CAPITOLO
XXIX
Sul
mare
La ritirata,
dolorosa parola per ogni coraggioso e doppiamente dolorosa per quei pirati che
mai l'avevano udita pronunciare in tanti e tanti anni di battaglia,
effettuavasi ordinata e rapidamente.
Era pure
straziante per quegli uomini l'abbandonare quei cari luoghi testimoni della
loro potenza e grandezza; era atroce per quegli eroi evacuare quell'isola che
avevano chiamato propria ed evacuarla lasciandola in mano al nemico, eppur non
potevano far altrimenti.
Spenti i più
prodi campioni della pirateria, arsi i loro legni, arse le loro capanne, le
loro batterie, abbattuta la loro bandiera, vinta e domata la terribile Tigre
della Malesia, senza forze e senza mezzi, non rimaneva altro che emigrare ed
abbandonare quelle temute coste prima che il nemico avesse a spegnere
totalmente i superstiti.
Ridotti a un
drappello di soli ventidue uomini, la maggior parte feriti, ma ancora validi,
ancora assetati di sangue, ancora anelanti di vendetta, colla morte nel cuore,
colle lagrime agli occhi, essi continuavano la ritirata senza scambiar una
parola seguendo la Tigre che marciava alla loro testa ai fianchi di Yanez.
Quest'uomo
veramente strano e terribile che si faceva chiamare Tigre della Malesia,
quantunque sconfitto, quantunque avesse perduto la sua isola che egli chiamava
carne delle proprie membra, quantunque avesse perduto il suo mare che chiamava
sangue delle sue vene, quantunque in un sol colpo avesse perduto e la sua
potenza, e la sua gloria e fors'anco il suo nome un dì cotanto formidabile,
conservava in quella ritirata una calma veramente ammirabile. Si avrebbe quasi
detto che egli, che ci teneva tanto un tempo alla sua fama, fosse quasi quasi
contento, e chi sa, forse in fondo in fondo poteva essere vero.
Era da tanto
tempo che aveva preveduto la decadenza della sua isola, che vi si era a poco a
poco rassegnato. Del resto sentivasi egli stesso impotente di lottare con
quelli di Labuan ormai troppo forti, e sentiva di non poter essere più la Tigre
di una volta dalle pazze imprese, ora che aveva dietro di sé una giovanetta che
amava alla follia, ora che era stato affascinato dalla Perla di Labuan.
Nondimeno era
inquieto e sul suo volto si scorgevano traccie evidenti di una commozione forte
che non riusciva interamente a nascondere.
- Venite,
tigrotti - diss'egli nel momento che questi si arrestavano quasi saltasse loro
in mente di ritornare ai loro distrutti lari. - Chi rimane su questa terra che
non è più nostra, è morto. A che adunque arrestarsi, a che adunque sperare,
quando il nostro villaggio e i nostri bastioni non sono più là a porgerci un
rifugio, quando i cannoni sono diventati muti, quando i prahos furono
infranti, quando le nostre armi sono spezzate?
«Volete farvi
assassinare dalle baionette dei vigliacchi che ci assalirono cento volte più
numerosi di noi? Volete che essi abbiano a mietere gli ultimi fiori di
Mompracem che forse un dì potranno rifiorire? Venite, perdio, venite! Abbiamo
ancora da pugnare e chi sa, forse da pugnare terribilmente. Si udivano in
lontananza le grida dei vincitori che davano il sacco al villaggio, che
bruciava assieme alle batterie. Sandokan raddoppiò il passo, traendosi dietro
con un gesto energico i suoi uomini e si diresse verso un torrente disseccato
sulle cui rive si aggirava Inioko.
- Marianna
dov'è? - domandò il pirata cercandola collo sguardo.
- Sono laggiù
tutte e due, vi aspettano ansiosamente - rispose Inioko. - E che ne fu?...
Abbiamo noi vinto, capitano?
Sandokan non rispose che crollando ripetutamente il
capo, poi attraversato il letto del torrente, si diresse rapidamente verso le
due donne che gli movevano incontro. La giovanetta nel vederlo gettò un grido
di gioia; il pirata l'accolse fra le sue braccia senza dir verbo e la strinse
contro il suo petto. Ella, compresa di ciò che era successo al villaggio,
indovinò la rotta.
- Povero
Sandokan, poveri pirati! - esclamò ella con sincero cordoglio. - Io cominciava
ad amare di già Mompracem.
- Sì, amor
mio, siamo stati battuti - rispose Sandokan. - I forti hanno vinto schiacciando
i prodi. La fatalità fu inesorabile.
- E ora che
facciamo noi? - domandò Ladgia volgendosi verso il Portoghese.
- Si emigra -
rispose Yanez. - Sandokan, il nemico ci è alle spalle, non perdiamo minuti che
sono preziosi.
I pirati
giungevano l'un dietro l'altro conducendo i cavalli. Non mancava che salire in
sella.
- Amici -
disse Sandokan, volgendosi verso i suoi uomini. - Diamo un ultimo addio a
questi luoghi e partiamo. Nessuno rimprovererà gli ultimi pirati di aver ceduto
il campo senza averlo contrastato. È inutile rimanere, emigriamo finché la via
è libera, cerchiamo salvarci prima che i vincitori abbiano ad assassinare fino
all'ultimo i tigrotti di Mompracem. Coraggio miei poveri compagni. Voi siete
stati testimoni dei miei sforzi per arrestare l'invasore; nessuno di voi potrà
rimproverare la Tigre, non è vero?
- No, no -
risposero in coro i pirati. - Non ti rimprovereranno mai!
- Lo sapeva
io che i miei uomini erano ancora gli stessi dopo la sconfitta - disse Sandokan
commosso. - Era scritto lassù che Mompracem dovesse cadere, che la Tigre
finisse di ruggire, che i pirati scomparissero. Siamo stati vinti, ma non
domati, ci hanno scacciati da questi luoghi che erano nostri, ma ci siamo ben
difesi. Compagni! Gli è doloroso emigrare, finire la vostra gloriosa carriera
in terra straniera, ma il destino l'ha voluto. Seguiamolo, espatriamo giacché
non abbiamo più forze per lottare col prepotente nemico che ci ha vinti, la
Tigre ne dà l'esempio, e voi lo seguirete. A quale scopo farsi assassinare quando
ogni generoso sforzo riescirà inutile? Voi piangete, e io credete che non abbia
il cuore che sanguini?
«In terra
straniera avrete ancora forze sufficienti per ritornare pirati. Vi sono ancora
delle isole nella Malesia per offrirvi rifugio. Andatevi, consolidatevi, create
una nuova società con una nuova Tigre; chi sa? Forse un dì potrete ritornare a
Mompracem e far tremare ancora i leoni di Labuan.
- Ma voi, ove
andate? - domandarono i pirati che alle parole di Sandokan singhiozzavano.
- Io non sono
più la Tigre - rispose amaramente Sandokan. - Non contate più su di me che
appartengo corpo e anima all'avvenire. Vi guiderò finché vi sarà bisogno, vi
difenderò coll'antico valore di cui andava orgoglioso, poi, quando non avrete
più bisogno di me, vi scioglierò da ogni impegno. Non so più ruggire, non ho
più il braccio armato, non saprei vivere su di un'altra isola come pirata. Ho
bisogno di riposo, la mia carriera è finita.
Dei
singhiozzi gli montavano alla gola, mentre i pirati e la giovanetta piangevano
come fanciulli. Era pur commovente veder le lagrime solcare le brunite gote di
quei prodi, e i singhiozzi sollevare quei petti di ferro. Lo stesso Portoghese,
il filosofo, non sapeva rattener le lagrime e piangeva come un fanciullo
accanto a Ladgia.
- Non
piangete - continuò Sandokan. - Se gli Inglesi vedessero le lagrime solcar le
gote degli eroici tigrotti di Mompracem, riderebbero, essi che tremavano
dinanzi alla nostra potenza, essi che impallidivano dinanzi al nostro valore.
«Vi
comprendo, amici miei, è atroce abbandonare e perdere ogni cosa ed essere stati
per di più vinti. Ma chi sa, che un giorno guidati da un altro capo valente,
non abbiate a ricambiare queste lagrime in fiume di sangue. Io allora non sarò
più fra voi, ma...
Egli
s'interruppe. Un nodo gli serrò la gola.
- Capitano!
Capitano!... - esclamarono i pirati, circondandolo. - Perché non rimanete fra
noi, voi, sì valoroso? Non siamo più adunque noi i figli della Tigre?
- Non
tentatemi, amici, non lo posso, è impossibile, l'antica Tigre è condannata a
morire lontana dalla sua isola e dal suo trono... Amici, non parliamone più,
avrei ora a chiedere un favore ai miei tigrotti. Me lo accorderete voi, in
memoria dei servigi che vi resi?
Vi rispose
una voce sola:
- Parlate!
Parlate! Il nostro sangue e le nostre vite son sempre vostre.
- Bene -
disse Sandokan prendendo per mano Marianna e conducendola in mezzo ad essi. -
Voi ieri l'avevate gridata regina di Mompracem: la sconfitta l'abbatté col suo
trono. È d'uopo che essa abbia ad uscire dall'isola sana e salva. La
difenderete voi?
- Sì! Sì! -
urlarono i pirati sguainando le scimitarre e i kriss. - Viva lady
Marianna! Viva la moglie della Tigre!
- Grazie,
miei buoni amici - disse la giovanetta commossa. - Mi ricorderò di voi e di
Mompracem fino all'ultimo respiro.
- Grazie,
tigrotti - ripeté Sandokan, tendendo le mani verso di loro. - E ora, a cavallo,
miei prodi, a cavallo! Bisogna abbandonare le coste prima che il nemico abbia a
tagliarci la ritirata.
Era passato
anche troppo tempo. Sandokan aiutò la giovanetta a salire a cavallo nel mentre
che Yanez faceva altrettanto colla Dajacca e diede il segnale della partenza.
I cavalli
spronati a sangue partirono alla carriera, seguendo un sentieruzzo aperto fra
immense boscaglie che menava alle spiaggie occidentali. Sandokan apriva la via,
allontanando i rami e recidendo colla scimitarra le liane che attraversavano il
sentiero e dietro a lui veniva Marianna. Yanez, Ladgia e i pirati galoppavano
in coda colle armi in pugno per essere pronti a qualsiasi attacco.
A mezzanotte
essi giunsero in vista dei fuochi accesi nel villaggio degli indigeni, presso
al quale dovevano trovarsi i tre prahos speditivi due giorni innanzi.
Ognuno nel
vederli respirò.
- È il mare
questo che mugge? - chiese la giovanetta a Sandokan.
- Sì,
Marianna, è il mare - rispose il pirata sospirando. - Non avrai paura a
seguirmi sul mare, non è vero, anima mia?
- No, non
avrò paura quando tu verrai con me. Tu sei forte e basterai a difendermi contro
ogni pericolo.
- Sì,
Marianna, la mia scimitarra ti difenderà e il mio petto ti farà scudo, e
spunterà le armi dei maledetti. Non ti toccheranno finché avrò una goccia di
sangue nelle vene e un tigrotto sui prahos. Te lo giuro!
La giovanetta
lo guardò con occhi lagrimosi.
Sandokan la
comprese e avvicinando il suo cavallo a quello di lei:
- Non avranno né l'uno né l'altro. - Poi, cangiando
tono: - ho mille risorse, che tutti ignorano. La Tigre non morrà mai.
Spronò
un'ultima volta il suo cavallo e rizzandosi in sella mandò un lungo fischio che
era un segnale. Due fischi simili vi risposero e i fuochi del villaggio si
spensero subitamente.
- Orsù -
gridò egli volgendosi verso coloro che lo seguivano. - La fortuna è ancora con
noi: i prahos sono all’âncora.
I ventiquattro
cavalieri entrarono alla carriera nel villaggio, schiamazzando.
Sandokan
balzò d'arcione, aiutò Marianna a discendere e mosse assieme ai suoi compagni
verso gli uomini dei prahos.
- Il nemico?
- chiese brevemente egli gettando uno sguardo ai tre legni che sonnecchiavano
in una piccola baia.
- Non fu
veduto su queste coste - rispose uno dei marinai. - Ma... non si è forse
mostrato dinanzi al villaggio, capitano?
- Sì, puoi
ben comprendere l'esito della pugna - disse il pirata sordamente. - Vinto, la
fatalità ci spinge di più a emigrare; la fatalità ci spinge ad abbandonare la
nostra Mompracem. Fa armare i tuoi legni, bisogna affrettarsi.
Tenendo per
mano Marianna, egli si spinse fino alla spiaggia e scrutò con un colpo d'occhio
il mare sepolto fra le tenebre.
- Tu lo vedi,
Marianna - disse il pirata dopo essersi assicurato che alcun lume brillava sul
fosco orizzonte. - Noi abbandoneremo senza essere visti queste care coste un dì
tanto potenti e or vinte e domani saremo lontani, fuori dai pericoli che ci
minacciano oggi, tanto lontani da far perdere ai leoni, che hanno vinto le
tigri e che agognano la loro regina, ogni speranza di raggiungerci. Io questa
notte perderò la mia isola che ho tanto amato, il mio nome terror dei forti e
del quale andava orgoglioso, tu perderai quel trono che sarebbe stato potente,
tanto da schiacciare col suo peso Labuan e Borneo uniti, quella grandezza alla
quale ti avevano innalzato i pirati di Mompracem. I miei uomini perderanno la
Tigre e la speranza di ritornare un giorno a questi luoghi e rifiorire. Mi
seguirai tu malgrado tante perdite dove io ti condurrò?
- Sì,
Sandokan, io ti seguirò ove tu vorrai - rispose la giovanetta passandogli
amorosamente le braccia attorno al collo. - Ti seguirò oggi, domani, sempre.
Che importa se non rivedrò più né Labuan, né Mompracem? Che importa se io perdo
quel trono che mi avevi dato, quando tu sei ancora mio? Non è forse tu che io
amava sopra ogni cosa?
- Sì, lo so,
Marianna - mormorò il pirata stringendola appassionatamente fra le braccia. -
Vedi, tu non sai ciò che io perdo in questa notte maledetta, non potrai giammai
comprendere i dolori che straziano il cuore di un pirata che si vede strappare
la sua isola, vera carne delle sue membra, dopo di aver assistito
all'assassinio di tanti prodi che chiamava suoi figli. Tu non indovini i timori
che agitano la mia anima che era di ferro. Se non avessi te, io sarei capace di
rimanere, di disputare palmo a palmo il terreno all'invasore, di seguire nella
morte coloro che mi hanno preceduto, e non lo faccio perché non posso farlo,
perché io voglio vivere per te, perché voglio difenderti contro i leoni che ti
minacciano, e dissipare le inquietudini che mi agitano.
«Senti,
Marianna, non ho mai avuto paura, e si direbbe che in questa notte, dopo la
sconfitta, io ho paura!
- Non lo
crederò, mio valoroso, tu sei ancora la Tigre. Essi hanno ancora paura di te,
tremano.
- La Tigre! -
esclamò il pirata con accento doloroso. - Essa è morta, Marianna, o se non lo è
del tutto è moribonda; io lo sento, il mio braccio non possiede più l'antico
vigore, l'anima non è più di ferro, il cuore è incatenato, il ruggito si è
spento sotto i soffi della fatalità e sotto l'ardente alito di una fanciulla
divina che amo. Io sento che non tornerò più a Mompracem, per ritornare a farla
brillare, sento che sono morto.
«E sia, non
mi lamenterò giammai che tu abbia incatenato la belva, che tu l'abbia domata;
era scritto lassù che così dovesse accadere, che Sandokan non morrebbe sul mare
né sulla sua isola, ma fra le braccia di una fanciulla. Il pirata sospirò, poi,
cangiando bruscamente tono e discorso:
- Marianna -
diss'egli, - partiamo. Partiamo prima che l'uragano che ci minaccia si scateni,
prima che la Tigre nel momento supremo del sacrificio abbia a risvegliarsi,
prima che i tigrotti abbiano tempo di pentirsene.
Il mare è
libero, i prahos ci aspettano pronti a prendere il largo, il vento è
propizio. Partiamo prima che l'alba dissipi le tenebre.
- Partiamo,
Sandokan, e quando noi avremo varcato la crociera, su qual terra pianteremo il
nido?
- Sulla terra
che tu vorrai, amor mio, su di una terra ove la Perla di Labuan possa ritrovare
i suoi boschi e i suoi fiori, senza rimpiangere la sua lontana patria. Tu
sceglierai, io ti seguirò ovunque, purché il grido di Mompracem non lo possa
udire mai più.
I prahos
erano stati accostati alla spiaggia e avevano salpate le âncore e spiegate le
enormi loro vele, che si gonfiavano di già sotto i soffi della tramontana. I
pirati, cupi e taciturni, non aspettavano che il segnale dell'antico capo per
imbarcarsi.
Sandokan,
tenendo per mano la fanciulla, li raggiunse. Egli si arrestò in mezzo a essi e
additò i tre prahos.
- Amici - diss'egli con voce che si sforzava di
rendere calma, - il momento di partire è giunto. Un ultimo addio alla nostra isola,
che tornerà ad addormentarsi sul mare come dormiva prima che noi vi piantassimo
le nostre capanne, e poi prendiamo il largo. Il destino lo vuole.
Attraversò i
suoi uomini con passo fermo, mentre i più vecchi singhiozzavano e i più giovani
lagrimavano e salì risolutamente a bordo del prahos più grosso. Dieci
dei più forti della banda lo seguirono. Il Portoghese con Ladgia con
altrettanti pirati prese posto nel secondo prahos che portava tutti i
tesori di Sandokan e Inioko cogli ultimi che rimanevano occupò il terzo, il
minore dei tre e il meno armato, ma nondimeno capace di tener fronte a una
cannoniera.
Il segnale venne dato un momento dopo, e i tre legni
sotto il vento settentrionale, taciti e protetti dalle ombre della notte,
presero il largo portando seco gli ultimi superstiti della formidabile banda di
Mompracem. Sandokan, a fianco della giovanetta che appoggiava il capo sul suo
petto, era in piedi a poppa, per vedere un'ultima volta quelle coste che non
doveva riveder più mai. I suoi uomini gli facevano corona, cogli occhi fissi su
quelle vette che a poco a poco si perdevano fra le tenebre, testimoni della
passata grandezza dei pirati in quei mari. I più vecchi campioni della
pirateria piangevano come fanciulli, tendendo le robuste braccia verso la loro
isola con gesto disperato.
- Compagni! -
disse Sandokan, alzando le braccia sopra di essi. - Diamo un ultimo addio a
questi luoghi, e cerchiamo seppellire il passato sperando nell'avvenire, che
una voce interna mi dice sarà ridente per entrambi. Oggi perdiamo l'isola, oggi
perdiamo il mare, la nostra potenza, la nostra patria, domani forse la
riconquisterete, facendo pagar cara l'audacia dei potenti che hanno schiacciato
i deboli: i fiori che muoiono oggi, potranno rifiorire domani.
«Chi dice che
non ritornerete a Mompracem, e che non abbiano a ritornare ancora i tempi della
Tigre? Chi dice che oggi io fuggiasco, senza artigli e senza forza per ruggire,
non abbia a guidarvi ancora di vittoria in vittoria? Chi sa, potrebbe forse
venire un giorno che l'addormentato avesse svegliarsi e ritornare il pirata?
«Emigriamo
oggi che siamo deboli, salviamoci dai colpi di un nemico senza pietà, e
dimentichiamo il passato. Via queste lagrime che non sono degne di un pirata di
Mompracem! Vedete, io non piango, eppur soffro egualmente la perdita del mio
mare, della mia isola che amava sopra ogni cosa, dei miei compagni che
formavano la mia potenza e che amava come fossero miei figli, e di più il nome
che non udrò forse più mai!...
- Non ditelo,
non ditelo! - esclamarono i pirati. - Oh! sì, lo udremo ancora. Non é vero che
ritornerete fra noi? Non è vero che tornerete la terribile Tigre dei tempi
passati?
La Tigre
scosse il capo con gesto disperato.
- Non lo posso,
ve lo dissi ancora, noti sono più libero, non ho più forze, non so più ruggire.
Ho delle catene che mi legano e che non posso spezzare; ho paura che non ci
rivedremo più mai. Poveri compagni! Poveri tigrotti di Mompracem!...
Il pirata
trasse a sé Marianna, e spense un singhiozzo che salivagli alla gola in un
bacio sulle sue labbra.
- Essa mi ha
domato - diss'egli mostrandola ai pirati con gesto appassionato. - Sono suo!
Alzò il capo,
e guardò il mare con inquietudine. Egli trasalì nello scorgere due punti
luminosi che solcavano l'orizzonte.
Emise un
ruggito soffocato: si volse verso i suoi uomini come una belva rabbiosa.
- Voi mi
parlavate poco fa di vendetta, di sangue, di pugne - diss'egli con voce
arrangolata, serrandosi fortemente al petto Marianna quasi che temesse che gli
venisse strappata. - Ebbene, ecco laggiù due leoni, che aspettano il momento
opportuno per gettarsi sulla Tigre e sui suoi figli. Su, su, tigrotti!
Impugnate le armi! Io divento ancora una volta la Tigre della Malesia assetata
di sangue e di vendetta!
Un urlo di
furore s'alzò fra i suoi uomini, al quale risposero quelli degli altri prahos
che avevano egualmente scorto il nemico, che s'avanzava tacitamente. Ogni
braccio alzò la scimitarra, minacciando i due prepotenti che venivano a
sfidarli persino sul mare.
- Anche sul mio mare, adunque, vieni a inseguirmi? -
muggì Sandokan con terribile accento. - Oh! non mi avrai finché mi rimarrà la
forza d'alzare il braccio e stringere un'arma, non mi vincerai per due volte di
seguito. Maledetto da Dio! Su, tigrotti, su, tutti colle armi in pugno! La
Tigre della Malesia vi guida e la vostra regina vi addita la vittoria!
Non ci voleva
di più per animare i pirati, che ardevano di vendetta e che sognavano con un
disperato combattimento di riacquistare la perduta Mompracem. Tuttavia non
bisognava commettere pazzie e gettarsi perdutamente contro i due vascelli che
potevano essere cinquanta volte più forti di loro. Sandokan lo comprese pel
primo e s'accorse che una seconda pugna sarebbe stata più che pericolosa pei
suoi uomini, prodi ma pochi, per sé e per Marianna. Dominando la smania di
vendicarsi e l'ira che bollivagli in petto, anziché muovere incontro ai due
vascelli ordinò di volgere la prua all'oriente.
- Compagni -
diss'egli, intimando silenzio a coloro che chiamavano il nemico. - Prima di
cimentarsi in un ultimo combattimento che potrebbe rinnovare la sconfitta di
oggi, tentiamo d'ingannare coloro che c'inseguono. Quando suonerà il momento di
dare l'abbordaggio o d'ingaggiare la battaglia, colla sicurezza di vincere, ne
darò il segnale primo di tutti. Non compromettiamo inutilmente gli ultimi
avanzi della pirateria, che potrebbero un giorno risorgere.
L'oscurità
favoriva la fuga; nulla di meglio che effettuarla, finché rimaneva il tempo. I
pirati, ubbidienti alle parole dell'antico capo, paventando una seconda
sconfitta, si appigliarono al suo proposto partito.
I tre prahos
che un momento prima veleggiavano al sud, virarono di bordo e senza essere
stati scorti, si diedero alla fuga verso l'ovest lasciandosi alle spalle
l'isola.
Il vento era
anche propizio, non troppo forte per poter intraprendere una gara di celerità
coi legni nemici che erano forniti di macchina, ma sufficiente per frapporre
una rispettabile distanza prima che l'alba avesse a dissipare le tenebre e
metterli allo scoperto. Sandokan sperò di poter isfuggire al nemico che non
sospettava sicuramente la presenza dei prahos.
- Marianna - diss'egli, volgendosi verso la giovanetta
pallida bensì ma fiduciosa al pari di lui. - Il nemico è là, ma non ci ha
scorti; non temere di nulla, noi ti difenderemo fino all'estremo. Prima che i
maledetti abbiano a porre la mano su di te per trascinarti ancora nella loro
isola, bisognerà che mi abbiano ad uccidere.
- Non tremo,
Sandokan, tu lo vedi - rispose la giovanetta che ad onta di ciò si sentiva
assalita da funeste inquietudini. - Lo so che tu e i tuoi mi difenderanno, lo
so che i pirati sono ancora forti. Io non ho paura come non ne ebbi ieri.
- Sì, non hai
paura, io so che tu sei coraggiosa. Eppure... no, non ti avranno, io rispondo
della tua difesa.
I tre prahos,
a una distanza di cinquanta passi l'un dall'altro, continuavano la fuga
passando a poche miglia dai due fanali che parevano avvicinarsi come
eseguissero una perlustrazione in quel tratto di mare. Tutti i pirati, armati
sino ai denti, caricati i cannoni, manovravano in silenzio sui ponti, senza
perderli di vista, cercando indovinare la manovra senza dubbio un po' strana
delle due navi. Si avrebbe detto che senza rumori, eccetto quelli delle
macchine che rantolavano e le battute delle ruote che mordevano le acque,
cercassero di avvicinarsi ai tre legni, che sfilavano come ombre confuse tra le
tenebre, verso l'ovest.
- Che ci
avessero di già scoperti? - mormorò Sandokan, che sentiva l'inquietudine di
nuovo assalirlo.
- Ohe! -
gridò d'un tratto una voce che fu conosciuta per quella del Portoghese. - Non
vedete che ci danno la caccia?
I due legni
nemici, un piroscafo e una cannoniera, quegli stessi che avevano preso parte al
bombardamento, descrivendo un brusco angolo avevano cangiato via. Essi mossero
arditamente quanto inaspettatamente verso i tre prahos lontani allora
mezzo miglio; i loro camini eruttavano nubi di fumo dai riflessi rossastri e le
ruote mordevano precipitosamente le acque.
- Ah!
miserabili! - esclamò Sandokan mentre i pirati gettavano un urlo di furore
correndo ai cannoni.
- Dio mio, io
sono perduta! - mormorò la giovanetta appoggiandosi al braccio di Sandokan, che
la sosteneva.
- Non ancora,
non ancora! - rispose il pirata. - Marianna, raggiungi la tua cabina, e lascia
a me la forza per ischiacciarli.
Un colpo di
cannone partì dal piroscafo che giungeva a tutto vapore cercando separare i tre
prahos. La palla fischiò alle orecchie di Sandokan, mentre una seconda
palla partita dalla cannoniera che già cercava di abbordare il legno del
Portoghese, smussava l'albero di maistra. Inioko aprì subito dopo il fuoco,
imitato dagli artiglieri degli altri prahos.
- Nella
cabina, anima mia! - esclamò Sandokan, commosso. - Bisogna che io sia completamente
libero perché ritorni la Tigre della Malesia.
Afferrò fra
le vigorose braccia la giovanetta e mentre che la mitraglia fischiava a lui
d'intorno frantumando con orrendi scrosci gli attrezzi, si precipitò nella
cabina. Marianna si aggrappò disperatamente al suo collo nel momento che
pigliava lo slancio per risalire la scala.
- Sandokan!
Sandokan! - esclamò ella con voce tremante. - Non lasciarmi così, non
allontanarti dal mio fianco... Ah! Sandokan, ho paura... ho paura, ho sinistri
presentimenti.
Il pirata se
la staccò con dolce violenza.
- Non
tremare, amor mio - le disse. - Lascia che io salga in coperta, lascia ch'io
provi ancora una volta le emozioni che provavo quando ero Tigre, lascia che io oda
ancora una volta il ruggito dei cannoni e il sibilo delle bombe e le urla dei
morenti, che io veda ancora sangue e cadaveri. Bisogna che io ti difenda.
- Ah! Se tu
sapessi quali sinistri timori mi assalgono! - mormorò la giovanetta. - Rimani
presso di me e io ti difenderò dalle armi dei miei compatrioti. Sandokan!
Sandokan!...
Il cannone
tuonava furiosamente in coperta e si udivano le urla terribili dei combattenti
e i gemiti strazianti dei feriti. Sandokan si svincolò dalla giovanetta e si
scagliò come un forsennato verso la scala urlando:
- Sangue!
Sangue! La Tigre della Malesia ha sete! Guai chi tocca mia moglie! Io la
difendo!...
La cannoniera
si batteva disperatamente contro il prahos del Portoghese che le faceva
saltar i suoi uomini e che le frantumava le ruote, le murate e gli alberi, a
meno di mezzo miglio di distanza. Il piroscafo assaliva invece con vantaggio il
prahos di Sandokan e quello del Dajacco coprendoli di ferro, fracassando
i loro fianchi, smontando le artiglierie e sventrando i marinai.
La comparsa
della Tigre rianimò i pirati che si sentivano impotenti dinanzi a tanta pioggia
di bombe e di mitraglia. Il terribile uomo si mise in persona a uno dei
cannoni, urlando sempre ferocemente.
- Ho sete! Ho
sete! Venite a prenderla se avete sangue nelle vene. La Tigre della Malesia
difende la Perla di Labuan!
Ma, ad onta
che le sue palle tempestassero il gran vascello con matematica precisione, le
sorti volgevano alla peggio pei pirati.
La pioggia di
ferro continuava a cadere più fitta che mai sdruscendo e rasando come pontoni i
due poveri legni. Era da vedersi che fra pochi minuti tutto sarebbe stato
finito. La Tigre della Malesia gettò un urlo disperato.
Egli fece
imbarcare tutti gli uomini dell'altro prahos sul suo legno, poi traendo
la scimitarra comandò risolutamente l'assalto.
- Su, miei
prodi tigrotti - tuonò egli cercando dominare il crescente fracasso delle
artiglierie. - All'abbordaggio! All'abbordaggio!
La
disperazione centuplicava le sue forze come quelle dei compagni. Rispondendo
coi due cannoni che rimanevano ai venti del piroscafo, i tredici pirati,
manovrando ai remi, spinsero lo sdruscito legno sotto le tambure del vapore,
assordando l'aria colle loro grida minacciando il nemico che non sostava un sol
minuto dal mitragliarli per arrestarli.
- Non aver
paura Marianna, io vengo! - urlò un'ultima volta Sandokan, mentre la giovanetta
lo invocava.
Poi alla
testa dei suoi uomini, intanto che il prahos del Portoghese più
fortunato metteva la cannoniera fuor di combattimento, colla scimitarra in
pugno e il kriss fra i denti, diede l'abbordaggio inerpicandosi sulle
tambure, sciabolando i primi uomini che cercavano contrastare il passo. Egli si
precipitò in coperta come un toro ferito.
- Sono la
Tigre! Sono la Tigre! - urlò egli, facendo balzi da belva. - Guai chi mi tocca!
Dieci uomini
lo seguivano con Inioko. Essi andarono a cozzare furiosamente contro i marinai,
che correvano a loro incontro colle scuri alzate e si mescolarono assieme a
loro, pugnalando i più vicini e sciabolando i più lontani.
Sandokan che
si trovava fra i primi, sospinto dall'onda dei combattenti si trovò di fronte
al comandante, che riconobbe subito.
- Dov'è
Marianna? - chiese questi parando un colpo di scimitarra che sarebbe stato
capace di fendere una rupe.
- Ah, sei tu,
William! - urlò il pirata sprofondando il kriss nel ventre di un soldato
che rotolò ai suoi piedi.
Fece un salto
di tre metri sopra le armi del nemico, che l'incalzava, e piombò come una tigre
sul baronetto che non ebbe il tempo di parare l'urto. La scimitarra gli spaccò
il cranio e lo rovesciò fra i combattenti.
- Ammazza!
Ammazza! - urlò il pirata, cercando aprirsi il varco fra i soldati a colpi di
scimitarra.
Non vi
riuscì. Sdrucciolò, cercò rialzarsi e tornò a sdrucciolare. Quel momento bastò.
Ricevette una mazzata sul capo col rovescio di una scure e cadde mezzo morto
fra i cadaveri che ingombravano il ponte.
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