CAPITOLO
XXX
I
prigionieri
Quando tornò in sé, ancora stordito dal terribile colpo
ricevuto in mezzo al cranio, la Tigre della Malesia si trovò incatenata nella
stiva del vascello nella impossibilità di muoversi.
In sulle
prime si credette in preda a un terribile sogno, ma il dolore che gli
martoriava il capo, le carni straziate qua e là dalle punte delle baionette e
delle sciabole, le vesti lacerate e le catene che gli serravano i polsi e i
piedi, lo richiamarono in breve alla realtà.
Nondimeno non
volle credersi prigioniero e si rizzò, scuotendo furiosamente le catene che
mandarono un suono lugubre. Si guardò d'attorno con occhi smarriti, ma non vide
che le umide pareti della stiva e botti accavallate le une sulle altre che
gemevano sotto il rollio lento e misurato della nave. Cercò il suo fedele kriss
e la sua scimitarra, ma non trovò né l'uno né l'altra. Egli batté la testa
addolorata contro le botti, come volesse svegliarsi. Fu allora che s'accorse di
essere proprio sveglio e di essere prigioniero nel fondo del vascello. Emise un
ruggito d'ira, di dolore e di vergogna.
- Marianna! Marianna! - mugghiò lo sventurato pirata
con accento disperato. - Dove sei tu, fanciulla divina, rispondi anima mia,
dove sei?...
La Tigre
della Malesia che non aveva mai saputo cosa fosse paura ebbe in quel terribile
momento a provarla. Sentì smarrirsi la ragione, confondersi, si sentì alfine
impotente; un eccesso di tremendo furore lo prese.
Si gettò a
terra, contorcendosi disperatamente colla spuma alle labbra, gli occhi fuori
dall'orbite. Ruggì, urlò, bestemmiò, maledì, invocò, supplicò.
- Marianna! Marianna!
- ripeteva egli fuori di sé scuotendo i ferri e cercando di spezzarli. -
Marianna! Dove sei tu, amor mio, anima mia, fanciulla adorata, mia felicità?
Dove sei tu? Rispondi, rispondi al tuo Sandokan, alla sventurata Tigre della
Malesia.
«Mompracem,
mia isola, carne delle mie membra, mia patria, dove sei, che è avvenuto di te?
Yanez, mio buon fratello, compagni, tigrotti miei, siete adunque tutti morti,
proprio tutti? Oh! Non è possibile: non lo voglio credere... Io son pazzo!
Per dieci
minuti, si rotolò per terra, empiendo la stiva delle sue urla disperate, poi si
sollevò e cercò precipitarsi verso la scala che metteva capo al boccaporto, ma
i ceppi lo fecero cadere sulle ginocchia. Mandò un gemito.
Tornò a
guardarsi attorno con ispavento, col volto orribilmente contraffatto.
- Ma dove
sono? - si chiese egli. - Che è successo dopo che caddi sul ponte del legno
nemico?
«Che è
accaduto di Marianna che abbandonai senza difesa sullo sdruscito e affondante prahos?
È morta? È viva?... Che è avvenuto degli ultimi tigrotti di Mompracem! Sono io
solo rimasto vivo fra tanti e per essere trascinato sul patibolo di Labuan?
«Ah! Ironia
del destino!... Tutti morti! Morta la mia fidanzata, morto Yanez, morti i miei
prodi, morto persino l'eroico Inioko? Fatalità, quanto sei terribile contro di
me!
Egli
s'arrestò di botto, sorpreso nell'udire una voce uscire dal vano lasciato fra
due imbarcazioni rovesciate.
- Inioko! -
diceva quella voce. - E chi dice che io son morto? Sandokan trasalì. Non era
dunque solo in quella prigione?
Si rizzò,
scuotendo le catene. Un analogo fragore rispose a poca distanza e la medesima
voce di prima, riprese:
- E chi dice
che io sia morto? Ho forse l'aspetto di un morto? Possibile che sia nel ventre
di un vascello subissato?
- Inioko! -
esclamò Sandokan che riconobbe la voce del bravo Dajacco. - Inioko!
Inioko colla
testa fasciata, apparve fra le due imbarcazioni. Egli sbarrò tanto di occhi.
- Un altro
morto! - diss'egli con profondo terrore. - Oh!... La Tigre della Malesia!...
Capitano! Capitano!...
Il Dajacco
vacillò come un ubbriaco, poi facendo salti da kanguro si precipitò verso di
lui.
- Non è vero
che siete morto, mio capitano? - esclamò egli, toccandolo. - La Tigre non può
essere morta, era invulnerabile.
- No -
rispose Sandokan curvandosi su di lui. - Non sono morto, la sola anima credo
che abbia finito di vivere.
- Lo sapevo
io che la Tigre l'avrei riveduta. Vi ho veduto cadere dopo di aver fatto
macello di quelle canaglie, ma non potevano avervi ancora ucciso. Ah! mio
capitano, io piango dalla gioia nel trovarvi qui vivo.
- Ah! tu mi
hai visto cadere! Tu ti battevi ancora adunque quando mi hanno stordito!
Racconta! Racconta! Io non mi rammento più di nulla, non ho veduto più nulla
dopo la mazzata. Ne sai nulla di Marianna? È morta essa?
- Morta?! -
esclamò Inioko sorpreso. - In fede mia, chi avrebbe potuto uccidere la regina
di Mompracem?
- Ah, non è
morta adunque! - urlò Sandokan. - Racconta Inioko, parla Dajacco mio, che ne
hanno fatto di essa?
- Aspettate, capitano:
ora mi ricordo. Voi eravate caduto, io mi batteva ancora alla testa di tre o
quattro valorosi, cercando portarvi soccorso. Mi trovavo addosso alla murata di
babordo quando vidi una decina di giacche rosse guidati da un
luogotenente precipitarsi sul ponte del vostro prahos che stava per
affondare. La giovanetta spaventata dall'acqua che aveva invaso la cabina
chiamava disperatamente aiuto invocandovi, essi l'avevano riconosciuta.
- Era viva,
ancora viva, ancora mi chiamava e io non poteva salvarla! - esclamò Sandokan. -
Maledizione!
- Io li ho
veduti risalire a bordo portandola fra le braccia. Doveva essere svenuta, ma
non morta, poiché un momento prima la udii colle mie orecchie chiamarvi per
nome. Eravamo quattro, feriti e accerchiati, ma credetelo, mio capitano, ci
siamo avventati sul nemico colla speranza di liberarla. Non fu possibile, io
caddi sotto un colpo di manovella che mi fece svenire, mentre essa veniva
trasportata in una delle cabine ancora svenuta.
- È adunque a
bordo di questo vascello? L'hai proprio veduta coi tuoi occhi che non era
morta?
- Non è
morta, capitano, posso affermarlo senza timore; come posso assicurarvi che essa
è a bordo del piroscafo.
Sandokan
mandò un urlo di gioia. La speranza di tentare la liberazione di Marianna, quantunque
incatenato, e senza armi, gli balenò nella mente. Sentì le forze centuplicarsi
e si sentì capace di infrangere i ceppi che lo imprigionavano.
- Marianna!
Marianna! - esclamò egli, alzando le braccia verso il ponte. - Oh! ti libererò,
sì, ti salverò fanciulla divina! Aspetta che io esca di qui, e vedrai che io
tornerò a strapparti anche in mezzo a mille uomini, anche in mezzo a mille
cannoni, a mille piroscafi.
- Ma come
farete mai voi a liberarla? - chiese Inioko. - Non abbiamo un uomo su cui contare
a bordo di questo legno, non abbiamo armi!
Lascia
pensare a me, Inioko. Se occorre tornerò a diventare la sanguinaria Tigre della
Malesia, rioccuperò Mompracem, chiamerò sotto le bandiere tutti i pirati della
Malesia, truciderò mille uomini per farmi un nome ancor più terribile. Finché
avrò una goccia di sangue nelle vene, la forza d'impugnare la scimitarra,
pugnerò per liberare colei che chiamai mia moglie.
«Che importa
se dopo avermi scacciato dalla mia isola, di avermi assassinato i miei
tigrotti, mi hanno fatto prigioniero? Non sono io forse ancora Sandokan dalle
leggendarie imprese, la temuta Tigre della Malesia? Che importa se oggi mi
hanno strappato la mia fidanzata, quando ho veduto l'aborrito rivale ruinare
fulminato ai miei piedi? Che la portino a Labuan o a Sarawak, in India o in
Inghilterra, la raggiungerò a qualsiasi costo. Giurai nei boschi di Labuan e di
poi sulle spiagge di Mompracem, che Marianna Guillonk diverrebbe mia sposa, e
lo diverrà.
- Ma non
vedete adunque che camminiamo verso la forca e che abbiamo le catene alle mani
e ai piedi?
- Marciamo
verso la forca! Credi tu, Inioko, che io non sappia trovare il mezzo per uscire
da quest'orrida prigione? Siamo senz'armi, siamo senza aiuti, circondati da un
nemico che ha giurato di trascinarci sulle forche di Labuan, ma la Tigre della
Malesia ha mille risorse. Inioko, prima che abbiamo a giungere in vista delle
coste maledette, noi saremo liberi.
Il pirata
aveva pronunciato tali parole con tanta sicurezza da credere seriamente che
avesse in mano i mezzi per tentare la fuga.
- Voi mi fate
strabiliare, capitano - disse Inioko.
- Sarà
possibile.
- E dite che
ritorneremo in mare?
- Sì, e
liberi sul libero mare.
- E una volta
sui flutti, che si farà?
- Una
domanda, prima, Inioko. Che ne fu del Portoghese? Io caddi nel momento che
frantumava le ruote della cannoniera.
- La fortuna
era con lui, capitano - rispose Inioko. - Aveva uomini di ferro a bordo del suo
prahos e cannoni che ruggivano con matematica precisione. Spezzò le
ruote alla cannoniera, la demattò dei suoi attrezzi, l'abbordò dopo averle
distrutto tre quinti dell'equipaggio e l'incendiò. Quando il piroscafo lo
inseguì egli era di già lontano e fuori di portata delle artiglierie.
«Dove diavolo
è andato a cacciarsi? Io l'ignoro, ma scommetterei la mia testa che egli alla
lontana ci segue e che forse medita di abbordare il piroscafo.
- Non farà
nulla, egli è troppo debole. E tutti gli altri sono morti adunque?
- Tutti morti
colle armi in pugno - disse Inioko, asciugandosi di nascosto una lagrima.
- Morti! -
mormorò con cupo dolore Sandokan prendendosi la fronte fra le mani. - Io non li
vedrò più adunque quei miei prodi, quei miei figli!
- Non li
rivedremo più mai - ripeté il Dajacco. - Erano duecento i tigrotti di Mompracem
e duecento sono morti. Poveri compagni!
- E tu hai
veduto cadere Singal, il prode Singal, uno dei più vecchi campioni della
pirateria, che pugnò in cento abbordaggi?
- Sì, mio
capitano, io l'ho veduto cadere al mio fianco spaccato da una palla di cannone.
- E il
valoroso Saugau, il leone delle Romades, anch'egli hai veduto morire?
- È morto. Io
l'ho veduto precipitare in mare colla testa sfracellata da una scheggia di
mitraglia.
- Sono tutti
morti, proprio morti adunque, quegli eroi che io traeva all'abbordaggio del piroscafo
che ci vinse?
- Tutti. Io
li ho veduti cadere ad uno ad uno sul ponte del prahos e più tardi sul
ponte del vascello. La fatalità pesava su di noi.
- Fatalità! Fatalità! - ripeté Sandokan ferocemente. -
E fui io a trarre alla morte quella schiera di prodi che si chiamavano i
tigrotti di Mompracem!
Il pirata
tacque e s'immerse in dolorose meditazioni. Inioko si accovacciò in un angolo
della stiva, aspettando colla impassibilità propria dei selvaggi gli eventi,
mentre il piroscafo, con lieve rollio, continuava la sua corsa verso Labuan
sotto la poderosa spinta delle grandi ruote che turbinavano con crescente
rapidità sui suoi fianchi.
Sandokan,
passato il primo momento di commozione e ricacciati nel fondo del cuore i neri
pensieri che lo assalivano, si mise a meditare per tentare la fuga.
Non ignorava
che lo si trasportava a Labuan e che una volta giunto a Vittoria lo si avrebbe
impiccato, e che né le preghiere di Marianna né l'influenza del lord, assai
dubbia però, l'avrebbero salvato. Di qui la necessità di prendere il volo prima
di giungere in vista dell'isola esecrata.
Uomo di
ferro, coraggioso come il leone, feroce come la Tigre, astuto come un
selvaggio, quantunque senza mezzi, aveva la sicurezza di riuscire nel suo
piano.
- Non so su
chi contare - mormorò egli seguendo il filo dei suoi pensieri, - ma sono ancora
la Tigre della Malesia, l'uomo dalle mille risorse e dalle leggendarie imprese.
«Non ho meco
nemmeno un'arma per tentare arditamente un assalto, non ho nemmeno le forze, ma
mi rimane l'astuzia che sarà in mano un'arma potente. Oh! non aver paura, anima
diletta, non tremare, adorata Marianna, non mi trascineranno, no, sul pennone
infame degli assassini, non ti sacrificheranno, no, a un altro uomo.
«Essi sono
forti, noi siamo deboli, ma aspetta che io sia libero da questi ceppi, che io
nuoti libero sul mio mare, e poi verrò a salvarti a dispetto del lord e di
tutti i tuoi compatrioti.
«Aspetta,
fanciulla divina, che la falsa morte faccia di me un falso cadavere, che la
Tigre si addormenti sull'onde, per risvegliarsi libera, e poi mi vedrai
all'opera.
«Tremino
allora coloro che cercheranno sbarrarmi la via che mi conduce a te, tremino
quei rivali che avranno osato parlarti d'amore e tremino coloro che avranno
ardito lanciarti un insulto. Il lord stesso sacrificherò se cercherà
d'arrestarmi; cadrà fulminato ai miei piedi come vi cadde il maledetto William
sul ponte di questo piroscafo.
Il pirata
digrignò furiosamente i denti e strinse le pugna con gesto minaccioso. Stette
un momento lì immobile e cupo, cogli occhi torvi fissi a terra, poi si volse
bruscamente verso il Dajacco.
- Inioko! -
gridò.
Il tigrotto
accorse, saltellando come un kanguro, facendo stridere lugubremente le catene.
- Eccomi,
capitano.
- Potresti tu
assicurarmi che Yanez sia ancora libero?
- Vi
occorrerebbe forse Yanez?
- Sì. Senza
di lui, la fuga diverrebbe la nostra morte.
- Oh! -
esclamò Inioko. - Avete di già progettato la fuga. Ma le armi?
- Lascia a me
la cura di fabbricare le armi. Abbi fiducia nella Tigre della Malesia, che
tutto può. Orsù, si tratta di sapere se il Portoghese è libero, ora.
- È mia
opinione che ci segua a corta distanza. Ha con sé degli uomini bravi e un prahos,
che sfida un vascello a vapore dei più rapidi.
- Ecco ciò
che mi interessa sapere, prima di farmi gettare in mare. Una volta sulle onde,
penserei io a salvare la mia fidanzata.
- Che diavolo andate dicendo, capitano! - esclamò
Inioko spaventato.
- Hai paura
di farti buttare in mare?
- Nemmen per
sogno. Ma chi ci getterà?
- GI'Inglesi.
- Non capisco. A quale scopo?
- Che se ne
fa di un cadavere?
- Lo si mette
in un'amaca e lo si getta nel gran cimitero umido - rispose il Dajacco.
- Così
faranno di noi, ma non aver paura che noi risusciteremo. Te lo giuro.
- E una volta
risuscitati torneremo a fare i pirati? Ah! se ciò si avverasse, se noi
tornassimo ancora a Mompracem!
Una nube
oscurò la fronte di Sandokan; egli scosse con furore i ferri che lo
incatenavano.
«Lascia i
pirati! - esclamò con ira che poteva scambiarsi per disperazione. - I pirati
non hanno più nulla da fare su questi mari che non appartengono più alla Tigre
della Malesia. I forti sono spenti. Non risorgeranno più mai, e poi, a qual
pro? Tiriamo un velo sul passato e guardiamo in faccia l'avvenire che è ancora
oscuro, e forse terribile.
- Tutto è
morto adunque? E tutto muore attorno a noi, perfino le speranze, e poi a chi
toccherà morire? A noi forse?
- Sì, tutto è
finito per la pirateria, Inioko - disse Sandokan con istrazio. - Non mi rimane
più nulla da tentare su questi mari, fuorché la liberazione di Marianna, che
sarà l'ultima impresa della Tigre della Malesia, se pur non seguirò nella tomba
coloro che mi han preceduto.
- E se la
liberate, dove andrete poi?
- Dove andrò?
L'ignoro, né cercherò il saperlo; purché fugga da questi luoghi, non voglio
altro... Andrò dove lei vorrà, se pur tornerà a esser mia!... Potessi ancora
stringerla fra le mie braccia, potessi ancora sentire i battiti del suo cuore
contro il mio petto, potessi ancora udire la sua voce, respirare il suo profumo
che mi inebbriava e posare le mie labbra sulle sue!... Mille tuoni! Perché non
proverò ancora quelle emozioni sublimi? Perché?...
- Voi nutrite
sempre la speranza di rapirla - disse Inioko. - Ma non vedete che siamo
circondati d'armati?
- Ma io le
spunterò, le infrangerò queste armi - muggì Sandokan con furore. - Ah, credono
loro di aver vinta per sempre la Tigre? Credono loro di averla domata
incatenandola. No, ira di Dio! Guarda!...
Il pirata,
raccogliendo la sua erculea forza, raddoppiata dall'esaltazione a cui era in
preda, torse i ferri che gli stringevano i polsi, li aprì, li spezzò e li
scagliò contro le pareti della stiva, poi abbassandosi con una violenta
strappata separò la catena che gli univa i piedi. Egli si rizzò fieramente coi
pugni stretti, la faccia truce.
- Guarda la
Tigre libera! - esclamò egli.
In quel
medesimo istante il boccaporto di poppa si sollevò e la scala gemette sotto il
peso di un uomo che scendeva. Sandokan afferrò una manovella risoluto a
difendersi prima di farsi incatenare; il Dajacco, quantunque in ceppi, raccolse
l'aspa d'un argano.
Un soldato
armato di carabina colla baionetta inastata comparve e dietro a lui un
luogotenente e un marinaio armato sino ai denti. Nello scorgere Sandokan libero
e colla manovella minacciosamente alzata, essi s'arrestarono.
- Oh! potete
scendere - disse il pirata, ghignando e abbassando l'arma. - Ma che non vi
salti in testa l'idea di volermi incatenare. La Tigre potrebbe diventare
rabbiosa.
Il soldato e
il marinaio lo presero freddamente di mira, nel mentre che il luogotenente
colla sciabola sguainata gli si avvicinava.
- Gli è per
presentarmi due uomini in sì ridicola posa che siete sceso in questa stiva? -
chiese Sandokan beffardamente. - Potevate risparmiarmi questo grottesco
divertimento.
- Non è per
ciò che sono disceso nella gabbia della Tigre - rispose il luogotenente. - So
che due fucili non sono capaci di spaventare un uomo come voi, il cui coraggio
è popolare quanto la ferocia. Prendo solo delle precauzioni.
- Si ha paura
adunque della Tigre della Malesia? Non lo avrei creduto dopo che se l'ebbe
incatenata.
- E perché
no? Chi ha veduto la Tigre combattere non potrà mai vantarsi di non aver avuto
paura.
- Infine che
volete?
- Ho avuto un
ordine. Olà - disse volgendosi verso i suoi marinai, - liberate questi uomini
dai loro ceppi.
- Non ho
bisogno di voi, ho saputo spezzarli da me! - esclamò fieramente Sandokan,
battendo i piedi sul tavolato.
- Lo vedo
bene io: e chi non l'avrebbe indovinato? Incatenate una tigre con un filo di
ferro, essa lo spezzerà.
Il pirata, un
momento prima cupo, si raddolcì. Egli si avvicinò al luogotenente.
- Io sono un
pirata - disse Sandokan, - voi siete un luogotenente. Una barriera è gettata
fra di noi, un abisso senza fondo è scavato sotto, ma ciò non m'impedirà che
per un lampo la distanza che ci separa abbia a scomparire. Ditemi, comandante,
chi vi ha dato quest'ordine? Io lo indovino ma aspetto da voi il saperlo.
- Io l'ho
avuto da una persona che me ne pregò, ecco tutto - rispose il luogotenente
imbarazzato da quella domanda.
- Da Marianna
Guillonk! - esclamò Sandokan con una fermezza che avrebbe assicurato chiunque.
- Non potete negarlo.
- Ebbene, fu
milady in persona, non lo negherò. Trovate forse che sia strano che io abbia
ceduto alle sue preghiere?
Anziché
rispondere il pirata gli si avvicinò maggiormente intanto che i soldati
liberavano dai ferri il Dajacco. Il luogotenente, che non si fidava troppo di
quel formidabile uomo che lo sapeva capace di tutto, indietreggiò vivamente.
- Non abbiate
paura - disse Sandokan, gettando la manovella. - Non vi chiedo che una
preghiera, l'ultima se volete.
- Potete
parlare, io vi dissi di già che siete un valoroso quantunque un pirata e io amo
i valorosi. Cercherò rispondervi.
Il pirata
curvò il capo e incrociò le braccia sul petto fissando il luogotenente. Qualche
cosa di umido gli brillava negli occhi.
- Comandante
- diss'egli senza voler sembrare commosso. - Ditemi, che ne fu di milady? Che
fa ella? E viva ancora?
- Milady! -
mormorò il luogotenente, corrugando la fronte. - Essa è a bordo, non ve lo
nasconderò, e sotto la mia salvaguardia, dal momento che è morto il baronetto
in seguito alla ferita.
«L'ho salvata
nel momento che il prahos affondava, senza ferite, malgrado la tempesta
di ferro che ruggiva attorno a lei, ecco tutto. È viva, sofferente... credo che
voi farete bene a non pensare più a lei né lei a voi.
Il pirata si
sentì invadere da una voglia sfrenata di strangolare il luogotenente ma
rattenendosi:
- È vero
adunque che mi si trarrà a Labuan? - domandò egli con voce sorda, frenando
l'ira che ruggivagli in core.
Il
luogotenente non rispose e si accontentò di guardarlo, ma si leggeva
chiaramente ciò che voleva dire.
- Oh! -
esclamò Sandokan, cercando sorridere. - Non ho paura, potete parlare
liberamente come si parlasse ad un altro; la Tigre che ha sfidato la morte in
cento pugne ha l'anima inaccessibile. Posso indovinare la sorte che mi attende
a Vittoria. Vi sono da tanti anni preparato, oh sì da tanti anni!
- Ebbene,
Tigre, vi condurrò a Labuan, l'ho promesso al lord, al baronetto e di più ho
ordini formali. Siete coraggioso, ebbene non vi nasconderò che un pennone e una
corda vi aspettano. Lo vogliono, non già perché siate un pirata, poiché voi
siete uno di quegli uomini che non si possono chiamare tali dopo ciò che avete
fatto, ma per liberare questi mari da un nemico che minaccia di continuo le
sorti di Labuan. Vedete, se fossi io, vi darei un posto nell'esercito delle
Indie anziché appiccarvi.
- Ve ne
ringrazio, luogotenente, ne serberò ricordo di voi se la fortuna potrà, e chi
sa, non ridete, farmi libero. Hanno torto di appendermi o forse di sperarlo, se
essi come dite voi lo fanno pel solo scopo di schiacciare la Tigre che non si
poteva domare, tuttavia non commento, né domanderò grazia. Sono ancora troppo
orgoglioso di me stesso per abbassarmi sino a tal punto.
«Eppure,
vedete, nel momento che voi ci davate la caccia, io abbandonava Mompracem per
non ritornarvi mai più, non già perché avessi paura di Labuan né di Varauni,
non già perché le forze mi fossero venute meno poiché sarei stato capace di
sfidare entrambe le potenze e far sorgere armati sol battendo i piedi, ma solo
perché la Tigre incatenata da Marianna Guillonk dopo tanti anni di guerra
agognava il riposo. Mi hanno preso colle armi in mano, mi condannino, io non mi
lamento.
- Non amate
più dunque lady Guillonk? - domandò il luogotenente sorpreso di quello strano
cangiamento.
- Non l'amo
più? - esclamò Sandokan con uno slancio appassionato. - E chi potrebbe dire che
la Tigre della Malesia non ama più la Perla di Labuan? Ascoltatemi,
luogotenente, finché avrò una goccia di sangue amerò Marianna, finché avrò la
forza di pronunciare una sillaba, dirò qui, come di fronte al patibolo, dinanzi
a voi e in faccia al lord, che sarà mia moglie! Se voi sarete capace di
appendermi, e credetelo ne dubito, nel momento che la corda stringerà la mia
gola, ripeterò la medesima cosa.
«Ponete qua
Mompracem e là Marianna e io abbandonerò la prima per la seconda. Datemi la
libertà e imponetemi che io non veda mai più la giovanetta: e io rifiuterò.
Concedetemi la vita e fate morire lei, io accetterò la morte. Che volete di
più? Comprendete ora fino a qual punto io l'ami? Perché volete che io abbia
tratto alla ruina la mia potenza, se non era per lei? Perché volete che abbia
abbandonata quella vita d'avventure che amava sopra ogni cosa, se non avessi
amato di più Marianna?
«L'amo, ma
l'amo come non amò mai uomo alcuno, con tutte le forze della mia vita. La sola
morte, e forse non ancora, potrebbe solo farmela dimenticare all'altro mondo.
Mi sentirei capace per lei di sprofondare il piroscafo su cui mi trovo con
tutti gli uomini che sonvi sopra, se fossi sicuro con tale sforzo di sottrarla
ai vostri artigli e farla mia. Dite ad essa che mi preghi di renderla libera, e
voi vedrete fare da me, ciò che non sarebbero capaci cento uomini!
- Vi crederò
ma non del tutto - rispose il luogotenente con un sorriso incredulo. - Badate a
me, noi siamo più numerosi di quello che nol crediate, più astuti di quello che
supponete e più forti della Tigre stessa. Vedete, io ho la convinzione di
portarvi a Labuan e di vedervi, non con gioia, credetelo, appeso a uno dei
pennoni dei nostri incrociatori.
- Lo
crederete voi? - chiese la Tigre con aria cupa.
- Ve lo giuro.
- E io no.
Sapete che io, in un momento di disperazione, quando vedessi che ogni tentativo
di lottare fosse vano...
- Che
fareste?
- Chi sa.
Potrei consegnarvi la Tigre morta anziché viva.
- Tentereste
mai un suicidio? - esclamò il luogotenente spaventato. - E allora, che succederebbe
di lady Marianna?
Sandokan lo
guardò stranamente.
- Potrebbe
darsi che mi ammazzassi - disse lugubremente. - Che ne sarebbe dipoi della mia
fidanzata è facile indovinarlo. Io muoio, lei morrà. Ci ritroveremo ancora, in
cielo o all'inferno poco monta. Sarò egualmente felice.
- E la
pirateria?
- Non è
spenta?
- Avete
ragione - mormorò il luogotenente. - Guardate, se voi tentaste un suicidio, da
uomo d'onore, ve lo giuro che non mi opporrei. Spenta la Tigre, Labuan non sarà
più oltre inquietata né più avrà da temere. In quanto a lady Marianna sarà
un'altra faccenda. Non lo permetterò mai che una sì vezzosa creatura abbia a
troncare la bella sua vita.
- Avete forse
fatto qualche progetto che riguardi la fidanzata della Tigre? - chiese Sandokan
sordamente. - Non tentate nulla contro di lei! Potrebbe toccarvi la medesima
sorte che toccò al baronetto William.
- Una volta
che voi foste morto...
- Sarei
capace di sorgere dalla tomba per venirvi a divorare il cuore e succiare il
sangue delle vostre vene!
- Non vi
crederò che in parte. Ho i miei dubbi per credere che siate tanto potente da
uscire da un sepolcro ben chiuso.
- Come vi
piace - disse Sandokan ironicamente. - Avrei a farvi ora un'ultima preghiera.
Voi siete il comandante di questa nave, nessuno quindi potrà avere tanto
coraggio di farvi osservazioni di sorta.
«Luogotenente,
io sono sul punto di morire: vorreste lasciarmi vedere per l'ultima volta
Marianna Guillonk? Non è il pirata che ve lo chiede, è il fidanzato della Perla
di Labuan.
- Ho avuto l'ordine
di tenervi rigorosamente separati, qualora la fortuna mi avesse dato di
prendervi tutti e due. Credo d'altronde che sarebbe meglio per voi morire senza
vederla. A qual pro farla piangere?
- È forse per
un raffinamento di crudeltà che me lo negate? - disse con ira la Tigre. - Io
non credeva che un onorato soldato scendesse a fare l'aguzzino!
Il
luogotenente impallidì.
- Ve lo giuro
- diss'egli, - n'ebbi l'ordine. Per darvi una prova dell'affetto che nutro per
voi e per lady Marianna, vi accordo il permesso di vederla. Ritirate ora quelle
parole che offendono un soldato mio pari.
- Le ritiro.
E quando potrò vederla? Fate in modo che abbia a stringerla per l'ultima volta
fra le mie braccia prima che la nave giunga a Labuan.
- Lo farò, ma
non una sillaba di quanto è stato detto fra noi.
- Sarò muto
come una tomba. Del resto fra poco io sarò morto, ve lo assicuro.
- Addio,
allora. Avrò l'onore di farvi io i funerali: saranno semplici. Un tuffo in mare
e buona notte.
- Era quello
che desiderava: essere seppellito nell'umida tomba dei marinai. Grazie,
capitano, di quanto avete fatto e farete per me. La Tigre anche nell'altro
mondo non si scorderà mai di voi.
Il
luogotenente si allontanò chiamando i soldati e salì in coperta. Sandokan
rimase lì colle braccia incrociate, un diabolico sorriso sulle labbra e la
faccia illuminata da un gran raggio di gioia.
Inioko lo
scosse dalle sue meditazioni.
- Vi ha
portato buone nuove? - chiese il Dajacco, facendosigli d'accanto. - Orsù
capitano, voi mi sembrate felice.
- Sì, Inioko
- rispose Sandokan, posando le mani sulle di lui spalle. - Sono felice, più
felice di quanto lo sia stato in dieci anni di carnificine. Non sai tu dunque
che fra poco rivedrò la mia adorata Marianna, che le parlerò, che la stringerò
fra le mie braccia?
«Che importa
se il cappio del boia pende sulla mia testa, quando le avrò detto ancora una
volta che l'amo, quando udrò ripetere dalle divine sue labbra la medesima
confessione, quando le dirò che neppur la morte sarà capace di separarci?
- E se la fuga
riuscisse vana?
La Tigre
della Malesia si raddrizzò fieramente e tendendo le mani raggrinzate verso il
ponte della nave:
- Se tutto
riuscisse inutile, aprirò i fianchi del vascello e ci seppelliremo tutti in
fondo al mare. Sarà l'ultima vendetta della Tigre della Malesia!
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