FEROCIA E GENEROSITÀ
All'indomani
qualche ora dopo che il sole era sorto, Sandokan usciva dalla capanna, pronto a
compiere l'ardita impresa.
Era
abbigliato da guerra: aveva calzato lunghi stivali di pelle rossa, il suo
colore favorito, aveva indossata una splendida casacca di velluto pure rosso,
adorna di ricami e di frange e larghi calzoni di seta azzurra. Ad armacollo portava
una ricca carabina indiana rabescata e dal lungo tiro: alla cintura una pesante
scimitarra dall'impugnatura di oro massiccio e di dietro un kriss, quel pugnale
dalla lama serpeggiante e avvelenata, tanto caro alle popolazioni della
Malesia.
Si arrestò un
momento sull'orlo della gran rupe, scorrendo col suo sguardo d'aquila la
superficie del mare, diventata liscia e tersa come uno specchio, e lo fermò
verso l'oriente.
- È là -
mormorò egli, dopo alcuni istanti di contemplazione. - Strano destino, che mi
spingi laggiù, dimmi se mi sarai fatale! Dimmi se quella donna dagli occhi
azzurri e dai capelli d'oro che ogni notte conturba i miei sogni, sarà la mia
perdita!...
Scosse il
capo come se volesse scacciare un cattivo pensiero, poi a lenti passi discese
una stretta scaletta aperta nella roccia e che conduceva alla spiaggia. Un uomo
lo attendeva al basso: era Yanez.
- Tutto è
pronto - disse questi. - Ho fatto preparare i due migliori legni della nostra
flotta, rinforzandoli con due grosse spingarde.
- E gli
uomini?
- Tutte le
bande sono schierate sulla spiaggia, coi loro capi. Non avrai che da scegliere
le migliori.
- Grazie,
Yanez.
- Non
ringraziarmi, Sandokan; forse ho preparato la tua rovina.
- Non temere,
fratello mio; le palle hanno paura di me.
- Sii
prudente, molto prudente.
- Lo sarò e
ti prometto che, appena avrò veduta quella fanciulla ritornerò qui.
- Dannata
femmina! Strangolerei quel pirata che per primo la vide e ne parlò a te.
- Vieni,
Yanez.
Attraversarono
una spianata, difesa da grandi bastioni, e armata di grossi pezzi
d'artiglieria, di terrapieni e di profondi fossati e giunsero sulle rive della
baia, in mezzo alla quale galleggiavano dodici o quindici velieri, che si
chiamano prahos. Dinanzi ad una lunga fila di capanne e di solidi fabbricati,
che parevano magazzini, trecento uomini stavano schierati in bell'ordine, in
attesa d'un comando qualunque per slanciarsi, come una legione di demoni, sulle
navi e spargere il terrore su tutti i mari della Malesia.
Che uomini e
che tipi!
Vi erano dei
malesi, di statura piuttosto bassa, vigorosi e agili come le scimmie, dalla
faccia quadra e ossuta, dalla tinta fosca, uomini famosi per la loro audacia e
ferocia; dei battias, dalla tinta ancor più fosca, noti per la loro
passione per la carne umana, quantunque dotati di una civiltà relativamente
assai avanzata; dei dayaki della vicina isola di Borneo, di alta
statura, dai lineamenti belli, celebri per le loro stragi, che valsero loro il
titolo di tagliatori di teste; dei siamesi, dal viso romboidale e gli
occhi dai riflessi giallastri; dei cocincinesi, dalla tinta gialla e il capo
adorno di una coda smisurata e poi degli indiani, dei bughisi, dei giavanesi,
dei tagali delle Filippine e infine dei negritos con delle teste enormi
ed i lineamenti ributtanti.
All'apparire
della Tigre della Malesia, un fremito percorse la lunga fila dei pirati; tutti
gli occhi parvero incendiarsi e tutte le mani si raggrinzarono attorno alle
armi.
Sandokan
gettò uno sguardo di compiacenza sui suoi tigrotti, come amava chiamarli, e
disse:
- Patan,
fatti innanzi.
Un malese, di
statura piuttosto alta, dalle membra poderose, la tinta olivastra e vestito
d'un semplice sottanino rosso adorno di alcune piume, si avanzò con quel
dondolamento che è particolare agli uomini di mare.
- Quanti
uomini conta la tua banda? - chiese.
- Cinquanta,
Tigre della Malesia.
- Tutti
buoni?
- Tutti
assetati di sangue.
- Imbarcali
su quei due prahos e cedine la metà al giavanese Giro-Batol.
- E si va?...
Sandokan gli
lanciò uno sguardo, che fece fremere l'imprudente, quantunque fosse uno di
quegli uomini che si rideva della mitraglia.
- Ubbidisci e
non una parola se vuoi vivere - gli disse Sandokan.
Il malese
s'allontanò rapidamente, traendosi dietro la sua banda, composta di uomini
coraggiosi fino alla pazzia e che ad un cenno di Sandokan non avrebbero esitato
a saccheggiare il sepolcro di Maometto, quantunque tutti maomettani.
- Vieni Yanez
- disse Sandokan, quando li vide imbarcati.
Stavano per
scendere la spiaggia, quando furono raggiunti da un brutto negro dalla testa
enorme, dalle mani ed i piedi di grandezza sproporzionata, un vero campione di
quegli orribili negritos che s'incontrano nell'interno di quasi tutte le
isole della Malesia.
- Che cosa
vuoi e da dove vieni, Kili-Dalù? - gli chiese Yanez.
- Vengo dalla
costa meridionale - rispose il negato, respirando affannosamente.
- E ci rechi?
- Una buona
nuova, capo bianco; ho veduto una grossa giunca bordeggiare verso le isole
Romades.
- Era carica?
- chiese Sandokan.
- Sì, Tigre.
- Sta bene;
fra tre ore cadrà in mio potere.
- E poi
andrai a Labuan?
-
Direttamente, Yanez.
Si erano
fermati dinanzi ad una ricca baleniera, montata da quattro malesi.
- Addio,
fratello - disse Sandokan, abbracciando Yanez.
- Addio,
Sandokan. Bada di non commettere delle pazzie.
- Non temere;
sarò prudente.
- Addio e che
la tua buona stella ti protegga.
Sandokan
balzò nella baleniera e, con pochi colpi di remo, raggiunse i prahos, i
quali stavano spiegando le loro immense vele. Dalla spiaggia si alzò un immenso
grido.
- Evviva la
Tigre della Malesia!
- Partiamo -
comandò il pirata, volgendosi ai due equipaggi.
Le ancore
vennero salpate da due squadre di demoni color verde-oliva o giallo-sporco e i
due legni, fatte due bordate, si slanciarono in pieno mare, beccheggiando sulle
azzurre onde del mar Malese.
- La rotta? -
chiese Sabau a Sandokan, che aveva preso il comando del legno maggiore.
- Diritti
alle isole Romades - rispose il capo. Poi, volgendosi verso gli equipaggi,
gridò:
- Tigrotti,
aprite bene gli occhi; abbiamo una giunca da saccheggiare.
Il vento era
buono, soffiando dal sud-ovest, e il mare, appena mosso non opponeva resistenza
alla corsa dei due legni, i quali in breve raggiunsero una celerità superiore
ai dodici nodi, velocità veramente non comune ai bastimenti a vela, ma niente
straordinaria pei legni malesi, che portano vele immense e hanno scafi
strettissimi e leggeri.
I due legni,
coi quali la Tigre stava per intraprendere l'audace spedizione, non erano due
veri prahos i quali ordinariamente sono piccoli e sprovvisti di ponte.
Sandokan e Yanez, che in fatto di cose di mare non avevano di eguali in tutta
la Malesia, avevano modificati tutti i loro velieri, onde affrontare
vantaggiosamente le navi che inseguivano.
Avevano
conservato le immense vele, la cui lunghezza toccava i quaranta metri e così
pure gli alberi grossi, ma dotati di una certa elasticità e le manovre di fibre
di gamuti e di rotang, più resistenti delle funi e più facili a
trovarsi, ma avevano dato agli scafi maggiori dimensioni, alla carena forme più
svelte e alla prua una solidità a tutta prova.
Avevano
inoltre fatto costruire su tutti i legni un ponte, aprire sui fianchi dei fori
pei remi ed avevano eliminato uno dei due timoni che portavano i prahos e
soppresso il bilanciere, attrezzi che potevano rendere meno facili gli
abbordaggi.
Malgrado i
due prahos si trovassero ancora ad una grande distanza dalle Romades,
verso le quali si supponeva veleggiasse la giunca scorta da Kili-Dalù, appena
sparsasi la notizia della presenza di quel legno, i pirati si misero subito
all'opera, onde essere pronti al combattimento.
I due cannoni
e le due grosse spingarde vennero caricati colla massima cura, si disposero sul
ponte palle in gran numero e granate da lanciarsi a mano, poi fucili, scuri,
sciabole d'abbordaggio e sulle murate vennero collocati i grappini
d'arrembaggio, da gettarsi sulle manovre della nave nemica. Ciò fatto, quei
demoni, i cui sguardi già s'accendevano d'ardente bramosia, si misero in
osservazione chi sui bastingaggi, chi sulle griselle, e chi a cavalcioni dei
pennoni, ansiosi tutti di scoprire la giunca che prometteva un ricco
saccheggio, provenendo ordinariamente, tali navi, dai porti della Cina.
Anche
Sandokan pareva che prendesse parte all'ansietà e irrequietezza dei suoi
uomini. Camminava da prua a poppa con passo nervoso, scrutando l'immensa
distesa d'acqua e stringendo con una specie di rabbia l'impugnatura d'oro della
sua splendida scimitarra.
Alle dieci
del mattino Mompracem scompariva sotto l'orizzonte, ma il mare appariva ancora
deserto.
Non uno
scoglio in vista, non un pennacchio di fumo che indicasse la presenza di un
piroscafo, non un punto bianco che segnalasse la vicinanza di qualche veliero.
Una viva impazienza cominciava a invadere gli equipaggi dei due legni; gli
uomini salivano e scendevano gli attrezzi imprecando, tormentavano le batterie
dei fucili, facevano lampeggiare le lucenti lame dei loro avvelenati kriss e
delle scimitarre.
Ad un tratto,
poco dopo il mezzodì, dall'alto dell'albero maestro s'udì una voce a gridare:
- Ehi! guarda
sottovento!
Sandokan
interruppe la sua passeggiata. Lanciò un rapido sguardo sul ponte del proprio
legno, un altro su quello comandato da Giro-Batol, poi comandò:
- Tigrotti!
Ai vostri posti di combattimento!
In meno che
si dica i pirati, che si erano arrampicati sugli alberi, scesero in coperta,
occupando i posti loro assegnati.
- Ragno di
Mare - disse Sandokan, rivolgendosi all'uomo rimasto in osservazione
sull'albero. - Che cosa vedi?
- Una vela,
Tigre.
- È una
giunca?
- È la vela
di una giunca, non m'inganno.
- Avrei
preferito un legno europeo - mormorò Sandokan, corrugando la fronte. - Nessun
odio mi spinge contro gli uomini del Celeste Impero. Ma chissà!... - Riprese la
passeggiata e non parlò più.
Passò una
mezz'ora, durante la quale i due prahos guadagnarono cinque nodi, poi la
voce del Ragno di Mare si fece ancora udire.
- Capitano, è
una giunca! - gridò. - Badate che ci ha scorti e che sta virando di bordo.
- Ah! -
esclamò Sandokan. - Ehi! Giro-Batol, manovra in modo da impedirle di fuggire.
I due legni
un momento dopo si separavano e, dopo descritto un ampio semicerchio, mossero a
vele spiegate incontro al legno mercantile.
Era questo
uno di quei pesanti vascelli che si chiamano giunche, dalle forme tozze e di
dubbia solidità, usati nei mari della Cina.
Appena
accortosi della presenza di quei due legni sospetti, contro i quali non poteva
lottare di velocità, si era fermato, inalberando un gran drappo.
Nel vedere
quel vessillo, Sandokan fece un salto innanzi.
- La bandiera
del rajah Brooke, dello «Sterminatore dei pirati»! - esclamò, con
intraducibile accento d'odio. - Tigrotti! all'abbordaggio! all'abbordaggio!...
Un urlo selvaggio, feroce, s'alzò fra i due equipaggi, ai quali non era ignota
la fama dell'inglese James Brooke, diventato rajah di Sarawack, nemico
spietato dei pirati, un gran numero dei quali erano caduti sotto i suoi colpi.
Patan, d'un
balzo, fu al cannone di prua, mentre gli altri puntavano la spingarda ed
armavano le carabine.
- Devo
cominciare? - chiese a Sandokan.
- Sì, ma che
la tua palla non vada perduta.
- Sta bene!
Di repente
una detonazione echeggiò a bordo della giunca, ed una palla di piccolo calibro
passò, con un acuto fischio, attraverso le vele. Patan si chinò sul suo cannone
e fece fuoco, l'effetto fu pronto: l'albero maestro della giunca che si era
spaccato alla base, oscillò violentemente innanzi e indietro e cadde in coperta,
colle vele e tutti i suoi cordami. A bordo del disgraziato legno si videro
degli uomini correre sulle murate e poi sparire.
- Guarda,
Patan! - gridò il Ragno di Mare.
Un piccolo
canotto, montato da sei uomini, erasi staccato dalla giunca e fuggiva verso le
Romades.
- Ah! -
esclamò Sandokan, con ira. - Vi sono degli uomini che fuggono, invece di
battersi! Patan fà fuoco su quei vili!
Il malese
lanciò a fior d'acqua un nembo di mitraglia che sfondò il canotto, fulminando
tutti quelli che lo montavano.
- Bravo,
Patan! - gridò Sandokan. - Ed ora, rasami come un pontone quella nave, sulla
quale vedo ancora un numeroso equipaggio. Dopo la manderemo a raddobbarsi nei
cantieri del rajah, se ne ha!
I due legni
corsari ripresero l'infernale musica, scagliando palle, granate e nembi di
mitraglia contro il povero legno, spaccandogli l'albero di trinchetto,
sfondandogli le murate e le costole, recidendogli le manovre e uccidendogli i
marinai che si difendevano disperatamente a colpi di fucile.
- Bravi! -
esclamò Sandokan, che ammirava il coraggio di quei pochi uomini rimasti sulla
giunca.
- Tirate,
tirate ancora contro di noi! Siete degni di combattere contro la Tigre della
Malesia!
I due legni
corsari, avvolti da fitte nuvole di fumo, dalle quali scattavano lampi, si avanzavano
sempre e in brevi istanti furono sotto i fianchi della giunca.
- Barra
sottovento! - gridò allora Sandokan, che aveva impugnato la scimitarra.
Il suo legno
abbordò il mercantile sotto l'anca di babordo, e vi rimase attaccato, essendo
stati lanciati i grappini d'abbordaggio.
-
All'assalto, tigrotti! - tuonò il terribile pirata.
Si raccolse
su se stesso, come una tigre che sta per lanciarsi sulla preda e fece atto di
saltare, ma una mano robusta lo trattenne.
Si volse,
gettando un urlo di furore, ma l'uomo che aveva osato di fermarlo gli era
saltato dinanzi, coprendolo col proprio corpo.
- Tu, Ragno
di Mare! - gridò Sandokan, alzando su di lui la scimitarra. Proprio in
quell'istante un colpo di fucile partiva dalla giunca e il povero Ragno cadeva
sul ponte fulminato.
- Ah! grazie,
mio tigrotto - disse Sandokan. - Volevi salvarmi!
Si scagliò
innanzi come un toro ferito, si aggrappò alla bocca di un cannone, si issò sul
ponte della giunca e si precipitò fra i combattenti con quella pazza temerità
che tutti ammiravano.
L'intero
equipaggio della nave mercantile si gittò addosso a lui per contrastargli il
passo.
- A me,
tigrotti! - gridò egli, abbattendo due uomini col rovescio della scimitarra.
Dieci o dodici pirati, arrampicandosi come scimmie su per gli attrezzi e
saltando le murate, si slanciarono in coperta, mentre l'altro praho gettava
i grappini d'abbordaggio.
-
Arrendetevi! - gridò la Tigre ai marinai della giunca.
I sette od
otto uomini che ancora sopravvivevano, vedendo altri pirati invadere la tolda,
gettarono le armi.
- Chi è il
capitano? - chiese Sandokan.
- Io -
rispose un cinese, facendosi innanzi, tremando.
- Tu sei un
prode, ed i tuoi uomini sono degni di te - disse Sandokan. - Dove andavi?
- A Sarawack.
Una profonda
ruga si disegnò sull'ampia fronte del pirata.
- Ah! -
esclamò con voce sorda. - Tu vai a Sarawack. E che cosa fa il rajah Brooke,
lo «Sterminatore dei pirati»?
- Non lo so,
mancando da Sarawack da parecchi mesi.
- Non
importa, ma gli dirai che un giorno andrò a gettare l'ancora nella sua baia e
che là attenderò i suoi legni. Oh! la vedremo se lo «Sterminatore dei pirati»
sarà capace di vincere i miei.
Poi si
strappò dal collo una fila di diamanti del valore di tre o quattrocentomila
lire e, porgendola al capitano della giunca, disse:
- Prendi, mio
valoroso. Mi rincresce di averti malmenato la giunca che tu hai così bene
difesa, ma potrai con questi diamanti comperartene dieci di nuove.
- Ma chi
siete, voi? - chiese il capitano, stupito.
Sandokan gli
si avvicinò e, posandogli le mani sulle spalle, gli disse:
- Guardami in
viso: io sono la Tigre della Malesia.
Poi, prima
che il capitano e i suoi marinai potessero riaversi dal loro sbalordimento e
dal loro terrore, Sandokan e i pirati erano ridiscesi nei loro legni.
- La rotta? -
chiese Patan.
La Tigre
stese il braccio verso l'est, poi, con voce metallica, nella quale sentivasi
una grande vibrazione, gridò:
- Tigrotti, a
Labuan! a Labuan!
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