo che trentanove o quaranta, un piccolo numero dinanzi alla
spedizione inglese che immagino sarà formidabile. È bensì vero che siamo
quaranta tigri, che tutti abbiamo giurato di difendere Marianna e Mompracem, ma
chi sa? Ti ricordi, Yanez, che ti dissi di leggere nell'avvenire? Ebbene: vedo
ancora tutto oscuro, quantunque io sia ancor ritornato la Tigre!
- Eh! Bisogna
bene che sieno forti le giacche rosse per cozzar contro le nostre
batterie o sfondare le nostre trincee - disse il Portoghese. - Non vedi,
Sandokan, che abbiamo fatto di questo villaggio una rocca che crederei
inespugnabile?
- Lo vedo, ma il nemico può esser pur egli forte. To’!
Guarda, Yanez, mi sembra vedere delle colonne grigie laggiù all'oriente, senza
dubbio colonne di fumo. Ecco la cannoniera che se ne va; essa deve aver scorto
gli aiuti che aspetta da tanto tempo.
- Il nemico!
- esclamarono Giro Batoë e due o tre pirati, che si tenevano sull'alto delle
batterie.
Sandokan e il
Portoghese si precipitarono sui terrapieni dove la giovanetta li aveva
preceduti, mentre i pirati davano gli ultimi colpi di zappa a un quarto fossato
e mettevano in batteria gli ultimi cannoni e le ultime spingarde.
Delle colonne
di fumo e dei punti bianchi si scorgevano allora all'orizzonte, verso i quali
si dirigeva a tutto vapore la cannoniera. Nessuno pose in dubbio che fosse il
nemico che si avvicinava all'isola per tentare audacemente l'occupazione o
almeno la completa distruzione di quel formidabile nido di pirati che per tanti
anni aveva scorrazzato i mari.
Non era
ancora possibile determinare le sue forze, ma dalle colonne di fumo e dalle vele,
era facile a capirsi che doveva essere potente. Piroscafi e velieri non
mancavano, e se li vedevano gareggiare di celerità a poca distanza gli uni
dagli altri. Balamê che salì sulla gran rupe assicurò essere una vera flotta in
mezzo alla quale si trovavano parecchi prahos.
Sandokan, a
fianco della giovinetta ritta intrepidamente sulle batterie e circondata dai
pirati che avevano in furia abbandonato i lavori, con quegli occhi che
sfidavano i più potenti cannocchiali, esaminava e contava attentamente i
vascelli che s'avvicinavano rapidamente alle temute coste di Mompracem.
Comprese
subito quanto fosse forte il nemico e pur lo compresero i suoi pirati, ma non
vi fu alcuno che facesse il minimo segno che dinotasse sorpresa o timore. Erano
preparati a tutto; le flotte riunite di Labuan, Borneo e Sarawak non sarebbero
state capaci di scuotere il loro ammirabile coraggio. Che valeva se il nemico
era sei, dieci, venti volte anche più numeroso quando alla loro testa avevano
la Tigre, l'uomo dalle imprese leggendarie, terribile come i tempi passati? Che
valeva se il nemico aveva cento cannoni di più quando la regina era con loro ad
animarli e quando il loro villaggio era stato reso inespugnabile?
- Tigrotti! -
gridò Sandokan con quella voce che affascinava e che scuoteva le fibre. - Ecco
il nemico!
I pirati vi
risposero alzando le scuri, i moschetti e le scimitarre facendo con questo
scudo alla regina che si teneva fieramente ritta a fianco alla Tigre e un solo
grido sfuggì da tutti i petti.
- Viva la
regina di Mompracem!
- Compagni -
continuò Sandokan sguainando la terribile sua scimitarra cento volte tinta nel
sangue umano. - Il nemico è forte, forse risoluto ad espugnare i nostri covi e
dare un colpo mortale alla nostra Mompracem, alla nostra patria adottiva. Non
avrà pietà, non ci darà quartiere che per trascinarci sulle forche di Vittoria,
vogliono la nostra regina e me, la Tigre della Malesia che tanta paura a loro
cagiona. Mi affido a voi, ai tigrotti di Mompracem.
«Siamo pochi,
ma tutti risoluti e prodi e bisogna vincere a qualsiasi costo, vincere per
sostenere e rialzare le cadenti sorti della pirateria e della nostra isola. Che
nessuno tremi, che nessuno si sgomenti, che nessuno indietreggi: turbini di
ferro finché le palle e la polvere non vengono meno, poi innanzi colle scuri e
le scimitarre. Io sarò il primo a darne l'esempio.
«Rammentatevi
che siamo i tigrotti di Mompracem, che io sono la Tigre e che coloro che furono
assassinati sulle coste di Labuan chiedono vendetta. Ovunque rottami, cadaveri
e fiumi di sangue! Io lo voglio!...
Non vi voleva
che la Tigre per mettere fuoco nei petti di quei pirati, e per cangiare gli
uomini in tanti eroi.
- Sì! Sì!
Battiamoci! - urlarono ad una voce i pirati. - Morte alle giacche rosse!
Vendetta ai nostri compagni!
- Capitano! - esclamò Giro Batoë. - Siamo quaranta
tigri che da sedici ore abbiamo fatto dono delle nostre vite a Mompracem, non
domandiamo che di provare le nostre forze. Sotto il comando della Tigre saremo
quattrocento, sotto gli occhi di milady saremo quattromila.
- Lo sapevo
di aver dei prodi, abbracciatemi, compagni, e possiate difendere colei che amo
più di Mompracem!
I pirati si
precipitarno uno a uno fra le braccia del formidabile uomo.
- Milady -
disse Balamê. - È d'uopo che il nemico prima di giungere fino a voi passi sul
corpo di quaranta tigri. Le nostre artiglierie vi copriranno di fuoco, i nostri
petti vi faranno scudo, le nostre scimitarre abbatteranno coloro che alzeranno
il braccio contro di voi! Essi non vi avranno: lo vogliamo!
- Grazie,
amici miei, e se la sorte arriderà a Mompracem, rimarrò per sempre fra voi -
disse la giovanetta.
- Alle armi!
Alle armi! - gridò Sandokan, trascinando seco Giro Batoë e la sua banda.
- Viva la
regina di Mompracem! Viva Sandokan! - gridarono i pirati e scomparvero dietro
le palizzate e le batterie.
I
provvedimenti per mettere la giovanetta e la sua compagna fuori di pericolo e i
preparativi per una ritirata se questa malgrado la resistenza diventasse
necessaria furono presi. Le due donne furono internate nella foresta al riparo
di una rete d'alberi sotto la guardia di Inioko, un Dajacco vigoroso e
risoluto, capace di far fronte a un intero drappello di soldati. La separazione
della giovanetta da Sandokan non fu senza lagrime.
- Marianna -
disse il pirata nel momento che stava per dividersi. - Non temere, né il
maledetto da Dio, né i suoi ti avranno come non avranno me. Non morrò, poiché
le palle che mi hanno rispettato per tanti anni mi rispetteranno pur oggi che
pugno in difesa dei miei diritti e anche di una fanciulla. Sì, se io sarò
costretto a cedere, cederò e fuggiremo assieme, non sarai più regina di
Mompracem, ma sarai egualmente mia. Forse sarebbe meglio così. Va, fra poco,
vinto o vincitore, avrai mie nuove.
La giovanetta
si sciolse dalle sue braccia piangendo e parti assieme a Ladgia che non era
meno commossa di lei dopo la separazione col Portoghese, ed entrarono sotto le
foreste guidate da Inioko che dolevasi essere condannato a udir il cannone
senza poterlo adoperare. Egli le condusse sul luogo ove eran radunati una
trentina di cavalli di già bardati, nel mentre che Giro Batoë, Balamê e una
mezza dozzina di pirati invadevano i villaggi indigeni e facevano una razzia
dei più valorosi che mandavano frettolosamente al campo.
Al villaggio
vi era ora tutto sottosopra. Sandokan e il Portoghese, dopo di aver ricacciate
le emozioni nel fondo del cuore, l'uno tornato Tigre e l'altro tigrotto,
risoluti a giuocare l'ultima loro carta, e a vendere cara la vita o la libertà,
davano gli ultimi colpi di mano alle trincee, alle palizzate, alle batterie,
assieme ai loro uomini.
Si caricavano
frettolosamente i cannoni, si ponevano in batteria quelli ancor a terra, si
accumulavano palle e granate, si aprivano le polveriere, si rafforzavano le
barriere, si empivano d'acqua i fossati, deviando il corso dei torrenti, si
tiravano a secco i prahos onde non potessero venire presi e servire di
fortezza agli assalitori, e si affondavano quelli che non potevansi salvare.
Non si tralasciò di porre in opera tutti i mezzi suggeriti dall'arte per
rendere inespugnabile il villaggio, né si tralasciò di prendere ogni
precauzione suggerita dall'imminente pericolo. Ogni cosa in quei momenti era
buona per moltiplicare gli ostacoli contro un possibile assalto degli Inglesi.
I tradimenti
non furono neppure essi dimenticati. Si scavarono trabocchetti entro i quali
potessero precipitare i nemici, si prepararono mine, si empirono i fossati
d'ammassi di rami spinosi e si piantarono nel fondo punte di ferro avvelenate
con succo dell'upas.
In venti minuti, prima che le navi giungessero a tre
miglia dalla costa, il villaggio era stato cangiato in una vera rocca,
difficile a distruggersi e impossibile ad espugnare.
La flotta
nemica era più forte e più numerosa di quella che era apparsa in sul principio.
Disponeva di potenti mezzi di distruzione, e possedeva numerosi equipaggi,
raccozzati fra tre o quattro differenti razze. Si scorgevano Inglesi,
distinguibili per le giacche e i berretti rossi e per la flemma con cui
manovravano; Olandesi colle azzurre divise; una mano di Spagnuoli montata su di
una cannoniera e che vociavano come aquile, dei guerrieri del sultano di
Varauni coi loro lunghi scudi, i loro gran turbanti, e armati di picche e di
moschettoni a pietra, e certi uomini dai volti feroci, seminudi, dagli
atteggiamenti fieri, armati di certe scuri e certe scimitarre di una forma
strana, che li davano a conoscere per pirati delle coste del Borneo, rivali
accaniti di quelli di Mompracem, che l'oro del baronetto e una certa gelosia li
avevano determinati a unirsi alla spedizione.
Era una vera
armata per nulla inglese ma guidata da Inglesi, un'armata formidabile contro la
quale bisognava ben guardarsi e ben difendersi, superiore di assai a quella di
Mompracem che disponeva di valorosi bensì, ma sempre pochi difensori.
- Mille
tuoni! - esclamò Yanez, con ira mal celata. - Non avrei mai creduto che quel
cane di lord James giungesse a riunire tante navi e tanti uomini.
Egli contò
due grandi piroscafi, mercantili per forma, ma meglio armati dei vascelli da guerra,
e dietro a essi la cannoniera olandese che da tre giorni spiava Mompracem, una
cannoniera spagnuola, un grosso brigantino vecchio di scafo ma zeppo di
cannoni, e una mezza dozzina di prahos colla bandiera del sultano di
Borneo e altrettanti legni pirateschi. Quantunque fidasse nelle forze della
Tigre il bravo Portoghese si sgomentò.
- Che ti pare
Sandokan? - chiese egli.
- Meglio così - risposte la Tigre con un sorriso
ironico e feroce. - Sono forti, tanto meglio: danzeremo addirittura fra turbini
di ferro. È l'ultima lotta che io imprenderò: guardati, o flotta, da Mompracem
e da me!...
Giro Batoë e
Balamê ritornavano in quel mentre seguiti da una quarantina di indigeni che
avevano adescato a furia di oro e di promesse. Il Nano era fra essi e si poteva
credere che egli operasse prodigi di valore.
Non erano già
pirati, quegli uomini che guidava, non avevano fama di prodi tuttavia avevano
acquistato una certa dose di coraggio di cui mancano generalmente quelli della
loro razza, e si alleavano facilmente ai loro padroni quando vi era da
guadagnare qualche manata d'oro e meglio ancora, se vi era da vuotare una
bottiglia di acquavite.
Non
resistevano all'urto, ma sapevano tirar moschettate con rara precisione e
adoperare i cannoni, manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro
maestri, quantunque le prime volte avessero provato una paura indiavolata a
tanto fracasso.
Sandokan per
incoraggiarli vieppiù, fece sfondare un barilotto di arak che fu in un momento
vuotato da quei bevitori.
- Nano -
diss'egli mentre si dispensavano a essi le armi e si mettevano ai cannoni - io
ho bisogno di te, tu lo comprendi; quelli che vedi laggiù vogliono rubarci
l'isola, se vi riescono diverranno i padroni, e come hanno reso schiavi tutti i
popoli a loro soggetti, renderanno pure schiavi te e la tua tribù. Siamo forti
però, riusciremo forse a metterli in fuga, ma siamo pochi; se tu riuscirai a
fare ciò che ti domando, venti botti di arak e un vestito rosso saranno il
premio della vittoria.
- Arak! Arak!
- esclamò il beone fiutando il bariletto con una avidità da macaco. - Ohe! Vi
ha dell'arak nell'aria, la Tigre lo promette, cerchiamo di fare qualche cosa.
Lo vedrai, capitano, quei gridatori in giacca rossa prenderanno il largo.
La
conversazione fu punteggiata dal primo colpo di cannone che partì da uno dei
piroscafi, la cui palla fece saltare la terra sulle sponde di un fossato.
Sandokan raddrizzò l'alta statura con un gesto di suprema fierezza guardando il
piroscafo.
- Vincerai! -
esclamò egli dolorosamente portando la mano al cuore. - Lo sento, ma non mi
avrai vivo come non avrai Marianna Guillonk! Voglio farti comprendere quanto
possa la Tigre prima di abbandonare il suo covo, e di che siano capaci gli
ultimi pirati di Mompracem. E ora, fatalità, compi ciò che hai cominciato: io
ti aspetto!
Il pirata
gettò uno sguardo all'intorno come volesse imprimersi per l'ultima volta nel
cuore quei luoghi che una voce interna diceva che non avrebbe veduto mai più, e
sospirò. Qualche cosa di umido comparve sui suoi occhi, non già una lagrima
poiché quell'uomo non sapeva piangere, ma che forse era più che fosse una
lagrima, e si diresse alle batterie.
La flotta,
dopo di aver tirato il primo colpo, era andata avvicinandosi mantenendosi su di
una linea che comprendeva la larghezza della costa occupata dal villaggio.
Vedendo che i pirati non rispondevano cercava di abbreviare e di tentar forse
lo sbarco fidente nelle proprie forze.
Sandokan la
lasciò avvicinarsi fino a ottocento passi, poi saltò su uno dei più grossi
cannoni della batteria centrale, alzando la scimitarra.
- Compagni,
ai vostri pezzi - gridò egli con voce tonante. - Non vi trattengo più;
sbarazzatemi il mare da questi prepotenti. Fuoco!
Trentasei
cannoni e una dozzina di spingarde difendevano il villaggio. Al comando della
Tigre i terrapieni, le trincee, le palizzate avvamparono su tutta la linea
formando una sola denotazione capace di essere udita alle Romades. Sembrò che
il villaggio intiero saltasse in aria e la terra fremette fino alle spiaggie.
Nubi di fumo avvolsero le batterie, ingigantendo sotto nuovi colpi, che si
succedevano furiosamente distendendosi sulla sinistra ove tiravan le spingarde
manovrate dagli indigeni.
La flotta qua
e là danneggiata non istette molto a rispondere. Piroscafi e cannoniere,
brigantino e prahos si coprirono alla loro volta di fumo, presentando i
fianchi al villaggio. I loro colpi si succedevano non meno rapidi di quelli dei
pirati, con una precisione che sgomentava, tempestando le opere di difesa,
avanzandosi obliquamente a piccolo vapore e con qualche vela, sostenuti da un
violento fuoco di moschetteria, che se non riusciva contro le batterie,
molestava e non poco i difensori.
Non si perdeva un colpo né da una parte né dall'altra,
si gareggiava di celerità e di precisione, s'infuriava da ambe le parti,
risoluti a esterminarsi da lontano e più tardi da vicino. La flotta aveva la
supremazia del numero dei combattenti, aveva la supremazia delle bocche da
fuoco che non la cedevano né in numero, né in portata a quelle del villaggio, e
aveva di più il vantaggio di spandersi, isolarsi e muoversi, facendo spesso
andar a vuoto i colpi del nemico.
Ma con tutto
ciò non guadagnavano. Era bello vedere quel villaggio difeso da un pugno di
prodi, che avvampava da tutti i lati rispondendo colpo per colpo, vomitando
bombe e torrenti di mitraglia che fracassavano madieri, struggevano manovre,
sventravano uomini. Aveva ferro per tutti, ruggiva più forte che non ruggissero
i cannoni uniti della flotta, puniva i bravacci che venivano a sfidarlo a poche
centinaia di metri dalle formidabili coste demattandoli degli alberi, faceva
indietreggiare i più audaci che tentavano uno sbarco, e per tre miglia intorno
faceva saltar le acque del mare.
La Tigre era
in mezzo ai suoi, cogli occhi in fiamme, ritto dietro un grosso cannone da 24,
che scatenava dalla sua fumigante gola uragani di ferro ad ogni istante senza
mancare una sola volta. Il formidabile uomo a ogni denotazione del suo mostro
di bronzo, che fracassava i fianchi al più grosso dei piroscafi, urlava:
- Fuoco!
Fuoco! Spazzatemi questo mare, sventratemi queste navi, struggetemi questi
uomini che sono ancor bambini!
E la sua voce
non andava perduta. I pirati conservando un ammirabile sangue freddo,
determinati a restare al loro posto finché vi era una trincea in piedi e a
morire sui loro pezzi anziché retrocedere, aiutati dagli indigeni che vi si
prestavano vigorosamente, infuriavano a ogni comando della Tigre. Senza badare
alla tempesta di ferro che ruggiva attorno ad essi, che lacerava le palizzate,
che faceva saltare terrapieni, che sfondava gabbioni, che schiantava le loro
capanne, se li vedevano salire intrepidamente sulle opere danneggiate e puntare
le loro artiglierie.
Un prahos
piratesco fu fatto saltare dopo averlo incendiato con una bomba nel mentre che
cercava con una insolente bravata di approdare appié della rupe. I suoi rottami
giunsero fino alle prime palizzate del villaggio e i tre o quattro uomini che
erano scampati all'esplosione furono fulminati dalla mitraglia ancor prima che
potessero approdare.
Un secondo prahos
che cercava imitare l'audace manovra del primo fu compiutamente demattato
ammazzandogli mezzo equipaggio e sarebbe colato a picco senza l'aiuto della
cannoniera olandese che tirando furiosamente col suo grosso pezzo di poppa,
fece tacere per un istante il fuoco diretto su esso, e lo trasse a rimorchio al
largo.
- Venite a
sbarcare! - gridò Sandokan puntando il suo cannone sulla cannoniera. - Voglio
vedervi! Venite a misurarvi cogli ultimi pirati di Mompracem! Voi siete
fanciulli e noi siamo giganti!
- Tuoni di
Dio! - urlava dal canto suo il Portoghese dando fuoco al suo cannone. - Bisogna
proprio fare un massacro di quei cani là prima d'indurli a battere in ritirata?
Aspettate un po', giovanotti miei, che vi faccia assaggiare una porzione di
mitraglia rovente. Tuoni di Dio! Faccio una marmellata di tutti voi!...
E si
continuava a tuonare gagliardamente, vomitando bombe e mitraglia contro la
flotta che invano sforzavasi avvicinarsi alle coste della terribile isola.
Tutte le navi
qua e là danneggiate, andavano e venivano a tratti, tentando ogni sorta
d'astuzie, avanzando obliquamente e rompendo bruscamente la rotta, facendosi
sotto le scogliere fino a soli 200 metri dal villaggio, scagliando torrenti di
bombe per far saltar le trincee e avventando turbini di ferraccio per fulminare
gli artiglieri, ma terminando sempre col torcere cammino e tornare ad
allontanarsi semi-sventrate.
Era da vedersi che finché i bastioni tenevano saldo,
le polveri non venivano meno e gli uomini non cadevano, sarebbe stato
impossibile tentare uno sbarco.
La flotta
dovette pur comprenderlo, poiché desistette improvvisamente dall'avvicinarsi e
si portò al largo, dividendosi per non offrire troppi punti di mira, movendosi
rapida e concentrando tutti i suoi colpi sui cannoni per ismontarli.
Questa
ritirata fu terribile pei pirati. La flotta cominciò in breve ad infuriare con
maggior lena del villaggio, battendo furiosamente in breccia contro le batterie
più deboli scacciandone a viva forza gli artiglieri che si sentivano incapaci
di far fronte a tanta pioggia di ferro.
Centinaia e
centinaia di bombe cadevano fitte fitte dinanzi ai terrapieni che, sconquassati
dalle terribili esplosioni che si succedevano senza posa, ruinavano nei
fossati, schiantando con formidabili scrosci le palizzate, trascinando seco e
gabbionate, e cannoni ed artiglieri, che venivano subito dopo fulminati da
terribili scariche di moschetteria. Non meno danno faceva la mitraglia che le
cannoniere scagliavano incessantemente.
Scrosciava
maledettamente sulle opere di difesa frantumando gli alberi e sollevando i
sassi e le pietre, si cacciava fischiando nelle feritoie, fulminando i pirati
che invano cercavano di ripararsi da tanta grandine di ferro.
In meno di
dieci minuti la prima linea di bastioni fu sfasciata. I fossati s'empirono di
rottami, sei cannoni saltarono e tre delle più grosse spingarde dovettero
essere abbandonate in mezzo a una decina di cadaveri. Un istante dopo i
bastioni di destra non rispondevano che a rari intervalli e a gran fatica, e la
seconda fila di trincee cominciava pur essa a ruinare sotto il crescente
turbine di ferro che avventava furiosamente la flotta.
La Tigre
della Malesia tuttavia non si smarrì. Egli fece drizzare tutti i cannoni su uno
dei due piroscafi che maggiormente arrecava danno alle trincee, il quale fu
costretto a rispondere alle batterie di sinistra e del centro, lasciando così
tempo agli artiglieri di quello di destra di ritirarsi dietro la seconda linea
di fortificazione trasportando seco i cannoni.
Per mezz'ora
il legno dovette sostenere quel terribile cannoneggiamento, che gli spezzava le
murate, che gli frantumava alberi e pennoni, che lo forava in tutti i versi e
che gli struggeva l'equipaggio.
- Fuoco su di
lui! Fuoco! - urlava incessantemente la Tigre. - Sventratelo, spezzategli le
ali, fatemelo saltare!
Il legno
tutto sconquassato, tutto sdruscito, quasi senza uomini, senza cannoni, senza
alberi, cominciò ad affondare. Una bomba di otto pollici, del peso di 21
chilogrammi che fornisce voluminose scheggie, lanciatagli da Giro Batoë con uno
dei mortai, determinò la sua sorte. Una falla enorme s'aprì a prua, per la
quale si precipitarono in massa le acque. L'attenzione degli altri legni si
volse allora a salvar i naufraghi. Numerose imbarcazioni solcarono i flutti, ma
pochi scamparono al fuoco terribile dei pirati che per così dire le
polverizzava. In dieci minuti il piroscafo affondò seco trascinando gli uomini
che ancor rimanevano in coperta proprio nel momento che uno dei prahos
saltava per lo scoppio della Santa Barbara. Il fuoco per poco fu sospeso dalla
flotta, le cui sorti volgevano alla peggio, ma in breve ricominciò e con
maggior furia di prima. Le batterie di destra furono nuovamente ridotte al
silenzio e i pirati per la seconda volta dovettero sgombrarle e ritirarsi
dietro i secondi terrapieni, e quindi costretti a ripiegarsi dietro ai terzi di
già mezzo rovinati.
Le batterie
del centro, oppresse alla loro volta, distrutte sotto le bombe che si
succedevano senza intervalli, ne seguirono l'esempio e non rimase che la
trincea di sinistra, la più forte e la meglio armata, esposta al tiro di tutti
i legni.
Sandokan
cercava rianimare i combattenti colla sua presenza, puntando egli stesso i
pezzi o facendo fuoco alla testa dei più abili tiragliatori, ma doveva pur egli
convincersi che il momento della ritirata non sarebbe stato lontano. Ruggiva in
cuore all'idea di dover perdere la sua isola, ma forse in fondo benediva la
flotta che poneva fine alla pirateria.
Non era più
la Tigre, lo sapeva, non era più il medesimo uomo di un tempo ora che amava.
Si avrebbe
detto che, pur facendo prodigi di valore, dando esempio ai deboli e ai forti,
mancasse di quella pazza temerità per cui andava tanto famoso.
- È il
destino - mormorò egli, tergendo la fronte madida di sudore nel mentre che Giro
Batoë rotolava al suo fianco col petto
fracassato da una palla di cannone. - Lo sapeva, era destino!
Una delle
polveriere del villaggio saltò pochi minuti dopo con terribile violenza. Sei
indigeni e tre pirati, fra i quali Balamê, furono seppelliti sotto le macerie,
e dalla scossa i terrapieni franarono, mentre i legni infuriavano con maggiore
energia. La prima trincea si dovette abbandonare assieme a mezze artiglierie,
ridotte inservibili, e a ben venti cadaveri.
Fu tentato l'ultimo
sforzo per arrestare il nemico che si avanzava verso la costa. Si diresse
ancora una volta il fuoco contro l'altro piroscafo, cercando di mandarlo a
picco, ma non vi riuscirono. I cannoni erano troppo pochi per pensare a lui
solo e le difese troppo ruinanti per sopportare il fuoco degli altri legni.
La seconda
trincea saltò assieme alla seconda barriera che seppellì il Nano con una decina
dei suoi uomini.
- Sandokan! -
esclamò Yanez, precipitandosi verso di lui col volto annerito dalla polvere. -
La posizione è insostenibile.
- Lo so -
rispose il pirata, dando fuoco a un mortaio colla speranza di frantumare le
ruote del piroscafo.
- Se noi
rimaniamo ancora, nessun di noi sfuggirà alle loro bombe. Sandokan emise una
bestemmia. Gettò uno sguardo disperato sui superstiti ridotti a soli ventisei
pirati, e una ventina d'indigeni, che continuavano freddamente il loro dovere.
Contò le artiglierie che rimanevano: non erano che sette pezzi.
La flotta
andava avvicinandosi formando un semi-cerchio attorno le cadenti batterie
opprimendoli sotto un turbine di ferro, mentre le truppe da sbarco si
affollavano nelle imbarcazioni galleggianti ai fianchi dei legni. Uno dei prahos
aveva di già gettato l’âncora presso le prime scogliere e i suoi uomini si
apparecchiavano a prendere posizione.
La partita
era irreparabilmente perduta. Fra pochi momenti gli assalitori, venti volte
forse più numerosi, doveano sbarcare e attaccare alla baionetta le cadenti
batterie e sterminare gli ultimi pirati, affranti, feriti, decimati.
Per un
istante Sandokan ebbe la pazza idea di voler contrastare lo sbarco all'arma
bianca con un pugno di prodi, ma fu un lampo. Le ultime batterie ruinarono
sotto i piedi dei difensori che rimasero allo scoperto esposti al fuoco della
flotta. Un ritardo di pochi istanti poteva diventare funesto; le prime scariche
di mitraglia cominciavano a decimare quei prodi che ancor non sapevano
decidersi ad abbandonare quei luoghi. Bisognava ritirarsi.
E Sandokan,
sacrificando l'isola, la sua potenza e persino il suo nome, anziché sacrificare
gli ultimi avanzi dei suoi tigrotti, raccogliendo tutte le sue forze per
pronunciare quella parola giammai uscita dalle labbra della Tigre, con una voce
che pareva il ruggito di una belva, comandò la ritirata. Nel momento che i tigrotti
colle lagrime agli occhi, il cuore straziato evacuavano le fumanti batterie,
salvandosi nei boschi, il nemico sbarcava massacrando gli agonizzanti a colpi
di baionetta.
La stella di
Mompracem s'era estinta per sempre!...
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