L'INCROCIATORE
Abbandonata
la disalberata e sdruscita giunca, la quale però non correva pericolo di
affondare, almeno pel momento, i due legni da preda ripresero la corsa verso
Labuan, l'isola abitata da quella fanciulla dai capelli d'oro, che Sandokan
voleva ad ogni costo vedere.
Il vento si
manteneva al nord-ovest e assai fresco ed il mare era ancora tranquillo,
favorendo la corsa dei due prahos, i quali filavano dieci od undici nodi
all'ora. Sandokan dopo di aver fatto ripulire il ponte, riannodare le manovre
tagliate dalle palle nemiche, gettare in mare il cadavere del Ragno e di un
altro pirata ucciso da una fucilata, e caricare i fucili e le spingarde, accese
uno splendido narghilè proveniente senza dubbio da qualche bazar indiano
o persiano, e chiamò Patan. Il malese fu pronto ad obbedire.
- Dimmi,
malese, - disse la Tigre, piantandogli in viso due occhi che mettevano paura, -
sai come è morto il Ragno di Mare?
- Sì -
rispose Patan rabbrividendo, nel vedere il pirata tanto accigliato.
- Quando io
monto all'abbordaggio, sai qual è il tuo posto?
- Dietro di
voi.
- E tu non
c'eri e qui il Ragno è morto in vece tua.
- È vero,
capitano.
- Dovrei
farti fucilare per questa tua mancanza, ma tu sei un prode e io non amo
sacrificare inutilmente i coraggiosi. Al primo abbordaggio tu ti farai uccidere
alla testa dei miei uomini.
- Grazie,
Tigre.
- Sabau -
chiamò poscia Sandokan.
Un altro
malese, che aveva una profonda ferita attraverso il viso, si fece innanzi.
- Sei stato
tu il primo a saltare, dopo di me, sulla giunca? - gli chiese Sandokan.
- Sì, Tigre.
- Sta bene.
Quando Patan sarà morto, tu gli subentrerai nel comando.
Ciò detto
attraversò a lenti passi il ponte e discese nella sua cabina situata a poppa.
Durante la
giornata i due prahos continuarono a veleggiare in quel tratto di mare compreso
fra Mompracem e le Romades all'ovest, la costa del Borneo all'est e nord-est e
Labuan e le Tre Isole al nord, senza incontrare alcun legno mercantile.
La sinistra
fama che godeva la Tigre si era sparsa in quei mari e pochissimi legni ardivano
avventurarsi in quei luoghi. I più fuggivano quei paraggi, scorrazzati
continuamente dai legni corsari e si tenevano sotto le coste, pronti, al primo
pericolo, a gettarsi a terra onde salvare almeno la vita. Appena la notte
cadde, i due legni terzarolarono le loro grandi vele onde premunirsi contro gli
improvvisi colpi di vento, e si avvicinarono l'un l'altro per non perdersi di
vista ed essere pronti a soccorrersi vicendevolmente. Verso la mezzanotte, nel
momento in cui passavano dinanzi alle Tre Isole che sono le sentinelle avanzate
di Labuan, Sandokan comparve sul ponte. Era sempre in preda ad una viva
agitazione. Si mise a passeggiare da prua a poppa, colle braccia incrociate,
rinchiuso in un feroce silenzio. Però di tratto in tratto si arrestava per
scrutare la nera superficie del mare, saliva sulle murate per abbracciare un
maggiore orizzonte, e poi si curvava e stava in ascolto. Cosa cercava di udire?
Forse il brontolio di qualche macchina che indicasse la presenza di un
incrociatore, oppure il fragore delle onde rompentisi sulle coste di Labuan?
Alle tre del
mattino, quando gli astri cominciavano ad impallidire, Sandokan gridò:
- Labuan!
Infatti,
verso est, là dove il mare si confondeva coll'orizzonte, appariva confusamente
una sottile linea oscura.
- Labuan -
ripetè il pirata, respirando, come se gli si fosse levato un gran peso che
opprimevagli il cuore.
- Dobbiamo
andare innanzi? - chiese Patan.
- Sì -
rispose la Tigre. - Entreremo nel fiumicello che già conosci.
Il comando fu
trasmesso a Giro-Batol e i due legni si diressero in silenzio verso l'isola
sospirata.
Labuan, la
cui superficie non oltrepassa i 116 chilometri quadrati, non era in quei tempi
l'importante stazione navale che è oggidì.
Occupata nel
1847 da sir Rodney Mandy, comandante dell'Iris, per ordine del governo inglese
che mirava a sopprimere la pirateria, non contava allora che un migliaio di
abitanti, quasi tutti di razza malese e forse duecento bianchi. Avevano appena
allora fondata una cittadella alla quale avevano dato il nome di Vittoria,
munendola di alcuni fortini per impedire che venisse distrutta dai pirati di
Mompracem, che parecchie volte ne avevano devastate le coste. Il resto
dell'isola era ricoperto di fitti boschi popolati ancora di tigri, e solo rare
fattorie erano state fondate sulle alture o nelle praterie.
I due prahos,
dopo aver costeggiato per alcune miglia l'isola, si cacciarono
silenziosamente in un piccolo fiumicello, le cui rive erano coperte da una
ricchissima vegetazione, e lo salirono per sei o settecento metri ancorandosi
sotto l'oscura ombra di grandi alberi.
Un
incrociatore che avesse battuta la costa, non sarebbe riuscito a scoprirli, né
avrebbe mai potuto sospettare la presenza di quei tigrotti, imboscati come le
tigri delle Sunderbunds indiane.
A mezzodì,
Sandokan, dopo di aver mandato due uomini alla foce del fiumicello e due altri
nelle foreste, per non venire sorpreso, armatosi della sua carabina, sbarcava,
seguito da Patan.
Aveva
percorso circa un chilometro inoltrandosi nella fitta foresta, quando si
arrestò bruscamente ai piedi di un colossale durion, le cui frutta
deliziose, irte di punte durissime, si agitavano sotto i colpi di becco di uno
stormo di tucani.
- Avete
veduto qualche uomo? - chiese Patan.
- No, ascolta
- rispose Sandokan.
Il malese tese
l'orecchio e udì un lontano abbaiare.
- È qualcuno
che caccia - disse rialzandosi.
- Andiamo a
vedere.
Ripresero il
cammino cacciandosi sotto le piante di pepe, i cui rami erano carichi di
grappoli rossi, sotto gli artocarpi o alberi del pane e gli arenga, fra
le cui foglie svolazzavano dei battaglioni di lucertole volanti.
I latrati del
cane si avvicinavano sempre e ben presto i due pirati si trovarono in presenza
di un brutto negro, vestito d'un paio di calzoncini rossi e che teneva a
guinzaglio un mastino.
- Dove vai? -
gli chiese Sandokan, sbarrandogli la via.
- Cerco la
pista di una tigre - rispose il negro.
- E chi ti ha
dato il permesso di cacciare nei miei boschi?
- Sono al
servizio di lord Guldek.
- Sta bene!
Dimmi ora, schiavo maledetto, hai udito parlare di una fanciulla che si chiama
la «Perla di Labuan»?
- Chi non
conosce in quest'isola quella bella creatura? È il buon genio di Labuan che
tutti amano e tutti adorano.
- È bella? -
chiese Sandokan, con una viva emozione.
- Credo che
nessuna donna possa eguagliarla. Un forte sussulto agitò la Tigre della
Malesia.
- Dimmi -
riprese, dopo un istante di silenzio. - Ove abita?
- A due
chilometri da qui, in mezzo ad una prateria.
- Basta così;
va' e, se ti preme la vita, non volgerti indietro.
Gli diede un
pugno d'oro e quando il negro fu scomparso si gettò ai piedi di un grande
artocarpo, mormorando:
- Aspettiamo
la notte e poi andremo a spiare i dintorni.
Patan lo
imitò, sdraiandosi all'ombra di un arecche ma colla carabina sottomano.
Dovevano
essere le nove pomeridiane, quando un avvenimento inatteso venne ad
interrompere la loro aspettativa.
Un colpo di
cannone era echeggiato verso la costa, facendo bruscamente tacere tutti gli
uccelli che popolavano i boschi. Sandokan balzò in piedi colla carabina fra le
mani, tutto trasfigurato.
- Un colpo di
cannone! - esclamò. - Vieni Patan; vedo del sangue!...
Si scagliò a
balzi di tigre attraverso la foresta, seguito dal malese che, quantunque agile
come un cervo, stentava a tenergli dietro.
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